sabato 31 maggio 2008

Intervista all'on.le Federico Testa

L'on.le Federico Testa ha espresso la sua disponibilità a trattare alcuni argomenti di particolare interesse in questa intervista, quali la globalizzazione, lo sviluppo del Sud, la competitività ed alcune misure del Governo Berlusconi approvate di recente (detassazione degli straordinari e dei premi di produzione e l'abolizione dell'ICI sulla prima casa). Federico Testa è stato eletto nel 2008 alla Camera dei Deputati nella lista del Partito Democratico, già parlamentare nella precedente legislatura. È membro della Commissione Attività produttive, Commercio e Turismo.
Spesso di fronte ad eventi e problemi complessi vi è una risposta scontata: - E’ colpa della globalizzazione. Occorre uscire da questo luogo comune che non aiuta certamente a trovare soluzioni ai nuovi problemi. Quali sono gli effetti - rischi, opportunità, benefici – della globalizzazione?
Per globalizzazione si intende l’affermazione di un unico mercato a livello globale, mondiale. Indubbiamente questo comporta una decisa accelerazione al volume dei traffici e delle transazioni, ed una spinta ad una maggiore crescita complessiva. Ma, come diceva don Milani, non c’è peccato più grande di “trattar da eguali quelli che eguali non sono”. L’assenza di qualunque regolamentazione del mercato può infatti produrre anche un aumento della disuguaglianza complessiva, non tutelando i Paesi più poveri che possono venire fortemente discriminati in un mercato di tal genere. In sostanza, si alla globalizzazione ma con quegli accorgimenti che evitino che si trasformi nel far west
C. K. Prahalad in “La fortuna alla base della piramide” propone una strategia che permette all’impresa di continuare a fare profitti e nello stesso tempo di affrontare il problema della povertà e della diseguaglianza. Nella pubblicazione vengono citati gli esempi di Muhammad Yunus, premio Nobel per la pace nel 2006, con la banca dei poveri Grameen Bank, dell’economista peruviano Hernando de Soro che sostiene l’idea del capitalismo popolare e del caso Wizzit che indirizza i suoi servizi bancari via telefono cellulare ai cittadini africani. La povertà può essere combattuta in modo efficace con tale strategia? La proposta di Prahalad può essere utilizzata in Italia per favorire lo sviluppo nel Sud?
Le proposte di Prahalad e Yunus sono tarate sulle popolazioni più povere dei Paesi in via di sviluppo (si pensi al microcredito come via per emancipare i piccoli produttori -e soprattutto le donne- dai condizionamenti dei fornitori di materie prime). Credo che, pur mutuando tutto ciò che è possibile da tali proposte, il problema del Sud Italia in questo momento abbia molto a che fare con il ristabilimento del ruolo dello Stato nei confronti della malavita organizzata e l’efficienza della Pubblica Amministrazione come premesse per l’attuazione di politiche di sostegno allo sviluppo che, senza ricreare le cattedrali del deserto del passato, aiutino il formarsi di un tessuto imprenditoriale diffuso che consenta alle giovani generazioni di intravedere un futuro possibile.
Considerato che i cicli di vita della strategia si stanno accorciando e che la corsa alla minimizzazione dei costi presenta molti concorrenti agguerriti tra i paesi in via di sviluppo, quali fattori di sviluppo e di crescita economica nel terzo millennio occorre utilizzare e quale ruolo deve svolgere l’impresa, lo Stato ed i sindacati per avviare una presenza competitiva dell’Italia nel panorama internazionale dell’economia che permetta la risoluzione dei problemi più urgenti di carattere nazionale?
L’Italia deve puntare innanzitutto sulla conoscenza, sulla competenza, sulle particolari doti di creatività che contraddistinguono la nostra popolazione. Tutte e tre, non pensando di “vivere di rendita” sulla terza, perché la competizione si è fatta così dura che la genialità e la creatività, se non sistematizzate, non bastano più. Questo significa investire molto di più sulla scuola di ogni ordine e grado, sulla formazione continua (oggi spesso chi sopra i 40 anni resta senza lavoro non si ri-colloca facilmente), sulla ricerca fatta dalle università e dalle imprese, che debbono imparare a dialogare ancora di più. L’alternativa a questo percorso è la competizione con i paesi meno sviluppati del nostro, competizione dalla quale usciremmo certamente perdenti.
Il Governo Berlusconi, nel primo Consiglio dei Ministri, ha approvato una serie di provvedimenti, promessi durante la campagna elettorale, e tra questi l’abolizione dell’ICI sulla prima casa e la detassazione degli straordinari e dei premi di produttività. Molti economisti hanno espresso il loro dissenso, prima e dopo le consultazioni elettorali, verso tali provvedimenti in quanto introducono distorsioni e discriminazioni e risultano inefficaci rispetto ai problemi che si vogliono risolvere (produttività, eccessiva tassazione, aumento del salario reale). Qual'è la sua posizione rispetto a questi provvedimenti?
Il tema non è se essere favorevoli o meno all’abolizione dell’ICI e alla detassazione degli straordinari. Certo che sì! Ma bisogna chiedersi se quelle misure sono l’utilizzo migliore delle risorse (scarse per definizione) che si hanno a disposizione. Ecco allora che l’abolizione completa dell’ICI sulla prima casa, già compiuta al 40% dal governo Prodi, finisce per beneficiare anche strati di popolazione che, in termini comparati, soffrono molto meno della crisi in atto rispetto alle famiglie numerose, ai pensionati, alla gran parte dei titolari di reddito dipendente: forse era meglio individuare un uso delle risorse che affrontasse prioritariamente e con più forza i problemi di queste fasce di cittadini. Analogamente, la detassazione degli straordinari impiega le risorse disponibili a vantaggio dei lavoratori che fanno molti straordinari, ma vi sono settori (ad esempio il tessile e l’abbigliamento), dove questa prassi è meno diffusa, anche in ragione del ciclo economico non favorevole, o fasce di lavoratori -per esempio le donne- che per le particolari esigenze di cura della famiglia non sono in grado di beneficiare di questo provvedimento. Allora, fatta salva e condivisa l’esigenza di abbassare la tassazione sul lavoro dipendente, non sarebbe stato meglio utilizzare le risorse (scarse) disponibili per un provvedimento che andasse a vantaggio di una platea più ampia di lavoratori?

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mercoledì 28 maggio 2008

La pensione dei giovani di oggi

Carlo si pone un problema che molti giovani come lui non sempre si pongono. La pensione del futuro è un problema molto serio, non l'unico perchè oggi vi è il problema dei disoccupati, di coloro che sono in cerca di prima occupazione, dei bassi salari e pensioni, dei precari. In definitiva tanta incertezza nel futuro e questa incertezza è alimentata anche dalla pensione futura di Carlo e di tanti altri giovani. L'Italia rispetto agli altri paesi europei penalizza i giovani e limita la loro crescita nel campo professionale, politico e affettivo.
La pensione dei giovani di oggi è incerta non nella sua erogazione ma nel suo ammontare ed è più bassa rispetto a quella dei loro genitori. Infatti la pensione dei figli nelle migliori previsioni non supererà il 60% dell'ultima retribuzione. Mentre la pensione retributiva dei genitori ammonta all'80% dell'ultima retribuzione con 40 anni di contribuzione. Inoltre, è prevista per la pensione retributiva l'integrazione al trattamento minimo per le pensioni più basse il cui importo è inferiore ad un certo limite.
L'assenza di riforme strutturali a favore dei figli, il basso sviluppo demografico dell'Italia e la redistribuzione della ricchezza tra genitori e figli a favore dei primi non aiuta i giovani di oggi ad avere più certezza nel loro futuro pensionistico. Per approfondire l'argomento si consiglia di leggere: Tito Boeri - Vincenzo Galasso, Contro i giovani, Mondadori, 2007; Massimo Gaggi - Edoardo Narduzzi, Piena disoccupazone, Einaudi, 2007. Lo slogan che riflette la situazione dell'Italia è "Di più ai genitori e meno ai figli". Per coloro che vogliano approfondire l'argomento si allega un manuale sulle pensioni.
Leggiamo cosa scrive il nostro amico Carlo.
"Ogni tanto, sempre più raramente a dire il vero, ci sono articoli che esortano i giovani a far sentire la propria voce sul loro futuro.
A 34 anni non mi ritengo giovane e tuttavia sono accomunato ai più giovani lavoratori perché la mia pensione sarà calcolata con il sistema contributivo, a differenza di mio padre che ha usufruito del sistema retributivo.
La mia situazione lavorativa presente è buona perché ho un contratto a tempo indeterminato in una grande azienda, però il capitolo pensione desta in me una certa preoccupazione: la prospettiva di dover sopportare una radicale e repentina diminuzione del mio reddito quando andrò in pensione mi inquieta.
Ho iniziato dunque una ricerca con due obbiettivi: capire quanti contributi ho versato sinora e chiarirmi le idee su quando e con quanto andrò in pensione.
I primi passi non sono stati difficili: l'INPS (http://www.inps.it/) mette a disposizione servizi on-line che permettono di avere l'estratto conto dei propri contributi nonché il calcolo della pensione futura. Il risultato è stato simile ad uno schiaffo: dopo 7 anni di contributi, ho diritto ad un assegno mensile lordo (su 13 mensilità) di 280 euro.
Pochino a dire il vero, però è solo su sette anni di contributi, penso. Dal sito internet però non si evince a partire da quale anno mi verrà erogata la pensione. In altre parole, quando potrò andare in pensione?
In questo è molto utile un altro sito dell'INPS, TuttoInps (www.inps.it/Doc/TuttoInps), che illustra i requisiti per andare in pensione.
Nell'ipotesi lavori continuativamente, potrò andare in pensione a 63 anni: a quell'età avrò raggiunto quota 97 tra età anagrafica (63 anni) e contributi (34/35 anni). Al netto di eventuali riscatti di anni di università e servizio militare.
Il dato di 280 euro non mi dice molto sul modo di calcolare la pensione e così, anche su indicazione degli operatori del numero verde INPS, mi reco all'ufficio territoriale dell'INPS. L'esperienza non è delle migliori perché dopo due ore circa di attesa mi sento rispondere che i sistemi informativi sono momentaneamente fuori uso e che comunque non potrebbero fornirmi il dettaglio dei contributi versati in questi anni.
Su mia insistenza l'impiegata si impegna a cercare i dati e inviarmeli via posta. E così avviene! Dopo circa 20 giorni ricevo a casa un estratto conto più dettagliato di quello presente on-line in cui compare un dato interessante: il tasso di rivalutazione delle miei contributi.
Ogni anno io e il mio datore di lavoro versiamo all'INPS il 33% del mio reddito imponibile (in misura del 9,89% di tasca mia e il restante da parte del datore di lavoro), che va a sommarsi a quanto già versato negli anni precedenti. Questo capitale è il cosiddetto montante. Il montante ogni anno viene rivalutato di un tasso che mai sentito prima: la variazione media quinquennale del prodotto interno lordo (PIL). È un dato non arbitrario in quanto è calcolato dall'ISTAT e da quando lavoro non è mai andato oltre il 5%. Nel 2006 è stato il 3,5%.
Sinceramente mi sarei aspettato un tasso di rivalutazione legato ad altri indici come il tasso di interesse dell'euro oppure il tasso di inflazione. Invece per la mia pensione mi trovo questo tasso poco conosciuto. Un’altro ragionamento che faccio è legato alla natura dell’investimento che sto facendo: investo risorse nello Stato affinché mi garantisca una rendita vitalizia quando andrò in pensione e dunque dal punto di vista finanziario faccio una operazione simile a chi acquista buoni del tesoro. La differenza è che il BTP a trent’anni dà il 4,4% netto, non il 3,5% lordo.
Per vedere crescere il mio montante le leve son dunque due: il mio reddito e il PIL dell'Italia. Sul primo fattore sta a me darmi da fare per farlo crescere, sul secondo invece ho poco potere di controllo, se non il voto e la certezza che l’Italia è un paese a bassa crescita.
Ad alleviare in parte questo sconforto per il basso rendimento dei contributi c'è da dire che quando si va in pensione il montante viene moltiplicato per un altro coefficiente che cresce con l'età, sino ad arrivare a 6,136% per chi va in pensione a 65 anni.
Tuttavia lo sconforto è alto: una parte non trascurabile del mio reddito e una cifra molto più alta di contributi del mio datore di lavoro finiscono ad un ente che li rivaluta secondo un tasso non legato al costo della vita. L'idea di versare ulteriori contributi per riscattare gli anni di studio universitario a questo punto non mi interessa molto, se poi vengono rivalutati così poco. Meglio indirizzarsi verso altre forme di previdenza, come la polizza dove metto già il mio TFR, che mi garantisce un minimo del 4%.
La situazione economica attuale che somma bassa crescita e inflazione sostenuta si proietta anche sulla mia pensione: ciò che accantono, al pari del mio reddito viene eroso dalla inflazione.
I miei genitori sapevano con buona approssimazione l’importo del loro assegno: una buona percentuale della loro busta paga. A me non è dato sapere con la stessa precisione".
Carlo Sardini

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mercoledì 14 maggio 2008

Riflessioni di Daniela Granuzzo

E da qui voglio partire. Perché non si parla d’altro.
Verona ancora una volta drammatica protagonista. Verona infestata da bande notturne di teppisti che quando gli scappa la mano diventano assassini. Teppisti simpatizzanti naziskin. E qui nasce la strumentalizzazione politica, l’accusa alla destra di essere corresponsabile in quanto connivente con questi gruppi e soprattutto al Sindaco leghista, che in questi gruppi ha una parte dei suoi supporters.
Tutto vero. Tosi ha fornito non poche certezze al riguardo e del resto i suoi capi hanno sempre brillato e brillano per espressioni che vanno dal guerrafondaio allo xenofobo. E non è che queste cose sono irrilevanti e senza conseguenze.
Eppure da giorni mi sto battendo (e devo dire che i media locali mi hanno dato ampio spazio) perché noi del Partito Democratico non formuliamo accuse, non contribuiamo a fomentare la spaccatura e la violenza conseguente. Sostengo a gran voce la tesi che qui non si tratta semplicisticamente di destra e sinistra, ma di un profondo disagio dei nostri giovani che nel Veneto è più sentito, di una profonda disperazione che li caratterizza ed è per questo, per poter dare sfogo - violentemente – alla propria disperazione, che si omologano con gruppi come i naziskin o skinheads o quant’altro, quasi a cercare legittimazione e rinforzo alla propria angoscia. Non il contrario: non è che uno sposa le idee politiche nazi e poi, di conseguenza diventa violento. Sostengo dunque che non è una scelta politica, ma il manifestarsi di un disagio profondo. Quindi la politica non c’entra come movente, ma c’entra eccome nell’aver permesso che i nostri giovani siano così.
Credo che il Partito Democratico abbia nel suo DNA il senso di responsabilità: per questo poco mi interessa in questo momento se la vicenda farà perdere qualche consenso a Tosi. Non mi interessa perché prima di essere PD, sono veronese, e credo che formulare accuse adesso possa fomentare rancori e vendette, che porterebbero a conseguenze disastrose, e arrivo anche a dire che spero che Tosi faccia bene nel governo della città, o almeno non faccia danni.
Vedere in questa vicenda, come fa qualcuno della sinistra, un’opportunità per dare addosso a Tosi, mi pare irresponsabile. E’ invece un’occasione per promuovere una seria profonda analisi del perché siamo arrivati a questo punto. Certo i segnali c’erano eccome, ma c’è voluto un ragazzo morto per porci il problema.
Cambiamo modo di essere: smettiamola con le accuse, pur fondate, e vediamo invece di prenderci le nostre responsabilità. Perché se il centrodestra ne ha eccome, noi non siamo del tutto innocenti. Le colpe agli altri le abbiamo già date, nel passato e nel presente. Ora cambiamo registro e guardiamo le nostre. Questo non per un esercizio di autoespiazione, ma per capire, per trovare nuove strade.
In quest’ottica prego il Segretario Nazionale di farsi carico della questione: di non pensare che il Nord-Est è troppo problematico per meritare un impegno concreto, ma anzi di concentrarvi energie e sforzi, evitando prese di posizione che possono anche produrre effetti contrari a quelli desiderati. La realtà di questo nostro territorio è complessa e delicata e così va trattata.
Quando è nato il Partito Democratico, siamo stati tutti contagiati dall’entusiasmo. Ci abbiamo creduto profondamente. Veltroni ha sempre parlato di coraggio e lo ha dimostrato nella scelta di andare da soli. Non altrettanto in altre cose non irrilevanti: nella formazione delle liste, per esempio, o nel trattare la vicenda dei rifiuti in Campania, o magari nel pretendere che nelle liste non ci fossero inquisiti o, peggio, condannati: in questo, seguire l’esempio di Di Pietro sarebbe stata buona cosa.
Ed altri sono i nodi da affrontare con coraggio: io credo ad esempio che nell’incapacità del centrosinistra di andare oltre - quantitativamente e qualitativamente – i risultati conseguiti, necessiti di un’analisi molto profonda. E’ un dato di fatto che abbiamo perso (abbandonato) la nostra base “storica”: gli strati più numerosi dei lavoratori dipendenti sono ora elettori del PDL e in gran parte, da noi, della Lega.
Vogliamo considerare al riguardo anche ad esempio, il nostro rapporto con i Sindacati ? Criticarli, chiedere che si svecchino e prendere posizioni dissonanti significa superare un tabù, ma è doveroso. Noi siamo troppo legati - nella percezione di ogni cittadino – alla loro politica, che ultimamente in troppi casi si dimostra dissennata. E altri tabù continuiamo a condividere con loro: la tutela del lavoratore è diventata da anni una sorta di protezione indista, e non mi riferisco alla vicenda Alitalia, ma ad esempio lla P.A. (ma non solo)dove i lavoratori sono intoccabili e indifferenziati, al punto di pretendere la distribuzione a pioggia degli incentivi. I risultati sono evidenti: non solo in termini di inefficienza della P.A e quindi di disagi per i cittadini, ma anche di demotivazione da parte dei molti lavoratori di buona volontà. Per non parlare di qualsiasi piano di riorganizzazione che viene solitamente bloccato o snaturato dai sindacati, che sembrano per principio contrari ad ogni forma di cambiamento. Non mi pare che abbiamo preso posizioni dure in proposito. E poi accade che ci si chiede come mai la Lega (almeno da noi) ci ha scippato il nostro elettorato storico.
Il Segretario Veltroni ha saputo - all’inizio – dare l’immagine del rinnovamento, ma se questa immagine non è riempita di contenuti frutto di elaborazioni profonde, resta una pregevole operazione di marketing, che si sta già afflosciando. E non è con il Governo ombra, che si danno contenuti al nostro Partito.
Vorrei che riprendessimo l’entusiamo e le aspettative dell’inizio, rimediando ai nostri errori; ma per farlo occorre quel coraggio che all’inizio c’era ma che poi è sembrato smarrito.
Vorrei che partissimo dai fatti di Verona per promuovere un’elaborazione culturale vera della nostra identità, dando contenuti profondi e certi al nostro progetto. Non diamo per scontato che sappiamo chi siamo e che abbiamo gli stessi obiettivi: sarebbe l’errore più grande.
Sento frequentemente “voci di corridoio” che danno per certo che D’Alema vuole un riavvicinamento con la Sinistra e Fioroni e non so chi altro lo vogliono con Casini.
Spero che siano voci di corridoio per vari motivi:
- Perché prima di pensare a nuove o rinnovate alleanze vorrei che si capisse bene chi siamo noi;
- Perché con l’unico alleato che avevamo si evince una certa conflittualità e non si comprendono i motivi;
- Perché in ogni caso vorrei che un dialogo costruttivo con l’UDC e/o con la Sinistra o con chi si vuole, non fosse una questione di chi conta di più all’interno del Gotha PD, ma fose oggetto di discussione interna e di elaborazione ;
- Perché piuttosto che esistano più o meno occultamente i dalemiani, i mariniani ecc ecc, credo sia più trasparente e produttivo dar vita a filoni di pensiero veri e chiari (se non le vogliamo chiamare correnti, perché è un altro tabù, chiamiamole come vogliamo, sempre correnti sono). D’altra parte mi pare utopistico credere che in un Partito grande e composito, che accoglie tante sensibilità e tante storie, ci sia omologazione: meglio essere chiari, trasparenti e coraggiosi e ammettere che le correnti ci sono, e che queste diversità possono essere invece che un problema, un punto di forza, una ricchezza che ci aiuta a crescere, a trovare una nostra articolata identità.
Anche di questo mi piacerebbe che si parlasse senza timori: sarebbe un errore irrimediabile (e più volte compiuto) leggere la realtà non come è veramente, ma come si vorrebbe che fosse.
In qualsiasi progetto che si rispetti, si fanno verifiche periodiche per monitorare in itinere se gli obiettivi sono sempre condivisi e ben definiti, e se le modalità per raggiungerli sono corrette o necessitano di aggiustamenti. Questi passaggi, per motivi contingenti di tempi stretti, non sono mai avvenuti. E si sente.
A Verona per esempio, non si sente più parlare di divisioni tra Lettiani, Bindiani e Veltroniani, ma si è tornati a una divisione, ancora non conclamata, ma molto profonda, tra ex DS e ex Margherita. Insomma un passo indietro. A Verona accade che , le critiche alla dirigenza non vengano accolte come arricchimento di un dibattito interno, ma mal digerite. E’ così solo a Verona? Se lo è, dateci una mano, ma se non lo è, corriamo ai ripari: perché un Partito dove non è ammesso il dibattito interno anche aspro e dove non si ha il coraggio di porsi in discussione, non è esattamente un Partito Democratico.

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domenica 11 maggio 2008

PD: - Coalizioni - Territorio - Interconnesione

Il confronto all'interno del PD diventa più serrato e si rischia di portare avanti un dibattito che guarda all'oggi e non al futuro del PD e di perdere di vista i problemi più importanti che hanno rappresentato il limite nelle ultime consultazioni elettorali.
E' il caso di Follini che, preso da vecchie e superate nostalgie, propone di rompere con Di Pietro e di rincorrere Casini. Non bisogna dimenticare che Casini non ha permesso la nascita del governo Marini finalizzato alla riforma della legge elettorale e si mantiene equidistante con il PD e il PDL.
D'Alema e Veltroni sicuramente hanno un modello di partito e una prospettiva di alleanze diverse. Ritengo che la prospettiva politica del PD non possa essere finalizzata a richiamare in vita la sinistra arcobaleno, la quale non è stata premiata dagli elettori e si è posta al di fuori dei cambiamenti avvenuti nel mondo (fine del comunismo, nuovi bisogni, globalizzazione, valorizzazione delle comunità locali).
Oggi nel terzo millennio chi può sostenere e con quali argomenti che i più deboli possano o si sentano difesi esclusivamente dalla sinistra radicale? ......... Gli elettori hanno dato una risposta chiara in tal senso.
Al di là delle polemiche e delle dichiarazioni di questi giorni ritengo che occorra affrontare tre argomenti importanti, di cui i primi due hanno rappresentano il limite del PD ed il terzo invece disegna il futuro della partecipazione: - Territorio; - Coalizioni; - Interconnessione.
Territorio. Vi è l'esigenza urgente di riformare concretamente il partito da struttura centralizzata a decentrata. Occorre un modello di partito formato da unità territoriali indipendenti dal punto di vista della strategia, dell'organizzazione e della scelta della classe dirigente.
Il cittadino, che si riconosce nel PD, deve essere considerato una risorsa per innovare il partito attraverso la co-creazione delle scelte che incidono nel territorio e nella vita delle persone. Il cittadino non è soddisfatto se partecipa soltanto alle primarie per eleggere la "nuova" classe dirigente sconosciuta. Pertanto, credo che occorre costruire un nuovo rapporto con il territorio e con le persone, avviare un modello di partito federalista ed essere presenti con potere decisionale nei luoghi dove nascono i bisogni delle comunità.
Ritengo che il PD debba scoprire e valorizzare il talento e le conoscenze che esistono in periferia. Di conseguenza si pone il problema della ricerca e selezione della classe dirigente che dovrà avvenire sulla base delle capacità e della rappresentatività nel territorio.
Coalizioni. Con la decisione di creare due gruppi federati tra PD e IdV sono prevalse le scelte tattiche che hanno una loro precisa ragione (conferenza dei capi gruppo, opposizione efficace). Rimane strategicamente prioritario che i due partiti prendano sempre più coscienza dell'importanza della loro unificazione:
- All'IdV occorre entrare in un grande partito riformista di cui condivide i contenuti programmatici;
- Al PD è necessario arricchire il proprio patrimonio con le specificità dell'IdV molto avvertite dalle comunità locali;
- Ai due partiti serve mescolarsi per preparare un'alternanza credibile per le prossime elezioni politiche. Negli incontri e nelle polemiche di questi giorni tra PD e IdV non è stata valutata la strategia da realizzare nelle autonome locali (regioni, provincie e comuni). Perchè non iniziare dalla periferia a sperimentare l'aggregazione dei gruppi e forme di collaborazione che aiuteranno senz'altro in prospettiva l'unificazione dei due partiti?
Ritengo necessario affrontare tale argomento e realizzare delle sperimentazioni di integrazione che consentano un cambio di cultura e di nuova presenza nel territorio.
La prospettiva di recuperare un rapporto con l'UDC non deve mortificare l'alleanza già realizzata con l'IdV nelle ultime consultazioni elettorali altrimenti vuol dire che i protagonisti hanno solo scherzato e che oggi ognuno andrà per la sua strada. E gli elettori cosa penseranno? Come si comporteranno nelle prossime consultazioni elettorali?
Il futuro va realizzato insieme in una prospettiva unitaria che non può essere circoscritta ad una sola parte. Questa è una sfida per il futuro che ha portato i DS e la Margherita ad unificarsi. Oltre a questo occorre mescolarsi, cambiare e cogliere i rischi come opportunità di cambiamento.
Molto è stato fatto nelle organizzazioni in tema di cambiamento (decentramento, partecipazione, co-creazione del valore, prosumer). I partiti, essendo delle organizzazioni politiche, non possono esimersi dal cambiamento in quanto la società, i bisogni delle persone, le nuove esigenze si imporranno sempre di più senza aspettare il tempo della politica.
Occorre anche considerare il rapporto con i radicali che nel governo Prodi hanno assunto con Emma Bonino comportamenti responsabili e proficui. Positivo è l'incontro promosso da Veltroni con la sinistra democratica, la quale va considerata per un impegno comune.
Considerata l'attuale composizione quantitativa dell'opposizione, ritengo che il fattore coalizioni non è sufficiente da solo a creare l'alternanza alle prossime elezioni politiche, occorre il rapporto con il territorio che rappresenta un fattore strategico.
Interconnessione. Nel post WikiPD ho sostenuto che "le elezioni politiche del 13 e 14 aprile hanno consentito la realizzazione spontanea di un grande movimento di partecipazione orizzontale di massa alla vita democratica del paese attraverso il sostegno del nuovo soggetto politico “Partito Democratico”. Questo movimento utilizza le nuove tecnologie di informazione e comunicazione (e-mail, blog, network, community, chat, circolo PD on line) per comunicare liberamente i propri pensieri e collaborare al fine di rendere possibile la vittoria di Veltroni.
Oggi l’impresa e le nuove organizzazioni che hanno intrapreso il cammino del cambiamento si muovono in questa direzione assomigliano ad una stella marina, prive di una struttura centralizzata che decide per tutti e con unità operative indipendenti. La testa della stella marina è rappresentata da tutto il corpo che partecipa ed esprime capacità".
Ritengo che occorre inventare una democrazia partecipativa (rappresentanza, primarie, congressi) per tutti coloro che partecipano alla vita politica del PD attraverso le nuove tecnologie dell'informazione e della comunicazione. La rete è pervasiva ed assume sempre di più rilevanza.

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venerdì 9 maggio 2008

Aldo Moro: 9 maggio 1978

Il 30° anniversario dell'uccisione di Aldo Moro coincide con la prima celebrazione del "Giorno della Memoria" per ricordare tutte le vittime del terrorismo.
Il 9 maggio di trent'anni fa la polizia trovò il cadavere Aldo Moro, in una Renault 4 in via Caetani a Roma, vicina alle sedi della Dc e del Pci. Aldo Moro era stato rapito il 16 marzo 1978, giorno della presentazione del nuovo governo guidato da Giulio Andreotti. L'auto sulla quale viaggiava l'ex presidente del Consiglio venne intercettata in via Mario Fani da un commando delle Brigate Rosse. In pochi secondi, i terroristi uccisero la scorta e sequestrarono Aldo Moro, presidente della Democrazia Cristiana. Questa data è diventata un simbolo per commemorare le vittime del terrorismo.
Affermava Aldo Moro: «Questo Paese non si salverà, se non nascerà in Italia un nuovo senso del dovere». Per il bene dell'Italia è necessario che il senso del dovere venga alimentato da tutti: cittadini, uomini politici, rappresentanti delle istituzioni, partiti politici. Lo scenario che si prefigura richiede l'impegno ad ogni livello di responsabilità. Aldo Moro pagò con la vita la sua capacità di capire i cambiamenti che stavano avvenendo nello scenario mondiale e nazionale. Il disegno politico di Aldo Moro rappresenta oggi un patrimonio che il sistema politico non deve disperdere. Capacità di ascolto, tolleranza, solidarietà e visione democratica del futuro sono qualità essenziali per costruire un paese equo e solidale. Moro con le sue qualità aveva delineato un progressivo ampliamento e rafforzamento delle basi democratiche del nostro paese.
Link dal sito http://amalteo.splinder.com/

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domenica 4 maggio 2008

Aggressione neofascista a Verona

L'on.le Veltroni dichiara: «La vicenda terribile di Nicola Tommasoli, ridotto in fin di vita in una brutale aggressione nella notte del primo maggio, assume dopo la confessione di uno dei suoi carnefici contorni ancora più inquietanti. Siamo, infatti, davanti ad una aggressione di tipo neofascista che non può e non deve essere sottovalutata». «Esistono tante bande di questo tipo - aggiunge - e ciò è tanto più pericoloso in un clima culturale e politico nel quale si vanno affermando principi di intolleranza e di odio verso i più deboli o addirittura una sottocultura di violenza e prepotenza talvolta persino mascherata sotto il falso concetto del farsi giustizia da soli». «E` importante - conclude il segretario Pd - che tutti i responsabili dell`aggressione di Verona siano assicurati alla giustizia ed è fondamentale l`impegno di tutti perchè non torni un clima di violenza politica e di insicurezza per i cittadini».
Il PD di Verona attraverso un comunicato stampa afferma: Il Pd Veronese esprime la più ferma condanna verso i ripetuti atti di aggressione che si sono verificati nella città di Verona negli ultimi mesi ad opera di bande neofasciste composte da giovani veronesi e in particolare per il grave atto avvenuto la sera del 1 maggio.
Oggi apprendiamo, con soddisfazione, che uno dei responsabili è stato assicurato alla giustizia.
Ringraziamo le forze dell’ordine e gli inquirenti che, ancora una volta, con estrema professionalità hanno saputo cogliere le indicazioni che facevano presupporre una chiara matrice del gesto.
I fatti hanno quindi, purtroppo, dimostrato che non si trattava di episodi sporadici e casuali bensì inseriti in un filone ben delineato.
Tali atti si erano sempre rivolti nei confronti dei cosiddetti “diversi” che si sono nel tempo delineati come immigrati, meridionali e in generale a tutti quelli che rovinavano “l‘immagine di Verona”.
Esprimiamo la più seria preoccupazione per il diffondersi e il consolidarsi dell’uso della violenza gratuita da parte gruppi di giovani neofascisti che scorazzano, con un prepotente senso di impunità, nel centro storico di Verona.
Vogliamo però affermare, come già detto negli ultimi mesi, che questo senso di impunità non è estraneo ad alcuni atteggiamenti assunti dall’amministrazione cittadina, e dal sindaco Tosi in particolare, nei confronti di questi gruppi estremistici. La partecipazione alla marcia del 15 Dicembre ne è stata solo un segnale visibile. In quell’occasione avevamo chiesto al sindaco un segnale politico chiaro di distanza da questi gruppi, segnale che stiamo ancora attendendo. Inoltre le ultime dichiarazioni che tendono a considerare il fatto avvenuto il 1 maggio come un evento straordinario sono platealmente smentite dai risultati delle odierne indagini. Ci aspettiamo dal sindaco Tosi che la prontezza nella difesa della legalità e della vita, da lui manifestata in altre occasioni, venga espressa anche in questa drammatica situazione.
Siamo convinti che l’individualismo imperante e l’analfabetismo emotivo di certi giovani, peraltro già denunciati dalle massime autorità politiche e religiose, rischino di portare ad una società sterile sul piano dei valori umani e sociali. E’ invece su questi valori che deve ripartire una proposta politica condivisa. Richiamiamo quindi tutte le forze politiche veronesi a schierarsi in maniera cristallina sul tema in modo che Verona non sia riconducibile a queste efferatezze.
Ci aspettiamo che oggi questo messaggio arrivi forte e chiaro.
E’ quello che crediamo sia umano chiedere di fronte al dolore di una famiglia che vede un figlio in fin di vita in una vicenda scatenata da una così futile motivazione. Alla famiglia di Nicola va tutta la nostra solidarietà in questo delicato momento.
La città e la provincia di Verona, i cui cittadini da sempre esprimono una radicata tradizione e una profonda cultura di solidarietà, non vogliono più essere confuse o, peggio, identificate con queste bande, i cui componenti vanno in primo luogo assicurati alla giustizia e recuperati per un futuro, sano, reinserimento sociale.
Non possiamo pertanto che auspicare anche una profonda riflessione delle istituzioni che porti ad un potenziamento degli investimenti nel settore dei servizi sociali anche per un più efficace mantenimento della sicurezza pubblica.
Il consigliere regionale Gustavo Franchetto pubblica nel suo sito il seguente commento: "Non c’è un analisi che mi soddisfi, non c’è resoconto che dia pace all’anima e ai pensieri. Un ragazzo, mio figlio, vostro figlio o fratello, muore nel 2008 in pieno centro a Verona, perché pestato, sissignori pestato, da altri veronesi.
Me lo dite se c’è un senso?
Si è sempre ucciso per odio, o per vendetta, o per soldi, o per amore. Qui si è ucciso senza movente o con un movente, il rifiuto della sigaretta, che fa saltare ogni nesso tra causa ed effetto. Viene meno il principio di causalità, l’unico che può aiutare gli appartenenti ad un consorzio umano, come noi, a capire una tragedia di questo genere.
Si è ucciso probabilmente senza voler uccidere, ma si è picchiato come se si dovesse uccidere. Non c’è nesso neppure nella testa dei giovani picchiatori, menti vuote in un deserto di sentimenti. Ma quanti giovani sono così? Quanti nella nostra Verona tra i quindici e i trent’anni sono invasi dal demone del nichilismo, quello che ti fa esistere senza vivere, che non ti dà entusiasmi, amori, prospettive? Tanti o pochi, la politica è chiamata a misurarsi con questo problema. Si ha un bel dire che non è stato un omicidio politico. Non lo è stato nel senso che non si sono affrontate bande rivali appartenenti a movimenti. Ma tutto il resto è politica!!
E’ politica l’uso della violenza come strumento di relazione con gli altri!
E’ politica l’invito a tutelarsi con le ronde contro la microcriminalità straniera!
E’ politica creare un clima di indulgenza sociale verso chi compie atti di bullismo e di arroganza! E’ il clima politico che favorisce la degenerazione di comportamenti aggressivi.
La politica deve dire: basta!
Unita, compatta, una città deve manifestare contro ogni forma di violenza, che venga da destra, da sinistra, da dentro o da fuori. Deve dire di no ad ogni forma di intolleranza. Altrimenti ci troveremo che, quando un delitto è compiuto dagli extracomunitari, ci saranno le fiaccolate della Lega, e quando è compiuto da uno di noi ci saranno le manifestazioni della sinistra contro chi governa la città. Non se ne può più di queste strumentalizzazioni. Verona deve ribadire al mondo che è una città sana, accogliente e generosa. E che al tempo stesso conosce i suoi problemi, comprese alcune devianze sul piano del comportamento politico. Dovrà combatterle nell’interesse di tutti".
Il consigliere regionale Franco Bonfante afferma: “Esistono un luogo e una data che il sindaco di Verona, Flavio cosi, cerca forse di rimuovere dalla propria memoria: carcere di Montorio, 11 settembre 2005”. In quel luogo e in quel giorno, Tosi, allora assessore regionale, assieme al parlamentare leghista Federico Bricolo e all’esponente veronese della Fiamma Tricolore, Andrea Miglioranzi, si recarono a far visita a cinque giovani di estrema destra.
I cinque erano detenuti da due mesi, in attesa di giudizio per aver partecipato nel luglio 2005, assieme ad altre 25 persone, al pestaggio e all’accoltellamento, per futili motivi e con lesioni gravi, di due giovani. Il giudizio per loro arrivò e si concluse con il patteggiamento e la condanna. Ma in quell’11 settembre di tre anni fa al termine di quella visita, Tosi, lo stesso Tosi che oggi chiede pene esemplari per i carnefici di Nicola Tommasoli, usò parole molto più morbide di fronte agli autori di quell’atto. Un atto che solo per pura casualità non si trasformò in tragedia ma che oggi ha il sapore di un’angosciante anticipazione di quanto è accaduto pochi giorni fa. ‘Ritengo – disse testualmente Tosi alla stampa – che per il tipo di reato due mesi di carcere siano eccessivi’. E ancora: ‘I cinque indagati stanno ricevendo un trattamento troppo severo da parte della magistratura veronese’.
“Parole – afferma Bofante - mirate a minimizzare il fatto, a difendere i colpevoli e, non da ultimo, ad interferire e rendere più docile la magistratura. Parole che, nei fatti, sono risuonate nelle menti di giovani fragili ed idioti, come il miglior lasciapassare per compiere nei mesi successivi a Verona ogni tipo di scorribande e violenze, fino al massacro di Nicola Tommasoli.
Quale autorevolezza possono avere oggi le parole di Doctor Jakyll & Mister Hide - Tosi, fino a ieri così tollerante e garantista nei confronti di violenti neofascisti?
Il consigliere regionale Bonfante conclude: “Almeno per una volta Tosi ammetta di aver commesso un errore: dica che ha sbagliato nel pronunciare quelle parole in quell’11 settembre di tre anni fa. Da questa ammissione di colpa, credo sarà possibile ripartire tutti assieme per restituire a Verona più sicurezza. E la smetta, in queste ore drammatiche, di difendere esclusivamente la propria immagine: lavori piuttosto per cancellare l’immagine di Verona come violenta e intollerante, terribile marchio che questa città non merita davvero”.
Il Procuratore della Repubblica Guido Papalia afferma in alcune interviste che "la matrice dell'aggressione è quella nazifascista nel senso che si è trattato di violenza per violenza, un credo che fa parte di una certa impostazione mentale legata, in questo caso, ad ambienti dell'estrema destra". Intervista Massimo Cacciari Senza la DC ..

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sabato 3 maggio 2008

Di sinistra

Qualche sera fa, dopo l’ennesimo incontro in preparazione delle “primarie”, Giorgio mi dice: ma Marina cosa voleva dire quando ha parlato di un Partito Democratico di Sinistra ?
Bella domanda.
Tanti anni fa, almeno a me sembrano tanti , era di sinistra chi stava dalla parte degli operai , di destra , invece , chi apparteneva al partito dei “padroni”. Categorie semplici , idee chiare .
C’era poi la categoria dei cattolici , che stavano al centro, con svarioni sulle ali, ma sostanzialmente equidistanti e ossequienti alla gerarchia ecclesiastica .
Che bello! Uno poteva facilmente scegliere e identificarsi con la sua categoria ed il partito che la rappresentava .
Oggi no. Oggi abbiamo perso tante certezze, viviamo un po’ confusi, a volte ci scopriamo a coltivare pensieri eretici: ma come, io, che sono di sinistra, mi comporto da intollerante ?!?!
Allora forse vale la pena approfondire la nostra collocazione, perché stiamo costituendo il contenitore, ognuno vi porta qualcosa della sua esperienza, dei suoi Valori, ma incasellare alcune tematiche non sarebbe superfluo o prematuro, secondo me .
Da che parte stiamo oggi? gli operai sono in estinzione e parte di loro, gelosa di quanto conseguito a prezzo di durissime lotte, non pare ben disposta a dividere con altri occupazione, diritti, certezze.
Non voglio certo dire che gli operai sono diventati leghisti e Montezemolo invece è con noi, ma guardando i risultati delle ultime amministrative a Verona qualche dubbio si insinua nella mia mente .
Allora mettiamo in ordine alcune idee: è di sinistra stare dalla parte degli oppressi, come nel tragico momento che attraversa la Birmania, ma è facile solidarizzare con chi è lontano, meno facile sopportare i problemi dati da un’immigrazione sregolata e sempre più imponente.
E’ di sinistra cercare il “bene comune “, perciò se i nostri avversari sbagliano, io non li aiuto a sbagliare, se questo comportamento danneggia la maggioranza dei cittadini.
E’ di sinistra fare autocritica , riconoscere gli errori commessi , affinché non vengano ripetuti . Pare, però che questa pratica sia da relegare tra i cimeli di cui parlavo prima.
E’ di sinistra far sì che tutti comprendano la necessità di pagare le tasse, che tutti le paghino, che alla fine tutti si paghi meno, come nei paesi del nord Europa .
E’ di sinistra pensare ad una classe politica dove chi ha incarichi anche ad altissimo livello è un “primus inter pares”, perché la Politica è un servizio!
E’di sinistra ascoltare i cittadini, non per “lisciare il pelo” demagogicamente, ma per individuare con loro i veri bisogni, perché non possiamo ritenere che il nostro pensiero sia in assoluto il più giusto ed il migliore per tutti .
A questo punto potrei continuare, ma non voglio tediare; continuate voi .
Comunque io ritengo di rientrare nella Categoria “sinistra”, ma sono pronto a mettermi in discussione quando volete. Un abbraccio
Lorenzo Dalai

p.s.
poiché ad una parte del nostro elettorato, ed anche una parte degli aderenti al P.D., che proviene da quella che si definisce “area moderata”, usare il termine “di sinistra”suona non proprio bene (troppo estremista = a sinistra radicale ), è ormai prassi utilizzare il termine Centro-sinistra .
sarà……

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giovedì 1 maggio 2008

Sondaggio sui rapporti tra PD e IdV

Con questo sondaggio abbiamo creato le condizioni affinchè i visitatori di questo blog potessero esprimersi sui rapporti tra PD e IdV dopo l'alleanza nelle ultime elezioni politiche e l'impegno preso in tale sede di unificarsi. L'importanza ed i contenuti politici del sondaggio sono espressi nello spot "PD e IdV due gruppifederati" con i commenti di parlamentari del PD e dell'IdV.
Hanno partecipato al sondaggio 112 persone esprimendo 124 voti:
- Unificazione dei partiti 72 voti (64%;);
- Integrazione in periferia 32 voti (28%);
- No 20 voti (17%).
I risultati del sondaggio esprimono una evidente maggioranza a favore della unificazone dei partiti, rafforzata da coloro che intendono sperimentare forme di integrazione e di collaborazione in periferia prima di pervenire all'unificazione centrale dei due partiti. I contrari rappresentano soltanto il 17% con 20 voti. La mia opinione, precedente al sondaggio e rafforzata da questo, è quella che i rapporti di integrazione in una prospettiva di unificazione non possono essere rinviati ma affrontati con una strategia nuova che permetta ai due partiti di superare l'attuale empasse e di guardare il futuro affrontando con successo le attuali rivalità e diversità per il bene del paese. Occorre in questa fase pensare di più al paese e meno all'egoismo di partito. Se cambiamenti devono essere effettuati è necessario che li attuino tutti e due i partiti. La verità non la possiede un solo partito ma va ricercata insieme.

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