giovedì 31 luglio 2008

Il Partito Democratico e la rete

L’avvento di una nuova tecnologia della comunicazione, di norma, non è semplicemente l’avvento di uno strumento per veicolare contenuti. E’ qualcosa di più: l’avvento di un modo di pensare, di rapportarsi agli altri, di leggere il mondo. E così internet, negli anni, non si è rivelata soltanto un potente mezzo per diffondere su scala mondiale informazioni e conoscenze, ma ha prodotto al suo interno la nascita di inedite forme di comunicazione, oltre ad integrare quelle precedenti come radio, stampa, televisione, cinema e così via, nonché di una nuova filosofia di vita o, se vogliamo, di un nuovo modo di organizzare i saperi e di relazionarsi agli altri imperniato sulla logica della rete.
Una logica fluida, inclusiva, degerarchizzata, orizzontale. Il web è un mondo in cui milioni di persone hanno, almeno in potenza, la possibilità di accedere ad una ragnatela mondiale di contenuti arricchendola, in maniera relativamente facile e libera, di contributi propri e originali. Si sviluppano spontaneamente, senza alcuna direttiva calata dall’alto e senza alcun disegno preciso, comunità virtuali composte da un fitto reticolato di pagine web nel quale è difficile intravedere una gerarchia, anche se di certo alcuni nodi sono più frequentati e centrali di altri.
I vari siti, blog, forum, community e così via si connettono a vicenda attraverso i link e ciò che ne viene fuori sono aggregati dai contorni fluidi, sfuggenti, che riuniscono al loro interno contenuti simili e quegli utenti che condividono interessi, passioni, convinzioni. L’accesso è relativamente libero per ogni tipo di internauta e i rapporti, all’interno di questi aggregati, sono per lo più informali, in genere regolamentati soltanto dalle abitudini o dalle regole non scritte del buon senso e dell’educazione (come la cosiddetta netiquette).
Siamo lontani dalle gerarchie che limitano la libertà d’espressione e la circolazione delle conoscenze nelle università, nelle imprese, nella pubblica amministrazione, ma anche nei giornali o nei mass media. Per non parlare dei partiti: in crisi di identità, almeno nel nostro paese, da tanti anni. Da quando la caduta del Muro di Berlino e gli scandali di Tangentopoli spazzarono via i partiti tradizionali, chiusi, logori, corrotti e oramai fossilizzati, e costrinsero quelli rimasti a ripensarsi ed aggiornarsi, avviando un lungo e tormentato percorso che a quanto pare non si è ancora concluso.
Probabilmente non è un caso che il partito di maggior successo degli ultimi quindici anni sia stato in realtà un non-partito come Forza Italia, nato più in televisione e sui media piuttosto che all’interno delle istituzioni e contrapposto sin dalla sua nascita, nel 1994, ai partiti tradizionali che all’epoca toccavano il fondo della loro impopolarità.
Il Partito Democratico, nel 2007, è nato anche per dare una svolta a quella interminabile e inconcludente fase di transizione cominciata almeno venti anni fa; è nato dalla fusione (a freddo, dicono alcuni) di Democratici di Sinistra e Margherita: i primi erano i principali eredi del Partito Comunista italiano e non erano riusciti a rendere la loro formazione un moderno partito socialdemocratico a vocazione maggioritaria, paragonabile ai partiti socialisti delle grandi democrazie europee, mentre la Margherita altro non era che un cartello elettorale dall’identità vaga, nato pochi anni fa per raccogliere al suo interno il Partito Popolare, cioè ciò che era rimasto della sinistra democristiana, più qualche modesta scheggia centrista.
Il Partito Democratico è nato anche perché le precedenti formazioni politiche erano giunte alla frutta e non riuscivano ad acquisire consensi, appartenendo ancora troppo al passato. Bisognava ripartire da zero e per farlo non occorreva un nuovo simbolo (la politica italiana ne avrà partoriti migliaia) ma una nuova identità che non fosse la mera somma di Ds e Margherita. E occorreva (anzi, occorre ancora) una nuova idea di partito: non evanescente e plebiscitaria come quella berlusconiana, ma neanche rigida, gerarchizzata, verticale, lenta, pesante come quella dei partiti tradizionali, Ds compresi. Servirebbe una struttura di partito che avvicini i giovani e che riesca accessibile e comprensibile alle persone comuni, senza i riti e le liturgie dell’antica politica politicante e senza il vuoto linguaggio politichese troppo simile all’antilingua di Calvino.
Bisognerebbe, in poche parole, introiettare nel Partito Democratico la logica democratica ed orizzontale della Rete. Non è passato neanche un anno dalla sua nascita e i segnali che arrivano dal suo interno sono tutt’altro che incoraggianti. Il Partito Democratico sembra inchiodato agli uomini e alle idee del passato.
Antonio Cilardo
http://www.luomoqualunque.splinder.com/

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