venerdì 31 ottobre 2008

Scuola: la protesta continua

Dopo l’approvazione definitiva del decreto Gelmini le manifestazioni e le contestazioni non si placano anzi continuano con maggior vigore. Sono inutili le dichiarazioni minacciose per fermare le contestazioni che proseguono in tutta Italia: - cortei nei capoluoghi di provincia; sciopero della scuola indetto da Cgil, Cisl, Uil, Snals, e Gilda con la manifestazione di Roma; lezioni in piazza dei docenti con gli studenti universitari; occupazioni pacifiche di alcune università.
Ha ragione Epifani quando afferma “La maggioranza del Paese non si rassegna. Un intero paese insorge”. Alla manifestazione di Roma hanno sfilato Veltroni, Bertinotti, Fioroni, Mussi, Bindi, Di Pietro e Ferrero.
La maggioranza si è assunta una grave e grande responsabilità e non sa come venirne fuori.
Beppe Cellai, fondatore del gruppo “Raccolta firme contro il decreto Gelmini” su Facebook, in attesa di partire per Roma per partecipare alla manifestazione indetta dalle organizzazioni sindacali esprime il suo stato d’animo dopo l’approvazione del decreto Gelmini “non ci sono parole, davanti all’arroganza di tale governo non c’è niente da dire…Il fatto che il governo si permetta di minimizzare il grande movimento studentesco che c’è stato in queste settimane, bollandolo come un operazione partita dalla sinistra, fa rabbrividire e non rende merito a tutti noi, studenti, insegnanti e cittadini (di sinistra e destra), che ci siamo battuti in maniera pacifica per far ascoltare le nostre idee e far valere i nostri diritti. Questo dovrebbe essere il bello della democrazia ma questo governo non ne conosce il significato, ora come non mai. Su quello che è successo oggi non so come commentare, come chiamare un paese che permette ad un furgone pieno di mazze e spranghe di entrare nel cuore della città più bella del mondo, davanti a famiglie e turisti mentre c’è un corteo pacifico di studenti che manifestano le proprie opinioni? Ho paura che poco sia stato lasciato al caso. Rammaricato e con un senso di forte impotenza aspetto le 4 per partire per Roma”.
Francesca Pavanello, responsabile della Cisl per la scuola, afferma “non riesco in questo momento ad essere depressa per il decreto approvato, dopo aver partecipato alla grandissima manifestazione di ieri a Roma che è stato il culmine di una mobilitazione mai vista in questi ultimi decenni nella scuola in tutta Italia e a Verona: dalla nostra città sono partiti addirittura 8 autobus, di cui uno di studenti, quando a fatica se ne facevano 1 o 2 ai tempi di altre mobilitazioni; moltissime scuole hanno chiuso i battenti per l’adesione totale del personale; siamo stati in piazza anche con numerosissimi studenti, una saldatura generazionale mai vista! Non passa sera che in giro per la provincia non ci sia un dibattito organizzato dai genitori per capire quanto stia succedendo. La scuola è diventata, finalmente il centro di discussione del Paese: ci si interroga sulla sua importanza. si capisce, in pratica, quanto sia fondamentale per le sorti della democrazia, del principio di uguaglianza, delle pari opportunità, per il futuro del Paese: per questo dico grazie Gelmini! grazie Governo!”
Intanto su Facebook viene lanciato l’appello del referendum abrogativo della legge Gelmini con il gruppo “Legge Gelmini approvata: Ora il referendum abrogativo”, fondato da Antonio Ricci, che ha raccolto in pochi giorni una adesione di 14892 persone. Sono nati altri due gruppi: “Referendum abrogativo anti riforma Gelmini”, fondato da Diletta Fantini, e “Raccogliamo le firme per il referendum anti-legge Gelmini”, fondato da Barbara Cataldi.
"Il governo Berlusconi, dichiara Antonio Ricci, senza alcun dialogo con insegnanti, rappresentanze degli studenti e dei genitori ed altre categorie di lavoratori del mondo della scuola ha approvato al riforma Gelmini. Sappiamo che nella scuola italiana molto c'è da fare ma qui ci troviamo di fronte a tagli massicci e non a una riforma organica. Dalla sua presentazione questi tagli hanno provocato indignazione e proteste, culminate nello sciopero generale del 30 ottobre”.
“Appena appresa la notizia dell'approvazione della legge la mia prima reazione, afferma Antonio Riccci, è stata quella di pensare ad una possibilità da mettere in atto subito. Mi sono quindi tuffato su facebook è ho gridato la mia rabbia con il gruppo "Legge Gelmini approvata: ora il referendum abrogativo". Certo le norme sono inserite nella legge finanziaria, quindi non sarà facile individuare le modalità con cui mettere in campo il referendum abrogativo. I giuristi del partito democratico stanno studiandone la possibilità e la forma. Il senso del gruppo è però quello di gridare la rabbia per una legge che in pochi vogliono in attesa di trovare la modalità migliore per mettere in campo il referendum”.
Alle manifestazioni hanno partecipato studenti, docenti, precari, bambini, genitori. In definitiva è sceso in piazza il paese contro una maggioranza sorda e arrogante che cerca di placare la mobilitazione con dichiarazioni assurde e minacce.
La solidarietà e la partecipazione è nata da una grande presa di coscienza dei problemi che la legge Gelmini causerà e non certamente dalla cattiva informazione o dalla strumentalizzazione della sinistra. Milioni di persone non possono essere disinformati e strumentalizzati tutti e per lo stesso problema. Chi pensa questo sottovaluta la capicità e l'intelligenza delle persone.
Occorre creare tutti insieme una nuova stagione politica che si fonda su democrazia, dialogo, confronto e partecipazione. Valori questi dimenticati da Berlusconi, da Gelmini e dalla maggioranza politica che nel paese potrà diventare ben presto minoranza se prosegue con le posizioni espresse ed i provvedimenti presi.
Le proposte del PD per l'Università

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Intervista a Dario Marini

Dario Marini, candidato alla segreteria Nazionale dei giovani del Partito Democratico, risponde alle domande di due giovani di Generazione Democratica di Verona. Le due persone che lo intervistano sono Francesco Magagnino, ingegnere elettronico e dipendente di Deloitte, e Federico Benini, studente universitario.
Francesco Magagnino. Come può l'associazione giovanile del PD contribuire concretamente a rinnovare la politica del partito in se stessa e nelle sue modalità operative di coinvolgimento sia verso l'interno che verso l'esterno?
Dario Marini. Stiamo costruendo una giovanile del tutto nuova, il nostro motto deve essere Outside of the box, il nostro obbiettivo rappresentare i giovani italiani. Una giovanile che vive nella società, sperimenta linguaggi nuovi e nuove forme aggregative. Alcuni esempi: Social Network…
Francesco Magagnino. Nel caso fossi eletto riterrai ancora opportuno procedere nel costante formalismo strutturato seguito fino ad ora nell'organizzazione dei partiti di centro sinistra e dalle loro giovanili? O contrariamente riterrai opportuno e fattibile forzare i dogmi fin qui seguiti per trovare nuove forme aggregative di fare politica?
Dario Marini. Il Partito Democratico nasce per riformare la politica e per costruire un progetto a lungo termine. Rinnovamento e riformismo erano le parole d’ordine di Walter Veltroni nel discorso del Lingotto.
Il rapporto con il partito non è in discussione, l’organizzazione giovanile è prevista dal nostro Statuto Nazionale. L’autonomia di un’organizzazione si misura su tre fattori principali:
1 Autonomia nel protagonismo delle idee;
2 Autonomia nella capacità di incidere nelle scelte programmatiche del partito per poi trasformarle in progetti di legge;
3 Autonomia nell’essere veramente giovani evitando la riproposizione di correnti interne.
Federico Benini. Nel Nord-Est d'Italia tra i giovani il PD è praticamente inesistente. Meno di due giovani su dieci credono nel nostro progetto. Quali iniziative credi che sia opportuno prendere per presentarsi ai giovani come partito forte e concreto?
Dario Marini. I giovani sono lontani, soprattutto al nord. Dobbiamo avere la capacità di dare risposte ai problemi reali, senza preconcetti ideologici. Partito forte e concreto. Alcuni esempi: Vogliamo uscire di casa a 18 anni, poterci costruire una vita stabile. Dobbiamo parlare d’Impresa, di mercato e di concorrenza.
Rapporto università- mondo del lavoro. Ma questi stage servono veramente a qualcosa?
Federico Benini. Credi che la semplicità del linguaggio debba essere accompagnata ad una semplicità di soluzioni che comprometterebbe la qualità delle nostre proposte?
Dario Marini. Dobbiamo avere la capacità di dare risposte semplici, non è attraverso il linguaggio che si giudica la qualità di una proposta, dobbiamo parlare la lingua delle persone, della società.

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giovedì 30 ottobre 2008

Dario Marini sulla scuola

La riforma Gelmini completa il suo iter costituzionale. Il ministro dell’istruzione commenta: “Si torna alla scuola della serietà, del merito e dell’educazione”.
Gentile Ministro, le vogliamo ricordare che la scuola è sempre un investimento per un Paese; è la spina dorsale di una società libera, moderna, autonoma; la sua riforma invece uccide il sistema scolastico e lo mina alle basi.
Come si può parlare, infatti, del futuro di una società quando la sua riforma prevede ingenti tagli, che piuttosto che essere come un bisturi che pota rami secchi, si abbatte come una mannaia sulle fronde verdi di un sistema scolastico primario da sempre considerato efficiente dal resto dell’europa? L’introduzione di un maestro unico implica una riduzione del tetto ore giornaliero e un ritocco negativo a sfavore del rientro pomeridiano, misure che danneggiano le famiglie meno abbienti e soprattutto quelle con bambini disabili.
Come può parlare di cooperazione scuole-famiglie se diventa problematica la possibilità per le donne lavoratrici, di continuare a svolgere la propria mansione nelle ore di tempo pieno da lei abolite?
Lei, signor Ministro, parla di meritocrazia ma non ha ancora indicato uno standard effettivo per valutare la preparazione e la capacità di insegnamento del maestro unico, cosa che potrebbe seriamente compromettere la preparazione globale dell’alunno, il quale non avrebbe la possibilità di confrontarsi con altri insegnanti.
Una riforma che punti davvero sulla meritocrazia dovrebbe permettere ai meritevoli, se economicamente bisognosi, di espletare il loro corso di studi e il carico fiscale deve essere sostenibile e proporzionale al reddito familiare.
Una riforma che punti davvero sulla meritocrazia, deve portare all’individuazione di tutti quei corsi che negli ultimi anni sono proliferati con modalità autoreferenziali e alla loro eliminazione.Riforma della scuola, Ministro Gelmini, significa razionalizzazione della scuola, ottimizzazione delle risorse, gradualità e qualità. Quel che abbiamo ora, sotto gli occhi, non è una riforma, ma un tentativo bello e buono di caos distruttivo. Non è questo ciò di cui la scuola italiana, i suoi insegnanti, i suoi allievi hanno bisogno.
Lei cita Obama come suo modello. Cita quindi un campione di riformismo, di politica pragmatica, di “small is beautiful” ad esempio. In modo del tutto fuorviante ed al limite offensivo per tutti coloro che hanno davvero a cuore un progetto che veda nell’istruzione primaria e secondaria pubblica il punto di partenza obbligato per costruire, fin dalle sue fondamenta, una società di spiriti pensanti, egualmente liberi e fieri del proprio Paese. In una parola: buoni cittadini.
Dario Marini
Candidato alla Segreteria Nazionale dei Giovani Democratici

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mercoledì 29 ottobre 2008

Lutto per la scuola

Il tanto contestato decreto Gelmini è stato convertito in legge con l’approvazione da parte del Senato.
Si è una giornata di lutto per:
- La Democrazia perché un Governo ed una maggioranza arrogante non è stata in grado di dialogare e di confrontarsi con il paese;
- La Scuola che ritorna indietro aggravando la crescita degli studenti e rendendo evanescente il loro futuro. Con l’approvazione definitiva del decreto "il sapere al lavoro" non viene tenuto in considerazione nella società della conoscenza;
- Gli studenti, docenti e genitori che non sono stati considerati per nulla anzi sono stati definiti in modo strumentale e scorretto a causa delle loro manifestazioni e contestazioni al decreto Gelmini;
- Per i parlamentari della maggioranza che hanno dovuto chinare il capo al Presidente Berlusconi nonostante che in diversi casi hanno risolto in modo brillante con lo stesso metodo i suoi problemi personali in materia di giustizia;
- Per i Parlamentari dell'opposizione che si sono fatti carico dei problemi della scuola presentando degli emendamenti che sono stati tutti respinti dalla maggioranza.
Ascoltiamo gli studenti animatori dell’autunno caldo della scuola cosa pensano e quali sono le loro riflessioni.
“Stiamo vivendo dei giorni particolari, dichiara Pietro Garzillo, e di grande partecipazione democratica. Con il “riscatto” di una generazione di ragazzi che avevamo troppo facilmente già etichettato come vuota ed effimera. E invece no. Sono ragazzi consapevoli del presente e che guardano al futuro. Fuori da ogni schema di appartenenza politica, si informano, si confrontano, agiscono insieme per ottenere un futuro migliore per tutti. Vogliono riappropriarsi di un futuro del quale si sentono derubati da una generazione di padri che pretende di decidere per loro”.
“Per questo quanto accaduto oggi, afferma Pietro, è una delle pagine più tristi della storia della democrazia italiana, perché c’è un governo che procede imperterrito per la sua strada come un carro armato, senza ascoltare la voce dei suoi stessi figli. Ma nello stesso tempo, forse, una pagina ricca di speranza perché questi ragazzi sanno bene quello che vogliono e come lo vogliono ottenere: avanzando democraticamente e pacificamente le proprie istanze, le proprie idee, le proprie proposte”. Sanno essere critici e propositivi nello stesso tempo. E di questa critica e di questa proposta, ora, la politica – quella buona che è ancora capace di rispetto e di ascolto e di agire nell’interesse di tutto il Paese – dovrà farsi carico. Senza mai nemmeno pensare di poterli strumentalizzare a fini di parte”.
“La pessima figura del governo, conclude Pietro, oggi, è stata controbilanciata dalla notevole statura morale di questi ragazzi. E di questo il Paese deve andar fiero”.
“Nella causa su Facebook "A favore dell'istruzione e della ricerca! No alla L.133/08", che conta più di 138000 membri, e che è nata contro i tagli previsti dalla finanziaria che riguardano l'Università, sono confluite moltissime persone, dichiara Enrico Testi fondatore del gruppo, che protestano contro il decreto Gelmini”. “Il decreto è stato approvato, continua Enrico, oggi da un governo che sembra aver perso contatto con i cittadini, un governo che fin dall'inizio ha cercato di svilire la protesta di svariate migliaia di persone appartenenti a qualsiasi ceto e partito e che ha negato il dialogo e la parola ad un'ampia parte dei cittadini italiani”.
“Cosa fare adesso? Per quanto riguarda il decreto Gelmini, conclude Enrico, vengono avanzate, da più parti, proposte di referendum (mentre per la L.133/08 che è una legge di bilancio questo è impraticabile), che io appoggerò qualsiasi sia il partito che farà partire l'iniziativa. Per quanto riguarda il futuro dell'istruzione in generale spero che il grande movimento che si è creato contro la riforma Gelmini e contro i tagli all'università non si disperda. Dobbiamo sfruttare questa unione di intenti e continuare nella nostra attività di informazione e protesta pacifica per rendere più chiare possibili, ai cittadini italiani, le conseguenze delle scelte del governo”.
“Le preoccupazioni e le ansie dei giovani, dichiara Elisa Cavazza, riguardo ciò che questo governo sta facendo alla scuola all'Università, sono lo specchio dell'ansia e la preoccupazione per il proprio futuro. Già da tempo i giovani sanno che si dovranno continuamente reinventare, mettere in gioco. E queste cosiddette riforme della scuola e dell'università attaccano alla base proprio lo sviluppo delle capacità per affrontare al meglio il mondo che verrà, che sta arrivando così in fretta”.
Parlo di "cosiddette riforme", afferma Elisa, perché si vanno a modificare scuola e università a partire dall'esigenza di fare cassa, di tagliare. E questo è davvero inedito nella storia italiana. Mentre una vera riforma dell'istruzione nasce da un confronto su un progetto educativo, su modifiche strutturali che sappiano razionalizzare, premiare il merito, migliorare il valore educativo della scuola intesa come ambiente complesso, mantenere quello che funziona (come la struttura della scuola primaria!) e modificare strutturalmente gli sprechi, gli ostacoli, le inefficienze, le ineguaglianze”.
Elisa entra nel merito delle misure: “Ecco a cosa ci troviamo di fronte: il progetto formativo alla base della riforma universitaria è costituito dal taglio di 1,5 miliardi di euro in 3 anni e dalla possibilità di trasformare le università in fondazioni, contenuto nella finanziaria Tremonti (L.133/08). Il progetto pedagogico per la scuola, invece, è costituito da un decreto nato "nell'ambito degli obiettivi di contenimento" della spesa pubblica (DL 137). Un decreto che si abbatte peggiorando ciò che funzionava (la scuola primaria) e lascia praticamente invariato ciò che invece andrebbe riformato (la secondaria). Oltretutto privo di qualsiasi dialogo e consultazione con la società, con gli attori interessati, con le categorie, privo di confronto parlamentare, di discussione su una materia tanto importante e tanto delicata per la società tutta”.
“L'esigenza di riforma è forte, conclude Elisa. Studenti, genitori, insegnanti, ricercatori, precari, personale della scuola, tutti assieme come poche volte è accaduto prima, non fanno altro che chiedere, da giorni, che il governo li ascolti. Che ci sia un dialogo. Non solo protestando, ma creando momenti di confronto e di riflessione, garantendo lo svolgimento dell'attività educativa, anche presentando proposte concrete, come il Partito democratico ha fatto oggi riguardo l'università. Non ci arrendiamo, difendiamo il nostro futuro. E se l'unico modo per incidere oramai sarà il referendum abrogativo, concorreremo alla raccolta delle firme necessarie”.
Ho chiesto una dichiarazione sugli effetti del provvedimento nelle comunità locali.
“Dopo l’approvazione del Decreto Gelmini, afferma Franco Bonfante consigliere regionale del Veneto, in tutta Italia c’è stata una forte mobilitazione di studenti, docenti, e, fatto nuovo, anche di un numero crescente di famiglie, preoccupate per il futuro dei ragazzi. Anche a Verona cresce l’attenzione per le conseguenze dei tagli, ed è già prevista una massiccia adesione allo sciopero del 30 ottobre. Con il passare dei giorni emerge il vero volto di questa pseudo-riforma: la cosiddetta riduzione dei costi improduttivi è in realtà un taglio generalizzato che mette in crisi la qualità dell’insegnamento dalle elementari all’università. Vengono tolte risorse fondamentali per mantenere le sedi scolastiche nei piccoli comuni veronesi, con il rischio di una dispersione scolastica crescente. Il blocco del turnover rende docenti e ricercatori precari sempre più a lungo, impedendo loro di essere assunti nel percorso che seguono da anni, con conseguenze gravi per la qualità dell’insegnamento e della ricerca. La reintroduzione del maestro unico toglie professionalità all’istruzione primaria, con probabili conseguenze anche nell’insegnamento dell’inglese, lingua vitale per il futuro dei nostri figli. La presentazione di una mia mozione in Consiglio Regionale ha costretto la Giunta ad essere trasparente, mentre prima cercava di minimizzare i tagli del decreto. Spero che questa materia così cruciale non venga trattata come una mera pratica burocratica, ma invece possa essere data voce ai cittadini e agli Enti Locali”.
“La conversione in legge del decreto, conclude Bonfante, senza confronto e dialogo con il paese ed in Parlamento aggrava la situazione scolastica e rende urgente varare iniziative politiche capaci di rimediare ai problemi che si sono venuti a creare”.
Veltroni e Di Pietro hanno deciso di promuovere un referendum abrogativo della parte più estesa possibile del decreto Gelmini. Pertanto la lotta continua nelle piazze, nelle università ed in rete su Facebook dove si sono costituiti spontaneamente numerosi gruppi democratici contro il decreto Gelmini ed a favore dell’istruzione e della ricerca.
La battaglia non è finita contro l’arroganza ed i sordi l’opinione pubblica deve sapere che la fiducia che ha riposto a questa maggioranza politica si muove contro i loro diritti fondamentali.
Domani vi è un'occasione importante: lo sciopero della scuola. Partecipiamo compatti e democraticamente per sconfiggere nel paese il Governo e la maggioranza politica che ha approvato il provvedimento.

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lunedì 27 ottobre 2008

Mercati finanziari e problemi emergenti

Intervento di Donata Gottardi, parlamentare europeo
Gli stati nazionali sono troppo piccoli e deboli per determinare regole e comportamenti e l’economia globale, incluso il sistema finanziario, si esprime nel pianeta senza confini e limiti. Per determinare un nuovo equilibrio occorre rafforzare l’Europa politica ed economica e nello stesso tempo superare i limiti degli enti internazionali che hanno dimostrato di avere poco peso a livello globale. Occorre in definitiva stabilire nuove regole nel pianeta superando le barriere nazionalistiche. Gli stati nazionali sono troppo piccoli, pesanti e lenti nelle decisioni rispetto alle grandi aggregazioni economiche internazionali ed alla velocità dei cambiamenti che avvengono nel mondo globale. Il pericolo dell'attuale momento è quello di chiudersi e di tornare indietro con una economia protezionista.
Sui problemi che stiamo vivendo in questo ultimo periodo interviene Donata Gottardi, parlamentare europeo, molta attenta ai cambiamenti che interessano i diritti civili, i problemi emergenti e le prospettive del nostro futuro.
“Un fenomeno che si alimenta della spirale negativa che caratterizza le borse, i mercati e, a breve, anche i consumi e la produzione. Giorno dopo giorno leggiamo angosciati le percentuali negative delle borse mondiali, i salvataggi di banche sull’orlo del fallimento. Questo scenario, impensabile fino a pochi mesi fa, sta cambiando l’ordine delle emergenze e fa sembrare banali gli altri temi. Eppure gli elementi per capire cosa stava per succedere erano davanti ai nostri occhi e in Europa avremmo potuto prendere immediati provvedimenti.Il Parlamento europeo, in particolare il gruppo socialista, aveva posto all'attenzione da tempo due questioni fondamentali che, se analizzate rispetto all'attuale crisi finanziaria, evidenziano le lacune e le derive da cui è originata la crisi stessa. Si tratta della supervisione finanziaria e prudenziale, a livello europeo e internazionale, e della regolamentazione adeguata di prodotti finanziari complessi e strutturati costruiti su livelli di effetto-leva e indebitamento tale da mettere in ginocchio istituzioni finanziarie e di credito che sembravano essere solide come colossi nel momento in cui il sistema di garanzia patrimoniale che doveva stare alla base si è verificato assolutamente inadeguato (come nel sistema dei subprimes).Sembriamo supponenti, noi socialisti, quando diciamo che l’avevamo previsto. Ci spiegano che non paga, elettoralmente, sembrare quelli che hanno ragione. Forse è così, ma non possiamo tacere e non spiegare. Non abbiamo mai demonizzato il mercato, ma abbiamo sempre detto e scritto che la tentazione di abbandonare la produzione per finanziarizzare l’economia era pericolosissima e che il mercato non è una libera arena senza regole. Che il mercato funziona solo se ci sono regole e queste regole sono valide. E sono valide quando sanno prevenire e affrontare i problemi reali. Per questa ragione siamo stati proponitori e relatori di due importanti iniziative legislative arrivate ad un voto positivo in plenaria al PE, rispettivamente su una struttura di supervisione finanziaria europea armonizzata e su un sistema di supervisione consolidata (basata su collegi) per i grandi gruppi finanziari e istituti di credito presenti in modo transnazionale all'interno dell'UE (ed a volte anche nei paesi terzi) e sulla regolamentazione dei fondi speculativi e delle Private Equity.Appare chiaro che per rispondere rapidamente ai problemi e alle ricadute generate dalla crisi finanziaria è necessario agire a livello europeo verso maggiore integrazione e armonizzazione a in ambito finanziario agendo su diversi livelli: - il primo e immediato basato sugli interventi coordinati della Banca Centrale Europea, dei governi europei e delle Banche Centrali nazionali, in particolare nell'area euro, per arginare i fallimenti finanziari, garantire un minimo di liquidità sui mercati (per le banche e per le imprese) e tutelare i risparmi dei cittadini;- il secondo, che dovrebbe avvenire a breve e medio termine, basato sull'adozione di misure e regole relative alle garanzie patrimoniali per tutti i soggetti finanziari, alla cartolarizzazione, alla valutazione del rischio, alla "business conduct" e alle remunerazioni degli alti dirigenti finanziari, alla revisione del ruolo delle agenzie di rating, alla definizione di un livello comune di garanzia sui depositi bancari, alle regole contabili internazionali (per non consentire che società di veicoli di cartolarizzazione e prodotti finanziari complessi siano tenuti fuori bilancio), a un regime di responsabilità societaria e sanzioni adeguate nel caso di mancata conformità alle regole;- il terzo, che invochiamo da troppo tempo, più importante e rilevante per la capacità dell'Unione europea di rispondere alle sfide della stabilità finanziaria e della crescita economica, che consiste nell'adozione di un'unica governance economica europea che sia in grado, da un lato, di garantire stabilità finanziaria non solo attraverso la moneta unica ma anche attraverso una sistema armonizzato di supervisione prudenziale (che sia basata su un sistema di "allerta precoce" e "reazione rapida" on un ruolo accresciuto da parte della BCE) e dall'altro, di definire e far proprie strategie macroeconomiche di crescita e di investimenti comuni, rafforzando l'attuale strategia di Lisbona e prevedendo una comune guida/regia europea per gli investimenti, da finanziare con strumenti aggiuntivi - come gli Eurobonds o un Fondo di investimento europeo specifico.
Forse l'Unione europea e la zona Euro potranno anche arginare la crisi finanziaria con intereventi nazionali più o meno coordinati, ma sicuramente non saranno in grado di rispondere agli effetti secondari che la crisi finanziaria sta per avere sull'economia reale - e quindi sui consumi, sugli investimenti, sulla produzione, sull'occupazione, sul benessere dei cittadini europei - se non vi sarà sufficiente lungimiranza e coraggio politico da parte dei governi europei nel dirigersi verso un comune governance dell'economia da affiancare alla moneta unica e dal mercato interno. La globalizzazione richiede un governo coordinato. Avremmo potuto difenderci meglio in Europa se avessimo potuto contare su un comune governo economico, senza le lotte interne tra governi nazionali e/o le derive antistoriche e inadeguate, invocate da alcune forze politiche, verso forme di nazionalismo o ri-nazionalizzazione delle politiche economiche e industriali, su una armonizzazione regolamentare e di supervisione, di sanzioni, di protezione dei consumatori più adeguato e stringente di quanto non abbiamo già.
Serve più Europa, più integrazione europea e maggiore responsabilità politica dei governi e delle istituzioni europee rispetto al senso e al ruolo ultimo dell'UE e della sua capacità di garantire sicurezza e benessere ai suoi cittadini e contribuire alla stabilità internazionale. E’ impressionante registrare il cambiamento di posizioni che si sta realizzando all’interno della commissione economica del Parlamento europeo. Fino a qualche mese fa, ad ogni incontro con il presidente della Bce, Trichet, eravamo noi socialisti a chiedere maggiore controllo e supervisione. Ora, su tutti i dossier aperti, anche i popolari e i liberali sostengono questa impostazione, con una variante però che continua a caratterizzarci. La loro proposta prevede di richiudersi e di tornare alla difesa nazione per nazione. Una ricetta sbagliata, come spiegano gli economisti che si sono occupati degli errori commessi di fronte alle grandi crisi del secolo scorso. Una ricetta sbagliata ancora di più oggi, dato l’intreccio indissolubile dei sistemi economici e finanziari su scala globale, come dimostra il fatto stesso che l'Unione europea ha subito il contagio dei "prodotti tossici" statunitensi.
Ci aspettiamo che le vicende attuali spingano gli attori politici e le istituzioni verso atteggiamenti più lungimiranti e responsabili. Mi auguro che, entrando nel dettaglio delle misure su cui qui il PE si trova a lavorare per creare stabilità finanziaria e crescita economica, sarà più facile raggiungere un buon accordo sul rapporto sulle Finanze pubbliche 2007-2008, di cui sono relatrice, in particolare nella parte in cui chiedo un intervento verso una governance coordinata e unidirezionale degli investimenti e della qualità della spesa pubblica, che non significa tagli indiscriminati e riduzione del Welfare State, ma un ridisegno dell’intervento dello Stato attraverso politiche macroeconomiche e di bilancio che siano più vicine alle esigenze delle cittadine e dei cittadini, capaci di valutare preventivamente e a consuntivo i risultati ottenuti, attente a creare fiducia tra i cittadini e sui mercati. Lo stesso mi auguro per la revisione della direttiva sui Fondi comuni di investimento, di cui sono relatrice ombra per il PSE, rispetto alla quale vogliamo rafforzare l’impalcatura di regole e di controlli favorendo l'emergere di un mercato europeo armonizzato rispetto a un prodotto finanziario di larga distribuzione al dettaglio e che ha un peso rilevante anche riguardo ai fondi pensione, mettendo un freno al crollo della fiducia e alla paura. che rischia di propagarsi anche tra i lavoratori e i consumatori.
Certamente non basterà, ma questo è il momento di impegnarsi nell'adozione di misure concrete e contestualmente di interrogarsi e ripensare fino in fondo come si possa creare e sostenere crescita economica e sviluppo sostenibile. Troppo spesso finora ne abbiamo parlato senza trarne le conseguenze e senza cimentarci davvero nel reimpostare le nostre politiche responsabilità e a evitare il richiudersi a riccio individuale”.
Donata Gottardi

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Scuola: la protesta si diffonde

Sembra un paradosso che la protesta dei docenti, studenti, alunni e genitori si diffonde e si consolida per una riforma della scuola che non c’è. I provvedimenti in materia scolastica del Governo Berlusconi rappresentano: tagli agli organici, riduzione dei costi, chiusura delle scuole, tagli alla ricerca. Queste decisioni non entrano nel merito del problema della Scuola, dell’Università e della Ricerca ma obbediscono alla quadratura contabile del bilancio.
Il Governo ha sperperato tanti soldi con diverse misure: 300 milioni di euro per Alitalia destinati al sistema universitario. Ridurre gli sprechi significa entrare nel merito ed eliminare le spese inutili, i doppioni e le spese che non creano valore. Tutto questo non è stato fatto.
La protesta si diffonde anche in rete su Facebook.
La causa su facebook "A favore dell'istruzione e della ricerca! No alla L.133/08", dichiara Enrico Testi fondatore del gruppo, è stata creata il primo ottobre e oggi conta 114.000 membri, la causa è stata citata in molti giornali tra cui il Corriere della Sera e Repubblica. Le pagine della causa oltre a informare i membri sulle iniziative che si svolgono in tutta Italia sono anche il punto di partenza per azioni rivolte a informare i media e le persone di ciò che sta accadendo in Italia. L'ultima iniziativa in tal senso è nata dopo il discorso del premier Silvio Berlusconi e i continui tentativi di svilire la protesta tacciandola come "ideata dalla sinistra estrema" "opera di pochi facinorosi" etc., per questo motivo una mail, in cui si condanna questo comportamento e si ribadisce la natura apartitica della protesta, è stata inviata in questi giorni da migliaia dei nostri membri in 5 lingue a più di 400 ai mass media stranieri ed italiani ed ai rappresentanti delle Istituzioni Politiche Europee ed Internazionali”.
Pertanto, la protesta viene esportata in Europa e nel mondo ed a livello planetario verranno conosciute le contraddizioni e gli errori del Governo Italiano che sottovaluta i contenuti della protesta e l’importanza della scuola in Italia per rendere competitivo il sistema paese.
Si riporta per intero l’e-mail inviata. "I provvedimenti imposti dal governo all’opposizione parlamentare e alla sua stessa maggioranza politica, però, non hanno niente delle riforme di largo respiro di cui queste Istituzioni hanno bisogno. Sono meri tagli di bilancio a fondi già esigui e mettono a rischio non solo il futuro dei ricercatori e degli insegnanti già precari, ma delle Istituzioni stesse, creando le condizioni per un loro declino irreversibile.Di questo i ministri del governo non sembrano, o non vogliono, o – viene da temere – non sono in grado di rendersi conto. Piuttosto di cercare da subito il confronto con le competenze del settore per arrivare ad una riforma condivisa, essi preferiscono continuare ad accusare la democratica opposizione di milioni di italiani ai loro provvedimenti di essere: “terrorista”, “ignorante”, “fannullona”, “politicamente strumentale”.
In queste affermazioni sta tutta la miopia politica di chi fatica a rendersi conto di trovarsi di fronte ad un movimento di opinione nuovo, estremamente informato, che interviene sul merito dei provvedimenti, è assolutamente pacifico, per nulla demagogico o politicizzato, trova luoghi e modi finora inediti per esprimere il proprio dissenso, tra cui la “Cause” su Facebook A favore dell’istruzione e della ricerca! No alla Legge 133/08 che ormai ha superato le 100000 adesioni. Si tratta di una generazione di cittadini che spontaneamente si riunisce, discute e si accorda sulle forme non-violente che la protesta può e deve assumere su tutto il territorio nazionale; che ha ben chiare quali siano le condizioni del presente e i rischi per il futuro e che – triste dirlo – non si sente rappresentata, nei propri interessi, nelle istituzioni democratiche. Anzi, è costretta persino a sentirsi minacciata di violenza fisica dalle dichiarazioni dal Presidente del Consiglio in carica (come è documentato dal seguente video in cui il premier evoca l’intervento delle forze dell’ordine contro gli studenti) oltre che a vedersi quotidianamente, pubblicamente, denigrata da lui e dai membri del suo governo. Non passa giorno, infatti, che il governo non tenti di convincere gli italiani che i loro figli - i “cervelli” di questo Paese - siano degli stupidi incapaci di comprendere la giustezza delle sue azioni o, peggio ancora, dei terroristi la cui azione va stroncata sul nascere. Ma è ovvio che qui il governo, consapevole della non difendibilità dei propri provvedimenti, sta tentando a tutti i costi di politicizzare un movimento di opinione che di politico non ha assolutamente nulla, per evitare il confronto e giungere allo scontro. Temiamo che per raggiungere questo obiettivo si possa passare, dalle dichiarazioni irresponsabili della politica, all’azione violenta di qualche infiltrato.
Per tutto questo, perché crediamo e sentiamo di essere in grado di contribuire al Bene Comune del nostro Paese (che amiamo) molto di più di quanto chi oggi lo governa è disposto a riconoscere, perché temiamo che l’obiettivo principale dei nostri attuali rappresentanti parlamentari sia più che altro la salvaguardia dei diritti e dei privilegi acquisiti dalle vecchie generazioni piuttosto che la costruzione di garanzie per i propri figli (e ravvisiamo questa attitudine anche nella recente posizione italiana contro i provvedimenti europei per la riduzione delle emissioni inquinanti), rivolgiamo un appello per chiedere l’attenzione e la solidarietà degli studenti, dei docenti, dei ricercatori, dell’opinione pubblica, dei Rappresentanti politici degli altri Paesi Europei ed extra Europei per la salvaguardia della libertà di pensiero, parola ed espressione in Italia, per la salvaguardia delle sue regole costituzionali di democrazia parlamentare e perché – a partire dalle Istituzioni Scolastiche ed Universitarie – si assicuri un futuro degno a questo Paese e a tutti i suoi cittadini".

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domenica 26 ottobre 2008

Grande manifestazione riformista e democratica

Prima della presenza in Italia di questa destra le manifestazioni democratiche facevano riflettere e comprendere gli errori, l’urgenza di cambiare strategia e di farsi carico dei problemi del paese.
Adesso si nota da parte del Presidente del Consiglio e di molti esponenti a lui vicini l’irritazione, l’intolleranza e l’arroganza di riconoscere che quella del Partito Democratico è stata la più grande manifestazione democratica e riformista degli ultimi tempi.
“Quella di oggi, afferma Walter Veltroni, diciamocelo con orgoglio, è la prima grande manifestazione di massa del riformismo italiano, finalmente unito. E lo è perché il Partito Democratico è il più grande partito riformista che la storia d’Italia abbia mai conosciuto. Un italiano su tre si riconosce, crede nel disegno di un riformismo moderno. E’ un fatto inedito nella lunga vicenda nazionale. E oggi, in questo luogo splendido e immenso, siamo qui, in tanti, perché vogliamo bene all’Italia, perché amiamo il nostro Paese”.
"Le urla e gli strepiti, dichiara Anna Finocchiaro che giungono dai tanti esponenti che stanno commentando la nostra manifestazione dimostrano l’arroganza del Pdl. Dovrebbero Dovrebbero portare più rispetto per una manifestazione che ha portato in piazza oltre due milioni di italiani. Noi rispettammo al tempo la loro manifestazione. Ma questi strilli confermano che la nostra manifestazione li ha spaventati e dimostrano che sono meno forti di quello che vogliono far credere. C’è una grande parte d’Italia che non la pensa come loro. E loro lo stanno capendo. Il Pdl impari a rispettare l’opposizione”.
I problemi del paese – scuola, università, redditi bassi, sicurezza, pubblica amministrazione, giustizia- sono reali e non possono essere rinviati per continuare a favorire i settori più privilegiati del paese. Queste affermazioni valgono per tutti i cittadini che si riconoscono nei valori universali della solidarietà e dell’equità. Pertanto quando Berlusconi parla di sinistra non democratica esprime pura e semplice propaganda per non dire incapacità di leggere la società italiana del terzo millennio con i suoi problemi. Inoltre, parlare di numeri come fa il centro destra significa sottovalutare la partecipazione dei cittadini alla manifestazione ed i problemi urgenti e gravi che l'Italia vive da diverso tempo per l'incapacità del Governo di capire le previsioni economiche ed intervenire in modo adeguato e puntuale.
“Una bellissima emozione, dichiara Dario Marini, percepire l’unità di intenti, la volontà univoca di costruire il Partito Democratico sotto la bandiera del riformismo e dell’innovazione. Ecco cosa è stato il 25 ottobre. E’ stata la chiara manifestazione che c’è voglia di cambiare, che ci sono idee nuove e forza per metterle in pratica. E c’è il coraggio per denunciare che tante cose non vanno, ma nello stesso tempo la volontà di essere propositivi guardando in faccia la realtà. Una realtà dura da accettare, che tuttavia ci propone una grande sfida da portare avanti con tenacia e con tutte le risorse di cui disponiamo. Io c’ero perché accetto questa sfida. Io c’ero insieme a tanti ragazzi e ragazze che credono nella semplicità, vogliono risposte concrete e più prospettive per il loro futuro. Io c’ero perché quello era il posto in cui dovevo essere”.
Franco Bonfante, consigliere regionale del veneto, ci racconta la sua esperienza del 25 ottobre: “sono stato insieme a molti altri alla Manifestazione “Salviamo l’Italia” promossa dal Partito Democratico nazionale. E’ stata una faticaccia da oltre 15 ore di treno, ma ogni sforzo è stato ripagato dalla grandissima partecipazione (compresa quella straordinaria da Verona) che ci ha fatti entusiasmare.
Eravamo tantissimi. Non saprei dire quanti di preciso, ma certo per riempire il Circo Massimo ne occorrono molti di più che per riempire un’altra piazza di Roma, come quando l’allora capo dell’opposizione sparò la cifra esorbitante di un milione e mezzo. Nel 2003, la manifestazione dei sindacati conclusa sempre al Circo Massimo fu stimata tra i due e i tre milioni di persone. Quella del 25 ottobre rientra sicuramente tra queste due stime.
Indipendentemente dai numeri, la manifestazione di sabato può dirsi una delle più riuscite nella storia del centrosinistra, e questo è un grande successo per il nostro Partito, che esce rafforzato dopo settimane di polemiche spesso ingiustificate.
E’ quindi comprensibile la stizza di Berlusconi per questo evento; al di là di rubare la scena alle sue dichiarazioni, giunge in un momento di palese difficoltà del suo esecutivo: la pseudo-riforma del Decreto Gelmini viene criticata da tutte le forze sociali, la crisi economica incalza e il Governo, esaurite le risposte spot dei primi mesi, si trova incapace di fornire risposte concrete ai problemi dei cittadini. Anche i sondaggi, dopo mesi di stime incoraggianti, riflettono una prima inversione di tendenza nel gradimento degli italiani.
Spero che la grande carica di questa manifestazione ci dia nuova forza per opporci al centrodestra che governa a Verona e in Veneto, che saldi la nostra opposizione e ci dia la carica giusta per affrontare le sfide del nostro territorio”.
Salva l’Italia
Foto 25 ottobre

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venerdì 24 ottobre 2008

25 ottobre 2008

Questa mattina il Partito Democratico di Verona ha presentato in una conferenza stampa la manifestazione “Salviamo l’Italia” che si terrà a Roma il 25 Ottobre.
Da Verona partiranno un treno speciale e quattro autobus.
Molti cittadini si sono organizzati autonomamente per raggiungere Roma e partecipare all’evento.
La manifestazione del 25 ottobre sta riscuotendo vasti consensi al contrario di quanto affermato da alcuni giornali e la relativa petizione è stata sottoscritta da 4.031.182 cittadini.
Hanno rappresentato il Partito Democratico di Verona alla conferenza stampa:
- Giandomenico Allegri, coordinatore provinciale del PD di Verona;
- Donata Gottardi, parlamentare europeo;
- Giampaolo Fogliardi, parlamentare;
- Gianni Del Moro, parlamentare;
- Franco Bonfante, consigliere regionale.
“Una partecipazione alla manifestazione da Verona, ha affermato il coordinatore provinciale del PD, al sopra di ogni positiva previsione”.
I relatori hanno illustrato gli obiettivi ed i contenuti della manifestazione e le proposte del Partito Democratico.
“La petizione ha al centro due questioni:
- la difesa delle regole democratiche contro le forzature e le leggi sbagliate del governo;
- la lotta per far ripartire l'Italia, cominciando da stipendi e pensioni”.
Durante la conferenza stampa è stato rilevato che i provvedimenti del Governo Berlusconi non hanno inciso per nulla sui problemi che il PD pone come centrali. Infatti la robin tax è stata fallimentare e si è riversata dai petrolieri ai consumatori, la detassazione dello straordinario in momento di crisi economica non porta effetti positivi ai lavoratori perché lo straordinario non viene effettuato, la eliminazione dell’Ici sulla prima casa, dopo l’abbattimento del 40% da parte del Governo Prodi, ha privilegiato i più ricchi e creato problemi notevoli ai comuni. Tutte queste somme elargite in modo irresponsabile potevano essere finalizzate a favore dei redditi più bassi (retribuzioni e pensioni) con l’introduzione del quoziente familiare.
Da quando ho aperto questo blog ho dedicato molto spazio ai redditi bassi, al potere d’acquisto delle famiglie sempre più povere, al rischio povertà, all’inflazione ed ai consumi sostenendo che occorreva intervenire con urgenza a favore dei più deboli. Gli articoli sono stati suffragati da rapporti e studi (rapporto sulla povertà della Caritas, dati Ocse, dati Istat sui consumi, indice Fao, dati della Banca d'Italia) e non rappresentavano solo un desiderio non sostenuto da parametri obiettivi.
Di fronte ai problemi esposti questa manifestazione è un evento di tutti i cittadini, giovani, donne, lavoratori dipendenti, piccoli imprenditori e pensionati che hanno scoperto con chiarezza che la politica economica del Governo non solo non risolve i problemi ma non tiene conto di coloro che soffrono, che devono studiare per costruire il loro futuro, per coloro che lavorano e che non possono sostenere la propria famiglia in modo normale. Pertanto, la manifestazione interessa tutti i cittadini italiani e coloro che sono venuti nel nostro paese per vivere una vita migliore e sono oggetto di discriminazioni in assenza di una politica di sicurezza integrata dall'accoglienza.
Ho chiesto all'on.le Donata Gottardi una dichiarazione sul rapporto tra l’Europa ed i redditi bassi in Italia.
“Uno degli effetti a livello europeo è l’incremento della produttività, afferma Donata Gottardi. Questo è un problema che tocca l’Italia in modo particolare perché siamo ai livelli più bassi di produttività. Attraverso l’incremento di produttività noi potremmo incrementare i redditi bassi. Ci stiamo riferendo eventualmente solo alle retribuzioni non certo alle pensioni ed in ogni caso in un sistema, che non è un sistema come quello attuale sconvolto dalla crisi finanziaria, dovremmo adesso anche adeguare le strategie.
“Direi che dobbiamo incrementare la produttività, sicuramente lo dovremmo fare. Il nostro paese, conclude Donata Gottardi, lo dovrà fare ma è troppo poco rispetto ad una situazione cambiata a livello globale e ai ritardi che noi purtroppo stiamo continuando ad accumulare. Quindi stiamo riflettendo quotidianamente su come cercare di uscire da questa crisi trovando anche un modello di sviluppo diverso. Probabilmente dovremmo rivedere una serie di consolidate idee, dovremmo davvero cercare di trovare una strategia nuova e innovativa che però ci metta tutti assieme sullo stesso piano in Europa”.
Ho chiesto una dichiarazione ad un giovane Dario Marini, candidato alla segreteria dei giovani del Partito Democratico, sulla manifestazione del 25 ottobre.
“Il 25 ottobre, possiamo far sentire la nostra voce, testimoniare le difficoltà quotidiane di una generazione che non vede il domani”, sostiene Dario Marini. Un 25 ottobre di proposta, afferma Dario Marini, non di protesta, un'occasione senza precedenti per rilanciare la politica, quella vera, sentita sulla pelle, fatta di umiltà e di passioni forti”.
“Per confermare, conclude Dario, certo, la nostra contrarietà alle decisioni del governo in tema di scuola, politica ambientale, integrazione e discriminazioni, dell'operazione di salvataggio di Alitalia. Ma anche e soprattutto per ascoltare, chiedere alle Istituzioni gesti di responsabilità di fronte alla recessione economica, dare risposte concrete a chi vuole guardare avanti, viaggiare, studiare, realizzare le proprie aspirazioni. In altre parole, capire e costruire la società del 2020”.
Il 25 ottobre è un'occasione per ritrovarsi insieme per costruire un grande partito democratico con solidarietà e impegno.
Economia, le misure anticrisi
Il PD: Meno tasse per le famiglie povere

Intervento di Bersani

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giovedì 23 ottobre 2008

Più riforme per la PA e meno propaganda

Le proposte del Ministro Brunetta non sono gradite alle organizzazioni sindacali che hanno proclamato tre giornate di sciopero regionale (3/11 nel centro, 7/11 nel Nord e 14/11 nel sud e nelle isole) ed al Partito Democratico che ha presentato degli emendamenti al DDL del Ministro Brunetta che di seguito si riportano nei contenuti essenziali.
Il Partito Democratico intende tenere alta la bandiera del riformismo nella pubblica amministrazione, nel segno dell’efficienza nell’erogazione dei servizi ai cittadini e del riconoscimento del merito come unico criterio per valutare i dipendenti pubblici. Ciò, chiedendo che la politica faccia non uno, ma due passi indietro rispetto a talune forme di occupazione dell’apparato amministrativo, perpetuatesi specie attraverso la nomina della dirigenza pubblica con criteri di fedeltà piuttosto che di professionalità, competenza e misurazione oggettiva dei risultati raggiunti. Per tale ragione, si vuole restituire ai dirigenti il ruolo di datori di lavoro pubblico, attribuendo loro i poteri necessari per esercitare fino in fondo tale funzione, ma anche rendendoli realmente responsabili del proprio operato attraverso un sistema di valutazione obiettivo e severo. A questo dovrà necessariamente accompagnarsi una vera rivoluzione della trasparenza che, lasciando da parte le trovate propagandistiche di corto respiro, dovrà strutturarsi attraverso la creazione di un apposito portale web nonché di un’Autorità indipendente dall’Esecutivo, facendo sì che siano in primo luogo i cittadini-utenti a valutare la qualità dei servizi erogati dalla pubblica amministrazione.
La pubblica amministrazione può e deve essere una leva decisiva per lo sviluppo e la crescita del Paese, occorre pertanto riformarla in profondità, valorizzando le sue potenzialità al servizio dei cittadini e delle imprese.
Il Governo, dopo tanti annunci ad effetto sulla riforma della pubblica amministrazione e sulla lotta ai fannulloni, aveva promesso che avrebbe tradotto in proposte concrete il suo programma di modernizzazione della pubblica amministrazione attraverso il disegno di legge “Delega al Governo finalizzata all’ottimizzazione della produttività del lavoro pubblico”, attualmente all’esame del Senato (AS 847).
La montagna ha invece partorito un topolino. Non solo: per molti aspetti la delega rappresenta un pericoloso ritorno al passato rispetto alle conquiste legate alla privatizzazione del rapporto di lavoro nel pubblico impiego e rischia di creare squilibri per la sua timida applicazione a settori cruciali quali l’università e la giustizia.
Da ultimo, con il disegno di legge finanziaria appena approvato dal Consiglio dei ministri, si è arrivati addirittura alla formalizzazione della unilateralità delle relazioni sindacali: il Governo propone infatti di provvedere ad erogare “anche mediante atti unilaterali” le somme dallo stesso stanziate sulla base dell’inflazione dallo stesso programmata. Insomma: l’Esecutivo crea i parametri sulla base dei quali calcolare gli aumenti, ne decide l’entità, ed infine eroga la somma unilaterlametne, prescindendo dalla contrattazione e quindi dalle richieste dei lavoratori. Le risorse – poche – saranno distribuite a pioggia e nulla resterà per premiare merito e produttività. Quando il contratto, infine, arriverà, avrà quindi un ruolo puramente ancellare, marginale: lo stesso che il Governo mostra di voler riservare a chi opera nella pubblica amministrazione.
Per contrastare questa impostazione, il PD intende incalzare il Governo, denunciando ogni tentativo di ritorno al passato come pure gli annunci meramente propagandistici, ed invece proponendo l’approvazione di una vera riforma come perno centrale da cui far partire la modernizzazione dell’Italia. A questo fine, fermo restando per intero il contenuto del disegno di legge presentato al Senato dal Pd e attualmente all'esame della Commissione Affari Costituzionali insieme al disegno di legge governativo, è stato predisposto un pacchetto organico di emendamenti al DDL del governo i cui contenuti principali sono riassunti nei punti seguenti. Tali norme, fissando anche i livelli essenziali delle prestazioni concernenti diritti civili e sociali che devono essere garantiti ai cittadini su tutto il territorio nazionale, dovranno trovare applicazione anche per l’amministrazione regionale e locale, seco do quanto previsto dall’art. 117 della Costituzione.
Fuori la politica dalle nomine pubbliche
Occorre ridurre il numero delle posizioni dirigenziali pubbliche soggette allo spoils system, troppo spesso utilizzato come strumento per affidare importanti incarichi a persone prive dei necessari requisiti di competenza e professionalità o, comunque, per premiare i dirigenti più accondiscendenti nei confronti del politico di turno. La sostituzione dei dirigenti indipendentemente dal merito e solo in ragione dell’avvicendamento del vertice politico (questo è in sostanza lo spoil system) può trovare giustificazione solamente per pochissimi incarichi apicali (segretari generali, capi dipartimento e figure equiparate) mentre non deve investire gli altri dirigenti di prima e seconda fascia. Ma anche per queste posizioni, o forse ancor di più dato alto livello di professionalità e di responsabilità amministrativa che esse richiedono, l’ avvicendamento nell’incarico deve essere legato non solo al rapporto fiduciario con il vertice politico ma a una valutazione oggettiva del raggiungimento degli obbiettivi ricevuti e ad una selezione trasparente e fondata su criteri di professionalità(analogamente avviene per posizioni di livello analogo nelle istituzioni internazionali).
I direttori delle AUSL dovranno essere designati sulla base di precisi requisiti di professionalità (sul punto nei prossimi giorni il PD presenterà una sua proposta)
Una valutazione trasparente per l’affidamento di tutti gli incarichi dirigenziali
In ogni caso, anche gli incarichi di vertice soggetti allo spoil system non possono essere affidati al di fuori da ogni valutazione sui requisiti professionali e sul curriculum. Per questo, analogamente a quanto avviene in talune organizzazioni internazionali, pur lasciando al ministro responsabile la decisione ultima sulla persona da designare, la nomina dovrà comunque essere preceduta da un interpello pubblico, da realizzare in tempi rapidi ed anche via Internet, con la possibilità che il candidato prescelto possa essere audito dalle commissioni parlamentari competenti, prima della formalizzazione della nomina.
Analogamente, prima dell’affidamento degli altri incarichi di prima e seconda fascia, si dovrà procedere ad una valutazione oggettiva degli obiettivi raggiunti da chi ha ricoperto tale incarico, procedendo – in ogni caso per quelli di prima fascia e solo in caso di necessaria sostituzione per gli incarichi di seconda fascia‑ alla pubblicazione di un avviso sul sito web dell’Amministrazione interessata e della Funzione pubblica, al fine di raccogliere i curricula dei candidati interessati.
La pubblicazione dell’avviso sul web e la procedura comparativa sarà sempre necessaria per l’attribuzione di incarichi dirigenziali a personale estraneo alla pubblica amministrazione (sulla base dell’art. 19, comma 6 del dls. 166/2001)
Stop alla moltiplicazione dei posti da dirigente, a vantaggio della buona organizzazione
Occorre porre un freno al moltiplicarsi dei posti da dirigente pubblico al quale si è assistito negli ultimi anni senza alcun vero legame con le esigenze organizzative, prevedendo invece una decisa riduzione del loro numero. In tale operazione, occorrerà però evitare le politiche finora intraprese di tagli trasversali e generalizzati, guardando invece alla razionalità organizzativa ed al bisogno dei singoli uffici. A seguito dell’approvazione di un vero Piano industriale della PA, si dovrà quindi procedere all’accorpamento sotto un unico dirigente di unità organizzative che potranno in sua vece essere affidate anche a personale non dirigenziale, il quale vedrà in tal modo valorizzata la propria professionalità ed esperienza.
Per una contrattazione più rapida e capace di contenere i costi
È necessario scongiurare il ritorno al passato e l’abbandono dei progressi compiuti con la privatizzazione del pubblico impiego che il ddl governativo minaccia di provocare attraverso la legificazione di molti degli aspetti oggi lasciati alla contrattazione. Questo significherebbe infatti esporre la disciplina del rapporto di pubblico impiego alle scorribande di lobby poco trasparenti che, come dimostra l’esperienza della Prima Repubblica, hanno sempre trovato sponde accondiscendenti nella politica. È invece necessario favorire una contrattazione responsabile e trasparente, libera dai veti sindacali e tesa a trovare le soluzioni più efficienti nell’ambito dei tetti di spesa prefissati ed il cui rispetto sia certificato dalla Corte dei conti. Occorre per questo contrastare l’idea che esista l’obbligo di trattare su tutte le materie gestionali o addirittura un obbligo a concordare le soluzioni, con la conseguenza di bloccare ogni iniziativa della dirigenza in mancanza di accordo.
Occorre semplificare radicalmente le procedure della contrattazione pubblica, anche attraverso una profonda rivisitazione dell’ARAN. Dovranno essere fissati criteri di professionalità, competenza e autonomia più rigorosi per l’individuazione delle persone che saranno chiamate a comporre il suo vertice, evitando ogni possibile conflitto di interesse con la controparte sindacale. L’ARAN non sarà più legata al Dipartimento della Funzione Pubblica, e passerà invece nell’orbita del Ministero dell’Economia e delle Finanze, che assicura maggiori garanzie in ordine al rispetto dei vincoli di finanza pubblica Nella procedura di contrattazione dovranno essere aboliti gli atti di indirizzo oggi predisposti dai Comitati di settore, avendo questi atti perduto nel tempo la loro funzione ed essendo divenuti uno strumento attraverso cui si realizza una pre-contrattazione poco trasparente e comunque foriera di inutili lungaggini. I rappresentanti dei Comitati di settore (il cui numero va certamente ridotto ma sulla base di specifici criteri), invece, prenderanno direttamente parte ai tavoli di contrattazione, garantendo così maggiore trasparenza e rapidità nella conclusione dei contratti. Tale misura si accompagnerà a norme tendenti a garantire il rispetto delle scadenze contrattuali, prevedendo meccanismi sanzionatori in caso di mancato rispetto dei termini stabiliti (il rispetto dei tempi dei rinnovi è infatti fondamentale perché i ritardi nella negoziazione nazionale producono distorsioni nei rapporti tra le parti, oscurano le dinamiche retributive e scaricano sulla contrattazione decentrata compiti indebiti di tutela del potere d’acquisto dei salari).
Occorre ridefinire i rapporti fra i livelli contrattuali prevedendo che la contrattazione nazionale indichi in modo chiaro le dinamiche retributive in rapporto al potere d’acquisto e che stabilisca i criteri, compresi i tetti retributivi, e i limiti della contrattazione di secondo livello. La responsabilizzazione delle parti su questo punto è decisiva, anche per evitare la imposizione dei tetti in legge finanziaria (cioè ex post) come è avvenuto in questi anni.
La contrattazione decentrata dovrà rispettare i criteri ed i tetti fissati in sede di contrattazione nazionale. Le amministrazioni regionali e locali, alle quali devono applicarsi tutti i principi richiamati in questo documento, potranno determinarsi autonomamente nell’ambito dei tetti di spesa e dei vincoli di bilancio. Tuttavia, le loro scelte in materia di contrattazione del pubblico impiego saranno sottoposte al vaglio delle sezioni regionali della Corte dei conti e, nel caso di violazione del patto di stabilità, dovranno scattare sanzioni sia per il bilancio dell’amministrazione che per gli amministratori che se ne sono resi responsabili.
Occorre evitare il crearsi di un conflitto di interessi fra la posizione dell’alta dirigenza, chiamata a svolgere le funzioni di datore di lavoro pubblico e il fatto che la stessa sia parte nella contrattazione che riguarda la propria posizione lavorativa. Per tale ragione, si intende sottrarre alla contrattazione l’alta dirigenza, prevedendo che il trattamento economico ed il contratto siano definiti con atto unilaterale della Pubblica amministrazione interessata, di concerto col Ministro per l’Economia e le Finanze, su proposta dell’Autorità per la trasparenza e la valutazione delle pubbliche amministrazioni (vedi in seguito).
Trasparenza vera, oltre gli slogan
Occorre garantire l’accessibilità totale -anche attraverso la pubblicazione sui siti Internet delle pubbliche amministrazioni- delle informazioni concernenti ogni aspetto dell’organizzazione delle pubbliche amministrazioni, degli indicatori relativi agli andamenti gestionali ed all’utilizzo delle risorse, dei risultati dell’attività di misurazione e valutazione svolta, in modo da assicurare il controllo diffuso sul rispetto dei effettivo dei princìpi di buon andamento e imparzialità.
A questo fine, sarà creato un vero e proprio Portale per la trasparenza delle pubbliche amministrazioni, attraverso il quale saranno resi accessibili i programmi delle pubbliche amministrazioni, i rispettivi portali e, per il tramite di essi, tutte le informazioni relative a ciascuna amministrazione.
Perché questi obiettivi non siano solo meri enunciati di principio e si traducano in realtà, tutte le pubbliche amministrazioni dovranno adottare un Programma per la trasparenza, della durata triennale, definendo puntualmente e rendendo pubblici gli obiettivi di trasparenza concernenti i servizi e gli interventi erogati, le relative modalità di accesso, la gestione del personale, la misurazione e la pubblicazione dei costi di funzionamento, la determinazione degli obiettivi di gestione, specifici e misurabili, e il grado del loro conseguimento da parte di ciascuna struttura, il sistema di valutazione dei risultati attraverso l’utilizzo di indicatori quantitativi, le modalità di interazione con la cittadinanza attraverso l’uso della rete Internet. Il programma dovrà anche specificare le risorse dedicate alla realizzazione del programma steso e i soggetti responsabili della sua realizzazione, definendo nel contempo il calendario e le modalità di partecipazione ad un confronto annuale con i cittadini e gli utenti sul funzionamento e la valutazione delle pubbliche amministrazioni.
Sarà obbligatorio organizzare un confronto pubblico annuale sul funzionamento di ciascuna amministrazione, sulla relativa valutazione interna ed esterna, sugli obiettivi di miglioramento, con la partecipazione di associazioni di consumatori o utenti, studiosi qualificati e organi di informazione. La registrazione di tale confronto dovrà essere resa disponibile in via permanente sui portali dell’Autorità e dell’amministrazione interessata.
Ai cittadini dovranno essere forniti canali di comunicazione diretta per la segnalazione di disfunzioni di qualsiasi natura nelle amministrazioni pubbliche;
Un’Autorità indipendente per la trasparenza e la valutazione della pubblica amministrazione
Grazie anche ai risparmi ottenuti con la soppressione del Comitato dei garanti e del Comitato tecnico-scientifico per il controllo strategico delle amministrazioni dello Stato (attualmente previsti, rispettivamente dall’art. 22 del d.lgs. 165/2001 e dall’art 7 del D.L.vo 286/99 e successive modificazioni) si provvederà a creare un’Autorità per la trasparenza e la valutazione delle pubbliche amministrazioni, con requisiti di indipendenza e autonomia nonché competenza e professionalità dei suoi componenti (cinque membri, compreso il Presidente, nominati con decreto del Presidente della Repubblica tra esperti in materia di comunicazione pubblica, gestione e organizzazione delle pubbliche amministrazioni, sistemi di rete, e professori ordinari di materie giuspubblicistiche o economiche. Tre componenti del collegio saranno designati dal Governo, previo parere vincolante delle Commissioni parlamentari a maggioranza dei due terzi. Gli altri due componenti saranno designati dalle regioni e dagli enti locali).
L’Autorità avrà il compito di garantire la confrontabilità tra le prestazioni delle pubbliche amministrazioni, stabilendo annualmente indicatori quantitativi longitudinali, trasversali alle diverse amministrazioni pubbliche, o stabiliti per gruppi omogenei di esse, che devono essere adottati all’interno degli strumenti di programmazione, gestione e controllo e negli strumenti di valutazione dei risultati. Essa dovrà anche definire i requisiti per il personale addetto al controllo di gestione e alla valutazione dei dirigenti nonché gli indirizzi, i requisiti e i criteri di indipendenza per l’attività di valutazione degli uffici e del personale da parte delle amministrazioni, con modalità che assicurino la pubblicità e la partecipazione delle amministrazioni e degli interessati;
L’Autorità dovrà inoltre valutare il contento e poi verificare l’effettiva adozione dei programmi per la trasparenza richiamando le amministrazioni inadempienti, nonché verificare l’effettivo svolgimento del confronto pubblico annuale con i cittadini e gli utenti. Tale confronto deve essere obbligatorio e la sua effettuazione condizione per l’erogazione di qualunque incentivo. Essa dovrà pubblicare i risultati della propria attività di valutazione e assicura la disponibilità, per le associazioni di consumatori o utenti, i centri di ricerca e ogni altro osservatore qualificato, di tutti i dati sui quali la valutazione si basa, affinché essi possano essere oggetto di autonoma elaborazione e valutazione. Sul sito Internet dell’Autorità sarà consentita la pubblicazione dei commenti di associazioni di consumatori o utenti, studiosi e osservatori qualificati, giornalisti specializzati e organizzazioni sindacali sui risultati della valutazione. Nel sito saranno altresì pubblicate informative sulle segnalazioni e le informazioni inoltrate all’Autorità dai cittadini.
L’Autorità dovrà promuovere la conoscenza e la diffusione delle tecniche più efficaci e delle esperienze migliori che si offrono nel panorama internazionale e nazionale relativamente alle finalità di trasparenza e di valutazione di efficienza e produttività delle amministrazioni pubbliche, con particolare riferimento alle esperienze promosse da organizzazioni civiche.
Valutare il merito, premiare i migliori
Occorre un sistema rigoroso di valutazione da attivare con periodicità definita, preliminarmente per tutte le strutture pubbliche (le diverse unità organizzative, attivando così immediate possibilità di confronto fra unità organizzative omogenee, sulla base di variabili quali il numero di addetti, le risorse a disposizione, ecc) e quindi per il personale, , obbligano le amministrazioni ad effettuare le valutazioni secondo gli indirizzi, i requisiti ed i criteri fissati dall’Autorità ed a rendere pubblici i risultati. La valutazione dovrà partire dai vertici delle strutture, che saranno poi chiamati ad effettuare, sempre nel rispetto di quanto stabilito dall’Autorità, la valutazione del personale ad essi assegnato.
Le amministrazioni, i cui indicatori di efficienza o produttività risultino peggiori rispetto alla media delle amministrazioni omologhe, dovranno fissare ai propri dirigenti l’obiettivo di allineamento alla media entro un termine ragionevole
Sarà possibile attribuire le indennità di risultato esclusivamente sulla base di una valutazione.
Far lavorare tutti, sanzionando i veri responsabili
Nella pubblica amministrazione troppi non producono quanto potrebbero, con un danno ingentissimo per la collettività. Tuttavia, se veramente si vuole cambiare questo stato di cose senza fermarsi alle trovate propagandistiche, occorre distinguere i casi di coloro che si sottraggono al proprio dovere con comportamenti lassisti o assenteisti, che vanno severamente perseguiti, da quello in cui i dipendenti pubblici non lavorano a causa della cattiva organizzazione della PA. In questo caso sono infatti i dirigenti a dover essere chiamati a rispondere, una volta che siano stati messi effettivamente in grado di organizzare gli uffici come veri datori di lavoro pubblici.
Moltissimi nullafacenti sono infatti quelli ai quali una strutturazione degli uffici e delle strutture amministrative pletorica e un’organizzazione del lavoro inefficiente consente (o, molto spesso, impone) di essere scarsamente produttivi. Ciascuna amministrazione, anche alla luce del massiccio trasferimento di funzioni realizzato nel corso degli ultimi anni e che, con il federalismo continuerà a realizzarsi, dovrà individuare le unità di personale in esubero o la cui prestazione risulti non adeguata alle esigenze dell’amministrazione, ai fini della loro riqualificazione professionale, anche nell’ambito di processi di mobilità, con la previsione di una specifica responsabilità erariale dei dirigenti in caso di mancata individuazione delle unità in esubero. Tale personale verrà riqualificato e poi destinato ad altra pubblica amministrazione, entro un ambito territoriale definito e nel rispetto della qualificazione professionale, con risoluzione del rapporto in caso di rifiuto. Agli uffici o enti nei quali risulti esservi personale in esubero sarà attribuita una quota del risparmio ottenuto, che sarà così utilizzato per incentivare il personale residuo o per migliorare il funzionamento degli uffici stessi.
Le amministrazioni dovranno invece individuare nominativamente le unità di personale le cui prestazioni siano di nullo o scarso rendimento per responsabilità propria, ai fini dei provvedimenti opportuni, ivi compreso il licenziamento nei casi di grave e colpevole inefficienza ovvero di violazione degli obblighi individuali.
Non servono invece misure persecutorie, nonché a forte rischio di incostituzionalità, nei confronti dei dipendenti, come la penalizzazione economica nel caso di assenza per malattia. Ovviamene vanno colpiti duramene tutti coloro che si assentano senza essere malati come pure i medici che certificano il falso, ma quando la malattia è reale non si può penalizzare chi soffre.
Se la macchina non funziona, ne rispondono i dirigenti
Se si vuole che i dirigenti assumano un ruolo forte di datori di lavoro occorre dare loro strumenti normativi adeguati. Occorrerà quindi, da una parte, prevedere una limitazione della responsabilità civile degli stessi alle ipotesi di dolo e di colpa grave con riferimento alla decisione di avviare il procedimento disciplinare dei dipendenti pubblici. Dall’altra, avranno rilievo ai fini della responsabilità dirigenziale tutte le valutazioni negative in ordine al mancato collocamento a disposizione dei dipendenti che risultino avere uno scarso rendimento e verrà sanzionato il comportamento dei dirigenti che, a fronte di fatti che appaiono rilevanti sul piano della responsabilità disciplinare, facciano decorrere i termini per l’avvio del procedimento disciplinare o abbiano fatto valutazioni ritenute non credibili dall’Autorità.
I dirigenti che, senza adeguata giustificazione, non abbiano avviato il procedimento disciplinare nei confronti dei dipendenti per i quali ciò era dovuto, non potranno ricevere il trattamento economico accessorio
Legare la retribuzione ai risultati
Per tutti i dirigenti pubblici la componente della retribuzione legata al risultato non potrà essere minore del 30 per cento della retribuzione complessiva.
In mancanza di una valutazione corrispondente agli indirizzi, requisiti e criteri di credibilità definiti dall’Autorità, non potrà essere fatta valere la responsabilità dirigenziale e sarà vietato corrispondere ai dirigenti la componente della retribuzione legata al risultato.
Sarà vietato attribuire aumenti retributivi di qualsiasi genere ai dipendenti di uffici o strutture che siano stati individuati per grave inefficienza, improduttività, o sovradimensionamento dell’organico.
Efficienza e valutazione del merito anche per università, sanità e giustizia
Valutare il merito, responsabilizzare i dirigenti, rendere trasparente la gestione delle amministrazioni pubbliche è particolarmente importante nei settori che gestiscono i servizi che più incidono sulla qualità della vita dei cittadini e sulla competitività delle imprese. I provvedimenti di Brunetta di fatto si applicano solo ai dipendenti dei Ministeri che ormai rappresentano una minoranza dei dipendenti pubblici e non gestiscono servizi al cittadino: Per questo riteniamo indispensabili che questi criteri di organizzazione e di gestione si applichino al più presto alla sanità, all’università, all’istruzione e alla giustizia. E per questo la nostra valutazione dell’azione del Ministro Brunetta è di grave insufficienza: molta propaganda e poca incisività nel cuore dei problemi della pubblica amministrazione .
Più tecnologia per Pubbliche Amministrazioni efficienti e trasparenti
Su questi temi il PD ha presentato un pacchetto di emendamenti che si affiancano a quelli già presentati al ddl 1441 bis (già presentati alla Camera) per accelerare il processo di digitalizzazione delle amministrazioni pubbliche e fare dell’innovazione tecnologica una leva della modernizzazione delle pubbliche amministrazioni, riguardanti i seguenti temi:
l'attribuzione di una mail a tutti i nuovi nati;
la possibilità per tutti i cittadini di comunicare via e mail con le amministrazioni;
la visibilità dei livelli di servizio prestati dalle amministrazioni stesse;
l'obbligo da parte delle amministrazioni di gestire le procedure di appalto esclusivamente attraverso strumenti telematici.

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Più controllo del mercato con una visione europeista

Articolo di Donata Gottardi, parlamentare europeo, pubblicato su L’Unità del 18 ottobre 2008
La paura, un fenomeno che si alimenta della spirale negativa che caratterizza le borse, i mercati e, a breve, anche i consumi e la produzione. Questo scenario, impensabile fino a pochi mesi fa, sta cambiando l’ordine delle emergenze e fa sembrare banali gli altri temi. Eppure gli elementi per capire cosa stava per succedere erano davanti ai nostri occhi e in Europa avremmo potuto prendere immediati provvedimenti.
Noi socialisti non abbiamo mai demonizzato il mercato, abbiamo sempre detto e scritto che la tentazione di abbandonare la produzione per finanziarizzare l’economia era pericolosissima e che il mercato non è una libera arena senza regole. Al Parlamento europeo abbiamo posto all’attenzione da tempo due questioni fondamentali che evidenziano le lacune da cui è originata la crisi: la mancanza di una comune supervisione finanziaria e prudenziale e di una regolamentazione adeguata di tutti i prodotti finanziari, soprattutto dei derivati. Per questa ragione siamo stati promotori di due importanti iniziative legislative, adottate dal PE, sulla supervisione prudenziale europea armonizzata e consolidata per i grandi gruppi finanziari e sulla regolamentazione dei fondi speculativi e delle Private Equity.
È necessario agire a livello europeo su diversi piani:
- interventi coordinati nell’area Euro per mantenere liquidità sui mercati, garantendo i prestiti interbancari, ricapitalizzare con intervento pubblico le grandi banche in difficoltà e tutelare i risparmi dei cittadini;
- regole quali le garanzie patrimoniali per tutti i soggetti finanziari, la valutazione del rischio, le remunerazioni degli alti dirigenti finanziari, la revisione del ruolo delle agenzie di rating, la garanzia sui depositi bancari, le regole contabili internazionali e le sanzioni;
- il passaggio a una governance economica per la stabilità finanziaria e la crescita economica, da finanziare con strumenti aggiuntivi,come gli Eurobonds o un Fondo di investimento.
Serve più Europa, più integrazione europea e maggiore responsabilità politica dei governi e delle istituzioni europee rispetto al senso e al ruolo ultimo dell’UE e della sua capacità di garantire sicurezza e benessere ai suoi cittadini e contribuire alla stabilità internazionale. È impressionante registrare il cambiamento di posizioni che si sta realizzando all’interno della commissione economica del Parlamento europeo. Fino a qualche mese fa a ogni incontro con il presidente della Bce, Trichet, eravamo noi socialisti a chiedere maggiore controllo e supervisione. Ora,su tutti i dossier aperti, anche i popolari e i liberali sostengono questa impostazione, con una variante però che continua a caratterizzarci.
La loro proposta prevede di richiudersi e di tornare alla difesa nazione per nazione. Una ricetta sbagliata,come spiegano gli economisti,ancora di più oggi, dato l’intreccio dei sistemi economici e finanziari su scala globale, come dimostra il fatto stesso che l’Unione europea ha subito il contagio dei “prodotti tossici”statunitensi.
Ci aspettiamo che le vicende attuali spingano gli attori politici e le istituzioni verso atteggiamenti più lungimiranti e responsabili.
Penso che sarà più facile raggiungere un buon accordo sul rapporto sulle Finanze pubbliche 2007-2008, di cui sono relatrice, dove chiedo una governance coordinata,investimenti comuni e qualità della spesa pubblica, che non significa tagli indiscriminati e riduzione del Welfare State ma un ridisegno dell’intervento dello Stato attraverso politiche macroeconomiche e di bilancio che siano più vicine alle esigenze delle cittadine e dei cittadini. Lo stesso per la revisione della direttiva sui Fondi comuni di investimento, di cui sono relatrice ombra per il PSE, dove vorrei rafforzare l’impalcatura di regole e di controlli favorendo l’emergere di un mercato europeo armonizzato rispetto a un prodotto finanziario di larga distribuzione al dettaglio e che ha un peso rilevante anche riguardo ai fondi pensione.
È il momento di impegnarsi nell’adozione di misure concrete.
Troppo spesso ne abbiamo parlato senza trarne le conseguenze e senza cimentarci nel reimpostare le nostre politiche tese a evitare il richiudersi a riccio individuale.

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Dario Marini ai giovani PD

Creare un movimento giovanile non è uno scherzo, significa mettersi insieme e cominciare a delinare il futuro del nostro partito e dell’intera società italiana. Non si tratta di operazioni oscure di segreteria e piccole grandi manovre di bassa politica. Dobbiamo volare alto e dobbiamo farlo insieme.
Proprio per questo motivo, il tuo contributo è indispensabile, perché un sogno collettivo non nasce dalla mente o dalla penna di pochi singoli. Non nasce in qualche oscuro ufficio romano ma nasce nelle piazze, nei bar, nelle strade, nelle nostre famiglie, nella rete. Ecco ti propongo allora di iniziare a sognare assieme questo giovanile in modo aperto, spontaneo, trasparente cosi come dovrebbe essere la politica di un movimento giovanile nuovo e rivoluzionario. Mettiamo insieme i nostri sogni, le nostre idee, le proposte che in questi mesi abbiamo meditato nel nostro cuore e condiviso con i nostri amici. Partecipa anche tu al grande laboratorio collettivo “Il sogno” ed invia il tuo contributo al cambiamento del partito, del movimento giovanile e del Paese.
Il 25 Ottobre possiamo far sentire la nostra voce, testimoniare le difficoltà quotidiane, di una generazione che non vede il domani.
Un 25 Ottobre di proposta, non di protesta, un’occasione senza precedenti per rilanciare la politica, quella vera, sentita sulla pelle, fatta di umiltà e di passioni forti, ma anche soprattutto per ascoltare, chiedere alle istituzioni gesti di responsabilità di fronte alla recessione economica, dare risposte concrete a chi vuole guardare avanti, viaggiare, studiare, realizzare le proprie aspirazioni.
In altre parole, capire e costruire la società del 2020.
Dario Marini
Lettera aperta

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lunedì 20 ottobre 2008

Sciopero nei servizi pubblici di Pietro Ichino

Articolo pubblicato sul Corriere della Sera il 17 ottobre 2008
Al Governo che intende intervenire con una legge sullo sciopero la Cgil contrappone il suo ormai consueto secco “no”, mentre Cisl e Uil temperano il loro rifiuto in un “ni”. Ma se l’una e le altre volessero, il modo per impedire l’intervento legislativo lo avrebbero, ed efficacissimo: basterebbe che fossero loro a regolare incisivamente la materia nell’accordo interconfederale con le associazioni imprenditoriali, il cui negoziato langue da mesi. Anzi, avrebbero già dovuto averlo fatto molti anni fa: non perché tirate per i capelli, ma di propria iniziativa e nel proprio prioritario interesse. Vediamo perché.
In questi ultimi mesi la vicenda Alitalia ha reso particolarmente evidenti i difetti del nostro sistema di relazioni industriali nel settore dei trasporti pubblici: un sistema che premia la frammentazione sindacale, garantendo uguali diritti di assemblea, permessi retribuiti, numero di rappresentanti in azienda e diritto di proclamare scioperi a tutti i sindacati, da quello che rappresenta la maggioranza dei dipendenti dell’azienda a quello che ne rappresenta il 2%.
A fare danno è soprattutto l’attuale disciplina dello sciopero, che non soltanto consente al sindacatino ultra-minoritario di proclamare l’agitazione contro il contratto collettivo validamente stipulato dai sindacati maggiori, ma consente anche ‑ caso unico al mondo - ai lavoratori che hanno aderito a quel contratto, e ne godono i benefici, di partecipare allo sciopero proclamato contro di esso: secondo la giurisprudenza e la cultura sindacale dominanti, la clausola di tregua non li vincolerebbe in alcun modo. Risultato: da un quarto di secolo in qua, mediamente uno sciopero al mese in ciascun comparto dei trasporti, anche pochi giorni dopo il rinnovo del contratto, al livello nazionale come a quello locale.
Questa è una delle ragioni per cui nel corso degli ultimi venticinque anni Cgil Cisl e Uil hanno perso sempre più terreno nei trasporti pubblici (ma non soltanto in questo settore): qui gli “autonomi” hanno avuto troppo sovente la possibilità di bloccare ‑ talvolta addirittura ridicolizzare ‑ le scelte contrattuali compiute dalle confederazioni maggiori e “moderate”, proclamando scioperi tanto più efficaci quanto più dannosi per la collettività, così accreditandosi agli occhi dei lavoratori come sindacati più aggressivi e più capaci di promuovere gli interessi specifici degli addetti al servizio. Salvo poi rischiare, con l’esercizio sconsiderato del loro potere di veto, di portare l’azienda al fallimento. È quanto ha rischiato di accadere all’Alitalia; ma, mutatis mutandis, a storie non dissimili assistiamo in molte altre aziende di servizi pubblici: ultimo il Teatro alla Scala, tenuto in ostaggio da un sindacato autonomo minoritario, contrapposto alle confederazioni maggiori che rappresentano la maggioranza assoluta dei dipendenti.
Siamo, con la Francia, l’unico grande Paese europeo dove manca il requisito del consenso maggioritario dei lavoratori per la proclamazione dello sciopero nei servizi pubblici: regole di questo genere si applicano da molti anni, per esempio, in Gran Bretagna, Spagna, Germania e Grecia. Ora il ministro Sacconi preannuncia un disegno di legge volto ad allineare l’Italia a quei Paesi. A parte alcune disposizioni oscure e alcuni difetti tecnici, ben suscettibili di essere corretti in Parlamento, l’unico argomento pregiudiziale che potrebbe essere portato contro questa iniziativa legislativa del Governo è che la nostra legge attuale sullo sciopero nei servizi pubblici essenziali già prevede una procedura che consentirebbe ai sindacati maggiori di negoziare con gli imprenditori regole efficaci per togliere ai sindacati minoritari il potere di veto: regole che poi, una volta ratificate dalla Commissione di Garanzia, diventerebbero vincolanti per tutti. Questa soluzione avrebbe l’evidente vantaggio di non espropriare il sistema delle relazioni industriali del potere di regolare la materia, di consentirgli di modulare e aggiustare la disciplina secondo le esigenze reali (per esempio, limitandola sperimentalmente al settore dei trasporti). Senonché, nonostante le mille e mille umiliazioni patite nel settore dei servizi pubblici per mano del sindacalismo autonomo, Cgil, Cisl e Uil non hanno avuto fino a oggi la lucidità e lungimiranza necessarie per utilizzare incisivamente questo strumento. Così ora il ministro ha buon gioco a proporre l’intervento legislativo, facendo valere il principio di sussidiarietà. Le confederazioni maggiori vogliono impedirlo? Firmino subito con Confindustria la parte dell’accordo interconfederale sulla rappresentanza sindacale nei luoghi di lavoro, integrata con poche disposizioni chiare e nette sui vincoli procedurali alla proclamazione dello sciopero nei servizi pubblici.
Per difendere l’autonomia collettiva dalle ingerenze del legislatore occorre un sistema di relazioni industriali forte, cioè capace di produrre buoni accordi, nei tempi necessari. Finora non è stato il nostro caso.
Articolo pubblicato sul Corriere della Sera il 30 gennaio 2002
Articolo pubblicato sul Corriere della Sera il 21 luglio 2000

Estratto da un articolo pubblicato sul Corriere della Sera il 4 agosto 2000

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Eliminiamo le preferenze!

In un momento di crisi nei rapporti tra la società civile ed i partiti, dovuta soprattutto alla situazione economica e sociale dell’Italia ed all’incapacità di questo governo di affrontare problemi gravi e urgenti come quello dei redditi bassi, il Governo Berlusconi spudoratamente si impegna ad eliminare le preferenze per le prossime elezioni europee. Pertanto, il porcellum viene esportato in Europa dove permane una visione di democrazia sostanziale diversa dalle prospettive che Berlusconi vuole creare in Italia.
Le giustificazioni sono inconsistenti come era inconsistente la posizione di Mariotto Segni negli anni 90’ che indusse alla preferenza unica. All’epoca si trovò la falsa giustificazione che bisognava difendere le istituzioni dalle infiltrazioni mafiose. Sono stato per diversi anni consigliere comunale ed assessore comunale nel Sud è, quindi, posso affermare che la preferenza unica veniva maggiormente utilizzata da chi illegittimamente controllava il territorio ………….. le preferenze verso alcuni candidati imposti dovevano uscire. Le persone oneste non potevano più contare sulla 2^, 3^ e 4^ preferenza.
All'on.le Stefano Esposito ( http://www.stefanoesposito.net/), fondatore del gruppo "Vogliamo le preferenze" impegnato a sensibilizzare l’opinione pubblica su questo problema, poniamo alcune domande.
Condivide l’attuale sistema elettorale senza preferenze per le elezioni politiche?
E' noto che da tempo, insieme ad altri compagni e amici del mio partito, conduco una forte battaglia politica contro questo sistema che io considero sciagurato perché sottrae ai cittadini la possibilità di scegliere il candidato che ritengono più rappresentativo. Non faccio ipocrisie, anche la mia elezione è figlia di questo sistema, anch'io mi sento in qualche modo "nominato". Per questo motivo sento ancora più forte la responsabilità di mettere in campo tutte le azioni possibili per sensibilizzare l'opinione pubblica su questo tema.
La determinazione del Governo Berlusconi di eliminare le preferenze per le elezioni europee che reazioni ha provocato in lei?
In politica più che di reazioni istintive bisogna agire sulla base di riflessioni nel merito. E' evidente che la proposta di modifica della legge europea è figlia di quanto fatto a livello nazionale. Con in più l'aggravante della soglia di sbarramento molto alta, inserita appositamente per liberarsi di forze politiche "fastidiose" secondo Berlusconi, la Destra di Storace, l'Udc, Rifondazione Comunista.
Su Face book sono nati diversi gruppi per difendere lo spazio di democrazia per gli elettori (“Vogliamo le preferenze” con 1625 membri, “Lasciateci scegliere: non toccate le preferenze” con 1395 membri ed altri). Questi gruppi che operano in rete e rappresentano l’e-democrazia in che modo possono influire sull’opinione pubblica?
Il fenomeno Facebook, e i social network in genere, ha delle prospettive interessanti nel campo della comunicazione politica. Gli osservatori più attenti, soprattutto in USA, sostengono che il futuro dell'informazione politica è nei social network, destinati a scalzare l'informazione tradizionale. Il Pd piemontese rappresenta un caso di scuola in questo senso. Sono presenti numerose personalità politica di tutti i livelli e piano piano sta diventando un luogo aperto di confronto, una piccola agorà se mi si passa il termine.
Il Governo Berlusconi marcia per la sua strada a colpi di decreti, senza dialogo con l’opposizione e con provvedimenti autoritari (la scuola con il maestro unico, l’università e la ricerca con la privatizzazione ed i tagli alle risorse, il pubblico impiego con l’eliminazione del salario incentivante e altro). Questo modo di operare rappresenta un rischio per una democrazia partecipativa alla quale l’Italia si è sempre richiamata? Quale è l’alternativa a questo stato di cose?
Magari fosse solo un problema di democrazia partecipativa. Il problema è di democrazia costituzionale. La nostra carta fondamentale parla chiaro, la decretazione ha come fondamento l'urgenza e la necessità. Non mi pare che questo sia il caso delle decine di provvedimenti che il governo sta mettendo in campo per decreto. Il Capo dello Stato ha operato un forte richiamo in questo senso, ma pare che Berlusconi non ci senta da questo orecchio. C'è da dire che il Pd fatica a far sentire la propria voce anche su fatti gravi come questi, credo sia il tempo di darci una scossa.

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Intervista a Beppe Cellai

Beppe Cellai, fondatore del gruppo “Raccolta firme contro il decreto Gelmini” su Facebook con 375 membri, si è reso disponibile a partecipare all’intervista che segue.
Che cosa ti ha spinto a costituire il gruppo e per quali obiettivi?
Premetto che io ho fatto il liceo classico di Viareggio ed ho avuto 3 anni di diritto. Il gruppo è nato a seguito di un messaggio che ho ricevuto e che è stato fatto circolare in tutti i cellulari e mailbox d’Italia che recitava l’invito a scrivere sulla posta del presidente Napolitano un appello a non firmare il decreto Gelmini. Il messaggio recitava anche che il raggiungimento di almeno 20000 firme avrebbe provocato la sospensione del provvedimento. Pur sapendo che la costituzione non prevede poteri decisionali al Presidente della Repubblica il mio obiettivo era costruire un blog che fungesse da punto di partenza per un'altra attività corale di studenti, insegnanti, cittadini italiani e non per far sentire a questo governo il parere contrario sulla riforma della scuola. Il risultato è stato perfettamente raggiunto e circa 5 giorni dopo l’apertura del blog, sul sito del Quirinale, si è resa necessaria una frase che scoraggiasse dal continuare ad inviare mail di disaccordo al decreto 133.
Cosa non condividi dei provvedimenti della Gelmini?
I punti chiave che non condivido della riforma Gelmini sono un turnover sconsiderato che in due anni rischia di mandare facoltà sul lastrico oltre che migliaia di ricercatori e lavoratori a casa. Altro punto è la possibilità di trasformare le facoltà in fondazioni private che è sconvolgente. Come possiamo adesso passare da facoltà pubbliche a private, non siamo in USA, dove, essendo abituate, le famiglie iniziano a mettere da parte i soldi per le università dei figli fin da quando essi nascono. Come reazione a questo problema che ovviamente porterà ad un aumento delle tasse universitarie, vi è l’ultimo aspetto che per niente condivido del decreto Gelmini, la scomparsa del tetto sul pagamento da parte delle famiglie delle tasse universitarie. Il modello universitario italiano è sempre stato impiantato sul principio della scuola per tutti, per questo lo stato ha sempre coperto l’80% dei costi dell’istruzione universitaria. Se, adesso, il tetto del 20% scompare chi è che potrà mandare i figli all’università con tasse da 10.000 euro l’anno?
Quali sono i rischi dei provvedimenti della Gelmini?
Ho paura che l’insieme di questi tre orrori legislativi rovinerà le generazioni di studenti dei prossimi vent’anni. Probabilmente, davanti alla prospettiva di spendere 50.000 euro per mandare un figlio all’università solo i bambini che nasceranno da ora in poi saranno supportati da una famiglia preparata economicamente all’evento, gli altri boh…
E non si dica: “e allora ditemelo voi dove trovare i soldi”, perché uno stato che risparmia sull’istruzione dei propri figli è uno stato che vuole costruirsi tanti robot in grado di dargli il consenso, nulla più!
Oggi ho scoperto tramite una mia amica che è in erasmus in Olanda alla scuola di scienze politiche de L’Aia studiano il fenomeno Berlusconi in termini di leadership totalitaria ottenuta tramite controllo dei mezzi di comunicazione, incitamento delle folle, del suo modo di cavalcare le paure della gente e di offrire soluzioni semplici ed irrealizzabili.
Caro Antonino, non volevo crederci, ma mi sa che il rischio di essere in una dittatura moderna è sempre più reale.
Almeno esportiamo il nuovo modello di leadership coniato e praticato da Berlusconi che è particolare e diverso da quello che ci insegnano Warren G. Bennis e John P. Kotter e perciò molto prezioso anche se in tempi passati è stato attuato in Italia.

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