domenica 28 dicembre 2008

Pubblico, settore strategico

Il Ministro Renato Brunetta è intervenuto sul Corriere della Sera sulla crisi economica e sulle valutazioni di alcuni economisti (Alesina e Giavazzi) individuando nella riforma della Pubblica Amministrazione il settore che può svolgere una funzione anticiclica.
“Alcuni economisti (Alesina e Giavazzi), afferma il Ministro Brunetta, hanno suggerito che il problema potrebbe essere in parte superato con una riforma pensionistica, legata all'aumento dell'età pensionabile, che riducendo la spesa futura potrebbe consentire di spendere di più oggi. Si tratterebbe di anticipare una riforma ineludibile in futuro, per trasferire risorse dal domani all'oggi in funzione anticiclica. Ma vi è anche un'altra strada, che si sta perseguendo e che dovrebbe trovare un maggiore sostegno bipartisan, che passa dall'azione di riforma dell'amministrazione pubblica.”
Il settore pubblico, continua il Ministro Brunetta, può infatti rafforzare la sua funzione anticiclica. In primo luogo, non v'è dubbio che i dipendenti pubblici soffrano meno il ciclo economico. Non vi sono licenziamenti ed i salari sono garantiti. Come tale è un settore stabilizzatore del ciclo. Ma questo non è l'unico contributo che esso può offrire alla politica anticiclica. Il piano di riforma della pubblica amministrazione, il cosiddetto «piano industriale», punta a un aumento della produttività e dell'efficienza, e quindi alla riduzione del costo unitario dei servizi pubblici, di dimensioni maggiori di quello ottenibile in altri settori che già da anni hanno proceduto a ristrutturazioni. Questo significa due cose. La prima è una riduzione del costo atteso delle pratiche burocratiche e di altri servizi che incidono direttamente su cittadini ed imprese. La seconda è una riduzione della spesa pubblica futura o, ancor meglio, un aumento della quantità e della qualità dei beni e dei servizi pubblici offerti, a parità di spesa. Questo significa che un forte sostegno unitario di appoggio all'azione riformatrice nel pubblico impiego è auspicabile per conseguire un effetto che si può sommare a quello atteso dalla proposta di Alesina e Giavazzi, quello cioè di assicurare un risparmio futuro certo, da poter spendere oggi, se necessario, per il finanziamento di altre riforme, come quella degli ammortizzatori sociali, intesi non come strumenti di assistenza passiva ma come strumenti attivi di miglioramento della adattabilità e, quindi, mobilità del capitale umano. Sono strumenti che hanno un costo, ma che sono necessari in un'economia dinamica, e tanto più nell'immediato per affrontare la crisi.” Corriere della Sera, Brunetta, l’impiegato efficiente fa bene al sistema, 27 dicembre 2008
Ritengo che le affermazioni del Ministro siano condivisibili in linea di principio e che in Senato e prima nella Commissione Affari Costituzionali sia stato espresso il massimo sostegno bipartisan al disegno di legge delega sulla Pubblica Amministrazione. Quindi, il Ministro deve ricercare la conferma di questo impegno e non “un maggior sostegno bipartisan”.
L’approvazione del disegno di legge delega sulla valutazione e trasparenza delle Pubbliche Amministrazione da parte del Senato ha segnato per la prima volta dall’inizio della legislatura un rapporto di collaborazione e di confronto tra la maggioranza e l’opposizione.
Il disegno di legge delega approvato configura il cambiamento delle pubbliche amministrazioni attraverso la trasparenza dei risultati e del grado di conseguimento degli obiettivi, la valutazione delle singole amministrazioni e la misurazione del lavoro sulla base di metodologie e parametri oggettivi certificati dall’agenzia indipendente.
La trasparenza della gestione delle amministrazioni pubbliche coinvolge gli utenti a partecipare per il miglioramento dei risultati.
Prima di questo risultato positivo il Ministro Brunetta ed il Governo avevano eliminato la contrattazione integrativa ed il salario accessorio. Fra le tante ragioni addotte vi era quella che bisognava introdurre un sistema di produttività che privilegiasse il merito e la premialità.
Dal mese di novembre le organizzazioni sindacali, esclusa la Cgil ed altri sindacati, hanno sottoscritto l’ipotesi di accordo del C.C.N.L. per il comparto Ministeri e delle Agenzie fiscali. Tali ipotesi hanno un rapporto di continuità con il passato e prevedono l’obbligo per le amministrazioni di dotarsi di sistemi di misurazione e di valutazione dei risultati conseguiti. Nella parte delle ipotesi dedicata all’incentivazione della produttività dei dipendenti non è prevista l’introduzione di sistemi finalizzati a favorire il merito e la premialità. Inoltre non si parla di trasparenza ai fini del coinvolgimento degli utenti.
Ritengo che i contenuti delle ipotesi contrattuali non favoriscano lo spirito del disegno di legge delega approvato in Senato e che, pertanto, occorre anticipare i tempi e predisporre degli strumenti che anticipino i contenuti del provvedimento anche se al momento non ha alcun valore di legge.
Occorre effettuare una ricognizione delle pubbliche amministrazioni per conoscere il sistema di valutazione e misurazione dei risultati dei diversi comparti ed intervenire per adeguare quei settori che si trovano indietro rispetto ad un sistema efficace. Inoltre occorre introdurre la trasparenza dei risultati ed un sistema che assecondi il merito e la premialità.
Non intervenire significa fare del 2009 una fotocopia del 2008 con tutte le problematiche che si sono presentate in sede di attribuzione del salario accessorio.
Credo che tutto questo possa essere effettuato anticipatamente rispetto all’approvazione definitiva del disegno di legge delega e dei decreti attuativi.
Occorre farlo per intervenire positivamente sulla grave situazione economica del paese e stabilire un rapporto di discontinuità con il passato che privilegia un vecchio modo di fare sindacato, di essere dirigente e di lavorare nel pubblico impiego.
La responsabilità di tutto questo non può essere imputata ai dipendenti pubblici nel caso in cui non vengano effettuati gli interventi necessari per il 2009 ma al Ministro ed al management pubblico.

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giovedì 25 dicembre 2008

Marta D’Agostino Tortorella: Desideri dal 2009

In un momento particolare di grave crisi economica e prossimo al Natale ed all’inizio del nuovo anno sono portato a riflettere su quello che è stato il 2008 e su come potrà essere il 2009. In questa riflessione mi sono fatto aiutare dalla mia amica Marta D’Agostino Tortorella, donna molto sensibile ai problemi sociali e impegnata politicamente.
Marta da sempre a sinistra si è avvicinata alla politica con la nascita del Pd, così come delineato nel Convegno di Orvieto dell'autunno 2006 e poi dal discorso del Lingotto di Walter Veltroni. Fa parte del coordinamento di circolo del Pd "Alfredo Vivian partigiano" di Dorsoduro San Polo Santa Croce di Venezia, è membro dell'Assemblea comunale del Pd veneziano, fa parte inoltre del gruppo di lavoro del Pd cittadino sull'immigrazione, ed è tra i promotori del comitato per il diritto di voto agli immigrati alle amministrative. Partecipa anche al circolo on line "Barack Obama", per il quale collabora per l'organizzazione della "chat democratica", scrive per il blog de "imille".
Ecco l’intervista realizzata.
Antonino. Cosa ti aspetti dal nuovo anno?
Marta. Mi aspetto un 2009 di serenità e di impegno sperando che la situazione generale muti in modo positivo
Antonino. In questi giorni hai pensato agli altri e in che modo?
Marta. Che ci sia qualche spiraglio per iniziative politiche e anche personali positive i cui semi sono stati gettati nel 2008
Antonino. Da chi?
Marta. Sono impegnata nella raccolta delle firme per una petizione per il diritto di voto agli immigrati e per difondere il testamento biologico
Antonino. E dopo
Marta. E continuerò questa campagna con iniziative nuove che ho concordato con il comitato promotore
Antonino. Hai pensato a coloro che vivono il disagio sociale a causa della crisi economica?
Marta. Beh mi ha molto colpita questa storia della social card che oltre ad essere una misura impudica è stata anche applicata in modo scorretto nei confronti di chi ha ricevuto la card vuota
Antonino. E’ sufficiente la carta acquisti ed il bonus famiglia per aumentare la domanda di consumo
Marta. Non credo
Antonino. Con le misure adottate dal Governo si risolvono i problemi di sopravvivenza per i redditi bassi (lavoratori dipendenti e pensionati)?
Marta. Non credo. Penso che bisognerebbe aumentare il potere d’acquisto delle famiglie e poi non credo che la crisi si risolva con un maggior consumo.
Antonino. IL Partito Democratico propone di detassare i redditi da lavoro dipendente fino a 13 mila euro. Condividi la proposta?
Marta. Certo il lavoratore dipendente si deve poter trovare più soldi in busta paga e non assistenza
Antonino. Questo Governo perché non pensa o pensa in modo sbagliato a coloro che si trovano in difficoltà?
Marta. Perché è un Governo che nasce con due ossessioni: Il federalismo e gli interessi personali di Berlusconi e non riesce a fare una lettura della società in modo corretto.
Antonino.Condividi la proposta di Ichino della introduzione di un reddito minimo alle persone come avviene nei paesi del Nord Europa?
Marta. Certamente. Una misura di Welfare ci sta tutta. Si dovrebbe garantire il minimo vitale a tutti, ma in questi tempi di crisi sarà difficile realizzarla.
Antonino. Si parla di settimana corta e non si apre un confronto sulla crisi economica. Sulla settimana corta sono favorevoli tutti da Marcegaglia a Epifani. Può essere realizzata per garantire lavoro a tutti senza stabilire delle garanzie a monte come la detassazione dei redditi da lavoro dipendente bassi?
Marta. Non so, mi pare che siano palliativi e proposte per aprire i titoli sui giornali. Vedremo cosa effettivamente proporrà il Governo che finora si è dimostrato sordo alle richieste più serie di redistribuzione del reddito, il vero problema delle società occidentali e non solo.
Antonino. Una Pubblica Amministrazione efficiente ed efficace può incidere favorevolmente sui bisogni delle persone. Vedi ad esempio il pagamento dei conguagli ai pensionati INPS:
Marta. Certo sono tutte battaglie che dobbiamo giocarci nel prossimo anno e ci sarà molto da lavorare
Antonino. Perché in Italia è cosi difficile pensare agli altri ed alle loro difficoltà? Perché è cosi difficile amare il prossimo e particolarmente coloro che vivono in stato di bisogno? Vi è un motivo per non liberare dal bisogno le persone e renderle finalmente libere?
Marta. Credo che in Italia ci sia un fortissimo individualismo e anche un certo grado di egoismo, bisognerebbe fare opera di persuasione e anche far conoscere meglio le proposte del centro sinistra in particolare del Partito Democratico. Abbiamo la stampa contro e bisogna lavorare nel territorio per far passare una visione del mondo meno egoista e più solidale
Antonino. Il tuo, il mio e l’impegno degli altri come può cambiare le cose rendere questa società più eque?
Marta. Credo di si. Più incisiva è la nostra proposta ed il lavoro nel piccolo di ciascuno di noi, più la gente si abituerà a pensare a pensare in modo solidale, ripeto, e meno egoistico. Però ci vorrà lo sforzo di tutti a tutti i livelli.
Antonino. Invia un augurio per Natale e per il nuovo anno
Marta. Un augurio di un Natale sereno e soprattutto un 2009 che per tutti porti a un rinnovato ascolto anche alle fasce più deboli della popolazione e che ci porti a un 2009 ricco di novità positive.
Antonino. Mi associo agli auguri di Marta

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martedì 23 dicembre 2008

Carta acquisti e rischio povertà

La carta acquisti non decolla. Le persone che hanno fatto richiesta della social card sono circa trecentomila rispetto agli aventi diritto che superano un milione dei cittadini.
Non tutti i possessori della carta acquisti possono procedere agli acquisti nei negozi convenzionati in quanto non in tutte le carte sono stati accreditati i 120 euro previsti per i mesi di ottobre, novembre e dicembre. Pertanto sono pochi coloro che potranno beneficiare degli acquisti agevolati.
Il modello organizzativo approntato dal Governo è farraginoso e non porta benefici immediati e reali ai cittadini bisognosi. Le poste consegnano la carta acquisti non caricata ai cittadini che ne fanno richiesta e trasmettono all’INPS le richieste e l’Istituto Previdenziale provvede ad istruire le pratiche e rilasciare e trasmettere alle Poste il nulla osta. Quest’ultime provvedono ad accreditare le somme ai beneficiari.
Molti cittadini presentano la domanda senza allegare i dati ISEE che devono essere rilasciati dall’INPS e di conseguenza viene consegnata loro una carta senza accrediti.
Se i beneficiari degli acquisti sono pochi vuol dire che l’iter procedurale stabilito dal Governo non funziona in modo efficiente ed efficace. Pertanto gli aventi diritto non potranno beneficiare della carta in questo periodo di Natale.
Sono molti i cittadini che hanno diritto ai benefici della carta e che non hanno effettuato alcuna richiesta. Sarebbe opportuno prorogare il termine del 31 dicembre per il rimborso retroattivo dei tre mesi del 2008.
All’iniziativa del Governo hanno aderito Confcommercio, Confcooperative-Federconsumo, Confesercenti, Federdistribuzione e Lega cooperative.
Per rendere più fluido il rilascio della carta con le somme accreditate sarebbe opportuno rendere trasparente il processo di accredito delle somme ed i rapporti tra le Poste e l’INPS.
La carta acquisti rappresenta una misura insufficiente a favore dei redditi bassi e disorganizzata per come è stato disegnato il processo di consegna del servizio.
Tutto questo avviene nel momento in cui l’Istat presenta un’indagine sulla distribuzione del reddito e sulle condizioni di vita.
L’indagine è stata effettuata su un campione di 20.982 famiglie (52.772individui), rappresentativo della popolazione residente in Italia. Le domande hanno riguardato i redditi percepiti nel 2006 e le condizioni di vita nel 2007, ossia al momento dell’intervista (occupazione, difficoltà economiche, spese per la casa).
I dati di questa indagine sono allarmanti e gravi e da questi si evince che le misure del Governo a favore delle famiglie bisognose sono insufficienti ed inadeguate rispetto alla grave crisi economica che colpito l’Italia.
Dall’indagine Istat emerge che:
- Aumenta il numero delle famiglie costrette a richiedere prestiti o credito al negoziante per la spesa;
- Cresce il numero delle famiglie che arriva a fine mese con molte difficoltà.;
- Aumenta la diseguaglianza;
- La distribuzione del reddito è caratterizzata dal divario di sviluppo fra Nord e Sud. Il reddito familiare è di 25.693 euro nel Nord, di 25.130 euro nel Centro e di 19.272 euro nel Sud.
Dalle interviste risulta che il disagio economico è maggiormente avvertito rispetto al 2006 ed rappresentato dai seguenti dati sulle famiglie:
- Arriva a fine mese con molta difficoltà 15,4%;
- E’ stata in arretrato con le bollette 8,8%;
- Non riesce a riscaldare la casa adeguatamente la casa 10,7%;
- Non riesce a sostenere spese impreviste di 700 euro 32,9%;
- Non ha avuto soldi per gli alimentari 5,3%;
- Non ha avuto soldi per spese mediche 11,1%;
- Non ha avuto soldi per vestiti necessari 16,9%.
Tali dati si aggravano nel sud e nelle isole, nelle famiglie con più figli e nel caso in cui il reddito è rappresentato dalla pensione.
Di fronte alla gravità dei problemi che le famiglie in condizioni di disagio sociale vivono occorre che il Governo muti indirizzo per sostenere i redditi bassi e le famiglie in quanto le misure adottate fino a questo momento sono insufficienti per sostenere le famiglie e la domanda di consumo, la quale serve per migliorare la situazione economica del paese.
Infine sembra che tutti siano d’accordo (sindacati, confindustria) sulla settimana corta per affrontare la crisi economica. Oltre alle condizioni poste da Guglielmo Epifani (inclusione dei precari, investimenti negli ammortizzatori sociali) ritengo che la perdita di salario degli occupati dovrebbe essere compensata dalla detassazione dei salari fino a 13 mila euro annui cosi come propone il Partito Democratico. In caso contrario si corre il rischio di impoverire i lavoratori dipendenti e di non sostenere la domanda.
Intanto l’Istat rende noto che le vendite al dettaglio, a ottobre, hanno fatto registrare un calo dello 0,7% su base annua, con ribasso congiunturale dello 0,3%. Questo significa che il reddito delle famiglie non è stato sostenuto in modo efficace dai provvedimenti Governativi.
Indagine Istat sulla distribuzione del reddito e condizioni di vita delle famiglie
Istat Valore delle vendite al dettaglio

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lunedì 22 dicembre 2008

Pietro Ichino interviene sulle amministrazioni pubbliche

I principi della trasparenza totale, della valutazione e del benchmarking comparativo, contenuti originariamente nel disegno di legge del PD (n. 746/2008), sono stati pienamente recepiti nella legge sulle amministrazioni pubbliche approvata il 18 dicembre dal Senato. L’iter di approvazione prosegue alla Camera dei Deputati.
Si riporta l’intervento del senatore Pietro Ichino alla discussione generale sul testo unificato dei d.d.l. n. 746/2008 e n. 847/2008 redatto dalla Commissione Affari Costituzionali.
Signor Presidente, Colleghi – La prima domanda che dobbiamo porci, nell’affrontare la questione dell’efficienza e produttività delle nostre amministrazioni, è questa: che cosa non ha funzionato nelle riforme degli anni ’90 della nostra amministrazione pubblica, promosse dai ministri dell’epoca Sabino Cassese e Franco Bassanini?
Credo che la risposta sia questa: quando, nel 1993, si è esteso quasi interamente il diritto del lavoro privato al rapporto di impiego pubblico, e poi negli anni successivi si è perfezionata questa “privatizzazione”, non si è tenuto adeguatamente conto del fatto che nel settore pubblico manca per lo più la “molla” potentissima che muove il dirigente privato, cioè la concorrenza tra operatori diversi, che consente la dura sanzione del mercato contro l’inefficienza: è questa una “molla” che il potere politico, per sua natura, non è capace di sostituire con l’esercizio di un controllo rigoroso e imparziale.Nel mercato, l’utente/cliente/consumatore sanziona l’inefficienza rivolgendosi altrove: egli esercita così quella che Albert Hirschman chiama l’opzione exit. Lo stesso Hirschman, però, ci avverte che, se non è data l’opzione exit, la capacità di aggiustamento di una grande struttura dipende dal fatto che ai suoi interlocutori – siano essi utenti, clienti, consumatori o semplicemente cittadini – sia data almeno la possibilità di farsi sentire, di denunciare le inefficienze, di interloquire nelle scelte: in altre parole, l’opzione voice. Il problema fondamentale della nostra amministrazione pubblica sta nel fatto che fino a oggi in essa al cittadino, per lo più, non si è data né l’una opzione né l’altra: né exit, né voice.
La voice contro l’inefficienza dovrebbe essere esercitata dalla cittadinanza attraverso i propri rappresentanti politici; ma troppo sovente questi tendono a interferire con l’amministrazione per fini del tutto diversi da quelli del miglioramento della sua efficienza.
D’altra parte, non può essere data utilmente voce ai cittadini se, prima ancora, non è data loro anche l’informazione indispensabile perché essi possano esercitare la propria critica.
Ora, la nostra amministrazione statale e più in generale le nostre amministrazioni pubbliche, per la maggior parte, sono tra le più opache fra tutte quelle dei Paesi dell’Occidente cosiddetto avanzato. Non ci si può stupire, dunque, che ne risulti un gravissimo difetto di stimoli al miglioramento dell’efficienza delle amministrazioni stesse. Si sono dati al management pubblico gli stessi poteri, la stessa discrezionalità, di cui dispone il management delle imprese private, ma in un contesto in cui – nella maggior parte dei casi ‑ il cattivo o mancato esercizio degli stessi non è sanzionato né dal mercato, né da una vera possibilità di interloquire del del cittadino-utente.
La nostra iniziativa legislativa su questo terreno ‑ concretatasi già nella passata legislatura con la presentazione del disegno di legge n. 1233 del dicembre 2006, integrato e aggiornato in questa legislatura con il disegno di legge n. 746 del maggio scorso ‑ è essenzialmente mirata a correggere questo difetto grave del nostro sistema, introducendo e radicando profondamente nel sistema stesso due principi fondamentali:
- innanzitutto il principio della trasparenza totale: quella total disclosure che in Svezia costituisce principio generale fin dalla metà degli anni ’70; e che da tempo costituisce principio generale anche nelle amministrazioni di grandi Paesi nostri partner europei come la Gran Bretagna;- inoltre il principio della misurazione e valutazione indipendente, che esso pure costituisce un cardine essenziale di quei sistemi.
E’ doveroso riconoscere alla maggioranza – e in essa particolarmente al Relatore Carlo Vizzini e al Senatore Maurizio Castro – il merito di avere subito colto l’importanza decisiva di questi principi e di aver consentito che la Commissione Affari Costituzionali in sede redigente li introducesse nel testo unificato che è ora al nostro esame.
E’ importante anche sottolineare come questi due principi siano tra loro complementari e reciprocamente indispensabili. La trasparenza totale deve infatti consentire a qualsiasi cittadino, ma soprattutto agli osservatori qualificati – associazioni, sindacati, stampa specializzata, ricercatori universitari – di compiere direttamente la valutazione dell’efficienza e produttività di qualsiasi amministrazione pubblica utilizzando gli stessi dati su cui si compie la valutazione da parte dell’analista interno all’amministrazione. E il civic auditing deve potersi confrontare sistematicamente con l’internal auditing, perché solo in questo modo gli indici di andamento gestionale prodotti da quest’ultimo, dall’analista interno alla struttura pubblica, saranno del tutto credibili. Ecco perché assume importanza cruciale l’accessibilità immediata on line di tutti i dati raccolti dal nucleo di valutazione, ora esplicitamente disposta nell’articolo 3 del testo legislativo al nostro esame: la loro visibilità consentirà, oltretutto, che gli osservatori qualificati esterni e in particolare i sindacati dei lavoratori controllino la qualità stessa di quei dati, la loro genuina rappresentatività rispetto alla realtà del funzionamento dell’amministrazione. E questo consentirà al sistema della contrattazione collettiva di utilizzare senza riserve gli stessi indici di andamento gestionale prodotti dal sistema come riferimento per una determinazione equa ed efficace della parte della retribuzione legata a efficienza e produttività delle strutture.
Ecco dunque l’importanza anche della public review, ovvero di quell’incontro pubblico – previsto anch’esso nell’art. 3 del testo al nostro esame ‑ nel quale periodicamente l’analista interno presenterà le valutazioni contenute nel proprio annual report in progress, per confrontarle con quelle espresse dagli osservatori qualificati.
Trasparenza e valutazione consentiranno infine di porre permanentemente a disposizione dei cittadini gli indici di andamento gestionale di ciascuna amministrazione o servizio: indici che le tecniche oggi disponibili consentono di elaborare per qualsiasi funzione amministrativa, dalla giustizia alla sanità, dalla scuola ai servizi nel mercato del lavoro, dalle attività di polizia all’amministrazione tributaria. Ma trasparenza e valutazione consentiranno anche, se gli indici saranno elaborati secondo tecniche e criteri opportunamente standardizzati, di costruire tabelle nelle quali le amministrazioni omologhe potranno essere poste tra loro a confronto, attivandosi in tal modo quella tecnica del benchmarking comparativo (espressamente prevista dall’articolo 3 del testo al nostro esame), che ha dato risultati così straordinariamente positivi in tutti i Paesi in cui essa è stata praticata seriamente, e che anche in casa nostra potrà costituire un fattore importantissimo di successo della riforma federalista dello Stato.
La nuova norma impone esplicitamente che alle amministrazioni che risulteranno meno virtuose si imponga il riallineamento alla media entro un termine ragionevole. E di questo dovranno rispondere: il management nei confronti del vertice politico (assumendo in questo modo un significato preciso la “responsabilità dirigenziale” oggettiva di cui parla – fino a oggi invano – l’art. 21 del testo unico n. 165 del 2001); ma anche il vertice politico nei confronti della cittadinanza.
Nell’attivazione del benchmarking comparativo un ruolo cruciale sarà svolto dall’agenzia centrale, il cui compito sarà non soltanto di garantire l’indipendenza effettiva degli organi centrali e periferici cui è affidata la valutazione in ciascun comparto, ma anche di promuovere e sorvegliare l’applicazione dei metodi più evoluti e più affidabili nella raccolta e valutazione dei dati e di assicurare la confrontabilità degli indici che in tal modo verranno elaborati.
Avremmo preferito che questo organo centrale assumesse esplicitamente la veste di una autorità indipendente. Per tornare al paradigma di Hirschman, se riteniamo necessario che una vera e propria autorità indipendente sia preposta alla garanzia dell’opzione exit, cioè della libera concorrenza, là dove possono operare i meccanismi di mercato, non si vede perché non sia altrettanto necessario che una vera e propria autorità indipendente sia preposta alla garanzia dell’opzione voice, là dove non possono essere i meccanismi di mercato a misurare l’efficienza e la produttività delle strutture. Ma va detto che, per le caratteristiche di indipendenza effettiva e di autonomia anche finanziaria attribuite a questo nuovo organo centrale dal testo legislativo, in seguito all’accoglimento di una parte del nostro disegno di legge cui attribuiamo importanza cruciale, l’organo assume di fatto, anche se non nominalmente, un rango sostanzialmente simile a quello delle altre autorità indipendenti.
Quando questo sistema sarà a regime, ogni cittadino potrà vedere da casa propria, con un clic sul computer, qual è il rating dei servizi disponibili nella propria città o provincia nel campo della sanità, della scuola, della polizia locale, eccetera, rispetto alle altre città e province vicine e lontane. E potrà chiederne conto ai politici preposti alle relative strutture; potrà fondare il proprio voto non su opzioni ideologiche a priori, ma su dati precisi.
A loro volta, i politici potranno – anzi dovranno – fissare ai dirigenti apicali che ingaggeranno obiettivi concreti e stringenti: quegli obiettivi che in Gran Bretagna vengono qualificati con l’acronimo SMART: specific, measurable, achievable, repeatable, timely: ovvero “precisi, misurabili, ragionevolmente esigibili, ripetibili, collegabili a scadenze predeterminate”. Esattamente il contrario rispetto agli obiettivi generici e non verificabili che per lo più vengono oggi utilizzati per determinare il debito contrattuale dei dirigenti delle nostre amministrazioni.
Altri colleghi del Gruppo del PD interverranno su altre parti di questo testo legislativo che non ci convincono, o che ci vedono decisamente contrari: in particolare quella relativa alla Corte dei Conti e quella relativa al Cnel. Sulla parte più rilevante, che rientra più specificamente nella mia competenza e che riguarda i principi fondamentali della trasparenza e della valutazione, concludo osservando che questo testo legislativo ha, certo, ancora molti difetti; ma i principi innovativi in esso contenuti possono segnare una svolta importante non solo nel nostro ordinamento delle amministrazioni pubbliche, bensì anche nel loro funzionamento concreto. A una condizione, ovviamente: che essi vengano interpretati correttamente in sede di esercizio della delega da parte del Governo. Su questo non mancheremo di vigilare con grande attenzione.

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domenica 21 dicembre 2008

Casellario anagrafico

La Guardia di Finanza ha scoperto una mega truffa ai danni dell’INPS di Torino. L’inchiesta denominata “Pantalone” è iniziata nel 2007 ed ha portato alla luce 257 pensioni erogate e riscosse indebitamente in quanto i titolari di pensione erano deceduti. Le persone coinvolte sono al momento 53 che sono state denunciate per reati che vanno dalla truffa aggravata al falso, all’utilizzo indebito di carte di credito, quelle dei famigliari deceduti e che loro utilizzavano per le spese.
La frode ai danni dell’Istituto Previdenziale è di 5,8 milioni di euro e le somme recuperate fino a questo momento ammontano a 1,2 milioni di euro.
“C’era la nipote che per otto anni si è presentata sempre alla stessa impiegata dell’ufficio postale a riscuotere la persone della zia morta inventando ogni volta una scusa diversa, dalla malattia al viaggio, per l’indisponibilità della parente a presentarsi personalmente allo sportello, ma anche il ’figlio premuroso che ritirava il vitalizio sia del padre che della madre, entrambi deceduti, e il cointestatario di un conto corrente acceso con l’amico pensionato, già morto, che per cinque anni ha versato i soldi della pensione del defunto su un fondo di risparmio su cui sono stati trovati 52 mila euro. Gli investigatori hanno anche deciso di estendere i controlli a livello internazionale attraverso l’attivazione di organismi, aderenti all’Interpol, di diversi paesi come Brasile, Argentina, Australia, Canada e Uruguay, dove è presente una vasta comunità di italiani emigrati. L’obiettivo è di accertare se anche in quei paesi ci siano persone che percepiscano indebitamente la pensione e finora sono stati scoperti 37 emigrati deceduti nei cui confronti continuava ed essere regolarmente erogato il trattamento pensionistico.” La Stampa
“Tra i truffatori …… E c'é un uomo che, otto mesi dopo essere morto, aveva misteriosamente aperto - e cointestato al figlio - un nuovo conto corrente in cui versare la propria pensione. Parenti, o addirittura semplici conoscenti dei defunti, residenti in provincia di Torino, riuscivano a intascarne le pensioni grazie a deleghe o conti cointestati: in molti casi la truffa durava da più di dieci anni, tanto da insospettire i funzionari dell'Inps, che erogavano pensioni a individui ultracentenari.” SiciliaInformazioni
Sul Corriere di Verona del 10 dicembre 2008 viene pubblicato un servizio dal titolo “Nella lista dei pazienti assistiti 400 sono defunti. L’articolo si riferisce alla quota erogata dal Servizio Sanitario ai medici per l’assistenza ai pazienti defunti.
La cronaca di questi avvenimenti dimostra come le informazioni anagrafiche (decesso, residenza e altro) in possesso dei comuni non sono disponibili in tempo reale alle ASL ed all’INPS. Questo comporta la attuazione di truffe ai danni dell’INPS e la erogazione di somme non dovute da parte delle ASL ai medici di base con la conseguente richiesta di restituzione delle erogazioni non dovute.
Nel medesimo articolo del Corriere Verona il direttore dei Servizi Sociali ed il Direttore Generale dell’ASL n. 20 prospettano soluzioni che riguardano il territorio e la Regione Veneto.
Ritengo che la soluzione non possa essere limitata ad una piccolissima parte del territorio in quanto se ciascuna ASL procede con un proprio progetto di collegamento con i comuni si corre il rischio di non coinvolgere tutti i comuni dell’ambito territoriale di competenza, di realizzare una pluralità di progetti di integrazione, di utilizzare procedure informatiche diverse per ogni ASL con conseguenti problemi di compatibilità e di spendere di più rispetto ad un progetto unico nazionale finalizzato alla creazione di un sistema anagrafico integrato ed unitario.
Nel terzo millennio quasi la totalità dei comuni sono dotati di un sito web e molti di essi comunicano agli enti interessati le variazioni anagrafiche ed i decessi per via cartacea aumentando il costo del lavoro delle Amministrazioni Pubbliche e interpretando il lavoro come nel periodo industriale, compiti semplici e ripetitivi e processi complessi con scarsi risultati dal punto di vista dell'efficienza e dell'efficacia.
Vi è l’esempio della creazione del casellario dei pensionati gestito dall’INPS che nel 2000 ha coinvolto 998 enti erogatori di trattamenti pensionistici e 21.734.636 trattamenti pensionistici (vedi allegato).
Gli scopi istituzionali del Casellario dei pensionati sono la raccolta, conservazione e gestione dei dati e degli elementi relativi ai titolari di trattamenti pensionistici.
Con il Casellario dei pensionati sono stati risolti numerosi problemi tra i quali la tassazione congiunta dei redditi pensionistici e la rivalutazione automatica delle pensioni. Prima della sua entrata in vigore l’assoggettamento all’Irpef veniva effettuato dal singolo ente previdenziale non tenendo conto dei titolari di più trattamenti pensionistici.
Il D.L. 112/2008 affronta tale problematica in modo parziale e non innovativo. Infatti fa carico all’INPS di “mettere a disposizione dei Comuni modalità telematiche di trasmissione delle comunicazioni relative ai decessi e alle variazioni di stato civile che andranno effettuate obbligatoriamente entro due giorni dalla data dell’evento.” Tutto questo è stato effettuato dall’INPS prima dell’approvazione del decreto n. 112 con risultati insoddisfacenti rispetto alle esigenze dell’Ente Previdenziale.
Per superare tali problematiche e pervenire ad una soluzione efficiente ed efficace occorre:
- Realizzare un casellario nazionale delle posizioni anagrafiche attingendo dai comuni i dati e le informazioni;
- Aggiornamento continuo del casellario con comunicazioni dei dati e delle informazioni in via telematica dai comuni;
- Collegamento delle ASSL e degli Enti Previdenziali al Casellario delle posizioni anagrafiche;
- Realizzazione di data base delle posizioni anagrafiche nelle ASL e negli Enti Previdenziali aggiornati in tempo reale dal casellario anagrafico;
- Controllo preventivo in automatico prima dell’erogazione di qualsiasi prestazione.
Ritengo che tutto questo possa essere realizzato superando interventi corporativi che non tengono conto che il problema è unico per tutto il territorio nazionale e che interventi parziali fanno lievitare la spesa e non conducono alla risoluzione complessiva del problema in modo efficiente ed efficace.
Kevin Kelly afferma che “la nuova economia ha tre caratteristiche distintive: è globale, propende verso beni intangibili; è intensamente interconnessa. La comunicazione è talmente vicina alla cultura e alla società stessa che l’introduzione massiccia di nuove tecnologie ha degli effetti molto più complessi di un semplice rinnovamento industriale. Capire come funzionano le reti sarà la chiave per capire come funziona l’economia.” (Nuove regole per un nuovo mondo, Ponte alle Grazie, 1999)
La classe politica dovrebbe capire che la rete e l’abbondanza, non la scarsità come nell’economia industriale, fa aumentare il valore e per tale motivo occorre creare una rete di connessioni tra comuni, ASL e Istituti Previdenziali per risolvere il problema che ho prospettato. Se tutto questo non viene realizzato scoprirà le truffe la Guardia di Finanza come al solito e non gli Enti interessati.

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venerdì 19 dicembre 2008

Per un vero Decreto Anti-crisi

La crisi economica in corso è in netto peggioramento. Nel 2009, per l'area Oecd, è prevista una contrazione di 0,4 punti percentuali (-0,9% per gli USA e -0,6% per l'area euro). In un quadro generale di recessione, l'Italia, come avviene da oltre un decennio, si contraddistingue in negativo. La stima per il Pil italiano per l'anno in corso è -0,4% (+1% per l'area euro), mentre per il 2009 la caduta arriva a -1%. Le conseguenze in termini di minore occupazione sono previste superare il mezzo milione, in larghissima maggioranza figure sprovviste di indennità di disoccupazione. Alla luce degli ultimi dati Istat e Confindustria sulla produzione industriale (variazione annua: -6,9% in Ottobre e -11.4% in Novembre), stime e previsioni sono caratterizzate da notevoli rischi di ulteriore deterioramento.
La politica monetaria delle banche centrali e gli interventi di sostegno al sistema finanziario, sia realizzati che in cantiere, non sono sufficienti ad affrontare le prospettive di stag-deflazione, ossia di riduzione del livello di attività e la caduta dei prezzi. È necessario integrare politiche di bilancio aggressive.
Data la dimensione della crisi, le politiche di bilancio dovrebbero essere coordinate a scala globale per massimizzarne l'effetto. L'Unione Europea dovrebbe agire all'unisono, pur lasciando a ciascun Paese membro di “tagliare” gli interventi a misura delle proprie specificità. Vedremo in quale misura si tradurranno in effettive politiche di bilancio le proposte della Commissione Europea, accolte dal Consiglio dei Capi di Stato e di Governo dell'11-12 Dicembre scorso.
Molti Paesi europei hanno deciso di intervenire con provvedimenti di maggiore (Regno Unito e Francia) o minore impatto (Germania). Il Governo italiano interviene, invece, in modo contraddittorio e confuso. Da un lato, propone un “Decreto Anticrisi” formalmente ad impatto macroeconomico nullo. Infatti, il Decreto 185/08 non da alcun sostegno alla domanda aggregata, in quanto le minori entrate e le maggiori spese, sono, sulla carta, interamente compensate: i 6,3 miliardi di euro indicati some sostegno alle famiglie e alle imprese per il 2009 sono formalmente “coperti” da aumenti di entrate o riduzioni di spese.
In realtà, il Decreto in corso di approvazione alla Camera è anti-ciclico, in quanto ha effetti molto diversi da quelli “bollinati” dalla Ragioneria Generale dello Stato, come erano diversi gli effetti dei decreti di finanza pubblica convertiti in legge prima dell'estate. Le differenze sono dovute: 1) ad una sovrastima delle entrate (i maggiori introiti da accertamento portati a copertura delle misure onerose, quasi 2 miliardi di euro nel 2009, sono un importo assolutamente irrealistico, come risulterà evidente a consuntivo); 2) alla perdita di gettito causata allo smantellamento delle barriere anti-evasione. Complessivamente, la differenza tra manovre formali ed effettive è quasi 1 punto percentuale di Pil. I lavoratori dipendenti, i pensionati ed i precari poveri ricevono qualche briciola attraverso la social card, il bonus famiglie, qualche sussidio di disoccupazione in deroga. I redditi bassi e medi di lavoratori dipendenti e pensionati non hanno nulla, nonostante il fiscal drag abbia ridotto di oltre 3 miliardi il loro potere d’acquisto.
Ulteriore contraddizione nella politica economica del Governo: la portata surrettiziamente anti-ciclica del Decreto Anticrisi è ridotta dal sostanziale annullamento degli incentivi agli investimenti in ricerca ed innovazione e alle spese con finalità energetico-ambientali e di tutti gli altri incentivi automatici. Attraverso la procedura delle “prenotazioni” si rendono gli incentivi incerti. Un incentivo incerto equivale a nessun incentivo. Ritorna la logica sottostante allo svuotamento del credito d’imposta per gli investimenti nel Mezzogiorno, realizzato con il Decreto legge 93/08 del Giugno scorso. L’obbligo di prenotazione delle agevolazioni per la ricerca e per la riqualificazione energetico-ambientale sottrae risorse ad attività ad elevato moltiplicatore economico ed occupazionale (oltre che ad elevato contenuto innovativo), soprattutto per le micro, piccole e medie imprese artigiane.
Infine, è contraddittoria con la realtà l’enfasi posta dal Governo sul rapido incremento della spesa in conto capitale in chiave anti-ciclica. La ri-programmazione delle risorse del Fondo per le Aree Sottoutilizzate (ampiamente ridimensionato per finanziare interventi impropri come l'abolizione dell'Ici per i contribuenti più ricchi e il salvataggio del Comune di Catania) si scontra con angusti limiti di “cassa” (le disponibilità effettive presenti nel Bilancio dello Stato ammontano a poche centinaia di milioni di euro per il 2009) e con tempi di esecuzione incompatibili con la necessità di intervenire immediatamente sul ciclo in corso.
Le contraddizioni della politica economica del Governo alimentano incertezza per le famiglie, per le imprese e per gli operatori finanziari. Le prime, in larghissima parte prive di sostegni al reddito, contraggono i consumi. Le seconde, nonostante le maggiori possibilità di evasione, ridimensionano gli investimenti, data l’assenza di stimoli ai consumi e la difficoltà irrisolta ad ottenere credito bancario. Infine, gli operatori finanziari richiedono maggiori spread sui titoli del debito pubblico italiano consapevoli dei rischi della nostra finanza pubblica in una prospettiva di depressione. Gli spread sono anche gravati dall’incertezza sugli interventi del Governo a rafforzamento delle nostre principali banche. Per affrontare quest’ultimo aspetto è urgente chiarire, da un lato, la necessità ed eventualmente i tempi dell’intervento e, dall’altro, identificarne le modalità di finanziamento. Esistono alternative al ricorso a finanziamento pubblico. In particolare, vanno rapidamente valutate due strade in aggiunta all’utilizzo di risorse del bilancio dello Stato: il ricorso all’intervento delle fondazioni bancarie; il buy-back delle quote di Banca d’Italia in mano alle banche italiane, resa possibile dall’elevato patrimonio della nostra banca centrale rispetto alle banche centrali di Francia e Germania e dall’imminente scadenza prevista nella Legge 262/05.
L'Italia ha bisogno di politiche di bilancio trasparenti, coerenti ed incisive per evitare che la recessione si trasformi in depressione. Ovviamente, a differenza degli altri Paesi europei e degli USA, noi dobbiamo prestare massima attenzione al nostro pesante debito pubblico. Un debito, è indispensabile ricordarlo date le recenti dichiarazione del Presidente del Consiglio, che era solidamente avviato lungo un percorso discendente nel 2001 dopo la stagione di risanamento compiuta dal centrosinistra. Un debito che è tornato a crescere nel 2005 facendo scattare la procedura di infrazione comunitaria e costringendo il Governo Prodi ad ulteriori interventi di risanamento nel 2006 e nel 2007.
L'eredità di finanza pubblica ricevuta dal Governo Berlusconi è solida. Lo scorso anno si è chiuso con un indebitamento netto all'1,6% del Pil ed un debito riavviato su un sentiero discendente. Gli andamenti tendenziali (ossia, al netto di manovre correttive) previsti dal DPEF del Giugno scorso riflettono la solidità del risanamento compiuto nei due anni precedenti: anche in assenza di interventi, dal 2011, il deficit delle pubbliche amministrazioni sarebbe sceso al di sotto del 2% del Pil e il debito sarebbe andato sotto il 100% del Pil. I dati di fabbisogno dello Stato per i primi 11 mesi del 2008 confermano, nonostante la recessione e l'espansione dell'evasione, l'analisi richiamata. In assenza di interventi straordinari a fine anno per anticipare spese previste nel 2009 o posticipare entrate dovute nell'anno in corso, il fabbisogno sarà in linea con le previsioni contenute nella Relazione Unificata di Economia e Finanza del Marzo 2008 (l'ultimo documento di finanza pubblica redatto sotto la responsabilità del Governo Prodi). Da ultimo, va segnalato, nonostante la scarsa credibilità, che la manovra di finanza pubblica approvata nei mesi scorsi è stata finalizzata a raggiungere un surplus strutturale di 0,2 punti percentuali di Pil nel 2011 (Nota di Aggiornamento al DPEF 2009-2011, Settembre 2008).
Considerato tale contesto, vi sono le condizioni per affrontare l'emergenza economica e sociale attraverso un vero decreto anti-crisi. Un decreto che salvaguardi il percorso di risanamento puntando a sostenere il denominatore dei rapporti rilevanti (ossia il Pil). È la crescita la via per la sostenibilità della finanza pubblica.
Il Pd propone per il 2009 una politica di bilancio anti-ciclica pari ad 1 punto percentuale di Pil (16 miliardi di euro) per sostenere la domanda interna ed affrontare 5 emergenze, strettamente connesse:
- l'assenza di indennità di disoccupazione per una larga platea di lavoratori, con contratto a tempo indeterminato, ma occupati in settori o aziende escluse dall'assicurazione, o precari;
- la perdita di potere d'acquisto per i redditi da lavoro e da pensione;
- il razionamento del credito bancario per le micro, piccole e medie imprese ed il ritardo dei pagamenti ad esse dovuti dalle pubbliche amministrazioni;
- il crollo dell'attività produttiva nel Mezzogiorno;
- l'impossibilità degli Enti Locali a definire i bilanci preventivi per il 2009.
Per affrontare tali emergenze, il Pd propone:
- l’ampliamento degli ammortizzatori sociali attraverso l'introduzione di una misura temporanea di sostegno al reddito dei disoccupati sprovvisti di copertura assicurativa, da associare ad attività di formazione e programmi di reinserimento lavorativo (da finanziare con 1,5 miliardo di euro). Inoltre, esercizio entro il 31 Marzo del 2009 della delega prevista nel Protocollo sul welfare per la riforma degli ammortizzatori sociali. Infine, la sospensione del pagamento delle rate del mutuo contratto per l’acquisto dell’abitazione di residenza per i lavoratori che perdono il posto di lavoro;
l'innalzamento delle detrazioni sui redditi da lavoro dipendente, autonomo e da pensione per un importo medio di 500 euro e l’introduzione della dote fiscale per i figli, per tutte le tipologie di reddito, per un importo pari a 2500 euro all'anno per figlio, in alternativa al bonus famiglia (8 miliardi di euro);
- il pagamento dei debiti delle pubbliche amministrazioni verso le imprese fino a 250 dipendenti attraverso un fondo da 3 miliardi di euro. L'utilizzo della Cassa Depositi e Prestiti per anticipare i pagamenti dovuti dalle pubbliche amministrazioni alle micro, piccole e medie imprese. Il finanziamento dei Confidi per ulteriori 500 milioni di euro;
- il parziale ripristino delle risorse sottratte agli investimenti nel Mezzogiorno (2 miliardi di euro);
- l'allentamento del Patto di Stabilità Interno per interventi emergenziali di carattere sociale e per spese in conto capitale, così da consentire agli Enti Locali di completare le opere avviate e bloccate dalla Legge 133/08 (1 miliardo di euro).
Il pacchetto delle misure emergenziali proposte (per un valore di 16 miliardi di euro) deve essere integrato dal ripristino di tutti gli incentivi fiscali automatici (in particolare, agli investimenti nel Mezzogiorno, alla ricerca e alle spese a finalità energetico-ambientali) il cui corretto utilizzo va salvaguardato attraverso il miglioramento dei controlli.
Le misure anti-crisi sono, ad eccezione degli interventi fiscali sui redditi da lavoro e da pensione, di carattere temporaneo, ossia non alterano gli equilibri strutturali di bilancio. Per rafforzare la sostenibilità della finanza pubblica e portare rapidamente il debito al di sotto del 100% del Pil, il Pd propone: 1) il riavvio dei processi di riforma per la regolazione concorrenziale dei mercati e la piena attuazione di “Industria 2015”; 2) il riavvio delle politiche anti-evasione, contestualmente all’estensione a tutte le tipologie di reddito degli schemi di sostegno fiscale al potere d’acquisto e alla famiglia (come indicato nel punto 2 delle Proposte); 3) la ricostituzione della Commissione per completare la spending review ed individuare i programmi di spesa da eliminare e riorganizzare; 4) l'introduzione della centrale unica per gli acquisti nelle pubbliche amministrazioni centrali e in ciascuna amministrazione regionale (con operatività estesa agli enti locali presenti sul territorio regionale).
Il costo delle misure proposte si autofinanzia, via maggiori entrate legate all’innalzamento del Pil, per circa 5 miliardi di euro e viene compensato dal ripristino degli strumenti antievasione per 3 miliardi di euro (stima assolutamente prudenziale) e dall’assorbimento nell’ambito dell’intervento generalizzato delle risorse dedicate al bonus famiglia (2,4 miliardi di euro). Possibili risparmi in conto interessi, da valutare in sede di assestamento del Bilancio dello Stato a Luglio 2009, vanno utilizzati per irrobustire gli interventi sui redditi da lavoro e da pensione. Il costo netto per il 2009 ammonta, quindi, a circa 5,6 miliardi di euro. In termini di maggiore indebitamento in rapporto al Pil, vuol dire meno di 0,4 punti percentuali per il 2009. Tale indebitamento aggiuntivo viene più che compensato nel corso del 2010 e 2011, grazie al venir meno degli effetti delle misure di carattere temporaneo, il recupero di risorse dall'evasione e la maggiore crescita conseguente alle riforme strutturali proposte.
In sintesi, il mix di interventi delineato migliora le prospettive di sostenibilità del debito pubblico, in quanto ha, immediatamente, un effetto positivo sul Pil effettivo e, gradualmente, sulla crescita potenziale. Contestualmente, definisce le condizioni per una riqualificazione/riduzione realistica della spesa pubblica, l'allargamento della base imponibile e la riduzione delle aliquote fiscali.
A cura del Comitato Economia e Finanza del Partito Democratico

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giovedì 18 dicembre 2008

Questione morale

Ho pensato di ripubblicare un mio articolo pubblicato su una rivista nel mese di ottobre del 1987 in quanto si presta ad affrontare la questione morale in un momento non facile per il sistema politico. Il corsivo indica le correzioni e le integrazioni all’articolo originario.
Nel vasto dibattito che si è sviluppato sul ruolo dello stato oggi e sul funzionamento più efficiente dell’apparato amministrativo si è parlato negli ultimi anni di ripresa dell’etica.
Le questioni dell’equità e della giustizia sono particolarmente avvertite ed influenzano il dibattito attuale e le proposte di cambiamento e di riforma dello stato sociale al fine di superare i privilegi, le sperequazioni e le distorsioni del settore pubblico e realizzare una società più solidale che affronti più positivamente i problemi emergenti.
In definitiva l’etica, che è stata considerata estranea alla politica, alla economia ed alla tecnica, ritorna ad avere un peso essenziale nelle scelte di carattere sociale dopo il fallimento delle teorie dell’abolizione dell’etica per l’insufficienza dimostrata nella guida della condotta umana.
Gli orientamenti di tipo liberistico, che hanno influenzato le scelte politiche di molti paesi occidentali, ritengono di superare la crisi attuale ritornando agli automatismi del mercato senza dare però alcuna garanzia di equità e di efficienza.
Vi è oggi una rinnovata e condivisa esigenza di ritrovare e rilanciare le ragioni dell’etica in tutti i campi dell’organizzazione della vita in comune.
La “questione morale” non è più dunque un problema che tocca solo i partiti, i sindacati o le amministrazioni a guida politica, ma investe il modo di porsi e di esistere di tutte le iniziative di carattere collettivo, ivi comprese quelle economiche.
Le possibilità che il progresso tecnologico offre all’uomo di creare sempre nuovi apparati e sistemi, capaci di infrangere ogni limite naturale, è anche possibilità di determinare situazioni tali che l’uomo non riesce più a dominare.
L’unico limite allora che rimane perché l’uomo possa veramente progredire senza distruggersi è quello dell’etica. Ad esso devono piegarsi anche le ragioni dell’efficienza, della produttività e dello stesso interesse particolare. Si può anzi aggiungere che nelle circostanze attuali, qualsiasi organizzazione non potrà essere efficiente ed efficace nell’interesse dei suoi membri o dei destinatari della sua attività ove non si ponga nella prospettiva della solidarietà e del rispetto delle regole dell’etica professionale e sociale.
Come dimostrano le prese di posizione di noti personaggi che appartengono a sistemi e mondi ideali completamente diversi, …….……., trasparenza, rettitudine, e pulizia non sono più oggi esigenze da intendere in modo meramente moralistico e soggettivo, ma condizioni oggettive imprescindibili perché ogni organismo sociale funzioni secondo criteri di buon andamento e persegua risultati apprezzabili.
Tutto ciò vale ancora di più all’interno di una amministrazione pubblica, sia per la sua istituzionale destinazione al servizio della collettività, sia per le condizioni di vita e di impiego di ciascuno degli operatori ad essa adibiti.
Gli sperperi, le ruberie, le malversazioni, il disimpegno di alcuni, che non rispecchiano nei loro comportamenti il rispetto per le regole dell’etica, non solo si riflettono sulla caduta di immagine e di efficienza dell’amministrazione nei riguardi degli utenti, ma producono conseguenze nei confronti dei compagni di lavoro. Infatti ogni disfunzione comporta un aggravio di impegno per chi compie il proprio dovere, compromette ogni prospettiva di miglioramento, anche economico, nel rapporto di lavoro, miglioramento che potrebbe discendere da una gestione più trasparente e produttiva del servizio e asseconda inoltre il disegno di chi intende smantellare lo stato sociale a tutto svantaggio dei lavoratori dipendenti, dei disoccupati e degli emarginati.
Proprio per gli argomenti sopra svolti il personale pubblico, ciascuno per le responsabilità di cui è titolare, non può non essere interessato al fatto che il funzionamento della Pubblica Amministrazione venga improntato ai più rigidi criteri di onestà, trasparenza e correttezza amministrativa, perché solo in tal modo potrà essere salvaguardata una dignitosa immagine del servizio da rendere ai cittadini e potranno altresì essere perseguiti gli obiettivi di una maggiore efficacia ed efficienza a vantaggio di tutti, operatori e utenti.
Pertanto i partiti politici, i sindacati e le aggregazioni comunitarie nel loro concreto operare devono porre particolare attenzione alla questione morale e all’esistenza diffusa dell’etica, la quale non è estranea all’impegno politico e sociale, anzi le decisioni ed i comportamenti concreti devono corrispondere ad essa.
In definitiva alcuni fenomeni diffusi nella P.A. come il doppio lavoro, il clientelismo costante ed interessato, il disimpegno vanno combattuti con fermezza, costanza e chiarezza.
Questa testimonianza è necessaria anche per migliorare le condizioni di vita dei lavoratori in un momento in cui l’immagine della P.A. è offuscata dalla convinzione diffusa nell’opinione della gente della scarsa efficienza dei servizi prestati dall’apparato pubblico.
I partiti politici e particolarmente il Partito Democratico per il semplice fatto che è il partito al quale sono iscritto devono dare una testimonianza esemplare e recuperare un rapporto di fiducia con i cittadini altrimenti il sistema politico non garantisce la partecipazione democratica ma la presenza senza controlli degli addetti ai lavori.
Condivido l’opinione espressa da Massimo Cacciari che dichiara “eliminiamo subito i bubboni più evidenti, altrimenti scoppieranno altri cento casi Abruzzo. Bisogna colpire duro e subito”.
La questione morale di Enrico Berliguer

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martedì 16 dicembre 2008

Donne in pensione a 65 anni!

Lettera aperta di Vittoria Franco a Brunetta e la risposta di Pietro Ichino alla lettera di una donna.
"Le lancio una proposta di alleanza o, se vuole, una sfida, tutta politica, tutta a favore delle donne: noi del PD sosteniamo le sue proposte sulla equiparazione dell’età pensionabile e Lei sostiene il nostro progetto che prevede misure per promuovere l’occupazione femminile e favorire la conciliazione fra lavoro, maternità e carriera. Perché è proprio qui il problema, nella maternità che è ancora un ostacolo all’accesso al mercato del lavoro, alla carriera e alla realizzazione delle donne in un lavoro gratificante". Vittoria Franco, ministro ombra delle Pari Opportunità del Pd risponde così in una lettera aperta al ministro della Pa e dell'Innovazione Renato Brunetta che, nella giornata conclusiva della terza edizione del Forum ''Terza Economia - Sempre più valore dalla Terza Età'' svoltosi a Stresa sul Lago Maggiore, aveva proposto di portare a 65 anni l'età pensionabile delle donne.
"Caro Ministro Brunetta - scrive il ministro ombra - sono d’accordo con lei quando dice che molti vogliono le donne 'angeli del focolare', tutte cura e famiglia. Per la verità, è soprattutto la destra che storicamente fa di un welfare centrato sulla famiglia e sulla donna il suo punto identitario. Le lancio una sfida a favore delle donne: noi del PD sosteniamo le sue proposte sulla equiparazione dell’età pensionabile e Lei sostiene il nostro progetto (il disegno di legge depositato al Senato col numero 784) che prevede misure per promuovere l’occupazione femminile e favorire la conciliazione fra lavoro, maternità e carriera. Perché è proprio qui il problema, nella maternità che è ancora un ostacolo all’accesso al mercato del lavoro, alla carriera e alla realizzazione delle donne in un lavoro gratificante. Le donne oggi sono più istruite, ma più povere e più precarie degli uomini. Per le donne laureate il differenziale salariale può arrivare anche al 25 per cento in meno. Il livello di occupazione femminile al Sud è intorno al 31 per cento. Ma quelle stesse donne inattive rinunciano anche a fare figli perché il futuro della coppia e della famiglia è più incerto”. “Vogliamo partire da questi dati ministro Brunetta? - incalza Vittoria Franco - Vogliamo partire dai servizi educativi e alla persona? Lei sa bene che gli asili nido coprono poco più del 10 per cento della popolazione infantile e che al Sud non arrivano al 2 per cento. Tremonti finora non ha previsto un euro né per promuovere politiche attive del lavoro femminile né per proseguire nel piano per gli asili nido avviato da Prodi. E non possono bastare gli spiccioli realizzati con l’equiparazione dell’età pensionabile. Ci dia qualche segnale che ci consenta di avere fiducia e per non pensare che questo Governo voglia di nuovo intrappolare le donne in un'ulteriore discriminazione: più povere, più oberate di cura e pure in pensione più tardi degli uomini". Insomma il PD si aspetta una risposta seria ad un problema serio. Non uno spot, e nemmeno uno slogan. Ma soluzioni vere e concrete. Altrimenti, come fa notare Cesare Damiano, viceministro ombra del Lavoro, la proposta di Brunetta rimane “inaccettabile” perché affronta solo un lato del problema: quello del risparmio dei costi pensionistici. “Invece, - spiega ancora l’esponente del governo ombra - quando si parla di lavoro femminile non si può non affrontare, contemporaneamente, il tema della conciliazione tra tempo di vita e tempo di lavoro e quello della revisione del modello organizzativo dell'impresa, che consenta la fruizione di congedi o di periodi sabbatici per cura e crescita, ad esempio, dei figli nei primi anni di vita, riconoscendo anche questi periodi ai fini pensionistici''.Bisogna fare di più, dunque. Specialmente per quanto riguarda il welfare italiano, troppo poco attento alle difficoltà che la situazione femminile è costretta ancora ad affrontare. "Fino a quando lo stato del welfare italiano sarà tale da costringere le donne a fare almeno due lavori di cui uno non pagato e non riconosciuto – sottolinea Anna Finocchiaro, presidente del PD al Senato - sarò contraria all'innalzamento dell'età pensionabile per le donne. Anch'io certo sono favorevole alla parità ma per arrivare a quel risultato serve uno stato sociale (asili, assistenza, congedi parentali, ecc...) che garantisca le donne".A ricordare la necessità di uno Stato sociale più forte per le donne è anche il vicepresidente del Senato, Emma Bonino: “In Italia la situazione dell'accesso delle donne al mercato del lavoro è penosa, come avevamo scritto nella nota aggiuntiva al programma di Lisbona durante il governo Prodi, con la collaborazione di tutti i ministri Pollastrini, Damiano, Bindi. Abbiamo un accesso femminile al mercato del lavoro del 46% rispetto alla media europea che è del 60%. Questo perché mancano tutti i servizi di cura e gli asili, perché le donne in Italia si fanno carico di tutti i servizi di cura per bambini, anziani, malati che non esistono nel nostro Paese".
Si riporta sulla medesima problematica una lettera di una donna sola inviata al senatore Pietro Ichino e la sua risposta.
Illustre Senatore,
mi permetto di scriverLe dopo avere partecipato al Forum di discussione del 9 dicembre scorso sul lavoro e le pensioni delle donne, organizzato a Roma dall’ On. Emma Bonino.
Premesso che non ho avuto modo di ascoltare completamente gli interventi e di Della Vedova e di Cazzola, mi chiedo come sia stato possibile, guardando la totalità degli interventi, dare così scarsa rilevanza a tutte le donne disoccupate o precarie, over 40, con anziani a cui badare in casa, con un solo reddito (di lavoro o di pensione), che non possono contare su un marito, compagno o come lo si voglia chiamare, o comunque un appoggio e/o un reddito extra.
Queste donne pur non avendo il tanto sbandierato dramma dell’asilo nido e quindi dei figli, insomma della famiglia nel senso classico del termine si barcamenano in una ostile realtà senza alcun tipo di tutela reale, figuriamoci quindi a cosa vanno incontro per tutto ciò che concerne la loro vecchiaia e relativa pensione.
Comprendo che il tema del forum non riguardasse esclusivamente quanto sopra esposto ma si è parlato a lungo di età pensionabile e di tutti gli annessi e connessi mentre di costoro di cui sopra mi pare non si sia detto granchè, se non proprio nulla. Mi chiedo e soprattutto chiedo a Lei, gentile Senatore, che ho avuto modo di conoscere attraverso il Suo intervento e la sera stessa del Forum e scorrendo il libro di Boeri e Garibaldi, circa il Suo interessamento nei confronti dei precari e non solo, quanto sia grande il disinteresse dei politici, persino delle donne radicali, nei confronti di donne come quelle da me citate che, lo ammetto, sono forse numericamente una minoranza rispetto alle fortunate che godono già poco dei diritti loro spettanti, ma sono le più sfortunate; e sono relegate nella invisibilità e indifferenza generale. [...]
Mi dimeno saltando da una parte all’altra, cercando di propormi lavorativamente parlando e contemporaneamente documentandomi su ogni novità per tutto ciò che concerne il lavoro eppure, sono qui per l’ennesima volta a scrivere ad un rappresentante del popolo, questa volta ritengo, più sensibile dei precedenti, e a chiedere come poter far valere i miei diritti e soprattutto come far sì che mi venga restituito il mio posto in società, la mia dignità calpestata, i miei diritti inascoltati! [...]
Grazie per la Sua attenzione.
Mi auguro a presto
L. M.
Il suo caso, come quello simile di tante altre donne sole, o gravate dal peso di una persona non autosufficiente da accudire, aiuta a capire i gravissimi difetti del nostro sistema di welfare, che ignora totalmente questi casi, ma spende miliardi di euro per garantire indiscriminatamente la pensione a un esercito di persone con meno di 65 anni, e addirittura meno di 60. Ogni cento pensionati ultracinquantacinquenni (per lo più uomini in pensione di anzianità e donne in pensione di vecchiaia “anticipata”), ce ne sono solo quindici o venti che svolgono lavori usuranti, o comunque pesanti, ai quali è giusto garantire un pensionamento precoce. Con quello che spendiamo per l’80 o 85 per cento restante di “pensionati giovani” potremmo invece: - dare un sussidio speciale di1500 euro al mese alle famiglie con una persona non autosufficiente a carico;
- incominciare a costruire una rete di strutture di assistenza specialistica e accoglienza per gli anziani non autosufficienti, come quella che funziona nei paesi scandinavi;- attuare una drastica detassazione dei redditi di lavoro femminile fino ai 1500 euro mensili, come “azione positiva” mirata all’aumento al 60% del tasso di occupazione delle donne, secondo l’obbiettivo fissato dalla U.E. a Lisbona per il 2010 (oggi siamo al 47%: uno dei tassi più bassi d’Europa!);
- favorire il lavoro femminile anche aumentando il numero degli asili nido disponibili: in Italia ne godono 8 bambini su 100, mentre l’obiettivo fissato dalla U.E. a Lisbona è di 30 su cento; e in Danimarca sono già oggi 50 su cento.
Insomma: abbiamo un welfare capace soltanto di mandare in pensione precocemente e indiscriminatamente gli insiders (lavoratori regolari, uomini e donne, che hanno goduto di un lavoro stabile per trenta o quarant’anni di fila), ma quasi del tutto incapace di individuare le situazioni di vero bisogno; capace di erogare - con il pensionamento anticipato - alle lavoratrici una sorta di rassegnato (e indiscriminato) “risarcimento” per i maggiori carichi sopportati in famiglia e le discriminazioni subite in azienda lungo tutto l’arco della loro vita, ma incapace di rompere il circolo vizioso del paternalismo che perpetua la discriminazione. In altre parole: non sappiamo uscire dal vecchio equilibrio sistemico deteriore per passare all’equilibrio migliore, attingendo ai modelli che ci sono offerti dai Paesi del nord-Europa.
Al pari delle sentenze della Corte di Giustizia europea che negli anni ‘90 hanno vietato agli Stati membri di precludere alle donne il lavoro notturno, o hanno imposto il superamento dei monopoli statali dei servizi di collocamento, la recentissima sentenza comunitaria che condanna la disparità dell’età di pensionamento ci impone proprio questo passaggio: abbandonare la vecchia impostazione paternalistica, per rompere il circolo vizioso. E’ paternalismo vietare solo alle donne il lavoro notturno, dice la Corte: perché in questo modo, per prevenire un rischio marginale per alcune (che va combattuto in modo specifico e con altri mezzi), si preclude indiscriminatamente una possibilità di lavoro a tutte. Analogamente - dice ancora la Corte - è sbagliato vietare i servizi privati di collocamento, perché così, per prevenire il fenomeno marginale dei mercanti di braccia (che può e deve essere combattuto altrimenti), si indebolisce ulteriormente la posizione dei lavoratori nel mercato, privandoli di canali preziosi di incontro fra domanda e offerta. Allo stesso modo - dice oggi la Corte - è sbagliato perpetuare la posizione di inferiorità delle donne nel tessuto produttivo col “risarcimento” di una collocazione in quiescenza anticipata, che riduce la durata della loro vita lavorativa, quindi in qualche misura disincentiva le donne stesse, così come i datori di lavoro, dall’investire nella loro professionalità e riduce le loro possibilità di carriera. Si spiega, così, anche perché l’ordinamento comunitario ci vieta la disparità nell’età di pensionamento ma non la detassazione selettiva in favore dei redditi di lavoro delle donne: la prima, infatti, è una disparità che favorisce e perpetua il circolo vizioso, mentre la seconda, quando sia intesa come azione positiva temporanea in funzione dell’incremento del tasso di occupazione femminile, tende proprio a rompere quel circolo vizioso, a spostare il sistema dall’equilibrio deteriore a quello migliore.
Questi, in estrema sintesi, sono i motivi per cui un mese fa ho firmato, con Emma Bonino, la lettera aperta al ministro del Welfare che indicava la via di una parificazione dell’età del pensionamento di vecchiaia tra uomini e donne, di una sua flessibilizzazione per tutti (chi sceglie di andare in quiescenza prima percepisce una pensione più bassa, e viceversa), e di una utilizzazione di tutto il risparmio in tal modo realizzato - e anche di più - per le misure di sostegno alle famiglie con persone non autosufficienti a carico, al lavoro delle donne e alla libertà di scelta delle madri tra lavoro domestico e lavoro professionale. P. I.

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domenica 14 dicembre 2008

Quale lavoro nella grande crisi

Articolo di Pietro Ichino pubblicato sul Corriere della Sera del 14 dicembre 2008
Con lo sciopero generale di venerdì la Cgil ha rivendicato dal Governo in modo lucido e preciso una maggiore mobilitazione di risorse contro la recessione. Ma non è stata altrettanto lucida su di un altro tema cruciale: a quale tipo di nuovo lavoro possono aspirare le centinaia di migliaia di persone che nella crisi stanno perdendo il vecchio.
I primi a perdere il posto sono i lavoratori precari, quelli che si collocano nella parte cattiva del nostro “sistema duale”: per licenziarli basta negare loro il rinnovo del contratto a termine, o di “lavoro a progetto”. In loro favore la Cgil, così come gli altri sindacati, rivendica almeno un po’ di sostegno pubblico; ma né l’una né gli altri chiariscono quale strategia intendano proporre affinché quegli ex-precari, quando torneranno al lavoro, non vi tornino nella stessa condizione di prima, cioè nella parte cattiva del sistema. Oltre ai precari, poi, stanno incominciando a perdere il posto a causa della crisi anche molte migliaia di dipendenti regolari di imprese grandi e medie. Se il quadro normativo resta quello attuale, è ragionevole prevedere che nel biennio o triennio di grande incertezza che ci attende, questi ex-regolari non ritroveranno lavoro se non in forma precaria.
Nel nostro mercato del lavoro, contrariamente a un’idea molto diffusa, si continua ad assumere, pur in tempi di crisi: anche se i ritmi non saranno gli stessi dell’ultimo decennio, i nuovi contratti di lavoro in Italia continueranno a contarsi a centinaia di migliaia ogni mese. La questione è: contratti di che tipo? E la risposta, se non cambierà qualche cosa, non può essere che questa: l’incertezza sul futuro porterà ad aumentare la quota del lavoro di serie B o C, in tutte le sue forme, compresa quella del lavoro nero. Davvero il sindacato non può far altro, per le vittime della crisi, che rivendicare un po’ più di spesa pubblica, abbandonandole per il resto al loro destino, cioè quello di essere per la maggior parte riassorbite nella parte cattiva del vecchio “sistema duale”?
In realtà c’è una riforma incisiva, cui il sindacato può partecipare da protagonista: un progetto che concilia la flessibilità indispensabile alle imprese con il superamento del “sistema duale” e con il massimo di sicurezza per i nuovi assunti, senza toccare le posizioni di lavoro preesistenti. Una svolta di questo genere è politicamente possibile, per esempio, con una legge semplice e snella che offra a imprese e sindacati la possibilità di stipulare un “contratto di transizione” a un sistema di protezione di tipo nord-europeo. Per tutti i nuovi assunti – salvo pochissime ovvie eccezioni – un rapporto a tempo indeterminato, ma non “ingessato”: controllo giudiziale limitato al licenziamento discriminatorio o di natura disciplinare; nel caso di licenziamento per motivi economici od organizzativi, un indennizzo crescente con l’anzianità di servizio; un consorzio o ente bilaterale finanziato e gestito dalle stesse imprese si prende in carico il lavoratore licenziato con un “contratto di ricollocazione” che garantisce un’assistenza integrale “alla danese”. Grande flessibilità, dunque, per le imprese disposte a farsi carico per intero del costo sociale dell’aggiustamento industriale, coniugata con un lavoro di serie A per tutti i new entrants.
Il finanziamento del consorzio o ente bilaterale – se questo funzionerà appena decentemente ‑ potrà consistere in un contributo medio dello 0,5 per cento delle retribuzioni dei nuovi assunti, con un meccanismo bonus/malus che faccia variare il contributo a seconda del maggiore o minore ricorso ai licenziamenti da parte di ciascuna azienda (per ulteriori dettagli rinvio al sito www.pietroichino.it). Si obietterà che i servizi nel mercato del lavoro “alla danese” in Italia non sono facili da realizzare; ma se il sistema sarà finanziato dal gruppo di imprese firmatarie del “contratto di transizione”, queste saranno fortemente incentivate a farlo funzionare bene, in modo che i periodi di disoccupazione si riducano e con essi si riduca la durata dei trattamenti dovuti ai lavoratori che avranno perso il posto. Alle imprese il compito di metterci il know-how e l’efficienza gestionale, al sindacato quello di controllare che il rigore rispetti l’equità e la parità di trattamento.
Ecco il nuovo ruolo che il sindacato oggi può svolgere per gli outsiders: rappresentarli e tutelarli nel superamento del vecchio sistema duale, nella transizione a un regime di flexicurity. Quanto al ruolo della politica in questo passaggio, la domanda è: se nel febbraio prossimo la conferenza programmatica del PD lancerà questa sfida, che cosa risponderanno Governo e maggioranza? Continueranno a coltivare l’idea che “chi tocca l’articolo 18 muore”? Continueranno nella vecchia politica volta a rosicchiare ancora un po’ di flessibilità nell’area del lavoro precario? O apriranno con l’opposizione una discussione sul nuovo diritto del lavoro di cui il Paese ha urgente bisogno?

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giovedì 11 dicembre 2008

Conguagli ai pensionati INPS

Gli on.li Donata Lenzi, Federico Testa e Lucia Codurelli del Partito Democratico hanno presentato al Ministro del Lavoro, della Salute e delle Politiche Sociali Maurizio Sacconi una interrogazione per sapere alcune informazioni importanti e sollecitare la risoluzione di alcuni problemi rilevanti per i pensionati INPS con importo della pensione collegato al reddito.
Ecco il testo integrale dell’interrogazione dei deputati Donata Lenzi, Federico Testa e Lucia Codurelli.
L’INPS è tenuta a rilevare i redditi per tutti i percettori di prestazioni pensionistiche collegate al reddito (le pensioni integrate al trattamento minimo, maggiorazione sociale, da trattamenti familiari e incumulabilità e le prestazioni concesse agli invalidi civili)
Ne consegue che le pensioni dei soggetti interessati dalle dichiarazioni reddituali vengono ricalcolate e da tale aggiornamento possono scaturire per il periodo a cui si riferiscono i dati reddituali dei conguagli negativi, positivi o la conferma dell’importo della pensione riscossa per effetto rispettivamente dell’aumento, della diminuzione e della conferma dei redditi dei pensionati.
I conguagli negativi, i quali sono degli indebiti a carico degli interessati, vengono gestiti dalle unità periferiche dell’Istituto utilizzando un’apposita procedura. Mentre quelli positivi, che rappresentano degli arretrati per i pensionati, sono comunicati e trasferiti in rete alle unità periferiche dell’Istituto per il controllo, la convalida e la messa in pagamento degli importi a favore dei pensionati interessati.
Ai pensionati viene inviata una lettera generica con indicazione del solo importo del conguaglio; non vengono inviati i prospetti di liquidazione con i dati di dettaglio che generano gli arretrati e, pertanto, non sono in condizione di controllare e di sapere se e quando viene effettuato il pagamento degli importi dovuti. La lavorazione dei dati reddituali, pertanto, difetta di trasparenza nei confronti dei pensionati.
La contraddizione del sistema è rappresentata dal fatto che viene tenuto fuori il tempo che intercorre dal ricalcolo della pensione fino al momento della conferma del pagamento degli arretrati che avviene telematicamente. Inoltre, le giacenze di tale prodotto non vengono rilevati automaticamente e, quindi, non rappresentano un dato credibile e obiettivo.
La ritardata o mancata gestione dei conguagli pensionistici porta dei danni ai pensionati in un momento in cui la situazione economica del paese ed il costo della vita non è favorevole ai redditi bassi, rappresentati soprattutto dai pensionati che vivono con estrema difficoltà i problemi della vita quotidiana.
Gli importi di tali conguagli partono da poche decine di euro fino ad arrivare a diverse migliaia di euro. Per i pensionati tali importi rappresentano non la risoluzione definitiva dei loro problemi ma almeno un supporto per la gestione della loro sopravvivenza, considerata l’inflazione al 4%, l’aumento dei prezzi dei beni di prima necessità e la perdita del potere d’acquisto delle pensioni.
Se non reputi necessario conoscere la quantità e gli importi di tali conguagli, suddivisi per anni di riferimento e classificati per provincia.
Se non ritenga opportuno intervenire presso l’INPS per velocizzare e conseguire una gestione corrente del pagamento dei conguagli in questione supportata da una puntuale e corretta rilevazione statistica automatizzata.”
Dalla quantità e dall’importo dei conguagli che l’INPS dovrebbe porre in pagamento dipende la rilevanza nei confronti dei pensionati la cui pensione è strettamente legata ai redditi personali e del nucleo familiare. Spero che attraverso il pagamento dei conguagli i pensionati INPS interessati possano ricevere un regalo per Natale da utilizzare per risolvere i loro gravi e urgenti problemi, considerato che il Governo Berlusconi ha fatto poco e male a favore dei redditi bassi dei lavoratori dipendenti e dei pensionati.
Gli on.li Donata Lenzi, Federico Testa e Lucia Codurelli hanno testimoniato concretamente con l'interrogazione il loro interesse verso i pensionati ed i loro problemi quotidiani di sopravvivenza.
Testo dell'interrogazione

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mercoledì 10 dicembre 2008

Bonus famiglia insufficiente

Il Decreto Legge 29 novembre 2008 n. 185 prevede un bonus straordinario finalizzato a sostenere le famiglie a basso reddito in difficoltà per gli effetti provocati dalla crisi economica.
Le misure intraprese dal Governo con la carta acquisti e con il bonus risultano insufficienti per sostenere le famiglie con basso reddito e per avviare effetti positivi sulla domanda di consumo e quindi sul rilancio economico del paese. Secondo il CERM l‘una tantum, considerata la condizione psicologica dei beneficiari e l’area ristretta dei beneficiari, potrà non influire sul livello dei consumi.
Ancora una volta si prediligono nuove prestazioni e nuovi costi amministrativi quando invece poteva essere utilizzato lo strumento dell’assegno per il nucleo familiare con effetti immediati e a costi zero.
Al rischio povertà ed al disagio sociale delle famiglie non vengono date risposte con interventi che modifichino le regole del sistema di Welfare in Italia. Marco Mira d'Ercole
I problemi da affrontare sono:
- Introduzione di un salario minimo garantito; Sandro Trento
- Integrazione del reddito familiare fino alla soglia di povertà in rapporto al numero dei componenti il nucleo;
- Esenzione dell’Irpef per i redditi di lavoro più bassi fino a 13 mila euro annui; Pietro Ichino
- Ristrutturazione della spesa. Tito Boeri
Di fronte al crollo dei consumi occorrono interventi strutturali e stabili per incidere sulla domanda. Alcune misure prese dal Governo sono risultati inefficaci rispetto alla situazione economica ed ai problemi da risolvere:
- L’abolizione definitiva dell’ICI sulla prima casa ha favorito i più ricchi;
- La detassazione dello straordinario ha disincentivato le assunzioni;
- L’ampliamento dell’area di evasione favorita dall’abolizione di alcune misure anti-evasione introdotte dal Governo Prodi.
Ritorniamo al bonus specificando i beneficiari e le regole.
Soggetti
Il bonus è attribuito, per il solo anno 2009, ai residenti in Italia che compongono un nucleo familiare a basso reddito. Dai benefici sono esclusi i lavoratori autonomi. Rientrano, invece, i soggetti titolari di redditi da lavoro dipendente, di redditi assimilati a quelli da lavoro dipendente e di redditi da pensione.
Presentazione della domanda
I soggetti che presentano la domanda sulla base del reddito 2007 dovranno presentare la richiesta entro il 31 gennaio 2009 ed il bonus verrà erogato entro febbraio 2009. Per i titolari di pensione entro marzo 2009. Mentre chi presenta la domanda sulla base del reddito 2008 dovrà presentare la richiesta entro il 31 marzo 2009 ed il bonus verrà erogato entro aprile 2009. Per i titolari di pensione entro maggio 2009.
Per richiedere il bonus occorre utilizzare il modello approvato dall’Agenzia delle Entrate.
La domanda viene presentata al sostituto d’imposta (datore di lavoro, Inps per i pensionati) ed all’Agenzia delle Entrate
Nucleo familiare
Il nucleo familiare considerato ai fini del calcolo e dell’erogazione del bonus è formato: dal richiedente il bonus, dal coniuge non legalmente ed effettivamente separato anche se non è carico, dai figli e gli altri familiari fiscalmente a carico.
Fasce di reddito e benefici
Il reddito complessivo familiare si calcola sommando i redditi dei componenti del nucleo familiare.
Il bonus è rapportato al numero dei componenti ed al livello di reddito del nucleo familiare.
I benefici sono i seguenti:
- 200 euro pensionati unici componenti del nucleo familiare con un reddito inferiore a 15mila;
- 300 euro nucleo familiare con 2 componenti con reddito non superiore a 17 mila euro;
- 450 euro nucleo familiare di 3 componenti con reddito non superiore a 17 mila euro;
- 500 euro nucleo familiare di 4 componenti con reddito non superiore a 20 mila euro;
- 600 euro nucleo familiare di 5 componenti con reddito non superiore a 20 mila euro;
- 1.000 euro nucleo familiare di oltre 5 componenti con reddito non superiore a 22 mila euro;
- 1.000 euro nucleo familiare con portatori di handicap, se il reddito totale non supera i 35 mila euro.
Il beneficio non costituisce reddito ai fini fiscali e non è valutato per la corresponsione di prestazioni previdenziali ed assistenziali, compresa la carta acquisti.
Condivido le valutazioni dell'on.le Federico Testa sulle misure anti-crisi del Governo che non sono rapportate alla recessione che il paese sta vivendo in modo drammatico.
Modulo di domanda

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martedì 9 dicembre 2008

Testamento Biologico


Testamento biologico, una scelta etica, 10 Ottobre 2008
Caricato da AMALTEO
Testimonianze

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lunedì 8 dicembre 2008

Testamento biologico

Ricevo dalla mia cara amica Marta il post sul testamento biologico e provvedo a pubblicarlo.
Il testamento biologico rappresenta per noi del gruppo “liberi di scegliere” la difesa di una libertà fondamentale: il Parlamento deve approvare rapidamente una “vera” legge che permetta ad ogni persona di indicare le cure e i trattamenti sanitari che ritiene accettabili, nel caso in cui un giorno, per un incidente o una grave malattia, diventasse incapace di intendere e di volere.
Vogliamo una legge che consenta di decidere se interrompere o non attivare terapie che non si considerano appropriate e sopportabili.
Vogliamo una legge che stabilisca che anche l’alimentazione e l’idratazione “artificiale” sono trattamenti sanitari, respingendo i tentativi del governo di normare la materia secondo un’etica “confessionale” non scientifica e non condivisa.
In Parlamento sono state presentate tante, troppe proposte: noi del Circolo Obama abbiamo deciso di sostenere quella del Senatore Ignazio Marino. Ci sembra la più completa, ma soprattutto condividiamo la competenza, la sensibilità e gli obiettivi di Ignazio Marino. Il nostro sostegno deriva da un lungo percorso di approfondimento: materiali e schede, sia analitici che sintetici, sono a disposizione di tutti nel nostro sito http://liberidiscegliere.wordpress.com/
La nostra battaglia non può prescindere dal coinvolgimento dei Circoli Territoriali del Pd: chiunque sia disposto a darci una mano con iniziative nelle diverse zone di residenza è il benvenuto.
Gli incontri su questo tema organizzati nei circoli e sul territorio troveranno ospitalità sul nostro blog: mandateci foto, notizie, documentazione di quelli già svolti e di quelli da svolgere.
Una legge sul testamento biologico non è una battaglia politica ma una lotta di civiltà e di libertà senza colori o sfumature.
Insieme possiamo vincere. Per essere più liberi.
Marta D’Agostino Tortorella

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domenica 7 dicembre 2008

Per ripartire

Appello di 54 parlamentari del PD per far ripartire il partito in vista della direzione del 19.12.2008.
Siamo nel cuore di una “crisi storica” segnata da una recessione globale e dalla minaccia costante di quel terrorismo che ha segnato il mondo dopo l’11 settembre. L’economia – non solo la finanza speculativa – è investita da previsioni allarmanti. Del resto basta guardare a noi. Un milione i posti di lavoro a rischio da qui a un anno. Quattrocentomila i precari a casa entro Natale, e tra questi moltissime donne. Una diffusione della povertà che lambisce e recluta parte del ceto medio. Imprese, anche coraggiose nel modo di stare sui mercati, dal futuro ipotecato. Il tutto in un Paese col bilancio pubblico che conosciamo, coi ritardi e le anomalie note. Fino a ieri eravamo una Nazione perennemente in bilico dentro un G8 che dominava il mondo. Oggi muore il G8 sostituito da un altro club dove per noi difficilmente ci sarà uno spazio significativo. Mentre restiamo una Nazione che non ha risolto il suo problema di fondo: l’aver rinviato per anni una profonda e giusta modernizzazione in termini di crescita e di espansione di opportunità, diritti, responsabilità. Un’Italia declassata: questo è il rischio. Un Paese isolato nelle sue lentezze, burocrazie, ineguaglianze. Dove le élites della politica e della società, in questo appaiate, potrebbero continuare nella mortificazione di talenti e persone per tutelare gli interessi e le rendite di pochi. Un grande paese che letteralmente può perdersi. Spegnersi. Eppure le risorse per reagire ci sono. Ma vanno viste, riconosciute, valorizzate. Il che è una delle ambizioni morali e politiche del Pd.
Questo è il quadro: un mondo che cambia in modo vorticoso. Un’Europa alla ricerca della propria funzione. Un’Italia che dovrebbe avere il coraggio, soprattutto adesso, di una “rivoluzione dolce”. Rivoluzione di idee, mentalità, contenuti economici e sociali. E che invece è in mano a un governo – a una destra – che si limita a rinnovare le cause della nostra decadenza in nome della triade “Dio Patria e Famiglia”. La realtà è che mai come ora siamo di fronte a snodi che investono il nostro destino. Il futuro per le prossime cinque o sei generazioni. La sorte stessa della “democrazia repubblicana”. E non perché siano in pericolo principi costituzionali formali ma per lo slittamento progressivo da una democrazia rappresentativa a un “autoritarismo subdolo”. Un processo che svuota delle sue prerogative un Parlamento “nominato”, che riduce gli spazi della partecipazione, che amplifica l’ossessione mediatica, che prosciuga le residue forme di civismo in un Paese di suo poco incline al rispetto delle regole e dell’etica pubblica.
Sono solo alcuni dei temi che il Pd deve affrontare. E la ragione che ha spinto molti tra noi a porre da tempo il nodo della sua cultura politica e del significato autentico di una “vocazione maggioritaria” che non va intesa come “autosufficienza”. Che ruolo immaginiamo per l’Italia dei prossimi anni? Che modello di democrazia scegliamo di difendere o promuovere, a partire dal “nostro” federalismo? Come pensiamo di affrontare il tema della crescita: quali terapie d’urto per creare nuova occupazione, per una più equa distribuzione dei redditi, per ridare dignità al lavoro? Che concezione abbiamo di sicurezza e legalità, della cittadinanza, del dialogo sulla pace e sui diritti umani? E come pensiamo di rapportarci a quelle domande di senso che ovunque investono le coscienze e responsabilizzano i parlamenti, a partire dalla difesa del principio della laicità nell’epoca dei fondamentalismi e di temi etici inediti? Insomma la vera domanda è come una politica “autonoma” intende rinnovare quella trama di diritti e doveri, quella comune responsabilità che distingue una società libera e consapevole, e che è l’unica strada per rilanciare una crescita competitiva, giusta socialmente e sostenibile nel suo impatto ambientale.
Si dice che guardiamo a Obama. Ma a quale dimensione di Obama? Quella che coltiva nel presente le grandi passioni civili del popolo americano? O anche l’Obama promotore di un programma di innovazione dell’economia e della coesione sociale? O ancora, l’Obama dei diritti civili e della tutela di ogni minoranza? E l’Europa? Possiamo noi – Democratiche e Democratici italiani – costruire oltre Atlantico il nostro campo di riferimenti ideali e culturali? O non è anche dalla storia e dalle radici profonde dell’Europa – della nostra civiltà e memoria – che dobbiamo trarre spunto per consolidare l’innovazione che ci siamo candidati a promuovere e governare? Questione che attiene anche al nodo della nostra collocazione futura nel Parlamento di Strasburgo.
Domande serie. Fino a quella – non la meno rilevante – che riguarda il modello di Partito che vogliamo costruire. Quale sarà nei fatti la sua articolazione territoriale, il suo radicamento. Quale sarà il peso dell’autonomia dei partiti regionali, nella definizione della propria cultura politica, delle alleanze, della selezione delle classi dirigenti. Perché una cosa è un partito federale. Altra sarebbe una confederazione di partiti. E ancora: come combineremo la spinta alla partecipazione delle primarie a tutti i livelli con una vita democratica che non si riduca solo a quell’aspetto, pure fondamentale?
Non è solo un elenco di temi. Il punto è che la risposta a questi e altri snodi fisserà la cornice culturale del Partito Democratico. Quel Partito che è la risorsa sulla quale abbiamo investito. E che rappresenta per ciascuno di noi la vera speranza di avvenire per il Paese.
Non possiamo assistere in silenzio a ciò che avviene sotto i nostri occhi. Un grande progetto di unità e innovazione rischia di smarrirsi dentro logiche di rendita e logoramento. A tutti i livelli. Prima di tutto al vertice, talvolta insofferente verso un confronto di merito sulle scelte che si compiono. Sul territorio dove i conflitti si moltiplicano, e spesso per ragioni di assetto o di potere. Nonostante ciò un “popolo democratico” esiste. Resiste. Reagisce, a partire dai nostri Circoli. Come si è visto al Circo Massimo. O nelle proteste di studenti, insegnati, lavoratori. Ma è lo scarto tra le due dimensioni – il paese reale e la vita politica e democratica del Pd – a creare incertezza, sconcerto, e in alcuni casi un abbandono silenzioso. Di fronte a questa situazione ognuno deve rimboccarsi le maniche. Non basta più dire che siamo nati solo da un anno, che si sono fatte molte cose buone e che il tempo premierà il nostro coraggio. Né il punto è una “resa dei conti” che riduca tutto alla questione della leadership. Noi dobbiamo affrontare e risolvere i problemi. E per farlo non è sufficiente ripetere che le “correnti” sono il male da combattere. E’ una frase di buon senso ma prescinde dal fatto che le correnti ci sono. Selezionano le persone sulla base della fedeltà più che del merito, e la maggioranza di chi le contesta – fino dentro il coordinamento nazionale – non può dire di esserne estraneo. Il risultato è che per i più “le correnti fanno male”, salvo la propria. Ma non è pensando a questo modo che si fanno dei passi avanti.
Per tutte queste ragioni è consolatorio ridurre la discussione sul nostro futuro allo scontro tra singole personalità. Soprattutto non aiuta. Il dovere di ognuno è dibattere dell’avvenire dell’Italia e della nostra democrazia. Senza reticenze. Proprio in nome dell’unità di un partito nel quale potersi sentire “comunità” è giusto confrontarsi in modo libero e limpido su idee e proposte per dare vita finalmente a un “pensiero democratico”. Un confronto dove l’appartenenza ai luoghi di tutti sia più forte del sostegno a singole componenti. Che poi è la condizione per una mescolanza che possa dar vita a un pluralismo di segno diverso. Certo, le emergenze incombono. La crisi economica e sociale, le elezioni europee e amministrative. E soprattutto l’azione quotidiana, il “fare”. Che passa dal sostegno alle nostre amministrazioni. E dalla qualità della nostra opposizione. In Parlamento, nella società, in ogni comune, provincia, regione. Ma proprio quelle emergenze impongono di affrontare i nodi non risolti nella costruzione del Pd. Perché un equivoco va superato. L’idea che la costruzione paziente dell’unità derivi dall’accantonamento della discussione sulle scelte. Scelte chiare e comprensibili a tutti. La realtà è che il Partito Democratico se vuole riacquistare quella credibilità delle “sue” parole, che oggi pare aver smarrito, deve puntare sulla limpidezza delle sue posizioni. E quella limpidezza non può essere il frutto di rimozioni o unanimismi di facciata ma il prodotto di una discussione franca e appassionata. Noi vogliamo contribuire a farlo, nelle sedi e nei luoghi dove ciò sarà concretamente possibile e nella stessa Conferenza Programmatica. Lo vogliamo fare con umiltà. Per amore della politica. Per passione verso il Partito nel quale crediamo. E per un’idea di partecipazione che dia valore a ogni persona, alla sua autonomia critica e all’impegno di ciascuno.
Firma anche tu l’appello

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