martedì 12 maggio 2009

Tour della legalità in Sicilia

Il “tour della legalità”in Sicilia ha rappresentato per me, ma spero anche per tutti coloro che vi hanno partecipato, una straordinaria occasione per prendere coscienza in maniera più diretta di alcuni problemi. Durante il viaggio, nel quale abbiamo percorso non solo località geografiche ma anche luoghi della memoria e dell'anima, si è creato un prezioso incontro tra tradizioni e modi diversi di sentire e vivere la propria comunità di appartenenza, ciò nel particolare momento storico in cui viviamo rappresenta già di per sé una ricchezza.
Toscani, calabresi e siciliani: tre identità collettive molto diverse si sono ritrovate insieme a discutere di politica, costume, sviluppo del territorio, lavoro e, soprattutto, di mafia, un triste problema che, anche se con modalità differenti, riguarda ormai il tessuto produttivo e sociale di tutte le regioni italiane.
Con la mia amica Tea ci siamo imbarcate a Napoli insieme ai nostri compagni di viaggio toscani. Maurizio, il nostro capogruppo, durante la traversata ci ha parlato del lavoro che in questi anni i circoli ARCI di Firenze, in collaborazione con i circoli ARCI siciliani, hanno svolto per favorire lo sfruttamento dei terreni sequestrati alla mafia e assegnati alla cooperative sociali, sorte grazie all'azione di “Libera” di Don Ciotti.
Il gemellaggio Sicilia – Toscana ha permesso a tanti ragazzi della provincia di Firenze di lavorare come volontari nei campi assegnati alle cooperative, con considerevoli vantaggi non solo economici ma anche e soprattutto in termini di solidarietà umana, perchè per sconfiggere la mafia il primo passo è smantellare l'isolamento di coloro che hanno il coraggio di opporsi a questo cancro.
Sbarcati a Palermo abbiamo proseguito verso Agrigento, con una breve sosta davanti alla stele della strage di Capaci. C'è stato qualche istante di silenzio carico di un'emozione molto forte: il nostro ricordo è andato a Giovanni Falcone, Francesca Morvillo, Vito schifani, Rocco Di Cillo, Antonio Montinaro e a quelle terribili immagini del “l'attentatuni” mandate da tutti i telegiornali, mentre i nostri occhi e le nostre macchine fotografiche tentavano di fissare il ritratto di quel luogo indimenticabile.
La prima tappa è stata la Riserva naturalistica di Macalube di Aragona, gestita da Legambiente, abbiamo quindi visitato Racalmuto, paese natale di Leonardo Sciascia, e Canicattì, dove siamo stati sui terreni confiscati alla mafia e affidati alla cooperativa “Lavoro e non solo”. La gestione di queste proprietà ha comportato, e ancora comporta, diversi problemi: un paio di anni fa, per convincere i ragazzi della cooperativa ad abbandonare l’iniziativa, i tralci di vite sono stati distrutti tutti ( non c'è bisogno che vi dica da chi!). Il danno sarebbe stato irreparabile se non fosse intervenuta la solidarietà dei circoli ARCI della provincia di Firenze, che con la loro mobilitazione e disponibilità sono riusciti a ricomprare tutte le nuove di viti. Le intimidazioni non sono comunque cessate, di tanto in tanto davanti al capanno degli attrezzi vengono messi animali impiccati, come monito mafioso che dica : “Qui comandiamo noi, e voi resterete solo fino a quando noi decideremo di farvi restare!”. Per fortuna tutti coloro che ruotano intorno alla cooperativa mostrano molto coraggio e non hanno nessuna intenzione di demordere. A Canicattì abbiamo avuto occasione d’incontrare anche il Capitano della stazione dei Carabinieri, che nel suo intervento si è soffermato sulle trasformazioni attuali della mafia, sempre più capace d'infiltrare il tessuto produttivo cosiddetto “rispettabile” e ricco, non solo nel proprio habitat ma anche al centro-nord. Il capitano ha infatti sottolineato con forza come gli ultimi sviluppi delle indagini fanno registrare un progressivo coinvolgimento nel circuito mafioso di imprenditori non vessati, che si rivolgono “all’onorata famiglia” per lucrare e sconfiggere la concorrenza abbattendo in maniera illegale i costi piuttosto che investire in innovazione. Nel suo intervento si è inoltre soffermato con preoccupazione sulle nuove norme che regoleranno le intercettazioni telefoniche, facendo notare come il loro carattere restrittivo possa mettere in serio pericolo tutta una serie di indagini in corso che, nella loro fase iniziale non possono a rigor di logica essere classificati come “reati di mafia”.
Le tappe successive sono state Palma di Montechiaro e Palermo, dove siamo stati in via d’Amelio, per ricordare il giudice Paolo Borsellino e gli uomini della sua scorta, Agostino Catalano, Emanuela Loi, Vincenzo Li Muli, Walter Eddie Cosina e Claudio Traina. Anche qui molti sono stati i sentimenti provati, tristezza, rabbia, umana pietà, ammirazione, ma sopra ogni cosa il desiderio di onorare nei fatti una tale testimonianza di umana dignità e coraggio.
Da Palermo siamo passati a Corleone, dove abbiamo visitato una casa sequestrata ai Riina e un’altra a Brusca, la prima già data in gestione alla cooperativa “Lavoro e non solo” e l’altra sarà assegnata tra breve. Qui abbiamo incontrato i ragazzi dell’associazione ARCI Dialogos, che ci hanno raccontato la storia di Corleone e del suo sindaco Bernardino Verro ucciso nei primi anni del ‘900 dalla mafia.
Ultima tappa è stata Portella della Ginestra il 1° maggio, con tanta gente, tanti gonfaloni di Comuni e bandiere, con due dei reduci di quella terribile strage che ci hanno raccontato i momenti più drammatici, con Rita Borsellino che ha voluto essere lì insieme a tutti noi senza prendere la parola dal palco.
La Sicilia, che mi ha inebriata con i suoi colori, odori e sapori, si è mostrata purtroppo come una terra in cui la mafia è ancora molto forte. Tuttavia davanti ai luoghi dove hanno perso la vita in nome di un ideale di giustizia (e aggiungerei anche di fratellanza contro ogni iniqua prevaricazione) Livatino, Falcone, Borsellino, Impastato, i contadini di Portella della Ginestra e tanti, tanti altri, si prova una forte emozione, un moto di rabbia e di orgoglio che urla dentro: ce la possiamo fare, possiamo, dobbiamo sconfiggere la mafia, la camorra, la ‘ndrangheta e tutto ciò che ci impedisce di essere uomini davvero liberi! È stato molto importante per noi viaggiatori vedere come non siano pochi i siciliani che, nonostante la paura e l'ostilità, tentino quotidianamente, con una testardaggine tipicamente meridionale, di contrastare il laido potere mafioso, e spero per loro sia stato altrettanto confortante sentire la nostra profonda stima, perché sono loro i veri “uomini di rispetto” di quella terra. Il prossimo importante passo sarà riuscire a portare sempre più ragazzi siciliani, da Palermo, Catania, Agrigento, ecc. a svolgere il lavoro fino ad ora fatto dai giovani toscani, perché le giovani generazioni possano imparare ad amare la loro meravigliosa terra non solo in senso astratto, ma prendendosene cura concretamente.
Da calabrese, che vive in un territorio devastato non solo dalla 'ndrangheta ma soprattutto dalle sue perniciose connivenze con il potere politico ed economico, posso dire di aver tratto speranza e forza dall'esempio dei fratelli siciliani, che non hanno alcuna intenzione di arrendersi di fronte alla ferocia mafiosa.
Insieme a tutti gli amici calabresi, che provano come me un profondo dolore e sconforto di fronte alla cancrena che sta divorando la loro splendida terra, mi è venuta voglia di progettare, tessere relazioni, ideare, dar vita insomma ad una serie di piccole ma concrete iniziative che possano far lievitare nella nostra martoriata regione lo spirito di legalità, di accoglienza e rispetto del prossimo, di amore e di conoscenza verso quelle che sono le nostre più profonde e nobili radici.
Questa è solo una piccola parte di tutto il bagaglio di impressioni e sentimenti che mi sono portata a casa dal viaggio, ringrazio quelli di voi che hanno avuto la pazienza di leggermi e vi abbraccio tutti con tanto affetto.
Nadia Lazzaro

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