martedì 29 settembre 2009

Verona: Donne in politica

Interventi di Vincenzo D'Arienzo e Franco Bonfante
Dopo la sentenza del Tar pugliese che ha annullato la nomina della Giunta Provinciale di Taranto perché formata da soli uomini, ritorna alla ribalta Verona con la Giunta Provinciale, presieduta da Giovanni Miozzi, per lo stesso motivo.
Queste sono posizioni che discriminano le donne e non tengono conto del loro talento. Quindi si ritorna indietro e non si tiene conto dell’evoluzione sociale e dei valori acquisiti che vengono rimessi in discussione con posizioni politiche arretrate e superate dal tempo.
“L'approccio culturale delle destre verso le donne è sostanzialmente volgare, afferma Vincenzo D’Arienzo (capo gruppo del PD in Consiglio Provinciale).
Quanto accade in Provincia, e mi riferisco alla Giunta di soli uomini e alla commissione pari opportunità che ancora non c'è, non è una mera dimenticanza. E' la conseguenza, continua D’Arienzo, di una sub cultura che una volta inquadrava le donne solo come mamme e casalinghe e oggi come contorno. E mi fermo qui”.
“In un momento delicato, conclude D’Arienzo, come questo in cui il ruolo della donna è negato o, come dimostra il Presidente del Consiglio, è privilegiato solo in alcuni ambienti, scimmiottare una consigliera del PD come gradita tra le fila della destra è l'espressione peggiore della funzione che vorrebbero attribuire all'altro sesso. E, ne sono convinto, questo non è neanche la punta dell'iceberg. C'è molto di più e di più negativo nelle loro elucubrazioni.
Provo pena per chi pensa che la collega Alice, che ricordo è stata la prima degli eletti del PD, sia solo "avvenente" (così riferiscono le cronache da destra) e senza cervello. E credo che lo capiranno presto”.
“Il caso che è nato intorno alla giovane Consigliere Provinciale del PD Alice Leso, afferma Franco Bonfante consigliere regionale, è emblematico di una certa visione della politica e delle istituzioni. Le battute sulla bellezza femminile, se educate e non eccessive, esistono dalla notte dei tempi e non credo abbiano mai dato fastidio alle interessate. Diverso è, invece, il contesto in cui possono avere luogo: dette dal Presidente della Provincia alla presenza di un giornalista, e rivolte ad un Consigliere eletto, possono dare adito a fastidi.
Innanzitutto, l’interessata potrebbe, continua Bonfante, far notare che è stata eletta perché nel suo collegio è riconosciuta e apprezzata, e non per il proprio aspetto; inoltre, probabilmente designare – sia pure per scherzo – come “reginetta” una delle poche figure femminili presenti in Consiglio (per di più dell’opposizione) non era certo il modo migliore per sciogliere una polemica sulla presenza femminile nella Giunta Provinciale”.
“Una battuta non è una questione di stato, ma voglio sperare che il Presidente Miozzi, conclude Bonfante, abbia compreso la propria “gaffe” e che rimedi non con semplici dichiarazioni di fraintendimento, ma al più presto con le decisioni politiche che gli competono: integrare una importante presenza femminile in Giunta, e consentire la costituzione della Commissione Pari Opportunità (per ora ferma al palo)”.
Nel corso della storia gli uomini hanno ricoperto ruoli di prestigio e di potere ed è stato sottovalutato l’apporto innovativo delle donne, le quali possiedono specifiche capacità: sensibilità, empatia, capacità di fare e pensare diverse cose contemporaneamente, propensione a pianificare ed a cooperare. Sarebbe un peccato non usufruire di tali qualità. Solo attraverso una sana integrazione delle diverse capacità di entrambi i sessi si arriverà a comporre un disegno armonico di benessere sociale.
Riporto alcuni brani di Tom Peters: "Agli uomini piacciono le regole; amano comandare e controllare e sapere per certo quale è il loro posto. Amano le strutture gerarchiche e le sicurezze che comportano. Le donne hanno sviluppato tutta una serie di capacità: facilità di parola, abilità di cogliere indizi non verbali, sensibilità emotiva, empatia, pazienza capacità di fare e pensare diverse cose contemporaneamente, propensione a pianificare a lungo termine, abilità di negoziare ed interagire e predilezione per la cooperazione, per raggiungere il consenso e dirigere su un livello paritario. Le donne prediligono il pensiero reticolare e gli uomini il pensiero per fasi."
Ho voluto citare Tom Peters ed Helen Fischer che sono fuori dal dibattito politico italiano e non possono essere utilizzati strumentalmente.
Il coordinatore del Pdl Massimo Giorgetti dichiara che “sulle donne non si scherza. E chi lo fa lo caccio dal partito”.
“Io non credo, afferma Giorgetti, alle quote rosa. Si decide per capacità, merito, equilibri politici, consenso”.
Giorgetti non dichiara di credere alle capacità specifiche delle donne, tanto è vero che la Giunta Provinciale è priva di donne e che i rappresentanti del PDL in Consiglio Provinciale su un problema di carattere politico scherzano e manifestano scarso interesse verso una problematica di rilevanza sociale e politica. Le testimonianze che vengono dall’altro non li aiutano a crescere.
Ritengo che la maggioranza del centro destra alla Provincia di Verona privilegia la propria posizione di potere e non valuta il pensiero degli altri e non si pone in una posizione di ascolto e di riflessione.
L’assenza di donne nella Giunta Provinciale di Verona e la mancata nomina della Commissione di Parità sono fatti che esprimono la cultura del centro destra che non solo discrimina le donne ma le valuta in modo errato non certamente per le loro specifiche capacità.
Documento
Gruppo Consiliare PD della Provincia

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lunedì 28 settembre 2009

Perché Pietro Ichino ha scelto Ignazio Marino

Editoriale del 27 settembre 2009
Ho già esposto in questo sito, nel dialogo con Michele Salvati sulle scelte congressuali, le due ragioni che mi hanno impedito di aderire alla mozione Franceschini.
In estrema sintesi, le riassumo così:
‑ i rapporti tenuti dal Pd in questi ultimi mesi, sotto la guida di Franceschini, verso socialisti e radicali non mi paiono coerenti con l’idea fondamentale del “partito a vocazione maggioritaria”, che dovrebbe aspirare ad accogliere e valorizzare al proprio interno tutte le forze politiche di centrosinistra, mostrandosi capace di conciliare e condurre a sintesi le loro posizioni; a socialisti e radicali Franceschini si è limitato a proporre una “solida alleanza programmatica”, che è cosa ben diversa dall’adoperarsi perché essi possano considerare il Pd come una grande “casa comune”;
- nella mozione Franceschini non ho trovato alcuna traccia dei due temi su cui mi sono maggiormente impegnato, insieme a tanti altri parlamentari e militanti del Pd, in questo primo anno e mezzo di legislatura, temi che pure occupavano un posto centrale nel manifesto elettorale con cui il Pd si è presentato agli elettori nel marzo 2008: la riforma del diritto del lavoro “nel segno della migliore flexsecurity europea” e la riforma delle amministrazioni pubbliche secondo i principi fondamentali della trasparenza totale, della valutazione indipendente e del benchmarking comparativo.
Quanto alla mozione Bersani, inizialmente me ne ha allontanato la sua apertura alla prospettiva di un possibile ritorno al sistema elettorale proporzionale, pur corretto alla tedesca, cui sono nettamente contrario. Devo riconoscere a Bersani e ad altri esponenti di spicco della sua mozione (tra i quali Massimo D’Alema ed Enrico Letta) alcune aperture esplicite alla prospettiva di una nuova politica del lavoro non conservatrice dell’esistente, e in particolare al progetto Flexsecurity. Ultimamente, però sul tema della riforma delle amministrazioni pubbliche dal quartier generale di Piazza SS. Apostoli è stato diffuso un documento che nega radicalmente valore alla battaglia condotta dal Partito in questo anno e mezzo di legislatura, soprattutto al Senato, con il disegno di legge n. 746 (di cui sono primo firmatario, ma che è stato firmato anche da tutta la presidenza del Gruppo e da alcune decine di parlamentari PD) e poi per il miglioramento del disegno di legge del ministro Brunetta. Non avrei mai potuto votare per una mozione che fa proprio quel documento: avrebbe voluto dire rinnegare gran parte di quel che ho sostenuto pubblicamente negli ultimi cinque anni e di quanto ho fatto in Parlamento dal maggio dell’anno scorso. Se, dopo il congresso, il PD cadesse nel gravissimo errore di fare sua una posizione come questa su di un tema di importanza così decisiva per il futuro del Paese, esso si presenterebbe agli elettori non come “espressione politica del movimento sindacale” (che già sarebbe una riedizione antistorica dell’esperienza laburista, contraria alle ragioni stesse per cui il PD è nato), ma come espressione politica della parte peggiore del movimento sindacale.
Ho trovato, viceversa, una piena coerenza con la “strategia del Lingotto”, e anche molte consonanze con le mie idee e proposte, sia sul versante della riforma del diritto del lavoro, sia su quello della riforma delle amministrazioni pubbliche, nella mozione Marino e nelle prese di posizione dei suoi principali sostenitori. Se nelle settimane scorse non le ho dato il mio appoggio militante è perché – forse sbagliando – ho avuto qualche riserva iniziale sulla capacità del suo portabandiera di proporsi come leader politico a tutto campo; ho avuto, inoltre, l’impressione che i suoi sostenitori pongano troppo selettivamente l’accento su alcuni altri temi, certo importanti, ma che non possono essere quelli decisivi per conquistare la maggioranza tra quaranta milioni di elettori.
Detto questo, comunque, al congresso una scelta va compiuta. E, tutto considerato, in una situazione che vede la contesa per la leadership di fatto ristretta a Franceschini e Bersani, non mi pare affatto male per il PD che il terzo contendente concluda la corsa con un risultato di rilievo: ciò condizionerà comunque positivamente il vincitore. Per questo, stamattina, al congresso del mio circolo, ho votato la mozione Marino. Per la segreteria regionale lombarda ho invece votato per Maurizio Martina, col quale già da molto prima di questa vicenda congressuale condivido idee, proposte e iniziative, non solo in materia di politica del lavoro; e continuo a condividerle.
P.S. Se ho proposto in questo documento alcune notazioni negative su posizioni che si esprimono nel PD, è solo per assolvere il dovere di spiegare ai lettori ed elettori i motivi delle mie scelte in questa campagna congressuale. Ci sono però anche alcuni dati molto positivi da sottolineare in questa vicenda congressuale. Innanzitutto il fatto che questo sia un congresso veramente aperto, il cui risultato finale non è stato fin dall’inizio (e non è neppure ora) affatto scontato. Inoltre il fatto che il Partito non si sia diviso per nulla secondo le provenienze politiche degli iscritti ante-2007. Poi il fatto che il dibattito congressuale abbia prodotto il risultato di una progressiva notevole convergenza fra le mozioni su numerose questioni di grande importanza, prime fra tutte la scelta per un sistema bipolare tendente all’alternanza di governo e la concezione laica del Partito. Infine il coinvolgimento reale nel dibattito interno al Partito di tanti non iscritti, che si preparano a esprimere la loro scelta nelle elezioni primarie del 25 ottobre.

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venerdì 25 settembre 2009

Consulta PA: e la storia di brunetta continua

Giorno 22 settembre u.s. l’onorevole Linda Lanzillotta, responsabile del Dipartimento Pubblica Amministrazione del Partito Democratico, ha convocato a Roma la riunione della Consulta delle Pubbliche Amministrazioni, alla quale hanno partecipato rappresentanti delle associazioni civiche e dei consumatori, tra cui la sottoscritta, dirigenti pubblici, funzionari, rappresentanti delle organizzazioni sindacali, deputati e senatori del Pd componenti delle Commissioni Affari Costituzionali.
Durante il dibattito sono emerse numerose perplessità soprattutto in riferimento al Decreto Legislativo di attuazione della legge 4 marzo 2009 n.15, in materia di ottimizzazione della produttività del lavoro pubblico e di efficienza e trasparenza delle Pubbliche Amministrazioni.
In particolare:
- Con l’attuazione del decreto suddetto, viene istituita la Commissione per la valutazione e la misurazione della performance del personale dipendente. A questo proposito, non è chiara l’articolazione dell’attività che dovrà svolgere tale Commissione, né i criteri eventualmente adoperati nell’effettuare eventuali valutazioni delle prestazioni lavorative;
- Il decreto prevede inoltre che ciascuna Amministrazioni formuli una “graduatoria” che distribuisca il personale in servizio in differenti livelli di performance in modo da essere collocati, in percentuali differenti, nelle fasce di merito alta, intermedia e bassa. Per effetto di tale operazione, viene stabilito "a priori" che il 25% del personale non sia meritevole di percepire alcun compenso accessorio. Di conseguenza, qualora si verifichi che all’interno di un’Amministrazione tutto il personale raggiunga pienamente gli obiettivi assegnati, in ogni caso parte di esso verrà escluso dall’attribuzione del compenso incentivante;
- Per quel che riguarda poi la gestione dell’ “Assenteismo”, i dati a cui fa riferimento il Ministro Brunetta sono totalmente falsati dal fatto che in essi vengono ricomprese tutte le tipologie di assenza senza alcuna differenziazione, racchiudendo al proprio interno anche ferie, permessi retribuiti a vario titolo, astensione obbligatoria per gravidanza, ecc.. Tali tipologie di assenza, infatti, non possono essere imputate al fenomeno assenteistico, dal momento che costituiscono l’esercizio di un “diritto” spettante al lavoratore per contratto e non possono quindi essere assimilate ad una volontaria intenzione del dipendente di assentarsi dal posto di lavoro. Appare necessario chiarire al Ministro l’equivoco di fondo che consiste probabilmente in una errata attribuzione di significato per ciò che si intende con il termine “Assenteismo”.
Adriana Aronadio

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giovedì 24 settembre 2009

Consulta P.A.: Brunetta usa mandato per velleità politiche, è gravissimo

Preoccupazione per il visibile peggioramento della situazione delle amministrazioni pubbliche e della qualità dei servizi. Questo è quanto emerso dalla Consulta delle Pubbliche amministrazioni del Partito Democratico, presieduta da Linda Lanzillotta, alla quale hanno partecipato rappresentati delle associazioni civiche e dei consumatori, dirigenti pubblici, funzionari, operatori delle amministrazioni statali, regionali e locali, rappresentanti delle organizzazioni sindacali dei dipendenti e dei dirigenti, deputati e senatori del Pd componenti delle Commissione Affari Costituzionali e Lavoro e amministratori.
Secondo la consulta si fa propaganda ma il cambiamento non c’è. E non perché basta aspettare gli effetti delle leggi Brunetta. Il fatto è che i vari decreti dell’incontinente ministro, che anche oggi in un’intervista non ci ha risparmiato la dose ormai quasi quotidiana di veleni e farneticazioni, non rispondono affatto agli annunci.
“Molti di quei principi erano stati condivisi dal Pd, convinti come siamo che la P.A. sia un patrimonio del Paese e non possa essere gestita con una logica di contrapposizione – hanno detto i partecipanti alla consulta –. Ma purtroppo la distanza tra la propaganda e i fatti concreti si sta rivelando sempre più grande. Della rivoluzione annunciata da Brunetta, insomma, non solo non si vedono risultati tangibili, ma si va anzi nella direzione opposta. Basti pensare che secondo i dati più recenti, nell’ultimo anno sono aumentati del 25% gli oneri amministrativi a carico delle Pmi e che aumentano le spese per il personale e per gli acquisti. Quanto alla riduzione dell’assenteismo, lo slogan preferito dal ministro, la verità è che la sua entità sarà verificata solo in base ai dati ufficiali della Ragioneria di Stato, ma che finora sembra in linea con trend di riduzione degli ultimi anni.
E intanto, mentre si annuncia una rivoluzione inesistente, si tenta di nascondere situazioni drammatiche: dall’assenza dei soldi per i contratti, all’emergenza di alcuni settori che sono in situazioni quasi di collasso come gli uffici giudiziari, dei quali il ministro si è occupato solo per l’insulsa polemica sui tornelli per i magistrati.
Ciò che è ormai chiaro è che il ministro Brunetta sta utilizzando la pubblica amministrazione per costruire la propria popolarità e lanciarsi in altre imprese politiche.
E’ un comportamento grave che va denunciato. Per questo il Pd, a partire dalle prossime settimane, organizzerà una serie di iniziative per far conoscere, amministrazione per amministrazione, la situazione in cui queste versano e fare emergere in modo chiaro quali siano i problemi e quali i veri risultati dell’azione del governo.

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Fannulloni si diventa

Il giudice Borsellino era un dipendente pubblico, il professor Biagi anche, così come gli uomini della scorta del giudice Falcone. E questi sono gli eroi. Enrico Fermi era un dipendente pubblico, così come lo è la maestra di mio figlio, che ha fatto un lavoro importantissimo e straordinario. E questi sono i campioni. Anche l’impiegato che ha accumulato centoventi giorni di assenza in un anno è un dipendente pubblico, così come lo è quello che si fa timbrare il cartellino dal collega compiacente. E questi sono i fannulloni. Come possono convivere nelle organizzazioni pubbliche persone tanto diverse? Semplicemente, non possono".
Il libro descrive, con ampi riferimenti alla realtà, la situazione delle organizzazioni pubbliche e illustra alcune fondamentali proposte per il cambiamento delle stesse, nell’ambito del nuovo quadro di riforma del lavoro pubblico delineato dalla "legge Brunetta" (Legge delega 15/09). Un libro destinato a far discutere, che si inserisce a pieno nel dibattito sui fannulloni e le inefficienze della pubblica amministrazione, con una prospettiva però del tutto nuova, capace di superare gli stereotipi e, soprattutto, di concentrarsi sulle cose che si possono e si devono fare.
L'autore del libro, "Fannulloni si diventa" editore Egea, è Giovanni Valotti, docente di Management pubblico presso l'Università Bocconi.

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martedì 22 settembre 2009

Congresso del Partito Democratico a Verona

In questo mese di settembre in occasione della prima fase del congresso del Partito Democratico diversi esponenti nazionali del partito hanno partecipato a numerose manifestazioni organizzate nel Veneto. Gli stessi esponenti non sono stati presenti a Verona.
Per capire questo fenomeno ho posto qualche domanda agli esponenti del PD veronese perché ritengo che in qualche modo la provincia non è stata tenuta in considerazione per come dovrebbe.
Remo Zanella afferma che per “la mozione Dario Franceschini, a partire dal mese di agosto, sono venuti a Verona dirigenti di calibro quali: Dario Franceschini stesso, Debora Serracchiani, Pierluigi Castagnetti e, più volte il candidato alla segreteria regionale Andrea Causin. Per quanto riguarda il prossimo futuro, in agenda sono previsti incontri con altri dirigenti nazionali di rilievo”.
“Vorrei innanzitutto ricordare, afferma Roberto Fasoli, che i principali esponenti del Partito Democratico sono già venuti a Verona nel corso del mese di agosto, prima dell'inizio del percorso congressuale: Bersani, Franceschini e l'incontro con la Bindi è saltato all'ultimo momento ma lei si è impegnata a tornare nel mese di ottobre”.
“A Verona sono venuti, continua Roberto, più volte i candidati alla segreteria regionale: Rosanna Filippin per la mozione Bersani, Andrea Causin per Franceschini e Felice Casson per Marino. Recentemente è venuto anche Vasco Errani, presidente della regione Emilia Romagna, che ha presentato la mozione Bersani nell'assemblea congressuale del 6° circolo e poi ha incontrato gli amministratori a Villafranca. Penso che nel mese di ottobre sarà possibile avere ancora a Verona i principali esponenti del partito. Quanto alla valutazione sul ruolo di Verona nel Veneto e a livello nazionale ritengo utile una seria riflessione da svolgere con calma in altra occasione. Personalmente però non credo ci sia uno stretto collegamento tra i due fatti, anche se è indiscutibile che i leader tendono ad essere più presenti nelle piazze più importanti”.
Resta il nostro impegno, conclude Roberto Fasoli, con o senza la presenza dei massimi esponenti, a svolgere un buon congresso, attento al merito dei problemi e pieno di analisi e proposte serie, per rilanciare veramente il ruolo del PD e far rinascere la speranza.
“E’ vero che Verona, dichiara Franco Bonfante, è stata in alcune occasioni poco frequentata dai big nazionali, ma ci sono stati tanti e importanti nomi che hanno girato il nostro territorio, rincuorando i militanti e vivacizzando dibattiti ed iniziative pubbliche”.
Franco Bonfante afferma che “Bersani è venuto la primavera scorsa a sostegno di Diego Zardini, ed è tornato a Quinzano all’inizio di agosto. Dario Franceschini ha partecipato all’inaugurazione della sede ed è tornato sempre alla festa di Quinzano. Rosy Bindi dovrebbe passare nelle prossime settimane, e così pure Enrico Letta, che è stato a Negrar a giugno. Debora Serracchiani è stata ospite alla Festa di San Michele. Vasco Errani è appena venuto a Verona, partecipando come relatore al Congresso di Circolo di Borgo Venezia e ad una iniziativa a Villafranca. Castagnetti ha partecipato ad una iniziativa di mozione al Liston 12, mentre Zanonato ha riempito Sala Lucchi presentando la mozione Bersani. Luigi Berlinguer è venuto a Verona prima delle elezioni Europee”.
Certo che rispetto ad altri territori, conclude Franco Bonfante, dove la presenza di personaggi importanti è costante e diffusa, da noi si può migliorare molto, ma credo che non si debba fare di ogni erba un fascio. Occorre invece lavorare perché il Veneto (e Verona in particolare) riesca ad esprimere in futuro esponenti nazionali radicati e forti del consenso del territorio.
Dalle dichiarazioni degli esponenti del PD risulta che nella prima fase congressuale che si sta svolgendo in questo mese di settembre Bersani, Franceschini e Marino non sono stati presenti a Verona. Inoltre altri esponenti di rilevanza nazionale sono stati presenti in altre provincie e non a Verona. Ritengo, pertanto, che occorre impegnarsi di più affinché l’impegno politico dei democratici di Verona venga riconosciuto a livello nazionale ed i problemi della Provincia di Verona non vengano sottovalutati.

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PD Legnago: elezione del coordinatore del circolo

Gianfranco Falduto ha deciso di presentare la propria candidatura a coordinatore del circolo del Partito Democratico di Legnago accompagnata da una mozione ricca di contenuti e di impegni per dare una svolta alla presenza politica del PD dopo i recenti avvenimenti politici (elezioni amministrative disastrose, dimissioni del coordinatore, mancata costituzione del gruppo PD in consiglio comunale). Ritengo che i contenuti espressi nella mozione siano importanti per avviare una grande processo di cambiamento a Legnago.
Ecco i dieci punti proposti da Gianfranco.
1. Un Partito Credibile
Credo invece che il problema più grande che abbiamo in questo momento sia quello della credibilità. Non siamo in grado di svolgere un’azione politica credibile. Non siamo capaci di offrire ai nostri elettori e tanto meno alla gente una visione chiara del futuro della società come vorremmo che fosse. E la percezione della gente è che il PD non solo non sia in grado di dare soluzioni concrete ai problemi, ma addirittura di non essere neppure in grado di comprendere quali siano i problemi.
È di vitale importanza trovare il modo di risolvere questo problema e di rilanciare un partito, il nostro, che sia in grado di portare avanti efficacemente un progetto ed un’azione politica credibili, che sappia parlare alla gente, che sappia essere un punto di riferimento e di aggregazione per tutte quelle persone, e sono tante, che si identificano nei nostri stessi valori, che credono che la politica sia capace di cambiare le cose e che aspirino a lasciare alle generazioni future un mondo capace di progredire nel rispetto della dignità dell’uomo, nell’abbattimento delle barriere, nella pace, nella giustizia sociale, nel rispetto dell’ambiente.
2 Una nuova mentalità capace di abbracciare il cambiamento
Costruire un partito credibile è un obiettivo non certamente facile da raggiungere. Bisogna mettere in campo il meglio delle nostre capacità e tanta buona volontà soprattutto per superare la frammentazione delle posizioni spesso eccessivamente personalistiche. Quello che serve è una nuova mentalità che sappia abbracciare il cambiamento e che abbia il coraggio di operare scelte innovative che portino ad un rinnovamento vero.
3 Un Partito coerente con i suoi valori
È necessario che l’azione politica che viene svolta sia all’interno del Partito che all’esterno sia coerente con i nostri valori. Sembra una banalità, ma se in questi due anni di attività fossimo stati sempre, comunque, dovunque coerenti con i nostri principi, e fossimo stati capaci di mettere in pratica le idee e le parole con azioni e progetti chiari e precisi, saremmo anche stati credibili e la gente sarebbe stata ad ascoltarci con maggiore attenzione.
Care amiche ed amici, compagne e compagni, la coerenza è ormai diventata ovunque merce rara, ed all’interno del nostro partito è da tempo latitante e dobbiamo a tutti i costi riacciuffarla.
Proviamo allora a darci delle regole da applicare rigorosamente sulla coerenza, cioè sul principio di fare seguire alle idee ed alle discussioni le azioni conseguenti e necessarie affinché le idee e le parole si traducano in fatti concreti e programmi politici.
4 Il Partito della partecipazione
Prendiamo adesso uno dei nostri valori più importanti, se non il più importante, che ritroviamo anche nel nome stesso del nostro partito, il valore della democrazia.
Ebbene, democrazia non vuol dire solamente e semplicemente il riconoscimento a tutti i cittadini del diritto di voto, ma vuol dire molto di più. Nel significato di Democrazia è insito anche il principio dell’uguaglianza, della partecipazione, del diritto di accedere all’informazione libera e veritiera.
Uno stato democratico deve favorire al meglio questa partecipazione e organizzarsi in modo che ogni persona possa incidere nella maniera più diretta possibile sulle scelte politiche e sull’amministrazione della cosa pubblica.
Abbiamo lasciato cavalcare ai nostri avversari politici della Lega Nord il problema del federalismo. La Lega è apparsa paladina di questa importante riforma, ottenendo forti consensi tra la gente, catalizzando l’attenzione dei media che hanno lasciato nell’ombra le nostre tesi tanto che la percezione della gente sia stata che il PD non fosse in grado di formulare proposte credibili su questo argomento. Eppure quello delle autonomie locali, ed il conseguente impegno a portare al massimo il decentramento dei poteri dello stato, anche dal punto di vista fiscale, così come quello della sussidiarietà, sono temi che appartengono alla nostra tradizione culturale, e sono temi coerenti con il nostro valore di democrazia.
La regola della coerenza deve essere rigorosamente applicata innanzitutto all’interno del Partito, che è Partito Democratico per antonomasia e che di democrazia deve nutrirsi in ogni atto o azione che compia, non soltanto per crescere e contribuire efficacemente al cambiamento della società che tutti sogniamo, ma anche per essere in grado di guidarlo il cambiamento.
Applicare rigorosamente la regola della coerenza significa che il Partito Democratico, il nostro Circolo di Legnago, debba assumere impegni chiari e mettere in campo iniziative precise.
È necessario assumere iniziative che favoriscano l’informazione, il confronto e la partecipazione della gente sui temi che interessano la Città e che vengono dibattuti in Consiglio Comunale ed in Giunta.
5 Il Partito della trasparenza
È necessario che la gestione politica e amministrativa della nostra città avvenga nella massima trasparenza. Bisogna munirsi di cesoie e sfrondare il sottobosco della politica. Tutto quello che avviene in aula consiliare, in giunta, nei corridoi del palazzo, si tratti di questioni grandi o piccole, di scelte strategiche o di semplici nomine nei vari enti, tutto questo deve essere di dominio pubblico, tutto questo deve essere motivato, e i motivi delle scelte devono essere trasparenti, aperte al dibattito e al confronto di tutti gli elettori, egualitariamente. Questo è il ruolo che dovranno svolgere i nostri rappresentanti nel Consiglio Comunale, con coerenza e nella consapevolezza di portare avanti un’azione politica non individualistica e fine a se stessa ma un’azione compatibile con gli obiettivi e i programmi del Partito per la costruzione di una società democratica e partecipativa.
Per raggiungere questi obiettivi è necessario che il Partito si organizzi e si strutturi in modo da facilitare e rendere più efficace l’azione politica.
È necessario che in seno al Consiglio Comunale si costituisca il gruppo del PD, così come è necessario che il gruppo consiliare nel suo compito venga supportato da tutto il Partito. Questo perché i nostri consiglieri abbiano forza e credibilità e possano condurre il loro mandato in maniera efficace e costruttiva. E tra le iniziative da assumere c’è quella di convocare l’assemblea degli iscritti tutte le volte che si riunisce il Consiglio Comunale per discuterne in anteprima l’ordine del giorno e dare mandato al gruppo consiliare di agire sulla base delle decisioni prese.
6 Un Partito che sappia parlare alla gente
Il Partito Democratico deve ritrovare la vocazione di essere prima di ogni altra cosa strumento di partecipazione delle persone alla vita politica e sociale. E per questo deve farsi promotore di incontri con associazioni, categorie produttive, organizzazioni di studenti e lavoratori, ma anche con la gente, le famiglie, per discutere dei problemi di ogni giorno, la casa, il lavoro, la scuola, dei problemi che incontrano le donne nell’essere mamme e lavoratrici allo stesso tempo, dei problemi degli anziani, la sanità, la solitudine. Di queste cose soprattutto deve occuparsi la politica.
Ma per parlare con la gente dobbiamo imparare ad usare un linguaggio nuovo, meno saccente e forse anche meno arrogante. Però non deve essere neppure un linguaggio che si rivolga alla pancia delle persone, come adesso si usa fare per rastrellare qualche voto in più. Deve essere un linguaggio che ci consenta di rivolgersi alla testa e al cuore delle persone. Per esempio, che ci consenta di dialogare con chi ritiene che sia giusto ricacciare in mare i disperati dei barconi perché sono dei delinquenti, per fare capire che questa non è la giustizia, che la giustizia è un’altra, che i veri delinquenti non attraversano a piedi il deserto del Sahara e non salgono in 100 su barconi che
possono contenerne al massimo 20 e vedere morire di fame e di sete i propri compagni in una traversata che non finisce mai. Che i veri delinquenti sono altrove, a godersi i quattrini guadagnati sulla pelle di quei disperati.
7 Un Partito coeso
Il Partito deve essere coeso, unito. Il nostro deve essere un partito pluralista, aperto al dibattito ed al confronto, che può essere serrato ed anche aspro se occorre. Ma tutto questo deve avvenire all’interno delle nostre sedi. È necessario discutere, ma è anche necessario condividere una sintesi e prendere decisioni che dovranno poi guidare l’azione politica del partito. E potrebbe accadere che le decisioni vengano prese a maggioranza, votando. È necessario riprendere il gusto di confrontarci liberamente e votare liberamente. Questo vuol dire che il Partito deve essere composto da donne e uomini liberi, liberi di discutere e di confrontarsi sulle idee e sui progetti. Liberi da pregiudizi e da interessi personalistici, liberi dalla schiavitù intellettuale di appartenere a cordate o a correnti di vecchio stampo. Liberi soprattutto di votare per ciò che si ritiene giusto senza dovere niente a nessuno. Una volta che si è discusso, votato, deciso, il Partito deve essere unito. Le scelte devono essere portate avanti da tutti, con convinzione, con forza, con sinergia. È importante che l’unità del Partito venga percepita dalla gente, perché questo dà forza e credibilità.
8 Una squadra vincente
Da appassionato di calcio, vorrei usare una metafora calcistica. In una partita di calcio scendono in campo 11 giocatori. Ognuno ha un ruolo e svolge un compito preciso. E c’è l’allenatore che stabilisce la tattica e assegna i compiti. Adesso, chi conosce il calcio sa bene che una squadra può essere composta da campioni super talentuosi, ma se ognuno gioca per conto suo e non per la squadra, se non c’è coesione e unità di intenti è difficile che poi si vinca la partita. Le squadre vincenti sono quelle che giocano unite, dove ogni giocatore supporta il gioco del compagno, dove ogni giocatore fa il tifo per il compagno e spera che questi porti a termine l’azione con successo ed
è disposto a sostenerlo ed aiutarlo, perché è consapevole che la vittoria della squadra è anche la sua vittoria. È nelle squadre di questo tipo che vengono valorizzati i talenti e i singoli giocatori diventano più forti. Chi conosce il calcio sa bene che per vincere il pallone d’oro, che è un premio individuale, bisogna appartenere ad una squadra vincente.
Credo che il Circolo PD di Legnago debba agire come una squadra di calcio, con una sola differenza però. Che mentre in una squadra di calcio non c’è democrazia e le decisioni vengono prese solo dall’allenatore, nel nostro Circolo le decisioni verranno prese collegialmente. Collegialmente verranno assegnati i ruoli ed i compiti e si farà un gioco di squadra in cui ognuno
supporterà il compagno e tiferà per lui, perché la vittoria della squadra è la vittoria di tutti. Bene, in questa squadra il Segretario del Circolo non sarà come l’allenatore che decide e dispone, ma dovrà mettersi a servizio degli altri con l’unico obiettivo di garantire che le decisioni vengano prese
collegialmente e che ognuno svolga al meglio il suo ruolo all’interno di un gioco di squadra.
9 Una sede sempre aperta
Una priorità che il nuovo Segretario di questo Circolo dovrà affrontare è quello della sede. Il Partito Democratico di Legnago deve avere una sede adeguata ed accogliente, che divenga strumento di una presenza viva e vivace nella nostra città. Una sede aperta sempre, capace di essere un punto di riferimento per tutti coloro che hanno voglia di partecipare alla vita politica, sociale e culturale del partito e che vogliono essere protagonisti della vita politica di Legnago. Una sede che sappia accogliere prima di tutto i giovani, che devono trovare nella sede del PD un luogo dove incontrarsi, discutere, realizzare iniziative, fare valere le proprie esigenze. Una sede che sia un laboratorio di idee e di progetti che contribuiscano alla crescita sociale e culturale di tutta la città, e non solo, che sia un punto di riferimento anche per gli altri circoli della bassa veronese, per attività ed iniziative che vadano oltre lo stretto ambito cittadino. Tutti gli iscritti, nessuno escluso, secondo la voglia e il tempo disponibile, seppure minimo che ognuno vorrà mettere a disposizione, saranno chiamati a dare il loro contributo affinché la sede rimanga, almeno per poche ore, ma tutti i giorni aperta.
10 Un’organizzazione viva
Altra priorità è l’organizzazione della vita del Circolo. Il nuovo Segretario condividerà con il Coordinamento del Circolo la nomina di un Comitato Esecutivo che si occuperà di tutte le attività. Ogni componente dell’Esecutivo avrà l’incarico e la responsabilità di sviluppare attività di studio e di iniziativa politica nell’ambito di un’area tematica. A questo scopo coordinerà l’attività di una Commissione aperta al contributo di tutti coloro ne volessero fare parte, sia iscritti che simpatizzanti. L’Esecutivo e le Commissioni saranno il motore propulsivo dell’azione politica del Partito Democratico legnaghese verso il territorio, verso la popolazione, verso le amministrazioni locali e verso i livelli superiori dello stesso Partito. Almeno una volta all’anno l’operato ed i risultati ottenuti da ciascuna commissione verranno sottoposti alla valutazione ed al giudizio dell’Assemblea degli iscritti al Circolo.
Il Partito Democratico è il nostro partito, è la nostra casa dove ognuno deve sentirsi a suo agio e dove ogni iscritto ha il dovere ed il diritto di dare il proprio contributo in termini di idee e di impegno concreto. Ed il nostro impegno sarà quello di mettere tutti, nessuno escluso, nelle condizioni di potere contribuire fattivamente e di essere protagonisti, ciascuno secondo il tipo di impegno e secondo la disponibilità di tempo che può dedicare. Tutti dobbiamo sentirci impegnati e recitare la nostra parte, senza comparse, ma tutti protagonisti, seppure ognuno di noi nel nostro piccolo. Tutto questo nella consapevolezza che il Partito Democratico in questo momento ha bisogno del contributo di tutti per rinnovarsi e per rilanciarsi, per essere forte e vincente, per cambiare con la politica il nostro Paese.”
Gianfranco Falduto
Si segnala la presentazione della candidatura di Clara Scapin, la quale ricopre attualmente l'incarico di consigliere provinciale e comunale. Ritengo che il codice etico del partito non permetta giustamente il cumulo di tante cariche.
Oltre a Falduto e a Scapin ha presentato la sua candidatura Tommaso Casari.

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lunedì 21 settembre 2009

Quale lavoro dopo la crisi? Analisi e Proposte


Conclusioni dell'on. Massimo D'Alema
Quaderno N° 3 dalla Fondazione Italianieuropei

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Quale lavoro dopo la crisi? Analisi e Proposte


Intervento del senatore Pietro Ichino.
Quaderno N° 3 dalla Fondazione Italianieuropei

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giovedì 10 settembre 2009

Michele Salvati sceglie Franceschini

La scelta fra i tre candidati alla segreteria nazionale non è facile. Non è facile sulla base delle tre mozioni congressuali, in larga misura condivisibili e spesso sovrapponibili nella loro (inevitabile) genericità: data la natura di questi documenti, sottolineare frasi più o meno felici, affermazioni più o meno efficaci, reticenze o silenzi più o meno sapienti, è un modo di selezione poco affidabile. Un criterio migliore sarebbe quello di guardare alle storie dei dirigenti che si sono schierati per ognuno dei tre candidati: sono storie note, che raccontano di scelte (e non scelte) effettive e rivelano convinzioni e atteggiamenti più significativi di qualsiasi dichiarazione programmatica. Ma anche utilizzando questo criterio il giudizio continua a restare difficile. Come ricordiamo tutti, quasi l’intera nomenclatura dei due partiti costituenti si era schierata a suo tempo per Veltroni, anche quella parte che certamente non condivideva le idee da lui esposte al Lingotto, cosa che non poco ha contribuito alla confusione e alle incertezze successive.
Ora la nomenclatura si è divisa più nettamente di allora tra i due principali candidati, ma le linee di divisione non sono affatto chiare.
E’ una fortuna, ed è un successo del progetto PD, che la linea di divisione non sia più quella delle vecchie provenienze partitiche e neppure quella, ancor più insidiosa, tra credenti e non credenti (è priva di senso la contrapposizione tra laici e cattolici: un credente cattolico del nostro partito dovrebbe essere, ed è di solito, altrettanto laico di un non credente quando si tratta di distinguere tra la sfera della politica e delle istituzioni e quella delle convinzioni morali e religiose). Qual è allora la linea di demarcazione, quella che spiega perché Bindi e Letta stanno con Bersani, mentre Rutelli e Fassino stanno con Franceschini? E’ forse quella tra un atteggiamento di riformismo più liberale ed uno più socialdemocratico? In parte forse si, ma non quadra del tutto né con i nomi che abbiamo appena fatto, né con i testi delle mozioni. Calcoli di carriera, situazioni locali, legami contingenti, ragioni di opportunità le più varie confondono le acque, e poi una parte non piccola delle personalità più significative non si sono ancora schierate. E allora? Una qualche ragione deve pur esserci che spieghi schieramenti così insoliti, nonché le perplessità di tanti. A mio modo di vedere una ragione c’è, anche se certamente non è l’unica ed è offuscata da dichiarazioni tattiche dei candidati e dei loro principali sostenitori. Scusandomi con Marino –non è segno di scarsa considerazione- per ragioni di chiarezza mi limito ai due candidati che hanno maggiori probabilità di successo. E avverto che la nostra è una interpretazione, che probabilmente né Bersani, né Franceschini accetterebbero per intero.
“Diamo un senso a questa storia”, la storia del PD -afferma Bersani- dimenticando forse che Vasco Rossi aveva aggiunto: “perché un senso questa storia non ce l’ha”. Questa è una battuta, naturalmente, ma dei due candidati a me sembra che effettivamente Bersani sia quello che muove le critiche più radicali alle scelte operate nel recente passato. Non soltanto alla brevissima vicenda del PD –neppure due anni- ma all’intera storia che dall’Ulivo ha condotto al PD, e alle convinzioni sulle quali questo partito è stato costruito. Un partito di iscritti e di elettori. Aperto a primarie per la scelta dei candidati a cariche istituzionali, ma anche al coinvolgimento degli elettori nella scelta finale dei suoi dirigenti. Un partito che raccoglie, fonde e soprattutto adegua e rinnova tutte le grandi tradizioni riformistiche. E un partito grande, che si vuole misurare con un suo candidato Premier in un confronto bipolare. Vocazione maggioritaria non significa “correre da solo”, ma esprime una ambizione egemonica all’interno della coalizione, se questa è necessaria per vincere. Critiche alla segreteria Veltroni possono e debbono essere fatte. Ma la mozione originale di Bersani, la storia e molte dichiarazioni di suoi autorevoli sostenitori, significativi consensi da parte dell’UDC, hanno fatto sorgere in me la preoccupazione che le critiche non riguardino solo le discutibili scelte tattiche del recente passato, ma la stessa linea strategica, lo stesso impianto culturale sul quale il PD è stato costruito e che ho appena riassunto in modo sommario.
La mia preoccupazione è che il PD guidato da Bersani –per ora costretto in un contesto bipolare dalla legge elettorale voluta dal PDL- si rassegnerebbe più facilmente del PD di Franceschini a un mutamento di quel contesto, ed anzi lo favorirebbe se si presentasse l’occasione. In questo caso “il senso della storia” sarebbe un ritorno al proporzionale, dove un PD più nettamente “laico” e “di sinistra” lascia il compito di conquistare gli elettori più moderati a un rinnovato e irrobustito partito centrista, neo-democristiano, sperando che poi questo si allei con lui. Per carità, congettura più che legittima. E anche attraente e famigliare per quelli di noi che provengono da tradizioni riformistiche non cattoliche e che provano simpatia vera per la sinistra e i valori che rappresenta. Ci ritroveremmo “fra noi”, e probabilmente ci ricongiungeremmo a compagni che ci hanno lasciato per partiti più radicali, ma che ora dovrebbero aver appreso la lezione e tornare all’ovile. Insomma: basta con la fatica di mediare con le iniziative o le resistenze clericali che talora emergono nel riformismo cattolico! Basta con le auto-limitazioni che ci dobbiamo imporre per non spaventare, se non per attirare, elettori moderati. Similes cum similibus: agli elettori di centro ci pensi un partito di centro. Contenti noi, ancor più contenti Casini e Tabacci.
Ho un po’ colorito le mie preoccupazioni per renderle più evidenti. Per ora resto convinto che un PD guidato da Franceschini corra meno il rischio di un rovesciamento di strategia di un PD guidato da Bersani. E non auspico questo rovesciamento, perché sono anche convinto che –nonostante le difficoltà, gli errori e le sconfitte di questa prima fase- l’intuizione originaria del PD sia ancora feconda, più feconda della comprensibile nostalgia per il calduccio familiare dei vecchi partiti. E’ una intuizione ambiziosa e difficile, che sconta una profonda trasformazione della nostra società e la perdita di senso di molte categorie sulle quali si basavano le distinzioni tra la destra e la sinistra di un tempo, e tra i partiti che le impersonavano. La sinistra riformista, il centrosinistra, è in crisi in tutta Europa. In Italia ci aspetta un compito immenso, in cui tutte le energie culturali e morali di coloro che soffrono per le condizioni in cui Berlusconi ha ridotto il nostro paese devono essere riunite in un unico sforzo, in un unico grande partito. Berlusconi non è eterno, e il bipolarismo dopo Berlusconi sarà una cosa profondamente diversa da quello che è stato sinora. Perché gettare la spugna proprio adesso?
Michele Salvati
Osservazioni di Pietro Ichino e Replica di Michele Salvati

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venerdì 4 settembre 2009

Quale autunno per Brunetta?

Il decreto legislativo di attuazione della legge n. 15/2009 sulla produttività del lavoro pubblico e sulla efficienza e trasparenza delle Pubbliche Amministrazione ha incontrato difficoltà sostanziali sui seguenti argomenti:
- Totale trasparenza;
- Autorità indipendente di valutazione e garanzia;
- Sistema di incentivazione.
La trasparenza, disciplinata dall’art. 4 della legge n. 15/2009, rischia di essere eliminata a causa dell’emendamento abrogativo presentato dal senatore Filippo Saltamartini, relatore della maggioranza sul disegno di legge n. 1167, nel caso in cui venga approvato.
Qui il resto del post L’art 4 prescrive che “la trasparenza costituisce livello essenziale delle prestazioni erogate dalle amministrazioni pubbliche a norma dell’art 117, secondo comma, lettera m), della costituzione” (comma 6). Inoltre, stabilisce che “la trasparenza è intesa come accessibilità totale, anche attraverso lo strumento della pubblicazione sui siti internet”, delle informazioni” sull’organizzazione e l’andamento delle amministrazioni (comma 7) e che “le notizie concernenti lo svolgimento delle prestazioni di chiunque sia addetto a una funzione pubblica e la relativa valutazione non sono oggetto di protezione della riservatezza personale” (comma 9).
Elena Aga Rossi e Mariella Guercio affermano che la tutela della privacy in Italia è utilizzata dalle Pubbliche Amministrazioni per celare i propri risultati. “La nostra legge è infatti l’unica in Europa a subordinare la richiesta della documentazione a un interesse diretto del singolo cittadino e a escludere esplicitamente la possibilità di un suo utilizzo come mezzo di controllo generalizzato sulla pubblica amministrazione. In Europa e negli USA al contrario il diritto all’accesso è garantito a tutti, indipendentemente da ogni specifico interesse e diventa quindi un vero e proprio strumento di controllo dell’attività amministrativa e di partecipazione dei cittadini ai meccanismi decisionali. Quello che è esplicitamente negato dalla legge italiana, in altre parole, costituisce la ragion d’essere della disciplina in vigore in gran parte dei paesi occidentali”. Pietro IchinoFiorella Kostoris
L’art. 13 dello schema di decreto legislativo presentato alle Camere (Commissione per la valutazione, la trasparenza e l’integrità delle amministrazioni pubbliche), a differenza della prima bozza, fa dipendere l’autonomia operativa, organizzativa e finanziaria della Commissione di valutazione e di garanzia dal Governo. Pietro Ichino
Il sistema di incentivazione previsto dal decreto legislativo disciplina in modo dettagliato la materia con l’effetto di limitare la contrattazione collettiva e di occupare lo spazio di responsabilità del management pubblico.
Il sistema di incentivazione che si vuole introdurre, basato sulle fasce e sul rendimento individuale, renderà impossibile il coinvolgimento del personale e la realizzazione in ciascuna amministrazione di modelli organizzativi che privilegiano il lavoro di gruppo, la collaborazione e l’integrazione delle conoscenze in quanto la proposta non prevede forme di incentivazione finalizzata alla cooperazione ed alla innovazione e stabilisce che il 25% del personale ha un rendimento scarso anche nel caso in cui l’ente consegue gli obiettivi programmati dal piano. Link
Si rischia, con l’eliminazione della trasparenza totale ed il declassamento dell’organo indipendente, di attenuare la portata degli elementi innovativi su cui poggia il sistema di riforma della legge n. 15/2009 (misurazione del lavoro, valutazione della performance delle strutture e del personale, opzione voice, benchmarking ed altri elementi) la cui vitalità ed implementazione dipendono dalla presenza nel disegno di riforma della piena indipendenza e autonomia dell’organismo centrale (art. 4, comma 2 lettera f, della legge n. 15/2009) e della totale trasparenza (art. 4, comma 6, 7, 8, 9, della legge n. 15/2009).
Se l’innovazione contenuta nella legge n. 15/2009 viene realizzata in modo parziale dal decreto delegato con il declassamento dell’organo di valutazione ed il tentativo di ridimensionare la trasparenza totale nelle Pubbliche Amministrazioni a favore della privacy ha successo, si conferma lo status quo delle Pubbliche Amministrazioni perdendo una preziosa occasione di cambiamento radicale.
Infatti molti strumenti introdotti nella legge n. 15/2009 erano già previsti dalla normativa introdotta negli anni ’90 (misurazione del lavoro, responsabilità dei risultati, controllo interno) e non sono stati realizzati per il solo fatto che non contenevano gli elementi innovativi previsti oggi:
- Autorità indipendente;
- Totale trasparenza;
- Opzione voice (partecipazione dei cittadini alla valutazione dei servizi);
- Bechmarking.
Non capire che oggi vi è la possibilità concreta di cambiare le Pubbliche Amministrazioni con l’attuazione responsabile e completa della legge n. 15/2009 significa non essere coscienti delle esigenze del paese in un momento di grave crisi economica, la quale per essere superata ha bisogno anche e soprattutto di uno Stato efficiente ed efficace.
Brunetta rischia di rimanere fermo nell’effetto annuncio e di non realizzare una riforma delle Pubbliche Amministrazioni efficace per i condizionamenti del Ministro dell’Economia Tremonti e per le resistenze degli apparati burocratici dello Stato.
Il Ministro Brunetta deve scegliere tra un autunno incolore, con riforme sterili, ed un autunno determinante per il cambiamento delle Pubbliche Amministrazioni. I cittadini sono attenti e sensibili alla qualità dei servizi offerti dalla macchina statale.

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