mercoledì 30 dicembre 2009

Interrogazione di Franco Bonfante sul nuovo direttore di medicina

Articolo pubblicato dal Corriere del Veneto del 27 dicembre 2009
Verona – È bufera sul primariato di Medicina Ospedaliera dell’Ospedale di Borgo Trento, a Verona, appena assegnato al dottor Roberto Castello. I consiglieri regionali Franco Bonfante, Claudio Rizzato ed Andrea Causin (Pd) hanno presentato un’interrogazione al Presidente Giancarlo Galan per chiedere se tale scelta sia stata più “politica” che tecnica, ovvero dettata dalla presunta fede leghista del camice bianco.
Tra l’altro indicato dagli stessi firmatari come dottore di Stefania Villanova, moglie del Sindaco Flavio Tosi, punta di diamante del Carroccio. A far nascere tanti sospetti il fatto che nel bando di concorso per il primariato di Medicina fosse richiesta la specializzazione in endocrinologia: Castello infatti è un endocrinologo. “Endocrinologia e medicina interna non sono specializzazioni equipollenti secondo la legge vigente – recita l’interrogazione depositata in Giunta il 23 dicembre – e poi Borgo Trento dispone già di un prestigioso reparto di endocrinologia”. I consiglieri chiedono a Galan "se ritenga corretto che il bando contenga la dizione ‘si ricerca il primario di Endocrinologia e di Medicina interna’; se sia a conoscenza che tale escamotage sarebbe stato adottato per permettere ad un endocrinologo leghista di poter presentare domanda per la copertura di detto posto, poiché altrimenti sarebbe stato privo dei requisiti necessari; se risulti vero che l’endocrinologo in questione sia anche medico della moglie del sindaco di Verona nominata, come è noto, due anni fa senza alcun concorso e priva di laurea, dirigente della Sanità regionale.”
“Il bando era per il primario di Medicina ospedaliera ad indirizzo endocrinologico” – spiega il direttore generale dell’Azienda ospedaliera veronese, Sandro Caffi – “ne abbiamo fatto richiesta in Regione, perché le due specialità sono compatibili. Il 24 dicembre l’apposita commissione ha selezionato i tre candidati, tra i quali ho scelto Roberto Castello in base ai titoli e al tipo di attività che avrebbe dovuto svolgere in reparto. I suoi titoli sono sovrapponibili a quelli di un altro candidato, il dottor Riccardo Bonadonna, (altro endocrinologo, ndr) ma io penso di avere fatto un’ottima scelta. In tutta libertà, scienza e coscienza, come sempre in questi dieci anni da dg. Se qualcuno ha qualcosa da ridire lo faccia nelle sedi opportune, io ho valutato la competenza del professionista, per il bene dei pazienti, nell’ottica dell’azienda che dirigo e del progetto di riorganizzazione e di integrazione tra Borgo Roma e Borgo Trento”.
Quanto ai sospetti su presunte ‘pressioni’ esercitate su Caffi da Stefani Villanova, risponde Tosi: “Mia moglie querelerà per la seconda volta Bonfante, che indicandola come paziente del dottor Castello ne ha violato la privacy. Il primario in oggetto è bravo, lo conosco e lo stimo come conosco e stimo centinaia di altri medici, visto che sono stato assessore regionale alla Sanità, ma lui non ha la tessera della Lega. Non è nemmeno simpatizzante, non viene alle manifestazioni del Carroccio e non abbiamo mai parlato di politica. E poi Caffi – aggiunge il Sindaco – è così intelligente e capace da fare quello che ritiene più opportuno, non certo quello che gli dico io. Provo pena per il modo di fare politica di Bonfante, che getta fango gratuito addosso alla gente.”
“Non ho paura della querela della Signora Tosi – replica Bonfante – farà la fine di quella che presentò quando denunciai la sua nomina a capo della segreteria dell’Assessore Regionale alla Sanità senza concorso né laurea (una legge regionale lo permette, ndr): archiviata. I fatti sono più forti delle parole, il curriculum di Bonadonna è superiore a quello di Castello, andremo fino in fondo e Caffi si assumerà le sue responsabilità. C’è chi si è già piegato agli ordini dei nuovi padroni, ma noi no.”
E' inaccettabile quello che è avvenuto. Non si può lottizzare ogni cosa dall'informazione all'Ospedale di Borgo Trento. Grazie all'impegno di Franco Bonfante e degli altri consiglieri regionali del Partito Democratico l’episodio emerge e non viene messo nel dimenticatoio.



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martedì 29 dicembre 2009

Invalidità civile dal 2010


L’Inps ha ridisegnato il processo dell’invalidità civile a partire dal 1° gennaio 2010 con circolare n. 131 del 28/12/2009. L’obiettivo dell’Istituto previdenziale è quello di contenere i tempi di liquidazione entro i 120 giorni e di rendere trasparente le fasi del processo di definizione delle richieste di invalidità civile.:
Per attuare questi obbiettivi l’Inps ha introdotto:
- Il fascicolo elettronico delle prestazioni, evitando cosi il trasferimento delle pratiche cartacee tra gli uffici con notevole perdita di tempo;
- Il monitoraggio delle fasi di lavorazione del processo;
- La trasparenza dei parametri di qualità e quantità delle prestazioni in oggetto cosi come avviene per le altre prestazioni pensionistiche. Questo punto poteva essere realizzato anche prima delle nuove disposizioni normative in quanto l’Istituto era nelle condizioni di poterlo fare avendo a disposizione i dati relativi alle richieste;
- La presentazione per via telematica delle richieste di invalidità civile.
Le commissioni di accertamento sanitario sono integrate da un medico del’Inps. Questo adempimento potrebbe causare dei ritardi nei tempi di definizioni delle domande di invalidità da lavoro nel caso in cui l’Istituto non provveda a reclutare altri medici.
E’ prevista la costituzione del Comitato tecnico con le Regioni e della Consulta nazionale, aperta a tutti i soggetti che si attivano nel processo, per poter monitorare l'avvio della riforma.
All'Inps spetterà l'accertamento definitivo dello stato invalidante e anche la presenza nei procedimenti giurisdizionali civili relativi a prestazioni sanitarie previdenziali ed assistenziali.
L’invalidità civile pesa notevolmente nel bilancio dell’Inps:
- 2006 = 13,5 miliardi con 2,2 milioni di beneficiari
- 2009 = 16 miliardi
- 2010 = 17 miliardi con 2,8 milioni di beneficiari.
Le ultime verifiche straordinarie dell’Inps sulle prestazioni di invalidità civile presentano i seguenti risultati:
- l’11% delle prestazioni non sono state confermate;
- il 10% di soggetti non si è presentato a visita e rischia la revoca della prestazione.
Il nuovo processo invalidità civile è sostenuto da una procedura informatica che consente trasparenza e tracciabilità, con una semplificazione delle fasi di lavorazione che permetteranno di ridurre i tempi di riconoscimento dello stato invalidante e di erogazione delle provvidenze economiche.
La necessità di avviare il nuovo processo dell’invalidità civile dimostra ancora una volta che quando un processo di produzione di un servizio interessa più enti non è facile realizzare rapporti di collaborazione e di integrazione al fine di realizzare una offerta di servizi efficace ed efficiente. Per esempio il fascicolo elettronico delle prestazioni ed il monitoraggio del processo potevano essere realizzati prima senza aspettare una legge che imponga comportamenti e disegni un nuovo processo.
In questo caso il patrimonio di conoscenze e di nuove tecnologie dell’Inps aiuta molto a realizzare efficienza ed efficacia nel processo dell’invalidità civile.
Invalidità civile: tempi troppo lunghi


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lunedì 21 dicembre 2009

Giovani e occupazione

Articolo di Pietro Garibaldi, ordinario di economia del lavoro nell’Università di Torino, pubblicato su La Stampa del 18 dicembre 2009
Mentre i segnali di ripresa per il 2010 fortunatamente si intensificano, dal lato dell’occupazione l’onda lunga della recessione si sta abbattendo a piena forza sul mercato del lavoro.
I dati sull’occupazione del terzo trimestre sono davvero brutti e mostrano chiaramente che le categorie più colpite dall’onda lunga della recessione sono i giovani e il resto dei lavoratori precari. Il vero rischio è che in Italia si stia per perdere un’intera generazione, come già avvenuto in Giappone durante la grande crisi degli Anni 90. In questi anni i giovani lavoratori italiani sono entrati sul mercato del lavoro con minori tutele, con più bassa probabilità di ricevere formazione professionale e con salari, a parità di istruzione e altre condizioni, più bassi. Ora che è arrivata la grande crisi, a pagarne le conseguenze sono ancora loro.
A livello di intero Paese, un calo di mezzo milione di posti di lavoro in un anno non si vedeva dal 1992. In quel terribile anno l’Italia, nel mezzo di Tangentopoli e di drammatiche stragi, registrò per la prima volta dal dopoguerra un calo dei consumi aggregati. Il peggioramento rispetto a quel terribile anno è spiegabile. All’inizio degli Anni Novanta per ridurre l’occupazione era necessario licenziare, una pratica difficile e odiosa per tutti i datori di lavoro. Oggi, viceversa, è sufficiente non rinnovare alla scadenza un contratto a termine o a progetto. Non stupisce quindi che tra il mezzo milione di posti di lavoro persi, 220 mila siano concentrati tra i lavori a termine e altri 150 mila tra i lavoratori autonomi, dove si ritrovano i contratti a progetto, l’esempio più clamoroso di lavoratori precari. Tra l’altro, nelle inchieste dell’Istat, 40 lavoratori su cento dichiarano che nella sostanza il loro progetto non esiste e che svolgono semplicemente un lavoro subordinato. Non credo che si debba tornare alle rigidità del 1992 e che sia stato un errore introdurre varie forme di lavoro flessibile in Italia. L’incredibile crescita di posti di lavoro che abbiamo registrato tra l’inizio del decennio in corso e l’arrivo della recessione, è avvenuta proprio grazie a quella flessibilità e all’opportunità delle imprese di inserire in azienda giovani lavoratori in via sperimentale.
Durante la grande recessione stiamo però scoprendo l’altra faccia della medaglia della flessibilità introdotta. Il vero problema è che a subire le conseguenze della grande recessione sull’occupazione sono principalmente i giovani. Il tasso di disoccupazione giovanile è passato dal 18 % del 2008 al 27 % degli ultimi mesi. Non è vero, come spesso si sente dire, che la disoccupazione giovanile ha pochi effetti sulla vita lavorativa. È invece vero che chi inizia male sul mercato del lavoro avrà per tutta la vita salari più bassi e minori opportunità occupazionali. Alcuni studi per diversi Paesi lo hanno chiaramente dimostrato. Uno studio inglese ha addirittura dimostrato che una prolungata disoccupazione giovanile può avere effetti sulle condizioni di salute di lungo periodo.
Il Paese non può permettersi di perdere un’intera generazione. La risposta più strutturale al problema del dualismo italiano sarebbe forse quella di introdurre un contratto unico a tutele progressive e crescenti, in modo da dare ai giovani una prospettiva di lungo periodo, mantenendo al tempo stesso alle imprese la possibilità di sperimentare l’adeguatezza dei nuovi assunti. Sarebbe una riforma senza alcun costo per le casse dello Stato. Introdurre un salario minimo nazionale, che tra l’altro esiste nella maggior parte dei paesi avanzati, sarebbe una seconda coraggiosa riforma per ridurre la precarietà. Anche questa senza alcun impatto sulla spesa pubblica. Il sussidio di disoccupazione per i giovani, viceversa, avrebbe un costo per le casse dello Stato, ma sarebbe comunque una riforma doverosa. Di queste e altre idee di riforma si è in realtà parlato in questi giorni in commissione lavoro al Senato. Ma ai centinaia di migliaia di giovani che hanno perso il lavoro, e che fanno fatica a trovarne uno nuovo, una seria discussione politica non è sufficiente. Hanno diritto a risposte concrete.



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Commissione per la valutazione e la trasparenza delle PA

Editoriale di Pietro Ichino pubblicato sul Corriere della Sera il 21 dicembre 2009
Caro Direttore, domani si insedia la Commissione centrale indipendente per la valutazione e la trasparenza delle amministrazioni pubbliche, istituita dalla “legge Brunetta”. L’indipendenza effettiva dal Governo dei cinque membri – Luciano Hinna, Antonio Martone, Pietro Micheli, Filippo Patroni Griffi e Luisa Torchia – è garantita, oltre che dalla loro qualità personale, dall’avvenuta approvazione bi-partisan delle loro designazioni da parte delle Commissioni parlamentari competenti, con oltre i due terzi dei voti, come previsto dalla stessa legge. E anche dalla durata in carica per sei anni: un periodo che va oltre quello di una legislatura.
Compito principale della Commissione – una vera e propria authority – è controllare l’attivazione in tutta Italia degli organi di valutazione di ciascun comparto delle amministrazioni pubbliche, garantirne l’indipendenza, promuovere l’applicazione di metodi di valutazione appropriati, che consentano un confronto puntuale tra gli indici di performance delle amministrazioni simili e quindi il vincolo per le amministrazioni peggiori di allinearsi almeno con la media delle altre (il c.d. benchmarking); nonché – e questa è forse, tra le sue funzioni, la prima per importanza – garantire la trasparenza totale delle amministrazioni, cioè l’accessibilità di qualsiasi dato inerente al loro funzionamento ma anche la fornitura in rete di una selezione intelligente e onesta dei dati veramente utili e rilevanti. I cittadini devono imparare a esercitare questo diritto, che ha profondamente segnato la storia recente dei Paesi nei quali esso è stato introdotto prima che da noi, come la Svezia, la Gran Bretagna e gli Stati Uniti. Spetta alla Commissione garantire (e ai cittadini esigere) anche la trasparenza dell’attività stessa degli organi di valutazione: la stampa specializzata, le associazioni degli utenti, o i ricercatori universitari devono poter utilizzare gli stessi dati per elaborarli in proprio, generando valutazioni distinte, con le quali le valutazioni dell’organo pubblico possano e debbano confrontarsi.
Sarà importantissimo che la Commissione si guadagni, fin dai suoi primi passi, prestigio e fiducia agli occhi dell’opinione pubblica. Essa lancerebbe già dall’inizio un segnale molto importante, dal significato inequivocabile, se si desse un Codice etico incisivo, che la assoggettasse, tra l’altro, agli stessi principi di trasparenza e di valutazione indipendente cui dovranno essere assoggettate tutte le amministrazioni. Essa potrebbe inoltre anticipare di sua iniziativa al primo anno la verifica del proprio operato (prevista dalla legge solo al termine del primo quinquennio) e dare a un board composto anche da eminenti esperti stranieri il mandato di verificare annualmente il lavoro svolto e i risultati. Dovrebbe rendere subito pubblici e mettere in rete i dati su quanta parte delle proprie risorse è stata destinata al mantenimento di se stessa (non più di un quarto del totale!) e quanta al compimento di ciascuno dei progetti che le sono affidati; in seguito, i dati su quanto sono progredite di fatto la trasparenza, l’accessibilità dei dati in rete, la pubblicazione di tabelle contenenti gli indici di performance per ciascun comparto, e così via. Dovrebbe, ancora, impegnarsi a dar conto sistematicamente on line del lavoro svolto per la Commissione stessa da ciascuno dei suoi membri, e delle attività diverse che invece ciascuno di essi svolga altrove, nell’interesse proprio o di terzi.
Ma ancora più significativa, agli occhi dell’opinione pubblica, sarebbe la scelta della Commissione di destinare una parte delle retribuzioni dei propri membri fissate dal Governo a un premio collegato a indici precisi: per esempio un indice di efficienza ed efficacia complessiva dell’azione della Commissione elaborato dal board internazionale di cui si è detto, combinato con un indice di conseguimento di alcuni obiettivi precisi e misurabili fissati nell’ambito del piano strategico che l’organo collegiale si sarà dato. Sarebbe questo un atto di straordinario rigore e coerenza, che da solo segnerebbe una tappa, una svolta nella storia delle nostre autorità indipendenti: un atto che non indebolirebbe in alcun modo l’indipendenza della Commissione, ma al contrario la rafforzerebbe.
Sottoporsi a valutazione indipendente e praticare la trasparenza totale significa bruciarsi i ponti alle spalle, innescare un meccanismo di controllo diffuso dal quale non ci si potrà poi più sottrarre. Il fiato dell’opinione pubblica sul collo degli amministratori – e dei politici al di sopra di essi – può costituire un incentivo potentissimo per il buon esercizio delle proprie prerogative da parte del management pubblico. Se – come è certo – la Commissione ci crede, incominci coll’attivare quell’incentivo nei confronti di se stessa. E l’opinione pubblica drizzi fin d’ora le proprie antenne.

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sabato 19 dicembre 2009

Giovani e futuro


A ottobre il tasso di disoccupazione ha raggiunto in Italia l’8,2% e rappresenta il dato peggiore dal mese di aprile 2004. In Germania e Stati Uniti il tasso di disoccupazione è sceso.
La rilevazione sulle forze del lavoro effettuata dall’Istat registra nel terzo trimestre 2009 l'offerta di lavoro, rispetto allo stesso periodo del 2008, una riduzione dello 0,9 per cento (-222.000 unità). Il numero di occupati è pari a 23.010.000 unità, in forte calo su base annua (-2,2 per cento, pari a -508.000 unità). In termini destagionalizzati, l'occupazione totale registra una flessione rispetto al secondo trimestre 2009 pari allo 0,5 per cento.
Il tasso di occupazione della popolazione tra i 15 e i 64 anni scende dal 59,0 per cento del terzo trimestre 2008 all'attuale 57,5 per cento. Il numero delle persone in cerca di occupazione sale, rispetto ad un anno prima, a 1.814.000 unità (+18,7 per cento, pari a 286.000 unità).
La crescita della disoccupazione è dovuta principalmente alla perdita della precedente occupazione.
Il Centro Studi della Confindustria prevede che nel 2010-2011 si potrebbero perdere altri 195 mila posti di lavoro.
La disoccupazione colpisce soprattutto i giovani con meno di 25 anni per i quali si registra un tasso di disoccupazione del 27% rispetto al 18% di un anno e mezzo fa.
Inoltre il mercato duale dell’occupazione registra discriminazioni e disuguaglianze:
- Le retribuzioni dei precari rispetto ai lavoratori a tempo indeterminato a parità di lavoro sono più basse;
- I dati Istat rilevano che solo il 10% dei lavoratori licenziati è coperto dagli ammortizzatori sociali. Il Governatore della Banca d’Italia afferma che rimangono fuori da ogni tutela 1,2 milioni di lavoratori e 450 mila parasubordinati;
- Le imprese scelgono di licenziare i giovani ed i precari;
- Le basse retribuzioni dei giovani a tempo determinato e dei lavoratori precari incideranno negativamente sull’importo della pensione che sarà inferiore a quella dei lavoratori a tempo indeterminato ed alla soglia di povertà.
La mancanza di interventi finalizzati a realizzare una maggiore giustizia sociale nel mercato del lavoro e, quindi, la riduzione dell’incertezza nel futuro rafforza la visione del modello della famiglia mediterranea, descritta da Alberto Alesina e Andrea Ichino nel libro “L' Italia fatta in casa. Indagine sulla vera ricchezza degli italiani”. La famiglia oggi, in assenza di interventi che mutino l’equilibrio del mercato del lavoro, rappresenta un ammortizzatore sociale per i giovani. Ma non tutti i problemi dei giovani possono essere risolti dalla famiglia in quanto molto spesso i giovani si trovano a lavorare lontano dalla famiglia.
I giovani hanno diritto a crearsi una propria vita e a guardare il futuro con maggiore sicurezza.
Occorre intervenire con urgenza per modificare il mercato del lavoro:
- Riformare le prestazioni di disoccupazione al fine di rendere universali tali sussidi ed includere tra i beneficiari coloro che al momento sono esclusi;
- Riorganizzare i servizi di rioccupazione e di formazione per i lavoratori licenziati che al momento sono inadeguati;
- Riformare gli ammortizzatori sociali e la cassa integrazione per adeguarla ai problemi che si sono presentati in questa crisi internazionale. Il solo intervento della cassa integrazione in deroga non è più sufficiente;
- Riconsiderare la normativa che regola gli stage e riorganizzare i relativi servizi di controllo contro gli abusi, in quanto, come risulta da inchieste ed indagini effettuate da Repubblica degli stagisti, tale strumento viene utilizzato molto spesso da parte delle aziende per ridurre il costo del lavoro e non per offrire servizi di formazione ai giovani studenti.
Per approfondire le condizioni dei giovani si consigliano i seguenti libri:
- Angela Padrone, La sfida degli outsider, Marsilio;
- Alessandro Rosina e Elisabetta Ambrosi, Non è un paese per i giovani, Marsilio;
- Sergio Nava, La fuga dei talenti, edizioni San Paolo;
- Tito Boeri e Vincenzo Galasso, Contro i giovani, Mondadori.
Dati Istat
Editoriale di Tito Boeri
Inchiesta Repubblica degli stagisti

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giovedì 17 dicembre 2009

Frantumi da ricomporre augura Buon Natale e Felice 2010


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Famiglie sempre più povere

Secondo il Bollettino statistico della Banca d’Italia nel 2008 rispetto al 2007 la ricchezza netta delle famiglie è diminuita di circa l’1,9% (161 miliardi di euro, dato a prezzi correnti) a causa del calo delle attività finanziarie (-8,2%) e dell’aumento delle passività (3%). Le attività reali, come la compravendita di abitazioni, sono risultate positive, benché meno sostenuta (3%) degli anni precedenti.
La riduzione della ricchezza complessiva a prezzi costanti è diminuita rispetto al 2007 del 5% (433 miliardi).
La ricchezza delle famiglie è ritornata ai livelli di dieci anni fa.
La ricchezza del 2008 si concentra su poche famiglie: la metà delle famiglie più povere deteneva il 10% della ricchezza, mentre il 10% possedeva il 44% della ricchezza totale.
Quest’ultimo dato sulla concentrazione della ricchezza pone il problema della redistribuzione, posto tempo fa da Massimo Mucchetti sul Corriere della Sera, che non può più essere rimandato specie nel periodo di crisi e di recessione per le famiglie italiane.
Gli interventi effettuati fino a questo momento con strumenti tradizionali non hanno prodotto risultati efficaci e le famiglie si ritrovano ad affrontare il problema del disagio sociale e della sopravvivenza. Occorrono riforme finalizzate a sostenere il reddito delle famiglie bisognose e la domanda di consumo da cui possono trarre benefici le imprese italiane.
Rimanere fermi con gli “equilibri” del passato soprattutto in tema di distribuzione dei redditi ed aspettare che l’Italia esca dalla crisi internazionale in modo spontaneo significa non prepararsi a realizzare nuovi equilibri per affrontare l’uscita dal tunnel.
Bollettino della Banca d’Italia
Articolo di Massimo Mucchetti

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Quando ero piccolo

Su iniziativa di Eleonora Cardogna Mencucci, Onorina Vargiu, Augusto Montaruli e Alberto Giarrizzo è stato costituito in Facebook un gruppo che ha per obiettivo la realizzazione di un luogo virtuale dove raccontare e raccogliere i racconti della infanzia di ciascuno dei membri.
Nella presentazione del gruppo vi è scritto “mia figlia Marialaura ama tanto i racconti di quando io ero piccolo. Me li richiede sempre quando mangia o quando ha finito di fare i compiti o, ancora, quando viaggiamo in macchina. Ogni racconto inizia con la frase "Quando io ero piccolo..." e questa stessa frase diventa l'incipit ricorrente di ogni momento importante della mia memoria, quando occorre dare una spiegazione di senso: "Perché vedi, quando io ero piccolo...".
“Augusto Montaruli afferma che “il gruppo è nato da un'idea di Alberto Giarrizzo. Un posto dove andare a raccontare della nostra infanzia. Aveva solo questo scopo. In seguito sono arrivati i primi racconti e le prime adesioni. Lo scopo principale quindi era (ed è) quello di raccontare scambiando ricordi. Un gruppo dove chi aderisce è anche parte attiva”.”Poi, visto il discreto successo,continua Augusto, ci siamo chiesti cosa avremmo dovuto fare con i racconti che arrivavano. A me è venuta l'idea di farne un libro, ovviamente senza scopo di lucro. Ho un amico che dirige una Onlus "Annulliamo la distanza" che si occupa di infanzia in Eritrea, quale destinazione migliore ed in sintonia con il gruppo?Adesso abbiamo oltre 170 racconti scritti da una sessantina di soci”.Per quanto riguarda il libro, conclude Augusto, avevamo iniziato una ricerca di un editore, ma poi abbiamo pensato che sarebbe stato meglio raggiungere un numero di iscritti al gruppo più "visibile" e ci siamo dati l'obiettivo di raggiungere quota 1000. Ci stiamo arrivando”.Si riporta la comunicazione dei fondatori agli iscritti del gruppo.
“Visto il discreto successo, ci siamo chiesti cosa avremmo dovuto fare con i racconti che arrivavano. Ad Augusto Montaruli è venuta l'idea di farne un libro, ovviamente senza scopo di lucro (abbiamo tutti di che vivere: siamo dipendenti, pensionati o lavoratori autonomi, ecc.). Di certo non abbiamo alcun interesse ad arricchirci con i proventi di questo ipotetico libro. Basta poter recuperare le spese di pubblicazione e di stampa, che obiettivamente sconosciamo, e destinare tutto il resto in beneficienza. Augusto ha un amico, che dirige una Onlus "Annulliamo la distanza" (ecco il link al sito internet: http://www.facebook.com/l/83103;www.annulliamoladistanza.com/) che si occupa di infanzia in Eritrea. Quale destinazione migliore e in sintonia con il gruppo?
In questo momento abbiamo oltre 170 racconti scritti da una sessantina di "soci".
Per quanto riguarda il libro avevamo iniziato la ricerca di un editore, ma poi abbiamo pensato che sarebbe stato meglio raggiungere un numero di iscritti, che rendesse il gruppo maggiormente "visibile" ed è da questa motivazione che è nato l'obiettivo di raggiungere quota 1000. Ci stiamo arrivando. Nel momento in cui lo realizzeremo, potremmo anche creare un gruppo di lavoro, per decidere se contattare direttamente gli editori o passare attraverso uno sponsor. Le idee qui non sono chiarissime e tutti i contributi sono graditi.
Augusto sta curando un documento word, che aggiorna e rende disponibile a tutti gli iscritti in formato PDF. Per inciso un correttore di bozze servirebbe tantissimo. Ovviamente, all'atto della eventuale pubblicazione, chiederemo una sorta di liberatoria a ciascuno di voi, nella vesta di autori, allo scopo di autorizzare la casa editrice a pubblicare il racconto.
Se avete bisogno di ulteriori informazioni, potete sempre contattare uno degli amministratori del gruppo. Se non intendete aderire alla eventuale pubblicazione del vostro racconto, sarete liberissimi di negare l'autorizzazione all'editore. Non c'è alcun problema da parte nostra. Nessuno deve sentirsi in alcun modo obbligato. Il gruppo è aperto a chiunque intenda farne parte, e chiunque può decidere di uscire o di farne parte sono in modo parziale”.
Il gruppo ha raggiunto 1.067 iscritti e pertanto si dovrebbe cominciare a pensare alla pubblicazione del libro i cui ricavati dovrebbero andare a beneficio dei bambini che si trovano in condizioni di bisogno.
La rete offre anche la possibilità di interventi semplici e positivi a vantaggio degli altri proprio in un momento in cui sembra che la maggior parte delle persone si dedichi ad altro.

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martedì 15 dicembre 2009

Nullafacenti: il valore di una risorsa latente

Si ringrazia la DeA (Demografici Associati) per la gentile concessione alla pubblicazione dell'articolo su questo sito
Affrontare un argomento di così forte attualità, senza correre il rischio di calamitare qualche critica, non è compito di facile soluzione, in quanto occorre misurare con la dovuta attenzione la giusta dose di pensiero razionale da miscelare con quella a contenuto prevalentemente emotivo. Quando, poi, l’intenzione è quella di scrivere qualcosa che sembra proiettarsi controcorrente, si genera automaticamente un’esplosione di energie mentali con la finalità di fare emergere le potenzialità nascoste in un fenomeno, anche se la minaccia cui si va incontro è quella di innescare una reazione a catena, al termine della quale l’intorno circostante ha subito dei mutamenti, trasformandosi in un ambiente ancora più ostile.
Nonostante tutto, accettare una sfida così delicata non costituisce peccato, anche perché, avviare una discussione oggettiva su una tematica ampiamente consultata nell’enciclopedia amministrativa, è sempre una fonte preziosa di vitalità intellettuale.
L’obiettivo, quindi, che ci si prefigge di raggiungere è quello di spingere il lettore verso una forma di rilassamento per migliorare, riducendo la tensione accumulata, la comprensione critica dei concetti presentati. Infatti, se colto da un improvviso raptus di agitazione, limitasse la sua visione prospettica alla semplice interpretazione letterale del titolo, potrebbe farsi un’idea sbagliata sull’approfondimento, rispetto a quello che, al contrario, manifesta.
Il “nullafacente”: un termine sverginato agli occhi dell’opinione pubblica, che si presenta con prepotenza sulla scena in tutte le occasioni dove l’oggetto del contendere affronta il brand “Pubblica Amministrazione”. Un segno distintivo che, anziché consistere in un vantaggio competitivo utile alla crescita del Paese, si configura come la principale causa del drenaggio di ricchezza nazionale, perché i costi sostenuti per fornire prestazioni alla collettività sono superiori al valore contenuto nelle stesse.
L’argomento, che oggi è quotidianamente agli onori della cronaca, ha visto la luce oltre un anno fa, grazie all’uscita nelle librerie dell’affascinante opera scritta dal Professor Pietro ICHINO («I nullafacenti», Mondadori, 2006). Un libro che, con una chiarezza terminologica fuori dal comune, ha messo in evidenza un fenomeno già conosciuto (e volutamente ignorato) all’interno della Pubblica Amministrazione, ma, soprattutto, portato a conoscenza di quei soggetti che con il Sistema Pubblico sono costretti a rapportarsi.
Una locuzione, quella coniata dal giuslavorista, a forte impatto emozionale, un vero e proprio “warning” con il quale l’autore concentra costantemente gli sforzi per trovare una soluzione condivisa a quella che, come recita il sottotitolo, costituisce la «più grave ingiustizia della nostra Amministrazione Pubblica».
Oggi, l’espressione gettonata che ha messo in allarme i dipendenti pubblici, può considerarsi migliorata e aggiornata, perché, come per qualsiasi processo relativo all’evoluzione della specie, anche la terminologia primitiva si è perfezionata, portando a individuare tre tipologie di soggetti che possono rientrare nella più ampia famiglia dei “nullafacenti”.
Quindi, può essere utile operare la seguente distinzione:
- nullafacente “puro” (o “di razza”): ossia il vero parassita che infesta gli ambienti pubblici, per il quale l’unico sistema di valutazione idoneo per qualificarlo è quello di derivazione anglosassone, che fonda le sue radici nell’elephant test. Si tratta, come suggerito dal Professor Pietro ICHINO, di un esame che «i giuristi anglosassoni contrappongono alle nostre disquisizioni bizantine, nei casi in cui non ce n’è alcun bisogno: se vedi un elefante, non occorrono tecniche di valutazione sofisticate per qualificarlo come elefante» (Pietro ICHINO, «I nullafacenti», Mondadori, 2006). Appartiene a questa categoria il cosiddetto “fannullone”, nel cui DNA non è presente alcuna traccia di propensione all’attività lavorativa;
- nullafacente “ibrido”: in altre parole un soggetto che, erroneamente, potrebbe essere considerato alla stregua del “fannullone”. Si distingue, tuttavia, per essere dotato di un patrimonio genetico sano sotto il profilo della dedizione al lavoro, che, purtroppo, ha subito alterazioni a causa della permanenza prolungata in un ambiente culturalmente avverso. Rientra in questa specie quel lavoratore dolosamente mortificato, demansionato, umiliato e professionalmente deprezzato, minandone la credibilità fondata sulla conoscenza e competenza, con l’obiettivo di escluderlo dal sistema organizzativo. Aderisce a questa classificazione il cosiddetto “mobbizzato”, la cui vitalità è stata ridimensionata in modo da rendere sterile il tasso di produttività;
- nullafacente “embrionale”: vale a dire un individuo che per meritocrazia è entrato a far parte della numerosa schiera dei dipendenti pubblici e, quindi, pur essendo dotato di quell’entusiasmo necessario per migliorare lo status quo, è stato sottoposto, dalla nascita professionale all’interno della Pubblica Amministrazione, alla terapia del “si fa sempre così e bisogna continuare a farlo”. Si tratta di quel dipendente che, convinto dei processi di miglioramento da apportare all’Ente Pubblico, si è rivelato ben presto un personaggio scomodo al vertice burocratico/amministrativo e, conseguentemente, condannato ad essere inoperoso. Rientra nel concetto il cosiddetto “demotivato”, in quanto avendo la capacità di trovare soluzioni alle diverse criticità gestionali nell’esclusivo interesse dell’Ente, non si è fatto distrarre da altre forme di pruriti, inibendo quel fattore che stimola il rendimento.
Mentre nei confronti della prima categoria di “nullafacenti”, in altre parole i “fannulloni”, non bisogna farsi contagiare dalla commozione che viene loro riservata da chi ha il potere di prendere provvedimenti, quelli rientranti nelle altre due fattispecie costituiscono una “risorsa latente” da motivare e valorizzare, anziché destinarla a ricercare forme di sviluppo dell’arte dell’ozio per far passare la giornata lavorativa.
Si tratta, quindi, di quel prezioso capitale intellettuale in grado di apportare sensibili miglioramenti al tasso di produttività e che, al contrario, viene lasciato nella naftalina (nullafacente “ibrido”) o nell’incubatrice (nullafacente “embrionale”) perché la frustrazione del vertice impedisce loro di sprigionare quelle professionalità capaci di far cambiare marcia al passo burocratico che caratterizza il cammino lungo il percorso di sviluppo della Pubblica Amministrazione.
Le recenti direttive del Ministro Renato BRUNETTA emanate nella direzione di migliorare la qualità sia del lavoro alle dipendenze della Pubblica Amministrazione, sia, soprattutto, dell’outcome erogato alla collettività, unitamente a quelle proposte dal giuslavorista Pietro ICHINO sono considerate, forse, troppo “avanti” rispetto al livello culturale esistente e, per questo, non comprese nel loro reale significato.
Purtroppo, occorre prendere coscienza che quando si propone una novità, qualunque ne sia il contenuto, il risultato induce sempre una buona dose di resistenza. Di fronte all’orientamento al cambiamento che ha investito la Pubblica Amministrazione, si possono percepire due tipologie di sensazioni:
- la prima, di “speranza”: nel senso che finalmente qualcuno ha avuto il coraggio e il sostegno di adottare delle decisioni in materia di lavoro all’interno della Pubblica Amministrazione per allontanare quelle “cariatidi” che ostacolano il processo di miglioramento funzionale dell’Organizzazione Pubblica. Sicuramente occorre ancora trovare quel punto di equilibrio che consente di interpretare nella direzione voluta le intenzioni di fondo che, forse, non traspaiono dalle direttive;
- la seconda, di “preoccupazione”: poiché nel nostro Paese accade spesso che ogni norma partorita per perseguire una finalità, è sempre distorta in sede applicativa, con la conseguenza di allontanare l’intenzione del legislatore dalla realtà che sarà messa in pratica. Così facendo, il pericolo sarà quello di eliminare dalla Pubblica Amministrazione proprio quelle risorse latenti che, in quanto soggetti scomodi, viene loro imposta l’emarginazione spingendoli ad entrare nel concetto di “nullafacenti”.
Ciò che forse inquieta le risorse umane intellettualmente oneste che si trovano, per cause non dipendenti dalla loro volontà, a vegetare in questa situazione, è che al termine del processo di riforma della Pubblica Amministrazione i cosiddetti “fannulloni” siano confusi con quelli che, non essendo attratti da interessi secondari, costituiscono la vera eccellenza.
Pertanto, i provvedimenti di lotta contro il “nullafacente” non devono essere indirizzati solo alla base, per avere la certezza del successo, ma anche recapitati al vertice, perché il danno indotto da effetti persecutori ha incidenza negativa sulla produttività dell’Ente e si propaga sui costi della Struttura Pubblica.
Se questo è lo stato dell’arte, allora le prospettive formulate non sono poi da considerare così “avanti” poiché già due secoli fa il filosofo tedesco Arthur SCHOPENHAUER si era espresso affermando: «Dovunque e comunque si manifesti l’eccellenza, subito la generale mediocrità si allea e congiura per soffocarla».
Emanuele Costa, laureato in Economia e Commercio all’Università di Genova e impegnato nel Master in "Innovazione nella Pubblica Amministrazione" presso l'Università di Genova.

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venerdì 11 dicembre 2009

Chi sono i veri fannulloni tra di noi

pubblicato da Repubblica — 10 dicembre 2009 sezione: NAPOLI
I dipendenti pubblici (gli statali!) non hanno mai goduto di buona stampa e nemmeno di buona letteratura. Da Gogol al nostro Paolo Villaggio, che ha scolpito la figura di Fantozzi, indelebile nel nostro immaginario, nella memoria collettiva di tante generazioni. Ma, come sempre accade nell' arte, l'amarezza e l'ironia, il disprezzo e la pietà si intrecciano indissolubilmente. Noi vogliamo bene a Fantozzi, è uno di noi, sta dentro di noi. Chi oserebbe veramente fargli del male? Pensateci: qualcuno di voi avrebbe il cuore di licenziare il ragionier Fantozzi e far soffrire la signora Pina, tragica, dignitosa moglie di un ideal tipus di impiegato, pubblico e privato che sia? Una vera eroina dei nostri tempi, moderna Penelope, fedele, costantemente fedele nelle quotidiane, piccole e misere disgrazie fantozziane. Ma, poiché viviamo oggi in un momento in cui l' evangelica adultera sarebbe stata certamente lapidata a piazza del Duomo, a un senatore progressista, nonché professore, è venuto in mente di marchiare i nostri dipendenti pubblici col tragico nome di «fannulloni». Pochi lo ricordano ma, da sinistra a destra, il vento si è alzato e rafforzato, e non è parso vero a un ministro del neosocialismo conservatore, nonché professore, di cogliere al volo l' opportunità: così, ha impugnato la bandiera dell' antifannullismo mietendo successo di pubblico e di critica. aturalmente non è cambiato nulla, come a tutti è dato constatare, nella nostra amministrazione pubblica e i due professori i quali, in quanto tali e secondo il loro pensiero, provengono dal più luccicante fannullonismo, non sono riusciti a incidere, più di tanto, sulla dura realtà. Perché? Perché è l' approccio che è sbagliato. Se ne discute oggi alle 17 in un convegno organizzato da Energie Nuove (www.energie-nuove.com) all'Istituto italiano per gli studi filosofici, in occasione della presentazione del bel volume curato da Antonino Leone e Mita Marra, "Frantumi da ricomporre. Riforme legislative e innovazioni di management per migliorare la produttività delle organizzazioni pubbliche". Vi partecipano Antonio Basile, Angela Cortese, Bartolo Costanzo, Giovanni De Falco, Vincenza Esposito, Renato Mele. L'approccio è sbagliato perché la nostra società, che sempre più assume i connotati dell'ingenerosità e del cinismo, terra di cultura del moralismo, preferisce punire, sfogare la rabbia, anziché risolvere le questioni. Nella presentazione si legge: «Lo stato della Pubblica amministrazione italiana è una delle più accreditate fonti dell' antipolitica. Che a sua volta genera spinte del tutto aleatorie, demagogiche, populiste o giustizialiste che rendono il campo pubblico ancora più refrattario e resistente all' affermazione di un riformismo moderno. È un continuum senza freno. Ma il male italiano è soprattutto politico. Sta nella tradizionale modalità di approccio alla riforma del sistema pubblico: verticismo, normativismo, centralismo, e per di più incrementale e disordinato, secondo l' idea sbagliata che un così ampio ventaglio di amministrazioni, servizi, strutture sanitarie e formative possa essere trasformato calando dall'alto una pesante e prescrittiva camicia di forza uguale per tutti. Nella convinzione che occorra sempre di più obbligare, regolare, plasmare, piuttosto che liberare, semplificare, ridurre, alleggerire, velocizzare, decentrare, responsabilizzare. Le mitologie e le demagogie prevalenti, le spettacolarizzazioni dei mali del lavoro pubblico costituiscono ormai una crosta che nasconde la realtà e priva di concretezza e realismo progetti e proposte che meriterebbero altri destini. Soprattutto tiene sottotraccia una messe di riflessioni, esperienze, fatti, fenomeni e persone che costituiscono la costellazione dei cambiamenti reali che è ben più ricca di quello che appare». Antonino Leone e Mita Marra si rivolgono alle questioni della Pubblica amministrazione con la consapevolezza di chi ha una provata esperienza in materia. Ma, per tornare al suggestivo titolo del libro, i frantumi da ricomporre non sono solo quelli legati alla burocrazia: è il tessuto stesso della nostra società ad avere urgente bisogno di una ricomposizione innanzitutto ideologica o, meglio, ideale, dopo anni e anni di odio, disprezzo e rancore sparsi a piene mani dal mondo politico e da una parte del mondo della cultura. Dalla politica scolastica a quella dell' immigrazione, dalla concezione nostrana del federalismo al ritornante antifemminismo, il filo rosso che lega metodologicamente la nuova ideologia imperante è la cifra dell' ingenerosità. E non solo il sonno della ragione, ma anche quello della generosità, genera mostri.
Ernesto Paolozzi
Docente di Storia della filosofia contemporanea

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lunedì 7 dicembre 2009

Crisi e disagio sociale

I dati dell’economia vengono commentati dai ministri competenti con dichiarazioni di circostanza che non considerano l’urgenza e la necessità di avviare riforme e cambiamenti che contrastino il disagio sociale dei ceti più deboli che vivono gli effetti della crisi.
I 2 milioni di disoccupati ed il 27% di disoccupazione giovanile rilevati dall’Istat inducono il ministro Scaiola a dichiarare che “il dato è migliore della media europea e degli altri paesi” senza considerare le diversità che esistono tra l’Italia e gli altri paesi europei in materia di sicurezza sociale e di interventi per contrastare la crisi.
Il tasso di disoccupazione è salito all’8% rispetto al 7,8% di settembre e rappresenta il valore massimo dal novembre 2004. Per capire la situazione economica e sociale in Italia basta consultare le indagini dell’Istat sulla povertà e sui consumi delle famiglie. Le condizioni economiche delle famiglie rappresentate nell’ultima indagine dell’Istat forniscono dei dati preoccupanti.
Il recente Rapporto Censis evidenzia che in Italia 3 famiglie su 10 hanno difficoltà ad arrivare a fine mese e rappresentano il 28,5%. Nel sud la situazione è più drammatica in quanto le famiglie in difficoltà rappresentano il 36,5%.
Le imprese del terziario che hanno chiuso l’attività sono 162 mila e i posti di lavoro persi sono 378mila e nel mezzogiorno 271mila (-4,1%).
Inoltre il rapporto Censis evidenzia che il 45,4% di persone che hanno perso il posto di lavoro hanno una età inferiore a 34 anni. Il 19,3% dei giovani tra i 18 e 24 anni non è in possesso di diploma ed è uscito dalla formazione.
Secondo l’Istat il tasso di disoccupazione giovanile a ottobre è aumentato al 26,9% (26,2% a settembre) con un aumento 4,5 punti rispetto al mese di ottobre dell’anno scorso.
Intanto l’Inps comunica i dati della cassa integrazione che nel mese di novembre registra 99,5 milioni di ore di cassa integrazione (ordinaria, straordinaria e in deroga) e registra +5,13% rispetto al mese di ottobre che aveva rilevato 94,7. Rispetto al mese di novembre del 2008 la cassa integrazione presenta una crescita del 287,94%. Aumentano le domande di disoccupazione: circa 120mila rispetto alle 105mila di ottobre 2008.
Dalla elaborazione della Federconsumatori risulta una riduzione di spesa da parte delle famiglie di oltre 25 miliardi di euro. La contrazione della domanda di consumo ha degli effetti negativi sulla produzione industriale e sulle imprese commerciali. I settori colpiti sono: abbigliamento, calzature, automobili, arredamento ed in termini diversi il consumo alimentare.
Questa situazione sociale descritta brevemente richiede degli interventi immediati finalizzati a sostenere la domanda interna con l’innalzamento del potere di acquisto dei pensionati e dei percettori di reddito fisso attraverso la riduzione delle imposte e la detassazione della tredicesima mensilità a partire dal 2009. Per le famiglie con figli occorre prevedere misure aggiuntive (aumento degli assegni familiari e delle detrazioni d’imposta) e nuove (rilevazione degli attuali strumenti e loro unificazione in un’unica e nuova prestazione).
Occorre riformare gli ammortizzatori sociali in quanto gli strumenti attuali non considerano tutta la platea dei disoccupati e sono soggetti a scadenza.
Il problema più grave è rappresentato dal fatto che questo Governo affronta la crisi in modo passivo aspettando che la congiuntura internazionale produca degli effetti positivi per il nostro paese. Il Governo non considera che dopo l’uscita dal tunnel della crisi occorre verificare il nuovo equilibrio che potrebbe penalizzare le imprese italiane scarsamente competitive. Occorre anche considerare che l’equilibrio post crisi potrebbe registrare una base occupazionale nel nostro paese limitata rispetto al periodo precedente alla crisi. Il rischio di meno imprese e meno occupazione è un rischio reale che il Governo non vuole o non sa affrontare.
Per tali motivi è necessario intervenire con riforme strutturali e prepararsi all’uscita dalla crisi internazionale che potrebbe non coincidere con quella dell’Italia. L’opportunità per affrontare questi problemi è offerta dalla legge finanziaria che dovrebbe esprimere una strategia per lo sviluppo e per la redistribuzione della ricchezza. Purtroppo il Governo non è aperto a tali innovazioni e persegue l’obiettivo di riconfermare lo status quo con i rischi che ne derivano nei confronti del lavoro (lavoratori e imprese) e dei ceti più deboli.

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venerdì 4 dicembre 2009

Federico Testa sui servizi pubblici locali


Pubblicato da L'Arena venerdì 04 Dicembre 2009
Quando si parla di servizi pubblici locali (per l’acqua, in questo caso) si parla di servizi che vanno a soddisfare bisogni fondamentali della collettività, pertanto è importante, da un lato, lavorare per un approccio organico - e certamente l'articolo inserito in un decreto-legge che parla d'altro non rappresenta un approccio organico - ma è anche importante capire cosa si mette al centro.
Io credo che, se si vuole affrontare correttamente questo tema, al centro bisogna mettere il cittadino e il suo diritto ad avere servizi di buona qualità ad un prezzo corretto, il minimo possibile. Da questo punto di vista, quando si ragiona di questo tema, il dilemma è sempre quello: privatizzazione-liberalizzazione, perché la teoria ci dice che bisogna prima liberalizzare e poi privatizzare, altrimenti si corre il rischio o di trasferire una rendita di monopolio dal pubblico al privato, oppure sostanzialmente di far fallire il mercato.
Da questo punto di vista, quello che a me pare manchi nel recente decreto legge su cui il Governo ha posto la fiducia, sono interventi seri proprio sul fronte delle liberalizzazioni. Cosa non ha funzionato nelle liberalizzazioni in Italia? Non ha funzionato, ad esempio, tutto il tema delle gare: molto spesso abbiamo a che fare con gare che sono assolutamente non vere e ciò dipende anche dal fatto che i soggetti che sono chiamati a bandire le gare, da un lato, non hanno le competenze per poterlo fare, dall'altro, molto spesso sono in palese conflitto di interessi rispetto a chi si aggiudicherà la gara stessa.
Inoltre, vi è la questione dell'autorità di regolazione, nel senso che la concorrenza perfetta non è uno stato naturale del mercato; le imprese vanno alla ricerca di un vantaggio competitivo nei confronti delle altre, e quindi là dove lo si ritenga opportuno, bisogna realizzare interventi affinché la concorrenza venga mantenuta.
Il Governo, con il recente provvedimento, ragiona al contrario, ossia pone vincoli molto rigidi in tema di privatizzazione, e quindi l'effetto che si ottiene pare essere prevalentemente quello, diciamo così, di spartire la rendita di monopolio del pubblico con qualche privato, il tutto senza alcun vantaggio certo e chiaro per i cittadini e per i consumatori. Questo è reso evidente dal fatto che le concessioni date in house vanno a scadenza purché nel soggetto pubblico che ne è titolare entri il privato almeno per il 40 per cento. Quindi, in questo modo, invece di stabilire di bandire una gara, visto che si tratta di una concessione in house e che magari chi ha vinto la gara poteva non essere il soggetto che dava la migliore qualità e il miglior prezzo ai cittadini, si prevede di fare entrare un privato e questo, di per sé, sana la questione.
L'approccio al tema, invece, dovrebbe essere profondamente diverso: occorre mettere al centro i consumatori sapendo che dobbiamo affrontare una questione delicatissima, che è quella degli investimenti che bisogna effettuare nel nostro Paese, in quanto il dato di oltre il 35 per cento di perdite degli acquedotti in Italia è realistico.
Occorre, dunque, fare investimenti e che questi siano finanziati: sia che li faccia il pubblico, sia che li faccia il privato, gli investimenti devono avere dietro un finanziamento. Se il finanziamento è a carico della fiscalità generale, dobbiamo avere il coraggio di andare a dire che la fiscalità generale probabilmente deve crescere o diventare più efficiente per finanziare gli investimenti nell'acqua; se gli investimenti devono essere finanziati dal settore stesso, dobbiamo sapere che probabilmente le tariffe sono destinate a crescere perché si dovrà investire parecchio. Quindi, l'autorità indipendente di garanzia -che il provvedimento del governo non prevede- è importante proprio perché, nel momento in cui si vanno a chiedere maggiori risorse ai cittadini per finanziare gli investimenti, è fondamentale che tali maggiori risorse vadano alla destinazione richiesta e non vadano, invece, a costituire profitto o sprechi. Da questo punto di vista, forse, la scelta migliore era quella di non perseguire un approccio ideologico, a mio modo di vedere, qual'è quello che si è voluto assumere, ma, invece, di mettere correttamente in competizione pubblico e privato allo scopo di garantire la qualità e il servizio migliore ai cittadini.
In questo senso credo che, un'altra volta, si sia persa un'occasione importante per intervenire in un settore che, proprio perché riguarda i bisogni fondamentali dei cittadini, è assolutamente importante e rilevante per tutti noi.
Federico Testa
parlamentare PD e docente di Economia e gestione delle imprese

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Frantumi da ricomporre a Roma


I circoli del Partito Democratico Trastevere e Communitas 2002 hanno organizzato un incontro per la presentazione del libro “Frantumi da ricomporre” - Riforme legislative e innovazioni di management per migliorare la produttività delle organizzazioni pubbliche.
L’incontro si svolgerà a Roma, mercoledì 9 dicembre alle ore 18,30 presso la sede del circolo PD di Trastevere in via S. Cecilia, 3.
L’incontro rappresenta l’occasione per discutere dei problemi e delle prospettive delle Pubbliche Amministrazioni dopo l’approvazione della normativa relativa alla produttività del lavoro pubblico e alla efficienza, efficacia e trasparenza delle pubbliche amministrazioni.
Coordina:
Luca Iozzino, coordinatore del circolo PD Trastevere
Intervengono:
Silvano Del Lungo, presidente della società di consulenza Studio Staff
Federico Testa, parlamentare del PD e docente di Economia e gestione delle imprese – Università di Verona
Antonino Leone e Mita Marra, autori del libro
Evento in Facebook

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martedì 1 dicembre 2009

Frantumi da ricomporre: l' innovazione del lavoro pubblico

a cura di Energie Nuove Circolo on line del Partito Democratico
In Italia più che in altri paesi viviamo tutti nell’orbita del lavoro pubblico o perché ne siamo parte o perché ne siamo utenti forzati. Nell’uno e nell’altro caso scontiamo i limiti, le arretratezze e gli atti mancati di cui è costellato il nostro sistema amministrativo . L’innovazione della Pubblica Amministrazione è la sfida riformatrice cruciale per modernizzare l’Italia ma è anche la secca nella quale si sono arenati, uno dietro l’altro, faraonici progetti di riforma e rivoluzioni normative, quasi sempre incompiute.
Una Pubblica Amministrazione, come quella italiana, ben lungi dall’ essere all’ altezza di un Paese che vuole crescere, pone dei seri limiti di efficacia anche alla politica. E diventa per questo il più macroscopico problema politico. La imbriglia, la rallenta, la tiene costantemente in ambasce contribuendo a diffondere nel Paese reale un profondo senso di sfiducia e di precarietà.
Lo stato della Pubblica Amministrazione Italiana è una delle più accreditate fonti dell’antipolitica. Che a sua volta genera spinte del tutto aleatorie, demagogiche, populiste o giustizialiste che rendono il campo pubblico ancora più refrattario e resistente all’ affermazione di un riformismo moderno . E’ un continuum senza freno. Ma il male italiano è soprattutto politico. Sta nella tradizionale modalità di approccio alla riforma del sistema pubblico: verticismo, normativismo, centralismo, e per di più incrementale e disordinato, secondo l’ idea sbagliata che un così ampio ventaglio di amministrazioni, servizi, strutture sanitarie e formative possa essere trasformato calando dall’ alto una pesante e prescrittiva camicia di forza uguale per tutti. Nella convinzione che occorra sempre di più obbligare, regolare, plasmare, piuttosto che liberare, semplificare, ridurre, alleggerire, velocizzare, decentrare, responsabilizzare.
Il taglio , il modello, persino lo stile politico del progetto Brunetta è l’ ultima e più radicale versione di questo male italiano. Rinforza e rilancia la convinzione tutta normativo - burocratica, che migliorare la performance della PA stia solo nel controllare, vagliare, misurare, comparare, svelare, riprendendo i temi di un aziendalismo anni settanta che nemmeno nelle aziende è più di moda.
Le mitologie e le demagogie prevalenti, le spettacolarizzazioni dei mali del lavoro pubblico costituiscono ormai una crosta che nasconde la realtà e priva di concretezza e realismo progetti e proposte che meriterebbero altri destini. Soprattutto tiene sottotraccia una messe di riflessioni, esperienze, fatti, fenomeni e persone che costituiscono la costellazione dei cambiamenti reali che è ben più ricca di quello che appare.
Energie Nuove vuole dare il suo piccolo contributo all’ affermazione di un sano moto di liberazione della realtà concreta dalla prigione delle contraffazioni, degli effetti annuncio e delle trovate mediatiche sulla base di ricette retrò. Per questo provocherà una piccola serie di eventi-confronto sulla innovazione del lavoro pubblico nei quali saranno protagonisti le seconde e terze linee: quelli che sull’ innovazione del lavoro pubblico ci lavorano sul serio, a vario titolo, dai politici, ai dirigenti, agli esperti. E che raramente appaiono.
Cominciamo dalla presentazione di un libro singolare, che sembra un documentario auto costruito e auto prodotto sulla riforma della Pubblica Amministrazione . Che , pur recitando una piece che non appartiene alle grandi ribalte del teatro nazionale, o forse proprio per questo, contiene con grande capacità di sintesi, e con un titolo assai evocativo, tutti i temi cruciali sui quali rinnovare, forse per l’ ultima volta, una riflessione che sia insieme politica e manageriale : “ Frantumi da ricomporre”. A cura di Antonino Leone e Mita Marra. Editore Libri Este
Il libro verrà presentato il 10 Dicembre alle ore 17, 30 all’Istituto Italiano di Studi Filosofici. Animeranno la discussione:
Antonino Leone , autore del libro, molto impegnato nel dibattito sulla riforma del lavoro pubblico;
Mita Marra, autore del libro, esperta di cambiamento organizzativo del sistema pubblico ,insegna analisi delle politiche pubbliche all' Università di Salerno;
Angela Cortese, già Assessore provinciale di Napoli alle politiche scolastiche e formative ed alle pari opportunità;
Bartolo Costanzo, protagonista di processi di cambiamento organizzativo nel settore privato e nella Pubblica Amministrazione che è attualmente direttore del Consorzio per la ricerca applicata in agricoltura
Antonio Basile, responsabile della pianificazione strategica dell' ARPA Campania;
Giovanni De Falco, grande esperto delle tematiche del lavoro, responsabile dell’ Ires Cgil di Napoli;
Vincenza Esposito che ha partecipato a numerose esperienze di innovazione del lavoro amministrativo nella regione Campania ed insegna organizzazione aziendale all' Università del Sannio;
Renato Mele che dirige il Dipartimento di Studi e ricerche aziendali all' Università di Salerno;
Ernesto Paolozzi, docente di Storia della Filosofia Contemporanea presso l’Università Suor Orsola Benincasa, esponente di punta della tradizione liberale e progressista napoletana, già consigliere comunale a Napoli.

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