mercoledì 3 febbraio 2010

Intervista sul lavoro a Marianna Madia

Marianna Madia, parlamentare del Partito Democratico dal maggio 2008 e membro della XI Commissione lavoro pubblico e privato, ha conseguito la laurea in scienze politiche, il dottorato di ricerca in economia del lavoro ed è ricercatrice.
Marianna svolge un ruolo attivo in Parlamento ed in particolare nella commissione lavoro e con questa intervista esprime il suo impegno e le sue capacità a favore del lavoro e della crescita del paese. La sua giovane età e l'essere donna rappresentano una ricchezza per il Partito Democratico e per il paese.

L’Italia, secondo i dati dell’ultimo bollettino della Banca d’Italia, sta uscendo dalla recessione molto lentamente, i consumi dei cittadini non subiscono una accelerazione a causa della flessione dei redditi reali ed il tasso di disoccupazione è pari al 10,2% con 2,6 milioni di disoccupati, compresi i cassintegrati e gli scoraggiati. Il ministro Sacconi contesta la scelta di conteggiare tra i disoccupati i cassintegrati. Lei cosa pensa della posizione della Banca d’Italia e del giudizio del ministro Sacconi? All’estero i cassaintegrati sono computati tra i disoccupati?
La polemica con la Banca d’Italia è stata, da parte del governo, assolutamente strumentale. Una difesa d’ufficio abbastanza debole. In ogni caso il dato di via Nazionale affermava letteralmente come: “nel secondo trimestre del 2009 la quota di forza lavoro inutilizzata sia risultata superiore al 10 per cento, quasi 3 punti percentuali in più del tasso di disoccupazione”. Non si conteggiano quindi più disoccupati di quelli che ci sono, ma li si unisce a cassintegrati e scoraggiati. Il Bollettino dice esplicitamente che si tratta di un “concetto ampio”. Ciò che conta poi è che quel 10,2%, risultato di vari indicatori, descrive un’economia in difficoltà e certamente non uno scenario di ripresa. I cassintegrati all’estero, come ha giustamente sottolineato il collega Ichino, sono classificati come lay-off e quindi computati tra i disoccupati.

Al rischio povertà per i molti cittadini che non riescono a gestire i problemi quotidiani della sopravivenza si aggiunge il problema dei bassi salari che sono posizionati, secondo la ricerca Eurispes, alla ventitreesima posizione tra i paesi dell’Ocse. Alcuni studi prevedono che la crescita dell’Italia si attesterà al livello pre-crisi nel 2017. Aspettare cosi tanto tempo non è pericoloso per l’Italia? Per risolvere questi problemi occorre aspettare che la congiuntura internazionale sostenga la crescita dell’Italia o intervenire con dei provvedimenti legislativi che favoriscano ed incoraggino la crescita?
La tutela del reddito è centrale per ogni politica di ripresa. Proprio la Banca d’Italia non si stanca di ripetere da tempo come la questione salariale sia fondamentale per la ripresa della domanda interna, a partire dai consumi. Certo il sostegno al reddito non basta, va coniugata con una nuova politica fiscale e di sostegno alle imprese, ma è un pezzo fondamentale di una strategia anticrisi. In ogni caso il governo ha totalmente disatteso la questione salariale su cui, sin dall’inizio legislatura, il PD proponeva interventi rilevanti; come le detrazioni per i redditi da lavoro dipendente. Ci sono aziende in crisi i cui lavoratori non godono ancora di ammortizzatori e che al tempo stesso non ricevono lo stipendio da mesi. Avevamo presentato un emendamento per anticipare gli stipendi da parte dello Stato (che poi si rifarà sulle aziende debitrici). Niente da fare.
L’approccio del governo è star fermi e aspettare che passi la tempesta. Anche perché l’esecutivo si sente l’espressione dei più “forti” che potranno passare la crisi indenni: stabili contro precari, nord contro sud, privato contro pubblico. Nella gestione della crisi il governo ha teso a dividere, anziché unire il Paese in uno sforzo collettivo per la ripresa. Tremonti ha detto che le tasse non possono essere diminuite perché la priorità è la coesione sociale. Non sembra che questa sia la priorità nell’azione di governo.

La situazione del lavoro è cosi grave in Italia che il Papa, dopo l’intervento della CEI, ha lanciato un appello affermando che occorre senso di responsabilità di tutti (imprenditori, lavoratori, governanti) per tutelare e far crescere l’occupazione. Il ministro Sacconi richiama la responsabilità delle imprese. Secondo lei il Governo in materia di lavoro e di sostegno alle imprese ha riformato e innovato abbastanza al fine di garantire l’occupazione o si è limitato ad affermare: la crisi è alle spalle, la crisi è psicologica, occorre ottimismo?
Le parole del Pontefice sono state molto importanti. Al di là delle divisioni politiche, dobbiamo solo farne tesoro.
L’ottimismo è importante ma non basta per superare la crisi. Occorrono riforme. Non vedo, in quasi due anni di legislature, significative riforme o innovazioni. La pressione fiscale è rimasta inalterata. Gli ammortizzatori sociali non sono stati riformati. La scuola, la ricerca e l’università hanno subito drammatici tagli. Ci sono addirittura dei processi di involuzione: le garanzie del diritto del lavoro sono in via di smantellamento. Importanti denari sono stati buttati o male impiegati in operazioni sbagliate: dall’Alitalia al Ponte sullo Stretto di Messina.

Lei è stata molto sensibile al problema del lavoro presentando il disegno di legge su “Disposizioni per l'istituzione di un contratto unico di inserimento formativo e per il superamento del dualismo nel mercato del lavoro”. Vuole spiegare i contenuti più importanti e gli obiettivi della proposta di legge? Come pensa di risolvere il problema del dualismo tra lavoratori protetti e precari?
Il Cuif è una proposta, presentata con i colleghi Miglioli e Gatti e firmata da oltre settanta parlamentari dei gruppi di opposizione alla Camera, che vuole fornire uno strumento semplice ed efficace per il superamento del dualismo nel mercato del lavoro. Interviene sulla questione dell’ingresso, che è il vero “buco nero” del dualismo all’italiana. Sette lavoratori su dieci cominciano a lavorare con contratti atipici. Molti rimangono precari a lungo o per sempre. In pratica proponiamo una forma incentivante di ingresso al lavoro che unifica e assorbe tutte le forme di lavoro precario attualmente esistenti, rendendo conveniente per le aziende l’assunzione a tempo indeterminato. Dopo un primo periodo a tempo determinato (per un massimo di tre anni) chiamato abilitazione scatta l’assunzione a tempo indeterminato. Durante i primi tre anni il lavoratore ha compiuto un percorso di conoscenza con il datore di lavoro, e di formazione. Con l’assunzione a tempo indeterminato si ha un secondo periodo (altrettanto lungo) durante il quale l’azienda riceverà incentivi crescenti. In pratica, invertendo quanto sinora fatto in altri campi come l’apprendistato, gli incentivi di cui gode l’azienda crescono con l’assunzione a tempo indeterminato.

Secondo lei l’art. 18 dello statuto di lavoratori garantisce i lavoratori dal licenziamento nel momento in cui l’azienda entra in crisi? La sua proposta prevede dei servizi efficaci, al momento inesistenti, di riqualificazione professionale e di rioccupazione per i lavoratori licenziati?
Credo che in questo momento il problema non sia l’art. 18 ma incentivare le assunzioni e la stabilità del lavoro.
Si, la proposta del Cuif estende i percorsi esistenti di politiche attive ai neo-assunti con questo contratto. Serve, però, una riforma complessiva dei percorsi di riqualificazione che valorizzi le migliori esperienze esistenti nei territori. Viviamo in un’epoca che vede la necessità di una formazione continua nel mondo del lavoro .

Da parte del Partito Democratico sono stati presentati diversi disegni di legge (Ichino, Madia, Nerozzi) per riformare il mercato del lavoro. Questa pluralità di proposte rappresentano un rischio o vi è la possibilità di proseguire in modo unitario attraverso il confronto ed il dialogo per addivenire ad una proposta unitaria del Partito Democratico.
No non rappresentano un rischio ma una ricchezza. Ad esempio proprio Pietro Ichino, in un documento diffuso nel suo sito, ha messo in evidenza come ci siano alcuni elementi che ci uniscono. Ci muoviamo su dei principi politici comuni e, mi permetto di dire, anche su principi umani comuni; principi che sono patrimonio della cultura del lavoro del partito democratico. Sono sicura che il partito troverà una posizione unitaria. Il fatto che ci siano questi disegni di legge, redatti da colleghi preparati e autorevoli, è un elemento positivo non solo per il PD ma per tutta la politica italiana. Rappresentano un’innovazione culturale rispetto alla totale assenza di risposte da parte del governo.
Tabella sinottica proposte

Nessun commento: