venerdì 5 febbraio 2010

PD: No al decreto legislativo in materia di energia nucleare

Proposta alternativa di parere del gruppo del partito democratico
L’on.le Federico Testa, membro della commissione attività produttive e responsabile dei servizi pubblici locali e di energia del PD, è stato impegnato in questi ultimi giorni, con i settori ambiente ed energia del PD, nella predisposizione del parere alternativo al decreto legislativo del governo che si riporta di seguito.
Le Commissioni VIII e X,
esaminato lo schema di decreto legislativo recante la disciplina della localizzazione, della realizzazione e dell'esercizio di impianti di produzione di energia elettrica nucleare, di impianti di fabbricazione del combustibile nucleare, dei sistemi di stoccaggio, nonché delle misure compensative e delle campagne informative, n. 174;
premesso che:
già in sede di discussione della legge 23 luglio 2009 n. 99, attraverso specifici interventi di merito, erano stati posti alcuni temi generali che, anche alla luce del provvedimento oggi all’esame, mantengono tutta la loro attualità:
Qui il resto del postmeglio sarebbe stato se la discussione sul merito fosse avvenuta a valle di un approccio complessivo e articolato alle problematiche energetiche del nostro Paese, anche alla luce dell'articolo 7 del decreto legge 25 giugno 2008, n. 112, convertito, con modificazioni, dalla legge 6 agosto 2008, n. 133, che prevedeva la definizione da parte del Consiglio dei Ministri, su proposta del Ministro dello sviluppo economico, di una «Strategia energetica nazionale» che indicasse le priorità di breve e di lungo periodo: a oltre un anno dalla scadenza del termine il suddetto documento non è stato ancora emanato;
invece, il decreto (in particolare, l’articolo 3 relativo alla “Strategia del Governo in materia nucleare”) attribuisce al Governo il compito di definire programmaticamente gli obiettivi di capacità di potenza elettrica che si intende installare, il sistema di alleanze e cooperazioni internazionali, gli orientamenti sulle modalità realizzative, gli obiettivi in materia di approvvigionamento, trattamento e arricchimento del combustibile nucleare. Un simile approccio pone problemi di metodo (si veda il parere espresso dalle Regioni che contestano - in maniera bipartisan - il venir meno del rispetto del dettato costituzionale in tema di prerogative delle regioni stesse in tema di energia) ma anche di merito;
sarebbe, infatti, necessario costruire un quadro prospettico d’insieme sul tema energetico, anche per fornire gli elementi necessari a tutti i soggetti coinvolti, operatori, comunità interessate, cittadini. Il Governo ha deciso di fare del nucleare una bandiera, ma non si deve dimenticare che alla fine dell’anno scadranno gli attuali incentivi alle fonti rinnovabili, mentre proseguono le procedure per l’autorizzazione e la costruzione di nuovi cicli combinati che già oggi non funzionano a pieno regime;
sarebbe stato, al contrario, più utile affrontare anche i temi dell’efficienza, del risparmio energetico, dell’innovazione tecnologica, delle fonti rinnovabili per potersi confrontare con le sfide che abbiamo davanti, a cominciare dalla necessità, ribadita nel summit mondiale sul clima di Copenhagen, di ridurre drasticamente le emissioni di CO2, rispetto al quale la scelta in esame ben difficilmente sarà in grado di produrre effetti tangibili al 2020. E questo al fine di accompagnare, aiutare, sostenere le scelte di imprese, istituzioni, cittadini che consentono di migliorare la qualità della nostra vita e la competitività della nostra economia, cogliendo le opportunità offerte dalla green economy. Tutto ciò conferma l’impressione di una posizione - da parte del Governo- più ideologica e “di bandiera” che di reale sostanza;
il mercato che, a fatica, si è costruito in questi anni nel settore dell’energia elettrica corre il rischio di essere pesantemente messo in discussione da un nucleare realizzato in questo modo. Oltre a quanto previsto al già richiamato articolo 3, non si può non sottolineare come naturalmente non sia assurdo pensare a un programma nucleare realizzato sotto la guida dello Stato, ma allora bisogna essere consapevoli delle sue conseguenze (da analizzare) e dichiararlo apertamente. Dire che “la costruzione e l’esercizio degli impianti nucleari sono considerate attività di preminente interesse statale” (articolo 4) è solo il primo passo: il rischio è che il nucleare faccia eccezione allo schema secondo cui funziona oggi il mercato elettrico, ponendo in atto scelte incompatibili con le direttive europee.
In questo senso, protocolli come quello stipulato con la Francia con cui si assegnano all'ex monopolista italiano ENEL tre siti in cui costruire le centrali, insieme con l'EDF, prefigurano scenari competitivi preoccupanti. La stessa scelta di una tecnologia, quella delle EPR, rispetto alla quale noi italiani siamo sostanzialmente esclusi dal punto di vista della produzione «intelligente», lascia presagire un rischio elevato di colonizzazione tecnologica e di scarso coinvolgimento della nostra capacità di ricerca;
all’articolo 25, comma 2, lettera f), della legge 23 luglio 2009, n. 99, il Governo ha ostinatamente voluto inserire la previsione dell’esercizio sostitutivo. Come sottolineato allora, si trattava di una previsione normativa errata, tanto che nel decreto si prevede un percorso diverso, certamente più rispettoso delle autonomie locali, anche se alla fine punta ad arrivare allo stesso risultato. La sostanza comunque rimane invariata: sia l’ubicazione dei siti che del deposito possono essere decisi contro la volontà delle regioni , con modifica forzata dei Piani energetici e quindi in palese conflitto istituzionale. Tra l’altro definendo i siti di interesse strategico nazionale questi possono essere gestiti dalla costituenda Agenzia della difesa spa e quindi al di fuori di qualsiasi controllo parlamentare; Ma così procedendo, con un atteggiamento che non si può che definire di “protervia istituzionale”, il Governo ha ottenuto il risultato del ricorso alla Corte costituzionale, legittimo e condivisibile, della maggioranza delle Regioni, su un tema procedurale, che darà peraltro modo di confondere i piani di discussione di merito e di metodo; l’esperienza internazionale dei paesi democratici dimostra come progetti di questo genere non si possano fare contro i cittadini e le comunità locali, ma solo costruendo il consenso e la condivisione, mentre questo approccio ideologico corre il rischio di creare una reazione di rigetto che non era scontata, risultando così di ostacolo ad una discussione di merito dei problemi;
l’Agenzia per la sicurezza nucleare (peraltro neanche prevista nel testo originario del disegno di legge e inserita solo successivamente dopo un increscioso balletto tra Ministeri sulla attribuzione dei posti e le cui delicate funzioni meglio sarebbero state svolte da un’Autorità indipendente) risulta finanziata nei prossimi tre anni con l’importo assolutamente insufficiente di 500.000 euro per l’anno 2009 e in 1.500.000 euro per ciascuno degli anni 2010 e 2011, che ne compromettono la reale operatività. Il personale assegnato è assolutamente inadeguato e il rapporto fra Agenzia della sicurezza nazionale e le Agenzie regionali per l’ambiente che gestiscono alcune delle reti di sorveglianza non è definito e non comprende le risorse necessarie
A tal proposito, sono necessari il rafforzamento e la terzietà dell'Agenzia perché questa possa essere vissuta come soggetto realmente super partes che ha a cuore prima di tutto i cittadini;
tutte gli attuali enti (ISPRA, SOGIN, ENEA) sono commissariati e non hanno indirizzi strategici certi; i commissariamenti danno più l'idea di una lotta per ritagliarsi ambiti di potere che non della percezione effettiva degli obiettivi che si vogliono raggiungere;
considerato che:
non sono stati fatti passi in avanti per quanto riguarda l'individuazione del deposito di superficie: nel 2012 torneranno dall'Inghilterra e nel 2020 dalla Francia le scorie relative alle centrali chiuse a seguito del referendum del 1987, mentre siamo ancora al dieci per cento circa di decommissioning effettuato.
per quanto riguarda il problema del combustibile irraggiato e dei rifiuti radioattivi, il decreto presenta una contraddizione tra quanto stabilito agli articoli 13 e 18. Se l’articolo 13, infatti, prefigura che lo stoccaggio del combustibile irraggiato e dei rifiuti avvenga in strutture ubicate nello stesso sito e direttamente connesse con l’impianto nucleare, l’articolo 18 prevede che il titolare dell’autorizzazione unica provveda al trattamento, al condizionamento e allo smaltimento dei rifiuti nonché al riprocessamento e/o immagazzinamento del combustibile irraggiato presso il Deposito nazionale. Non appare chiaro, pertanto, dove effettivamente andranno i rifiuti e il combustibile irraggiato. Se, come sembra (è impensabile ipotizzare il riprocessamento del deposito nello stesso sito), dovessero andare nel Deposito nazionale, bisognerebbe allora che questo fosse in costruzione o almeno localizzato (anche come deposito di rifiuti ad alta attività) prima di avviare la costruzione dei nuovi impianti. È necessaria una assoluta chiarezza sulla destinazione del combustibile irraggiato e sui rifiuti, per dimostrare di aver pensato alla chiusura del ciclo e non lasciare eredità pesanti o almeno non valutate alle generazioni future;
la realizzazione del Deposito nazionale definitivo dei rifiuti radioattivi di bassa e media attività, che sia adibito anche a deposito temporaneo per quelli di alta attività, è un’esigenza imprescindibile, anche se non vi fosse alcuna ripresa del nucleare in Italia. Se invece si realizzassero nuovi impianti, il deposito diventa una condicio sine qua non per l’accettabilità sociale del nucleare futuro. Lo sforzo fatto nel decreto di arrivare alla sua localizzazione e realizzazione è, dunque, condivisibile. Vi è però un importante cambiamento rispetto alle proposte della Commissione tecnica nominata dal Ministro Bersani nel 2007: anziché affidare il compito di localizzare e realizzare il deposito a una Agenzia pubblica (come avviene ovunque) si è pensato di far svolgere queste attività alla Sogin s.p.a.. Si può perciò parlare di “privatizzazione delle attività concernenti il trattamento e la custodia dei rifiuti nucleari” perché Sogin s.p.a. è una società “di diritto privato” anche se interamente partecipata Ministero dell’economia (e nei mesi scorsi si è più volte parlato della possibilitá di fare entrare nel suo capitale anche società quotate). Questo cambiamento di impostazione, anche se può essere dettato dalla volontà di non creare nuovi soggetti pubblici, non è accettabile e rischia di far naufragare tutta l’operazione. Infatti è fondamentale dare alla popolazione la massima garanzia che chi si occupa dei rifiuti sia preoccupato unicamente della sicurezza e della protezione della popolazione stessa. Un soggetto che produce rifiuti nucleari, che abbia obiettivi di profitto e che non sia in grado di garantire di occuparsi dei rifiuti per qualche secolo desta preoccupazioni. Il fatto che a Sogin s.p.a. venga affidato in esclusiva anche in futuro il compito di smantellare gli impianti rende ancora meno accettabile la soluzione prevista. Vi sarebbe infatti un potenziale conflitto di interesse tra un soggetto che deve cercare di smaltire rifiuti al minimo costo e con utili e un soggetto che li deve ricevere e custodire con la massima sicurezza;
per quanto riguarda lo smantellamento degli impianti, l’articolo 19 prevede che, a fine vita degli impianti, la Sogin s.p.a. prenda in carico la gestione in sicurezza e lo svolgimento di tutte le attività relative alla disattivazione dell’impianto. Vi è il rischio che i costi di queste attività vengano “socializzati”. Infatti è vero che l’articolo 20 prevede un fondo per il decommissioning ma, se il fondo non fosse sufficiente, la soluzione prevista non garantisce contro rischi come quelli paventati (e già oggi in atto per lo smantellamento delle centrali nucleari Enel chiuse nel 1987). Infatti si prevede una integrazione da parte dell’operatore sulla base della valutazione dei costi da parte di Sogin s.p.a., ma queste valutazioni potrebbero dar luogo a sottostime o a contestazioni ed è facile prevederne l’esito finale;
una ulteriore contraddizione del decreto riguarda l’individuazione del soggetto che dovrà determinare le tariffe di conferimento dei rifiuti radioattivi e del combustibile nucleare irraggiato: mentre l’articolo 25, comma 1, lettera d), attribuisce tale compito a un decreto del Ministero dello sviluppo economico di concerto con il Ministero dell’economia e delle finanze, all’articolo 28 si prevede che le tariffe siano determinate annualmente dall’AEEG secondo criteri aggiornati ogni quattro anni, sulla base della stima dei costi effettuata dalla Sogin SpA che tengano conto tra l’altro degli eventuali servizi aggiuntivi richiesti e delle misure compensative;
la questione delle garanzie finanziarie è trattata in più articoli ma in maniera confusa e persino contraddittoria. Da un lato sembrerebbero scaricarsi sull’operatore molti costi - che contribuirebbero, peraltro, a rendere meno appetibili le centrali nucleari - come nel caso dell’articolo 13, comma 1, dove si dice che agli oneri derivanti dall’istanza di autorizzazione e dalla certificazione del proponente si provvede nell’ambito del quadro economico-finanziario dell’opera, del medesimo articolo (comma 2, lettera l) in cui si obbliga il proponente a dimostrare la sussistenza di strumenti di copertura finanziaria e assicurativa contro il rischio di prolungamento dei tempi di costruzione per motivi indipendenti dalla sua volontà, nonché dell’articolo 22 che attribuisce all’operatore il compito di garantire le “compensazioni” a persone ed enti locali con divieto di trasferirne gli oneri sugli utenti finali. Dall’altro lato, però, l’articolo 16 prevede che con decreto del Ministro dello sviluppo economico siano individuati strumenti di copertura finanziaria ed assicurativa contro il rischio di ritardi nei tempi di costruzione e messa in esercizio degli impianti per motivi indipendenti dal titolare dell’autorizzazione unica, con esclusione per i rischi derivanti dai rapporti contrattuali con i fornitori;
non si tratta, in conclusione, di avere un atteggiamento pregiudiziale o ideologico, quanto piuttosto la legittima pretesa, nell’interesse del paese, che scelte come quella in esame siano fatte con la dovuta serietà e ponderatezza, a garanzia che temi di tale rilevanza, rispetto ai quali i cittadini sono stati in passato chiamati ad esprimersi attraverso forme di consultazione popolare, non vengano trasformate in facili slogan elettorali ma invece doverosamente considerate come scelte fondamentali per il nostro futuro, rispetto alle quali siano chiamate ad esprimere il loro consenso le popolazioni interessate
esprimono PARERE CONTRARIO
Schema del decreto

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