domenica 30 maggio 2010

Emergenza economica ed evasione fiscale

La manovra economica proposta del Governo prende il via nel momento in cui vengono posti alla nostra attenzione alcuni studi e rapporti:
- Il Sole 24 Ore del 24 maggio calcola una evasione fiscale in Italia di circa 120 miliardi;
- Il rapporto Istat rileva che: - il 15% delle famiglie vive in condizioni di disagio economico; l’aumento della pressione fiscale è salita nel 2009 al 43,2% (la media UE si è attestata nel 2009 al 39,5%) rispetto al 42,9% del 2008; la famiglia svolge una funzione di ammortizzatore sociale rispetto ai giovani che non lavorano e non studiano che ammontano a circa 2 milioni (i nullafacenti nel 1983 erano l’11,8% e nel 2009 sono cresciuti al 28,9%). Rapporto Istat
Occorre tenere presente che l’Italia presenta nel 2009 i seguenti parametri economici:
- Pil – 5,9%;
- Rapporto deficit/Pil pari a 5,3%;
- Rapporto debito/Pil pari a 115,80%;
- La spesa pubblica è aumentata rispetto al 2008 del 3,1% e l’avanzo primario si è azzerato e si è trasformato in un disavanzo primario.
L’ultimo avvenimento è rappresentato dalla relazione di Emma Marcegaglia all’assemblea di Confindustria, la quale giudica positivamente gli interventi della manovra economica improntati al rigore ma nello stesso tempo richiede interventi strutturali sulla spesa pubblica e riforme per avviare lo sviluppo. Pertanto, Confindustria assume una posizione critica nei confronti del Governo e dei contenuti della manovra economica.
In questi due anni di Governo Berlusconi è stata assente una seria e responsabile lotta all’evasione fiscale e contributiva e le norme antievasione introdotte dal Governo Prodi, le quali avevano fatto aumentare il gettito fiscale, sono state abrogate dal Governo Berlusconi.
I condoni e lo scudo fiscale varati dal Governo Berlusconi rappresentano una filosofia sbagliata per combattere l’evasione in quanto favorisce gli evasori ponendoli in una posizione privilegiata rispetto ai contribuenti onesti.
La spesa pubblica in questi ultimi due anni è aumentata ed è fuori controllo. Alcuni interventi effettuati dal Governo, primo fra tutti il salvataggio di Alitalia, hanno aggravato ulteriormente la spesa pubblica e l’indebitamento rispetto al prodotto interno lordo.
La manovra economica è iniqua perché contiene dei tagli lineari ed indiscriminati e colpisce allo stesso modo le persone oneste e gli evasori, gli enti virtuosi e quelli inefficienti. Individuare ed eliminare le spese improduttive, gli sprechi ed i doppioni non conviene perché il Governo intende mantenere i propri consensi elettorali specie nel Sud. Articolo di Luca Ricolfi
La eliminazione di tutti gli enti inutili, i quali sono circa mille per un costo di un miliardo di euro, e non soltanto di alcuni avrebbe consentito un risparmio notevole e costante.
Perché il Governo adotta una grande manovra con una pluralità di interventi, i quali in buona parte colpiscono i redditi medio bassi (blocco dei contratti del pubblico impiego, sospensione della riforma Brunetta, tagli per l’università, la scuola e le autonomie locali), quando avrebbe potuto raggiungere l’obiettivo di soddisfare il fabbisogno finanziario dello Stato con una sana, trasparente e responsabile lotta all’evasione fiscale e contributiva?
Perché in un momento di grave crisi economica e finanziaria, fino adesso sottovalutata da Berlusconi con l’affermazione “la crisi è alle spalle”, la spesa pubblica continua a crescere senza controllo?
Il Governo, non essendosi dotato degli strumenti necessari per contenere la spesa pubblica e per aumentare le entrate dello stato attraverso una efficace lotta all’evasione fiscale, ricorre alla manovra economica di 24 miliardi, la quale non contiene riforme ed interventi strutturali ma provvedimenti per fare cassa, rientrare in alcuni parametri di Maastricht e non subire effetti negativi dai mercati finanziari.
Il sistema Italia è fuori controllo, non funziona con mezzi e capacità proprie, non è flessibile e non è facilmente adattabile con miglioramenti continui alla situazione economica e sociale del paese. Il Governo ricorre ad interventi congiunturali e di facile applicazione che non tengono conto della solidarietà, della equità e delle difficoltà che i ceti più deboli vivono in questo momento di grave crisi economica.
L’unica riforma effettuata dal Governo Berlusconi, la riforma della PA, è stata congelata con il blocco degli stipendi e dei premi incentivanti dei dipendenti pubblici. La cosiddetta legge Brunetta con tutti i suoi aspetti positivi e negativi avrebbe comunque consentito di avviare un percorso di cambiamento nelle PA attraverso l’introduzione della cultura della trasparenza e della valutazione.
Per consentire alla macchina pubblica di fare sistema è necessario realizzare:
1) La trasparenza di tutti i redditi in maniera analoga a quella che già esiste per i redditi da lavoro dipendente per combattere in modo efficace l’evasione fiscale. Ovviamente la trasparenza non deve essere generale ma solo nei confronti del fisco. Vincenzo Visco spiega chiaramente in un articolo come intervenire;
2) L’introduzione dell’informazione analitica nelle PA consente di migliorare l’efficacia e l’efficienza dell’azione dello Stato nei diversi settori a cominciare dalla lotta all’evasione fiscale e dal settore della sanità. Un approccio strategico di tipo analitico permette allo Stato di ridurre i costi e migliorare la qualità dei servizi attraverso l’utilizzo delle nuove tecnologie dell’informazione e della comunicazione. Tutto questo può essere realizzato tramite la gestione, l’integrazione e la creazione di nuove banche dati e l’elaborazione dei dati e delle informazioni presenti nel sistema frammentato delle PA (Thomas H. Davenport, Jeanne G. Harris, L’analisi delle informazioni come fonte di vantaggio competitivo, Isedi, 2007). L’obiettivo è quello di rendere trasparenti e tracciabili i redditi e controllare e gestire i dati più costosi della sanità;
3) Il settore pubblico si trova stretto tra le crescenti aspettative dei cittadini ed i vincoli finanziari. Pertanto, si rende necessario valutare il rapporto costo-beneficio degli interventi pubblici al fine di non investire risorse che non creano valore o oltre il limite in cui non viene creato valore aggiunto. Si ritiene fondamentale valutare l’efficacia delle risorse utilizzate per aumentare il valore per il cittadino e considerare nello stesso tempo i risultati e la redditività dell’investimento. Occorre realizzare un equilibrio equo tra il miglioramento della qualità dei servizi al cittadino e la riduzione dei costi. Molto spesso tali valutazioni non vengono effettuate come nel caso del salvataggio di Alitalia e del finanziamento del Ponte dello Stretto di Messina.
Occorre prendere coscienza che nel caso in cui gli interventi statali hanno un respiro corto e non strategico, come l’attuale manovra economica, i problemi vengono risolti al momento e si ripresentano nuovamente con grave danno verso i cittadini onesti che pagano le tasse.

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Strade e incidenti

Dalla rapallizzazione alla Città “groviera” di Emanuele Costa
Quando negli anni Settanta del secolo scorso un Comune della Liguria era salito agli onori della cronaca, lo aveva fatto in seguito ad un processo di ricostruzione selvaggio e indiscriminato tale da indurre gli esperti a coniare il neologismo “rapallizzazione”, termine che trova stabile collocazione all’interno dei dizionari della lingua italiana.
Oggi, invece, il fenomeno che interessa più da vicino un Ente Locale è quello meno conosciuto, ma più appetibile, che tende ad associare l’estensione del suo territorio ad un “groviera” (o “gruviera”) su scala più ampia.
Poco importa se la dizione corretta è quella con la lettera “O” o l’altra con la “U”, perché il riferimento non è ad un prodotto alimentare Igp (Indicazione geografica protetta), ma ad una realtà meno saporita, collocata sotto gli occhi di tutti, o meglio, le ruote e i piedi di ognuno.
Qui il resto del post Quindi, è inutile litigare sulla terminologia più opportuna da utilizzare per descrivere la vicenda, perché in entrambi i casi le lettere rappresentano, con una prospettiva diversa, la larghezza o la profondità della buca.
Non occorre utilizzare gli strumenti a disposizione degli esperti per rendersi conto che le Città sono sempre più foderate di buche sia nei percorsi carrabili, sia in quelli pedonali, perché è sufficiente osservare guidatori e passanti quando si cimentano in slalom acrobatici di alta tecnica per scongiurare il rischio di trovarsi catapultati per terra al primo movimento falso.
Ogni settimana un Comune denuncia mediamente uno/due sinistri per capitomboli (prevalentemente di pedoni), con un impatto negativo per l’Amministrazione in termini sia di immagine trasmessa/percepita, sia economico/finanziari.
In primo luogo, ogni sinistro che l’Ente Locale segnala alla competente Compagnia di Assicurazione si ripercuote sullo stato di salute del malcapitato, manifestando con evidenza il livello di attenzione che un Amministratore pubblico riserva al benessere dei Cittadini e, più in generale, a tutti coloro che, quotidianamente, percorrono le vie urbane.
Eppure, uno dei pilastri che accompagna costantemente il programma elettorale del Primo Cittadino è l’armonico connubio che deve esistere tra lo sviluppo di una politica turistica, che sappia accogliere il gitante in uno scenario non solo morfologicamente affascinante, ma anche in grado di offrirgli servizi pubblici per soddisfare le diverse esigenze, e il mantenimento di un elevato tasso di residenzialità, capace di trattenere i Cittadini sul territorio comunale per il buon livello della qualità della vita.
In secondo luogo, ogni sinistro processato dall’Ente implica un peggioramento del tasso di premio applicato dalla Compagnia di Assicurazione sul valore assicurato, in quanto un rischio più elevato di sinistrosità dei percorsi urbani (carrabili e pedonali) comporta un potenziale maggior esborso sotto forma di risarcimento danni.
E’ troppo facile, quindi, nascondersi dietro il paravento della polizza assicurativa per disinteressarsi allo stato di manutenzione delle strade/marciapiedi, destinando al loro rifacimento le briciole rimaste dopo la spartizione delle risorse tra “altre priorità” ritenute più prestigiose per l’immagine della Città, se non, forse, per la visibilità degli Amministratori.
Non serve intervenire con lavori di manutenzione saltuari per tamponare le “ferite” che si aprono sull’asfalto o nelle isole pedonali, dimostrando così sensibilità e interessamento alle problematiche del territorio che si governa.
E’ necessario tenere conto della ramificazione del paese, che comprende, oltre alle vie principali, anche quelle meno frequentate delle frazioni, intervenendo con una politica di investimento locale strutturale, in modo da stimolare l’economia del territorio e creando, a cascata, le premesse per tutta una serie di iniziative che impattano sul rilancio della Città, rendendola affascinante sotto angolazioni differenti.
«L’attrattività delle città per il turismo e per gli investimenti si decide in gran parte sulla qualità dei trasporti pubblici, dei marciapiedi, dei parchi e degli spazi pedonali. E’ in questi luoghi che si crea l’identità della città, si corre o si passeggia, si guarda la gente in faccia, ci si incontra e ci si siede al bar, si ammirano le vetrine, si vivono le atmosfere, le mille luci della città» (Tratto da: «Costruire Città senz’auto» - Dossier 2009 di Legambiente).
La programmazione degli interventi deve essere calibrata con più incisività, per evitare che, nell’attesa che trascorra il tempo biblico necessario per assumere le decisioni, si perda di vista la missione dell’amministrare la res publica.
In alternativa, la Città perderebbe lentamente la sua identità.
Allora non sarà più possibile correre o passeggiare per il timore di rovinare per terra, la gente non potrà più guardarsi in faccia, ma dovrà rivolgere lo sguardo in basso per vedere dove mette i piedi e si potrà sperare di incontrarsi, sedersi al bar, ammirare le vetrine e vivere le atmosfere, se non si cade prima dell’appuntamento.
E se l’Amministratore pubblico illuminerà la Città con il suo linguaggio politichese per giustificare la lentezza della macchina comunale, deve sperare che, nel frattempo, una di queste luci, quella più importante, non si sia spenta sull’asfalto.

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Due milioni di giovani nullafacenti

Articolo di Irene Tinagli pubblicato su la Stampa del 27 maggio 2010
La macelleria sociale è già in atto, a prescindere dalla manovra. E riguarda una fascia di popolazione a cui questo Paese si ostina a non guardare: i giovani.
I dati appena resi noti dall’ISTAT lasciano poco spazio all’ottimismo. Il tasso di occupazione complessivo è calato dell’1,2% nell’ultimo anno, mentre quello dei giovani tra i 15 e i 29 anni dell’8,2%, scendendo al 44%. Ma il dato più preoccupante va oltre la mera disoccupazione e riguarda i cosiddetti neet, ovvero i giovani che non sono né occupati in un lavoro né inseriti in percorsi di studio o formazione (neither in employment, nor in education or training). In Italia sono il 21,2% dei giovani tra i 15 e i 29 anni, in larga parte diplomati e laureati: proprio quelli sui quali dovrebbe poter contare un Paese per rilanciare la propria economia. Si tratta in totale di oltre due milioni di giovani che, semplicemente, non fanno niente. Aspettano.  Aspettano forse tempi migliori, mentre intanto le cose che hanno imparato a scuola vengono dimenticate o diventano obsolete, e assieme ai saperi svaniscono fiducia, entusiasmo, voglia di guardare avanti. Questo è un dato drammatico, che avrà conseguenze pesantissime sul futuro di questi giovani e del nostro Paese. Stare lontani sia dal lavoro che dalla formazione aumenta le probabilità di essere disoccupati in futuro o di avere lavori stabili che consentono di crescere professionalmente. Diminuiscono le competenze e il bagaglio di esperienze, in altre parole: diminuisce il livello di capitale umano sia dell’individuo che del sistema socio-economico in cui questa persona vive e lavora. E’ anche alla luce di questi dati che una recente pubblicazione dell’OCSE ha previsto che il tasso di disoccupazione giovanile in Italia non diminuirà con il rallentare della crisi, ma continuerà piano piano a crescere.
Questo fenomeno non può essere imputato solo al crollo della produzione industriale. La crescita della disoccupazione complessiva in Italia è stata più bassa che in tutti gli altri Paesi, quindi il fatto che invece proprio in Italia i giovani siano così emarginati dal mondo del lavoro non può essere legato solo alla crisi. Un altro indicatore che ci mostra che il nostro problema va oltre la crisi economica emerge dal confronto con la Spagna. Infatti, persino in quel Paese, dove il tasso di disoccupazione giovanile è quasi il doppio del nostro, la percentuale di giovani neet che proprio non fanno niente è minore che da noi, segno che i giovani senza lavoro sono comunque inseriti in programmi di formazione, studio o apprendistato, un elemento che contribuisce a tenerli attivi e competitivi per il futuro.
Queste considerazioni ci fanno capire che il vero buco nero del nostro Paese non è solo e tanto la struttura economico-produttiva, ma il sistema della formazione e la transizione dal mondo dello studio a quello del lavoro. E’ questo il principale meccanismo di lotta all’inattività giovanile, come ci dicono ormai tutti i principali studi in materia. Basta guardare ai Paesi che fino ad oggi sono riusciti ad ottenere i migliori risultati su questo fronte: Olanda, Danimarca, e Germania per esempio, hanno tutti dei sistemi molto strutturati di formazione professionale, alternanza scuola-lavoro, e ammortizzatori sociali legati allo sviluppo di competenze e permanenza nel circuito della formazione.
Invece nel nostro Paese è proprio sul fronte della formazione e della transizione scuola-lavoro che manca un’offerta vera e di qualità. Abbiamo milioni di giovani abbandonati a loro stessi, che in molti casi non finiscono neppure gli studi superiori (non a caso abbiamo uno dei più bassi tassi di diplomati d’Europa), in altri restano emarginati dal mercato del lavoro o da una formazione che potrebbe aiutarli a restare comunque competitivi nel lungo periodo.
Una lacuna che non è stata colmata da nessun intervento o politica del governo. Di fronte ad una carenza di formazione e al dramma dei ragazzi che non finiscono le scuole, tutto quello che si è stati capaci di fare è stato abbassare l’obbligo scolastico, e schiacciare le ambizioni dei ragazzi incitandoli ad «accettare qualsiasi tipo di lavoro», rivalutando i lavori umili e manuali. Mentre la grande riforma del mercato del lavoro che il ministro annunciava già un anno fa si è limitata alla fine alla lotta sull’arbitrato. Un po’ pochino per risolvere un problema di questa portata.
Di fronte a un’emergenza del genere i ministri del Lavoro e dell’Istruzione e dello Sviluppo Economico dovrebbero lavorare insieme a ritmi serratissimi per pensare a misure strutturali che consentano al Paese di non perdere per strada queste nuove generazioni. Invece il ministero dell’Istruzione pare più in sintonia con quello del Turismo, il ministero dello Sviluppo Economico, dopo aver distribuito un po’ d’incentivi per l’acquisto di cucine e lavatrici, è adesso in cerca di identità dopo le dimissioni di Scajola, mentre quello del Lavoro pare ancora troppo impegnato nell’abolizione o riscrizione dell’articolo 18.
I milioni di giovani senza lavoro e senza formazione adeguata sono il vero dramma di questo Paese. Cercare di mortificare le loro ambizioni non è la soluzione. Ma d’altronde è difficile parlare di futuro e ambizioni in un Paese la cui unica ambizione, oggi, è «non fare come la Grecia».

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Lavoro: Ignazio Marino risponde a Stefano Fassina

Articolo del senatore Ignazio Marino, membro della Direzione nazionale del PD, pubblicato su l’Unità del 27 maggio 2010
Il dialogo è fondamentale per la vita democratica e, come scrive Enzo Bianchi, priore di Bose, “non ha come fine il consenso, ma un reciproco progresso, un avanzare insieme”. Proprio perché credo nel dialogo, mi ha sorpreso l’intervento del 25 maggio di Stefano Fassina, responsabile del settore economico nella segreteria del PD. Il suo ruolo di titolare nazionale di un importante dipartimento non gli dovrebbe consentire di lanciare invettive contro esponenti dello stesso partito, tentando di squalificarne le posizioni con accuse gratuite (quale è quella che mi rivolge, di essere mosso nelle mie scelte politiche da “ansia di visibilità”). La mia unica e sincera ansia, su un tema socialmente così delicato come quello del documento sul lavoro approvato nel corso dell’Assemblea Nazionale del PD, è che il nostro partito appaia ancora una volta titubante, incerto, dubbioso.
I “riformisti coraggiosi”, come ci chiama Fassina, si sono astenuti dal voto non perché siano radicalmente contrari al documento (in questo caso avremmo votato contro!) ma perché chiedono un ulteriore approfondimento ed alcuni chiarimenti. Innanzitutto, se siamo tutti d’accordo che si debba superare l’apartheid esistente oggi nel mercato del lavoro, perché ai paria, che svolgono esattamente lo stesso lavoro dei regolari, il PD propone di estendere soltanto alcuni diritti fondamentali e solo gradualmente? Se la spiegazione è che ciò comporterebbe un costo eccessivo per le imprese, questa come si concilia con la proposta di “far costare un’ora di lavoro precario un po’ più di un’ora di lavoro stabile”? Se, invece, la ragione è che l’estensione ai paria dell’intero diritto del lavoro priverebbe il sistema di un “polmone di flessibilità” indispensabile, come si giustifica che oggi tutto il peso della flessibilità sia posto sulle spalle dei soli paria? E perché il PD avanza con il freno a mano tirato sulla via del superamento di questa grave ingiustizia?
Se anche Stefano Fassina ritiene che l’attuale disciplina della stabilità dei rapporti regolari non sia suscettibile di applicazione universale, perché si irrita con chi si sforza di progettare un diritto che possa, invece, applicarsi davvero a tutti i nuovi rapporti di lavoro dipendente, senza inaccettabili eccezioni?
Per finire vorrei offrire io una opportunità di chiarimento. I progetti di riforma di questa materia presentati progressivamente in Parlamento da esponenti del PD (Ichino, Madia, Nerozzi, Bobba), sono stati sottoscritti al Senato da oltre due terzi ed alla Camera da quasi la metà dei parlamentari PD. Si tratta di oltre duecento dei nostri senatori e deputati - contro i quali ora Stefano Fassina lancia strali e invettive - che lasciano intatta la posizione di chi oggi ha già un posto di lavoro stabile, ma al tempo stesso si impegnano a ridisegnare la disciplina destinata ad applicarsi a tutti i rapporti che si costituiranno d’ora in avanti. Nessuno immagina, come interpreta Stefano Fassina, di “togliere ai padri per dare ai figli” o di mettere padri e figli in conflitto, bensì di fare in modo che l’attuale situazione di lavoratori senza diritti non continui ad essere inflitta anche alle nuove generazioni. Come l’area di Cambialitalia (www.cambialitalia.it) ha proposto all’Assemblea Nazionale del Pd lo scorso fine settimana, molti di noi si sforzeranno di condurre il dibattito sul tema del lavoro sul territorio, di circolo in circolo, per dare vita a quel vento democratico che serve disperatamente nel PD, per essere incisivo e assumere posizioni più chiare e nette.

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sabato 22 maggio 2010

Pietro Ichino - Intervento Assemblea PD

 

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venerdì 21 maggio 2010

PD alla ricerca di una posizione unitaria sul lavoro

Oggi e domani l’assemblea del PD affronterà tra l'altro il tema del lavoro nella speranza che possa scaturire una posizione unitaria su tale problematica che comprenda i lavoratori dipendenti tradizionalmente considerati ed i lavoratori precari che dipendono economicamente dalle aziende e che fino a questo momento non trovano adeguate tutele.
Il decalogo di Piero Fassina non tiene conto del dualismo tra protetti e precari e non considera i quattro progetti di legge presentati da Ichino, Nerozzi, Madia e Bobba che affrontano in maniera diversa tale problematica.
Ritengo che il lavoro non possa più essere definito in modo tradizionale perché molte figure si sono affermate nel tempo ed occorre adesso offrire loro una forma di tutela sociale diversa dal passato. I vecchi istituti non sono in grado di regolamentare la nuova situazione che si è creata e, quindi, occorre intervenire e ridefinire il lavoro dipendente al fine di superare il dualismo del lavoro ed offrire la possibilità ai "giovani di oggi" di costruire il loro futuro.
Si riporta l’articolo di Pietro Ichino pubblicato su Europa del 20 maggio 2010.
Il “decalogo” che Stefano Fassina proporrà domani all’Assemblea del Pd parla di un “diritto del lavoro unico”; ma quello che egli propone è un diritto del lavoro che per la sua parte più rilevante continua ad applicarsi soltanto al lavoro subordinato tradizionalmente inteso, lasciando fuori milioni di persone in prevalenza giovani in posizione di sostanziale “dipendenza economica” dall’impresa per cui lavorano.
Il dibattito in seno ai gruppi Pd di Senato e Camera sul modo migliore per superare questo dualismo del nostro mercato del lavoro, nei primi due anni di quest’ultima legislatura, ha portato alla presentazione di quattro progetti di legge (Ichino e Nerozzi al Senato, Madia e Bobba alla Camera) centrati su di una scelta fondamentale che li accomuna: quella di delineare un nuovo diritto del lavoro destinato ad applicarsi, per i rapporti che si costituiranno d’ora in poi, non più soltanto nell’area del lavoro subordinato, ma in tutta l’area del lavoro “economicamente dipendente”. Una nozione, quest’ultima, assai più ampia rispetto a quella di lavoro subordinato, perché ricomprende anche (e in modo molto semplice e immediato) gran parte delle collaborazioni continuative, dei “lavori a progetto”, dei lavori “a partita Iva” in condizioni di monocommittenza, dei rapporti di “lavoro in partecipazione” e di altri tipi legali oggi largamente utilizzati per eludere il diritto del lavoro.
Ciascuno dei quattro progetti di legge, dunque, delinea davvero un “diritto del lavoro unico”, destinato a una applicazione universale. Questo è il rilevantissimo punto di arrivo del dibattito interno al Pd, rispetto al quale mi sembra che il “decalogo” di Stefano Fassina segni un passo indietro. Se ben capisco, secondo questo progetto le sole nuove norme che dovrebbero applicarsi nell’area più ampia del lavoro “economicamente dipendente” sono quelle entrambe importanti, certo relative al salario minimo e alla parificazione della contribuzione previdenziale; ma rimarrebbe non applicabile tutto il resto del diritto del lavoro (orari, malattia, permessi, ecc.) e in particolare la disciplina della continuità del rapporto e del licenziamento.
La spiegazione di questo passo indietro non è difficile. Individuare un campo di applicazione del diritto del lavoro molto più ampio di quello attuale, cioè quello che comprende tutto il lavoro “economicamente dipendente”, impone di chiedersi, per ciascuna parte del diritto del lavoro stesso, se essa sia realisticamente applicabile in tutta questa area. E se non la si ritiene applicabile a un co.co.co. o a un lavoratore a progetto, occorre spiegare perché la si ritiene invece applicabile a un lavoratore (riconosciuto come) subordinato. È un vaglio non facile; ma di qui si deve passare se si vuole davvero superare il regime attuale di apartheid.
Per superarlo, a differenza di quel che pensa Fassina, non mi sembra affatto sufficiente pareggiare i livelli retributivi e contributivi minimi: così facendo si lasciano sopravvivere enormi differenze di disciplina in materia di orari di lavoro, malattia del lavoratore, altre cause soggettive od oggettive di sospensione della prestazione, e soprattutto in materia di licenziamento. Finché queste enormi differenze rimarranno, rimarrà anche un rilevantissimo incentivo per le imprese a mantenere i nuovi assunti fuori dall’area di applicazione piena del diritto del lavoro: un incentivo assai più potente di quanto non sia la differenza dell’aliquota di contribuzione previdenziale (differenza che ormai si è ridotta al 5 per cento della retribuzione lorda).
Il Pd, se si propone davvero di superare l’apartheid, non può esimersi dall’affrontare le due questioni che la vecchia sinistra finora ha rifiutato di affrontare (e che anche il “decalogo” di Fassina elude): 1. quale possa essere il criterio universale di distinzione tra lavoro economicamente dipendente e lavoro libero-professionale e 2. quale possa essere davvero un “diritto del lavoro unico” realisticamente applicabile in ogni sua parte all’intera l’area del lavoro economicamente dipendente, sia esso qualificabile o no come “subordinato” secondo i criteri tradizionali.

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martedì 18 maggio 2010

Raccolta: Enti locali e Nomine

La raccolta di post sulle nomine nelle società partecipate degli enti locali, comprensiva dei preziosi contributi di Pietro Ichino, Federico Testa, Davide Zoggia e Silvano del Lungo, si pone l’obiettivo di porre attenzione alla trasparenza del processo di nomina ed alla valutazione delle competenze dei candidati.
Si ritiene di abbandonare le vecchie modalità che si basano esclusivamente sulla lottizzazione del potere tra i partiti e tra le componenti di ciascun partito per privilegiare le competenze delle persone e realizzare la trasparenza totale in materia di nomine.
Questa proposta è indirizzata al Partito Democratico ed ai democratici al fine di realizzare o recuperare il rapporto con i cittadini attraverso la sincerità e la trasparenza, fattori essenziali questi per coinvolgere le comunità locali nei processi decisionali del partito.
Il distacco dei cittadini dai partiti, il quale nelle scorse elezioni regionali si è espresso con la vittoria del partito delle astensioni, può essere attenuato se il Partito Democratico prende coscienza che è ora di cambiare le modalità della politica negli enti locali attraverso l’introduzione della cultura della trasparenza e della valutazione.
La raccolta è utile per tutti coloro che hanno condiviso l’appello ed intendono sostenere la presente proposta in ogni provincia.
Si fa appello al Partito Democratico allo scopo di adottare un codice di comportamento in materia di nomine negli enti locali che si basi sulla trasparenza e sulla valutazione delle competenze che rappresentano i fattori fondamentali del cambiamento.
Raccolta: Enti locali e Nomine
EntiTrasparenti documento finale

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sabato 15 maggio 2010

Rapporto PA e Piccole e Micro Imprese

Intervista a cura di Antonino Leone ad Annalisa Giachi, responsabile ricerche della Fondazione Promo PA in corso di pubblicazione su Sistemi & Impresa
La competitività dell’impresa dipende da numerosi fattori interni ed esterni all’impresa. Tra i fattori esterni si colloca la Pubblica Amministrazione, la quale rappresenta un fattore fondamentale per sostenere la crescita delle imprese particolarmente in questo momento di grave crisi economica e finanziaria.
Una Pubblica Amministrazione inefficiente rallenta e non favorisce lo sviluppo dell’impresa e la crescita della ricchezza nazionale.
Gli imprenditori lamentano la scarsa semplicità dell’iter burocratico, lunghi tempi di attesa per l’erogazione di un servizio, la disorganizzazione dei diversi uffici, i costi della burocrazia e spesso la mancanza di un interlocutore.
I costi, il tempo e gli adempimenti amministrativi e fiscali per costituire un’impresa in Italia sono molto superiori rispetto ad altri stati europei (Regno Unito, Francia, Germania). Il quadro dei rapporti tra le imprese e le Amministrazioni Pubbliche si presenta inefficiente se si rapporta ai tempi di riscossione dei crediti che le imprese vantano nei confronti dello Stato per servizi, opere e forniture prestate in un momento in cui il tessuto produttivo ha bisogno di liquidità per fronteggiare la crisi economica.
Le piccole e medie imprese, le quali rappresentano il 95% della struttura produttiva del paese, l’80% dell’occupazione e contribuiscono a creare il 70% della ricchezza, sono quelle che subiscono di più gli effetti della cattiva organizzazione della Pubblica Amministrazione.
La Fondazione Promo PA effettua dal 2006 una ricerca sulla soddisfazione delle piccole e micro imprese nei rapporti con le Pubbliche Amministrazioni con risultati molto interessanti al fine di comprendere il fenomeno ed intervenire per porvi rimedio.
Per saperne di più ho intervistato Annalisa Giachi, responsabile ricerche di Promo PA.

Quale è la percezione del livello di soddisfazione per i servizi resi dalle Pubbliche Amministrazioni alle piccole e micro imprese rilevata nel quarto rapporto nazionale di Promo Pa?
Occorre distinguere due aspetti: il livello attuale di soddisfazione verso l’operato della PA e le aspettative future delle imprese. Sul primo aspetto, l’indagine che abbiamo effettuato sulle micro e piccole imprese evidenzia che il livello di soddisfazione del sistema Italia verso la PA è rimasto stabile nel 2009, benché sempre molto contenuto: in particolare migliorano le valutazioni delle imprese del Nord Est (da 4,6 a 4,7), del Nord Ovest (da 4,5 a 4,6) e soprattutto del Centro (da 4,1 a 4,4), mentre crolla il livello di soddisfazione nel Sud e nelle isole, già tradizionalmente molto basso (da 4,2 a 3,7). L’analisi delle aspettative riflette l’andamento dei livelli di soddisfazione. Anche in questo caso l’indice di tendenza delle aspettative per il prossimo triennio tende a crescere, ma solo nel Centro Nord, mentre nel Sud appare in costante regressione sin dal 2006.

In che misura i costi della burocrazia e dell’inefficienza delle PA incidono sulla competitività delle piccole e micro imprese?
In misura crescente e preoccupante. Lo dimostrano tre dati significativi che emergono dalla nostra indagine:
1) l’incidenza crescente dell’onere da PA sul fatturato delle imprese, che passa da circa il 5% nel 2008 a quasi il 7% nel 2009;
2) il numero di giornate/uomo dedicate agli adempimenti amministrativi, che passa da 26 giornate nel 2008 a 31 giornate nel 2009;
3) I costi medi legati al ricorso ai consulenti esterni, che passano da 5.862 euro nel 2006 a 6.469 euro l’anno nel 2009

Gli imprenditori delle micro e piccole imprese indicano nel rapporto quali sono i fattori del sistema pubblico che reputano essenziali per migliorare i rapporti con le Pubbliche Amministrazioni?
Nell’indagine viene calcolato un indicatore, denominato “efficiency gap”, che misura lo scarto percentuale esistente tra il livello di importanza attribuito dalle imprese ad una determinata tematica e il livello di soddisfazione sulla performance della PA rispetto alla tematica stessa. I risultati che emergono sono due:
- la performance dell’indice nel periodo 2006-2009 è andata peggiorando (dal 45% nel 2006 a circa il 54% nel 2009) a dimostrazione che sta diminuendo la capacità della PA di rispondere ai bisogni del sistema imprenditoriale;
- l’aspetto su cui risulta più elevato l’efficiency gap è la “Semplicità dell’iter burocratico, seguito dall’”Organizzazione e sinergia tra gli uffici” e i “Tempi di attesa per l’erogazione dei servizi”
In generale semplificazione e e-government sono ritenuti gli ambiti di intervento prioritari ai fini del miglioramento del rapporto tra imprese e PA.

Quali sono i punti di forza e di debolezza dei rapporti tra le piccole e micro imprese e le amministrazioni pubbliche a livello territoriale e nelle aree del paese emergono diversità nell’offerta dei servizi pubblici?
Il differenziale Nord-Sud tende ad aumentare rispetto a tutti gli indicatori considerati: costi, livello di soddisfazione e stato delle aspettative. La fotografia che emerge dall’indagine è quella di un sistema pubblico che funziona a macchia di leopardo, nel quale i modelli di eccellenza, che pur esistono a livello locale, non sono messi in rete e non fanno sistema per diffondere le buone prassi.

In che modo le Pubbliche Amministrazioni possono aiutare le imprese ad essere più competitive? Il miglioramento tecnologico e organizzativo, che è l’effetto del nuovo contesto caratterizzato dalle reti, è sufficiente per migliorare la performance delle Pubbliche Amministrazioni o occorre anche un cambiamento della cultura delle persone orientata al servizio?
Il tema culturale è senza dubbio quello decisivo: senza un cambiamento profondo dell’approccio e della mentalità del funzionario pubblico, nella direzione dell’etica del civil servant e del manager pubblico qualsiasi tipo di cambiamento e riforma rischia di essere vanificato.
Detto questo, le tecnologie dell’informazione e della comunicazione svolgono un ruolo decisivo nel processo di modernizzazione della PA e possono contribuire a ridurre fortemente gli oneri burocratici a carico delle imprese. Non a caso la semplificazione è la priorità per le micro e piccole imprese italiane, non solo per meglio dialogare con la PA ma soprattutto per uscire dalla crisi, recuperare efficienza e diventare più competitive. Non a caso il giudizio più positivo delle imprese è rivolto verso quegli Enti che più hanno lavorato su questa tematica, come le camere di commercio che si confermano per il quarto anno consecutivo l’interlocutore privilegiato delle micro e piccole imprese, staccando nettamente gli altri enti.

Il sistema delle PA registra un debito di circa 60 miliardi nei confronti delle imprese. Il rapporto si è interessato di questo problema e che cosa è emerso?
Si tratta di un tema centrale che verrà approfondito nel V Rapporto annuale sul livello di soddisfazione delle micro e piccole imprese verso la burocrazia, che uscirà nel settembre 2010. L’obiettivo che ci poniamo è proprio quello di “dimensionare” la questione dei crediti della PA, al fine di verificare in che misura essa rappresenta un ostacolo effettivo all’operare delle imprese e quali potrebbero essere le compensazioni da adottare a vantaggio delle imprese.

Nell’esperienza italiana di miglioramento della Pubblica Amministrazione vi è stato un notevole contributo di costituzionalisti e amministrativisti. Inoltre il management pubblico possiede nella maggior parte dei casi un profilo giuridico e non organizzativo. Probabilmente tale profilo del management pubblico, le troppe regole normative e l’insufficiente presenza di esperti di organizzazione, di economia e di comunicazione ha influito insieme ad altri fattori sulla performance deludente delle Pubbliche Amministrazioni? Il management pubblico possiede competenze di organizzazione e di gestione e la titolarità delle relative responsabilità per avviare i processi di cambiamento necessari al paese ed alle imprese?
Promo P.A Fondazione approfondisce queste tematiche attraverso una ricerca specifica rivolta a tutti i Dirigenti della Pubblica Amministrazione Italiana. L’indagine, giunta ormai al quarto anno di realizzazione, viene realizzata attraverso un sondaggio on line che intende “far parlare” i dirigenti della Pubblica Amministrazione su varie tematiche, tra le quali l’evoluzione delle competenze e i nuovi fabbisogni professionali. Ciò che emerge dalle serie storiche annuali è la chiara consapevolezza dei dirigenti circa la necessità di acquisire competenze economiche e manageriali nuove e la disponibilità crescente a seguire percorsi formativi mirati, anche all’estero. Si tratta di una trasformazione di lungo periodo, che richiede un cambiamento culturale profondo ma di cui si iniziano a vedere alcuni primi segnali positivi.

Di recente è stata approvata la legge 4 marzo 2009, n. 15 e il decreto legislativo 9 ottobre 2009, 150 che si pongono l’obiettivo di migliorare la performance delle PA. Le disposizioni introducono la valutazione delle strutture e dei dipendenti pubblici, la trasparenza degli obiettivi e dei risultati, la misurabilità del lavoro, e la istituzione di una commissione centrale indipendente con il compito di valutare, indirizzare e coordinare i nuovi compiti affidati alle strutture pubbliche. Come valuta tali cambiamenti in relazione alle prospettive di miglioramento dei servizi delle PA?
Promo PA Fondazione ha recentemente realizzato per il quarto anno consecutivo l'indagine "La PA vista da chi la dirige" che si pone l'obiettivo di comprendere le opinioni della dirigenza sui temi della riforma e della modernizzazione della PA. L'indagine, che ha coinvolto oltre 24.000 dirigenti, mette in evidenza alcuni aspetti importanti: una crescente consapevolezza di svolgere all'interno dell'amministrazione il ruolo del civil servant, una moderata fiducia verso i principi di fondo della Riforma Brunetta e comunque un forte desiderio di cambiamento rispetto alle forme di incentivazione e controllo esistenti fino ad oggi, un'inaspettata propensione alla mobilità e alla crescita professionale attraverso i canali della formazione e dell'aggiornamento continuo e infine una valutazione assai positiva dei nuovi principi di trasparenza, rendicontazione della performance e accessibilità totale, ritenuti un primo importante passo per porre il cittadino-cliente al centro della programmazione degli obiettivi dell'amministrazione. Dalla ricerca emerge la fotografia di un mondo, quello della dirigenza pubblica, in continua evoluzione dove la consapevolezza delle difficoltà attuali si accompagna alla consapevolezza della necessità di un cambiamento culturale dal quale può forse scaturire un autentico percorso innovatore.

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Governo contro riforma PA

I senatori Anna Finocchiaro, Pietro Ichino, Emma Bonino, Luigi Zanda, Enzo Bianco, Enrico Morando, Stefano Ceccanti, Ignazio Marino, Giuseppe Negri, Paolo Nerozzi, Giorgio Tonini e Walter Vitali hanno presentato una interrogazione urgente al Presidente del Consiglio dei Ministri, al Ministro per la Pubblica Amministrazione e l’Innovazione e al Ministro dell’Economia e delle Finanze sul funzionamento della Commissione per la trasparenza, la valutazione e l’integrità delle amministrazioni pubbliche.
Premesso,
- che la gravissima crisi finanziaria ed economica internazionale obbliga inderogabilmente e urgentemente il nostro Paese ad avviare rapidamente un programma di riduzione e riqualificazione della spesa pubblica corrente, come ultimamente evidenziato anche nella R.U.E.F. dal ministro dell’Economia e delle Finanze;
- che a tal fine la legge n. 15/2009 ha dettato nuove norme per la trasparenza e la valutazione delle performances delle amministrazioni pubbliche, ponendo le premesse per l’individuazione dei settori delle amministrazioni medesime nei quali è possibile l’eliminazione di sprechi e di quelli dove invece l’investimento di risorse consente di prevedere maggiori ritorni in termini di sviluppo economico di sistema e di miglioramento dei servizi per i cittadini;
- che allo stesso fine la stessa legge n. 15/2009 ha istituito un organo centrale indipendente, la Commissione per la Valutazione, la Trasparenza e l’Integrità delle Amministrazioni Pubbliche (Civit), con il compito di garantire l’indipendenza degli organi di valutazione, promuoverne l’operato coordinandolo, creare le condizioni per una applicazione generalizzata del metodo del benchmarking comparativo tra Amministrazioni omologhe e favorire lo sviluppo di una cultura della trasparenza e della performance;
- che la suddetta Autorità indipendente, a seguito dell’approvazione da parte dei due rami del Parlamento della designazione dei suoi cinque membri con maggioranza qualificata di due terzi, si è insediata nel dicembre 2009;
- che, ciononostante, a tutt’oggi il Governo ha omesso di emanare una parte rilevante dei decreti di sua competenza, assolutamente necessari per il funzionamento della stessa Autorità indipendente, onde questa – a cinque mesi dal suo insediamento – è posta nell’impossibilità di operare;

si chiede

che il Governo chiarisca se tali ritardi gravissimi negli adempimenti di sua competenza corrispondano a una scelta politica di congelamento dell’operatività del nuovo organo indipendente, o, più in generale, a una rinuncia all’attuazione dei principi di trasparenza e valutazione indipendente espressi nella legge n. 15/2009, in funzione dell’incremento dell’efficienza delle amministrazioni pubbliche;

in caso contrario, che cosa impedisca l’urgente attuazione degli adempimenti stessi e quando si ritenga che essi possano essere compiutamente attuati, anche allo scopo di consentire all’Autorità di attivare i propri programmi in tempo utile per l’imminente manovra finanziaria preannunciata dal Governo;

che cosa impedisca la fattiva mobilitazione dell’intero vertice dell’Amministrazione, che a tutt’oggi non è dato vedere, a sostegno del difficile quanto indispensabile compito della nuova Autorità indipendente, e in particolare dell’opera di costruzione di un sistema nazionale di osservazione e valutazione del funzionamento di ciascun comparto del settore pubblico, al fine di rendere concretamente possibile la riduzione e riqualificazione della spesa corrente, nonché la creazione delle condizioni perché i necessari investimenti in questo settore possano essere meglio indirizzati e più produttivi.

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giovedì 13 maggio 2010

Intervista a Davide Zoggia su enti locali e nomine

Davide Zoggia è stato Presidente della Provincia di Venezia ed è responsabile Enti Locali del Partito Democratico
Ho intervistato Davide Zoggia al fine di avere un suo contributo sulle nomine negli enti locali, problema che interessa le comunità locali ed un nuovo modo di essere del PD nel territorio nell’interesse dei cittadini utenti che permetta un rapporto di fiducia tra i cittadini ed il partito.

Le autonomie locali con la gestione dei servizi pubblici locali e altre attività assumono notevole importanza per l’economia locale e per la qualità della vita dei cittadini utenti. Nello stesso tempo nominano le persone nei consigli di amministrazione delle società partecipate. Il PD territoriale che comportamenti deve assumere nella designazione delle persone nei consigli di amministrazione al fine di recuperare il rapporto di fiducia con i cittadini?
Sempre più il ruolo delle autonomie locali diventa fondamentale e determinante per quanto riguarda la gestione dei servizi pubblici e locali di conseguenza la vita dei cittadini utenti. Infatti in molte realtà locali (penso ad esempio al Comune di Torino) si sono create delle vere e proprie Agenzie che hanno il compito di monitorare il livello di soddisfazione dei cittadini in merito al servizio erogato. Questo tende a far si che il gestore migliori e implementi il servizio, sempre in un una ottica di trasparenza e professionalità, almeno così dovrebbe essere! Il comportamento da assumere nella designazione delle persone nei cda delle partecipate è molto semplice: i principi di competenza (comprovata), trasparenza (nei meccanismi di nomina), onestà. Come si vede, non ne faccio una questione di appartenenza politica. Infatti credo non vada demonizzato il fatto che un Sindaco, un Presidente di Provincia quando assume la guida di un Ente, possa pensare ad una sorta di spoil system per le aziende partecipate. L’importante è mantenere saldi i principi cui accennavo poco fa.

Al momento non esiste una legge che disciplina tali nomine ed i regolamenti comunali si presentano inadeguati con la conclusione di non entrare nel merito delle candidature. Il PD cosa dovrebbe fare affinché la lottizzazione del potere praticata venga superata?
Il PD potrebbe lavorare ad una sorta di codice di comportamento che dovrebbe essere applicato da tutti i nostri amministratori. Servono scelte che abbiano la stessa valenza da Milano a Potenza. Non si può continuare a dare l’idea che ognuno fa a modo suo. È vero che si viene eletti dal popolo, ma questo non autorizza a creare modelli diseguali di tutto il Paese, soprattutto in un tema così delicato come quello dei servizi.

La trasparenza e le competenze sono degli strumenti idonei per realizzare un rapporto di fiducia con gli iscritti al Partito e con gli elettori?
Si, se gli elettori e gli iscritti, comprendono che le modalità di nomina e di individuazione delle candidature sarà quella che ho indicato sopra e ne capiscono soprattutto i meccanismi che hanno portato a quella scelta, credo che contribuiremo a ricreare un clima di fiducia tra cittadini e politica.

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mercoledì 12 maggio 2010

Federico Testa sul nucleare

Articolo di Luca Salvioli pubblicato da Il Sole 24 Ore 11 maggio 2010
Sul Riformista di oggi 72 intellettuali, imprenditori e scienziati hanno firmato una lettera indirizzata al segretario del Partito democratico chiedendogli di non escludere l'opzione del ritorno all'energia nucleare. Pierluigi Bersani ha risposto alle agenzie di stampa: «Il nostro no alla proposta del governo sul nucleare non ha assolutamente niente di ideologico. Noi contestiamo le velleità di un piano che non si occupa di alcuni argomenti centrali come la dipendenza tecnologica, le condizioni di sicurezza, la gestione degli esiti del vecchio nucleare, il decomissioning, le scorie, che mette le procedure di delocalizzazione su un binario complicato e assolutamente incerto e non affronta in maniera adeguata il problema dei costi». Ecco, qui sotto, due opinioni interne al Pd sul nucleare.
Per il nucleare occorre un dibattito serio, è il governo a essere ideologico
«Un partito riformista che aspira a governare non può costruire le sue posizioni su base ideologica, ma entrare nel merito dei problemi. A maggior ragione su un tema decisivo come quello energetico» dice al Sole24ore.com Federico Testa, 55 anni, deputato, responsabile per l'energia del dipartimento per l'economia del Partito Democratico e docente di economia e gestione delle imprese a Verona. Testa condivide nel merito l'appello lanciato da 72 intellettuali e scienziati al segretario del Pd Pierluigi Bersani perché nasca un dibattito interno al partito sul nucleare lontano da posizioni ideologiche. Solo che ribalta la prospettiva: «è stato questo governo ad approcciare la questione in questi termini».
Come?
Lo slogan è stato "siamo il governo del fare". Salvo poi compiere una serie di passi falsi che dimostrano l'assoluta non volontà di "fare" sul serio. Solo che fare il nucleare è difficile: richiede rigore, logica di lungo periodo, costruzione della condivisione.
Condivide il target 50-25 (nucleare)-25 (rinnovabili)?
E' uno slogan che non è mai stato dettagliato. In questo momento stiamo dando autorizzazioni per le centrali a ciclo combinato, abbiamo i target europei per le energie rinnovabili e un ritorno all'atomo tutto da inventare. Ci sta tutto? Credo di no. Il Pd non ha risposto con una posizione unitaria…
Nella discussione alla Camera abbiamo elencato i punti che secondo noi meritavano soluzioni diverse. Il problema è che quando il presidente del Consiglio dice che presto costruiremo le centrali "ma non qui", in base alla regione in cui si trova, non ci sono le basi per una discussione seria. Finisce che ognuno dà il peggio di sé.
Obama, come ricorda la lettera indirizzata a Bersani, è tornato a finanziare nuove centrali nucleari dopo trent'anni.
Il segretario per l'energia Steven Chu ripete da tempo che se il nemico è la CO2 non si può prescindere da questa tecnologia.
Quando anche Bersani si esprimerà in questi termini?
Dobbiamo inziare una riflessione seria e rigorosa, lontana dagli slogan del centrodestra ma anche da chi parla di "masserie fosforescenti". Un dibattito laico su tre punti.
Quali?
Primo, l'efficienza e il risparmio energetico. Due punti che, se ben gestiti, possono tenere ferma la domanda. Secondo, le rinnovabili. Qui la priorità è la ricerca. Poi bisogna raggiungere, per l'industria, una sostenibilità di lungo periodo. Una pala eolica che funziona meno di duemila ore all'anno non sta in piedi. Restano le altre fonti, di cui il nucleare è l'unico che non produce CO2.
Cosa non vi convince del nucleare proposto dal governo?
E' dimostrato che insediamenti del genere si realizzano costruendoli sul consenso. E' vero che in Francia ci sono comuni che fanno a gara per avere le centrali, ma la domanda è: come ci si è arrivati? Qui il modo in cui è stato gestito il rapporto con le regioni ha portato a 15 ricorsi. Nel frattempo non abbiamo fatto nessun passo avanti nella gestione delle scorie. Poi, l'agenzia per il nucleare. Siamo stati noi a proporla, ma come authority indipendente. L'agenzia, di fatto, sarà più dipendente dall'esecutivo. E comunque ancora non c'è, manca un accordo.
Sul nucleare «la posizione del Partito democratico, contraria all'attuale nucleare, è assolutamente chiara ed è la stessa di grandi forze progressiste europee, dai socialdemocratici tedeschi ai liberali inglesi alle forze emergenti dell'ecologismo riformista. Se qualcuno, sulla base di visioni ed analisi francamente un po' datate, vuole cambiarla, lo proponga nelle sedi democratiche del partito e si voti»
Roberto Della Seta e Francesco Ferrante, senatori Pd ed esponenti Ecodem (l'associazione degli Ecologisti Democratici) rispondono così sulle agenzie di stampa all'appello con cui alcuni parlamentari e scienziati chiedono a Bersani di rivedere il no all'atomo.
Per l'Italia, affermano i due senatori, «tornare al nucleare vorrebbe dire spendere tra i 20 e i 30 miliardi di euro per avere forse tra quindici anni quattro centrali, che contribuirebbero per meno del 5% ai consumi energetici; nel frattempo, questo impegno straordinario di risorse pubbliche e private ci farebbe perdere i treni della vera innovazione energetica indispensabile per ridurre la dipendenza dai fossili e per fronteggiare la crisi climatica, che si chiama efficienza, ricerca, sviluppo delle rinnovabili.
È naturalmente legittimo - concludono Della Seta e Ferrante - che iscritti e simpatizzanti del nostro partito la pensino diversamente, ma questa è la posizione del Pd, più volte espressa e con evidenza condivisa dalla gran parte dei nostri elettori. Se poi qualcuno chiede un rovesciamento di questa linea, più che promuovere appelli non ha che da proporlo nelle sedi deputate, come l'assemblea programmatica del 21 e 22 maggio prossimi».
In una nota Fabrizio Vigni, presidente degli Ecodem, afferma che non è corretto dire che la contrarietà del partito democratico alle attuali tecnologie nucleari sarebbe viziata da pregiudizi ideologici e antiscientifici, perché nasce invece da motivazioni «molto concrete e pragmatiche». In una nota Vigni afferma che «le ragioni che fanno ritenere sbagliata la scelta del governo Berlusconi sono tutte riconducibili a valutazioni di carattere economico, tecnologico, ambientale». Ragioni quindi «molto pragmatiche, dunque, e nient'affatto ideologiche».
Articolo Il Sole 24 Ore
Appello a Bersani di 72 intellettuali, imprenditori e scienziati 
Articolo di Chicco Testa

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lunedì 10 maggio 2010

Intervista a Eleonora Voltolina, direttore Repubblica degli Stagisti

 

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venerdì 7 maggio 2010

Gerontocrazia nell’OIV dell’INPS

L’INPS ha sottoposto alla Commissione per la Valutazione, la Trasparenza e l’Integrità delle Amministrazioni Pubbliche la nomina dei membri dell’Organismo Indipendente di Valutazione (OIV).
La costituzione di tale organismo avviene dopo la richiesta di parere effettuata dagli organi dell’INPS e la formulazione del parere obbligatorio e non vincolante emesso dalla Commissione (CiVIT).
Le persone proposte per l’OIV sono Francesco Varì (72 anni), Mario Russo (54 anni) e Maria Carla Calicchia (53 anni).
La Commissione comunica all’INPS che alcuni requisiti contenuti nella delibera n. 4 del 2010 non sono rispettati ed esprime i seguenti rilievi:
- l’età media dei membri dell’OIV supera la media dei 50 anni;
- l’età di Francesco Varì supera l’età pensionabile;
- “l’assenza di multidisciplinarietà delle competenze e delle esperienze professionali di una tale composizione, priva, infatti, della preparazione aziendalistico-economica, particolarmente rilevante nello svolgimento di attività di valutazione della performance”. Delibera CiVIT n. 42/2010
A questo punto l’Inps avrebbe dovuto rispettare i contenuti della delibera n. 4 del 2010 ed adeguarsi presentando nuovi candidati. Invece, avviene il contrario.
L’Istituto previdenziale conferma la posizione assunta e fornisce dei chiarimenti e la Commissione prende atto ed esprime parere favorevole alla costituzione dell’OIV presso l’INPS.
Si indicano i chiarimenti dell’INPS contenuti nella delibera del CiVIT n. 42 del 2010:
- “L’Istituto evidenzia come la scelta di tale candidato, riferendosi a Francesco Varì, sia funzionale all’attuazione dei meccanismi del decreto legislativo n. 150/2009, per la quale sarebbe opportuno che la gestione iniziale sia assicurata da chi ha curato in prima persona i recenti processi di riorganizzazione dell’ente. L’ente sottolinea, peraltro, che il candidato sarebbe in possesso di una “lunga esperienza di governo e di management difficilmente rinvenibile con riferimento alle molteplici peculiarità dell’Istituto, costituendo il dott. Varì un elemento cardine di garanzia e continuità nell’esperienza amministrativo-contabile dell’ente”.
- “l’Istituto, nel riepilogare i contenuti dei curricula dei candidati, evidenzia come la scelta abbia tenuto conto soprattutto delle esperienze maturate in materia di analisi delle performance, di controllo interno, di organizzazione delle pubbliche amministrazioni”.
La Commissione prescrive all’Istituto di “adeguarsi ai criteri della delibera n. 4/2010 relativi all’età, al più tardi in sede di primo rinnovo della composizione dell’OIV” e prende atto “che, nonostante le notevoli risorse di personale e di competenze professionali di cui dispone, l’Istituto ritiene che non sia rinvenibile, allo stato, all’interno dell’ente altra persona dotata dell’esperienza e della professionalità necessarie”.
Questo esempio dimostra i limiti della Commissione, la quale non è una autorità con i relativi poteri, non ha poteri sanzionatori e nella nomina dell’OIV esprime soltanto pareri obbligatori e non vincolanti.
L’INPS in questo caso non ha rispettato i requisiti contenuti nella delibera della Commissione n. 4 del 2010 e pur rappresentando più di altri Enti notevole esperienza in materia di misurazione del lavoro e valutazione della performance ha scelto la via delle eccezioni e della gerontocrazia anziché quella della condivisione dei contenuti espressi dalla Commissione Centrale.
Se tutti gli altri enti centrali e territoriali intraprendono la strada scelta dell’INPS salta la conformità dei comportamenti, il rispetto delle regole e si imporrà la frammentazione.
Si fa presente che gli enti territoriali dovranno procedere alla nomina degli organismi indipendenti di valutazione entro il 31 dicembre del 2010 e nel momento in cui si arriva a questa fase molti saranno i problemi che si presenteranno e che la Commissione dovrà risolvere con i poteri limitati che si ritrova.
Ad aggravare il funzionamento della Commissione informa il senatore Pietro Ichino è “l’evidente ostruzionismo che il ministero dell’Economia e delle Finanze esercita sull’attività della Commissione per la valutazione istituita dalla riforma: sono ancora oggi fermi sul tavolo del ministro i decreti che sbloccano il funzionamento dell’autorità indipendente per la trasparenza e la valutazione, istituita dalla legge n. 15/2009, a sei mesi dall’approvazione dei suoi cinque membri da parte del Parlamento con la maggioranza qualificata dei due terzi”.

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giovedì 6 maggio 2010

Silvano del Lungo risponde su valutazione e competenze

L’Italia vive un momento difficile: il debito pubblico nel 2009 si è attestato al 115,80% del Pil, il Pil ha registrato nel 2009 una contrazione del 5,3% , per il 2010 si prevede una crescita limitata dello 0,9% e la spesa pubblica continua ad aumentare per i costi fissi da sostenere anziché per i servizi erogati ai cittadini.
Tra le spese si annoverano i servizi pubblici locali, i quali presentano risultati di gestione, tariffe e compensi agli amministratori diversificati nelle diverse aree territoriali ed all’interno delle medesime aree del paese. All’interno di questa problematica si pone la capacità degli amministratori di governare i servizi pubblici locali con economicità di gestione ed efficacia. Tale questione mette in evidenza i criteri di nomina dei membri dei consigli di amministrazione nelle società partecipate o controllate dagli enti locali.
Non esiste ad oggi una legge che disciplini tali nomine e non tutti gli enti locali si sono dotati di un regolamento che preveda delle regole per il conferimento degli incarichi basate su criteri di trasparenza, competenza e probità.
Per saperne di più e prendere coscienza dei problemi posti ho intervistato Silvano del Lungo, pioniere della consulenza di direzione in Italia e presidente della società di consulenza di direzione Studio Staff di Roma.

Nella società del terzo millennio sempre più competitiva, la quale viene definita società della conoscenza, che rilevanza ha la competenza e come può essere definita?
Competenza è in italiano un sostantivo che ha il medesimo significato di “competere”, cioè quello di dirigersi insieme verso una meta. Con una differenza che qui a competere non sono né sportivi nell’agone, né imprenditori sul mercato. Qui a competere sono le diverse abilità della persona che con-corrono, appunto, a dar corpo, tutte insieme, ad una professionalità, vale a dire: si combinano tra loro per dar luogo alla competenza o a più competenze tipiche della professione che si intende praticare.

Le abilità proprie di ciascuna competenza sono dunque molteplici. Quali sono tali abilità e in che cosa si distinguono le competenze dalle altre abilità?
Le conoscenze sono un tipo di abilità che sempre si accompagnano ad ogni competenza e che insieme sono in qualche misura comprese entro la competenza, ma allo stesso tempo se ne distinguono per il tempo in cui si formano nella persona (anteriore a quello della competenza) e per il modo diverso secondo cui si formano (l’istruzione e non l’esperienza) e in cui si esprimono (il sapere e non il saper fare). Le conoscenze sono, dunque, quelle abilità che concernono sia il sapere comune (leggere, scrivere, far di conto, parlare ecc) sia specialistico ( filosofia, letteratura, conoscenza di lingue, fisica, fisiologia, patologia , biologia, economia,astronomia e via dicendo). Più in breve: “i saperi”, vale a dire possedere concettualmente nella propria mente l’insieme di conoscenze e di relazioni tra conoscenze che fanno parte di una o più discipline simili a quelle su esemplificate.
Quale è dunque la differenza tra saperi (o conoscenze) e competenze? E’ la stessa differenza che c’è tra “sapere” e “saper fare” Nel primo caso – quello del sapere- esso coincide col possesso teorico della materia, mnemonico, critico, e via enumerando facoltà della nostra mente. Il saper fare è invece la capacità di trasformare il sapere, i saperi che si possiedono in azioni per raggiungere un risultato.
Così ad esempio un ingegnere può conoscere la meccanica, può saper risolvere un problema tecnico, ma può fallire come capo progetto, perché non sa gestire gli uomini o non sa affrontare l’incertezza o concepire e gestire un’organizzazione appropriata alla realizzazione del progetto.
Tra conoscenze/saperi da una parte e competenze dall’altra, c’è distinzione, ma non c’è contrapposizione. Non esiste competenza che per essere esercitata non esiga l’incorporazione in se stessa del corrispondente suo sapere. Quel sapere è il presupposto della operatività della competenza. Non è vero il viceversa. Il sapere, senza una competenza che lo incorpori non è in sé sufficiente a operare in una organizzazione.

Quali possono essere i requisiti richiesti ai candidati per proporre la loro candidatura in un consiglio di amministrazione di una società di gestione dei servizi pubblici locali?
Sono appunto le competenze. Ogni competenza incorpora saperi e conoscenze diversi, ma è qualcosa di più. E’ la capacità di far interagire tra loro saperi, conoscenze, sensibilità e competenze diverse. Ecco alcune aree di competenze
1. Problem solving. Si tratta di competenze connesse alla soluzione di problemi, sia in chiave di analisi, sia di soluzioni. Sia a breve termine, sia a lungo termine, sia in prospettiva strategica. Questa competenza incorpora sempre uno o più saperi, per esempio, economia, amministrazione, organizzazione, ecc.
2. Realizzazione. Si tratta di competenze connesse alle modalità di realizzazione del lavoro, quali la capacità di canalizzare le energie verso un risultato e la capacità di decidere, assumendosi le responsabilità del proprio ruolo.
A seconda del tipo di realizzazione la competenza realizzativa incorporerà saperi tecnici, giuridici o economici, o amministrativi o organizzativi e via dicendo.
3. Realizzazione attraverso gli altri. In questa area è necessaria oltre che la competenza realizzativa anche la capacità di lavorare in modo integrato con gli altri, sia quella di occuparsi della crescita dei collaboratori, attivandosi per divenire un punto di riferimento per la loro crescita.
4. Area relazionale. Include le modalità di relazionarsi con gli altri, lo stile di partecipazione e di influenza sulle situazioni, la leadership
5. Gestione della incertezza. Si tratta delle competenze che consentono di confrontarsi con i cambiamenti e con le trasformazioni del mondo del lavoro.

Condivide le scelte effettuate dalla Commissione per la Valutazione, la Trasparenza e l’Integrità delle Amministrazioni Pubbliche con la delibera n. 4 del 2010 che disciplina i requisiti per la nomina dei componenti degli Organismi indipendenti di valutazione? Può rappresentare un primo passo per estendere la cultura della valutazione e delle competenze agli enti territoriali?
E’ una domanda per me problematica e complessa. Condivido, ovviamente, gli intenti e le finalità della delibera. Non ne condivido il metodo normativo, burocratico e di governo a cascata dal centro e dall’alto verso la periferia. Un metodo che tende a definire tutto nei dettagli e a prevedere per ognuno di questi l’accettabilità libera, condizionata o l’esclusione. E’ un metodo che mentre predica il bene presuppone il male. Inevitabilmente susciterà nei contesti in cui dovrà essere applicato il malefico giuoco per rispettarlo e aggirarlo insieme. Non si riuscirà mai a suscitare una sana ispirazione né in enti né in persone verso un ideale da perseguire.
Io ritengo che il metodo dovrebbe essere un altro. Costituire piccoli centri di eccellenza dedicati allo sviluppo dei metodi di valutazione, costituti da valutatori di professione, e indipendenti dalle Amministrazioni. A questi centri dovrebbero essere trasmessi obbiettivi e finalità da raggiungere. A loro il compito di elaborare metodi, di tradurli in procedimenti e procedure e di migliorarli nel tempo. Agli enti in cui va introdotta la valutazione il compito di interpellare i centri come consulenti ed accoglierne dopo averli discussi i suggerimenti attraverso un processo di consulenza. In pratica si tratterebbe di costituire un similmercato della consulenza pubblica
A un organo centrale il compito di valutare per eccezione l’operato delle Amministrazioni pubbliche in merito alla valutazione, di premiare e pubblicizzare i casi di eccellenza e viceversa di condannare i casi di evasione o di aggiramento del compito o di adesione formale. Si tratterebbe di far crescere uno stile piuttosto che di applicare procedure troppo dettagliate, difficilmente sanzionabili, facilmente aggirabili e, probabilmente assai costose.

Pur considerando le riserve espresse rispetto al metodo adottato, l’organo centrale di cui parla può essere identificato dalla Commissione per la Valutazione, la Trasparenza e l’Integrità delle Amministrazioni Pubbliche, formata da specialisti di fama internazionale, ed i centri di eccellenza dagli Organismi indipendenti di valutazione (art. 13 e 14 del decreto legislativo n. 150 del 2009)? Questi ultimi organi se costituiti da valutatori competenti ed indipendenti, come lei afferma, potrebbero rappresentare per le PA e per gli enti territoriali l’avvio del cambiamento, considerato che fino a questo momento si è fatto ricorso alla mera lottizzazione del potere e non è stata mai introdotta la cultura della trasparenza e della valutazione?
Penso proprio di sì. L’importante è lasciare alla Commissione compiti di controllo per eccezione o a campione e lasciar piena libertà di azione ai centri di eccellenza per svolgere il compito di raggiungere, col metodo che essi credono, l’obiettivo prefissato di eleggere negli Organismi Indipendenti di Valutazione degli Enti persone competenti.

La competenza dei membri di un consiglio di amministrazione quanto è rilevante per la gestione di una impresa privata o pubblica?
E’ in un caso e nell’altro fondamentale. Consente tra l’altro di delegare ad alcuni membri del Consiglio compiti diretti di Direzione Generale e di Amministrazione e di riservare alla collegialità del Consiglio compiti di indirizzo e di controllo.

Quali sono gli strumenti per misurare e valutare le competenze di una persona da nominare in un consiglio di amministrazione di una società di gestione dei servizi pubblici locali (energia, elettricità, trasporti, igiene ambientale)? La presentazione di un curriculum, di una nota illustrativa del lavoro svolto e degli obiettivi che la società a parere del candidato dovrebbe conseguire ed un colloquio su tali documenti può aiutare la valutazione delle competenze?
Non soltanto può aiutare, ma tutte le operazioni indicate sono necessarie anche se una ad una insufficienti senza la competenza di un valutatore professionale. E’ questa una competenza propria di quei consulenti aziendali che si occupano da una parte di ricerca e selezione dei manager e dall’altra di sistemi di valutazione delle risorse umane. E’ una professione che non si improvvisa, e che si basa su conoscenze di psicologia del lavoro, di organizzazione e della pubblica amministrazione, e inoltre su competenze valutative e che conviene tener fuori della azienda o dell’amministrazione pubblica piuttosto che dentro, al fine di ottenere valutazioni caratterizzate oltre che da competenza anche da indipendenza di giudizio.

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martedì 4 maggio 2010

Nomine: incontro con il PD

L’incontro con i vertici del PD di Verona, rappresentato da Giandomenico Allegri, segretario provinciale del PD, Stefania Sartori e Diego Zardini in rappresentanza dei gruppi consiliari del PD del comune e della provincia, ha dimostrato chiaramente la validità dei contenuti espressi nel documento in quanto, grazie ad esso, si è aperto un confronto sulle nomine che il PD deve effettuare nei consigli di amministrazione delle società di gestione dei servizi pubblici locali.
Confronto partecipato ed interessante che ha offerto spunti di riflessione e di riconsiderazione della proposta iniziale.
Un nuovo cammino che porti alle nomine attraverso la cultura della trasparenza e della valutazione potrà essere impedito solo nel caso in cui vi siano posizioni precostituite.
Il Pd di Verona fino a questo momento ha proceduto solo alla nomina di un rappresentante nell’AATO e, pertanto, non ha una prassi consolidata da seguire e non si è mai dato delle regole in materia.
Si ritiene che il PD debba realizzare una discontinuità rispetto alle metodologie adottate dai DS e dalla Margherita in materia di nomine e cogliere l’occasione per costruire un dialogo ed un rapporto con gli iscritti e gli elettori attraverso la trasparenza e la valutazione delle competenze. Pertanto, richiamarsi alla prassi, la quale non esiste nel PD, per la riconferma degli uscenti significa richiamarsi al passato e ad esperienze che appartengono ad altri partiti.
Occorre tenere presente che il documento è finalizzato alle nomine nelle grandi società di gestione dei servizi pubblici locali di Verona e non ha la pretesa di considerare tutta la provincia dove esistono condizioni particolari del territorio che andrebbero esaminate caso per caso.
Il documento è rivolto al PD complessivamente considerato e nelle sue diverse articolazioni (segretario provinciale, direzione provinciale, gruppi consiliari).
La commissione tecnica (punto 1 del documento) è uno strumento e non rappresenta una condizione senza la quale la proposta non può essere realizzata. Tale strumento avrebbe potuto facilitare la designazione delle persone nei consigli di amministrazione. Il PD può dotarsi di altri e migliori strumenti senza offuscare i contenuti e gli obiettivi del documento.
Gli aspetti prescrittivi del documento (punto 2 del documento) possono essere superati senza eliminare alcuni problemi relativi all’intreccio tra politica e management.
Occorre distinguere la politica ed il management perché i due ambiti sono diversi e molto spesso vengono confusi. L’area di management è occupata spesso da politici non eletti, da vassalli e da persone che intendono intraprendere l’impegno politico candidandosi negli enti territoriali e non da persone scelte per la qualità delle competenze che possiedono. Utilizzare la presenza nei consigli di amministrazione delle società partecipate come un trampolino di lancio per l’impegno politico è strumentale e nasce da una scarsa considerazione dell’impegno manageriale e degli scopi sociali delle società di gestione dei servizi pubblici territoriali.
La trasparenza totale che si richiede riguarda l’intero processo delle nomine dal bando del comune per il rinnovo o l’integrazione dei consigli di amministrazione delle società alla pubblicazione dei curriculum ed alla valutazione scritta delle persone designate nelle società di gestione.
La regolamentazione comunale non garantisce la trasparenza totale e la valutazione delle competenze ed è per questo che il PD è chiamato a svolgere una funzione di integrazione rispetto alle regole del Comune di Verona al fine di rendere visibili ai cittadini le scelte in materia di nomine nelle società.
Le competenze implicano sempre una combinazione di conoscenza ed azione. Lo studio e l’esperienza pratica ne rappresentano le fondamenta permettendo al professionista di creare un circolo virtuoso nel quale si intersecano la conoscenza (sapere) e la competenza (saper fare). Occorre, quindi, che il PD valuti i curriculum, i requisiti e le esperienze delle persone interessate alle candidature e promuova le candidature più adeguate. Inoltre, si fa presente che il consiglio di amministrazione di una società non è una scuola o una palestra dove le persone designate acquisiscono conoscenze e competenze che all’atto della nomina non possiedono.
L’appartenenza politica è il requisito di cui nel documento non si parla in quanto essendo delle nomine effettuate dai gruppi consiliari del PD è scontato che vengano scelte persone che si riconoscono nel partito o nel centro sinistra. Questo requisito non deve essere in nessun caso preminente rispetto alle competenze.
Inoltre, l’appartenenza politica non significa disimpegno rispetto alla strategia del PD in materia di servizi pubblici locali. Al contrario le persone designate dovrebbero assumersi l’onere della politica aziendale da perseguire e della trasparenza nei confronti del PD e dei cittadini utenti.
Nell’incontro sono state espresse diverse e particolari eccezioni che non possono in nessun caso inficiare la proposta complessiva effettuata che si basa sulla cultura della trasparenza, della valutazione e delle competenze senza la quale si crea un vuoto nell’impegno politico del PD.
Il confronto non si è concluso e proseguirà fino alla condivisione degli obiettivi proposti. Ritengo che ci siano le condizioni per addivenire ad una posizione unitaria.

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domenica 2 maggio 2010

EntiTasparEnti: Valutazione e Competenze

La proposta EntiTrasparEnti ha preso il via. Numerosi sono stati i sottoscrittori del documento e tanti sono i commenti rilasciati.
E’ stato costituito il gruppo in Facebook EntiTasparEnti: Valutazione e Competenze che ha raccolto l’adesione di 671 persone che risiedono in diverse province.
La proposta ha pertanto superato i confini della provincia di Verona ed ha interessato altre province.
Si riportano alcuni commenti interessanti che pongono alla nostra attenzione l’esigenza di introdurre la cultura della trasparenza, della valutazione e delle competenze nelle autonomie locali per le nomine dei consiglieri di amministrazione nelle società partecipate dai comuni, dalle province e dalle regioni.
Ecco alcuni commenti.
“Una nota di Antonino Leone, afferma Marta Ferretti, che bene riassume come sta evolvendo la discussione nel partito su questo tema d'attualità. Ho condiviso con alcuni di voi tempo fa la lettera dell'ottavo circolo e alcuni giorni dopo ho sottoscritto il documento EntiTrasparEnti. Documento che usa alcune frasi forti che probabilmente io non avrei scritto in modo così esplicito.
Se è vero che i problemi della politica italiana e veneta sono "ben altri", di certo i posti nei CdA restano di repubblica in repubblica molto ambiti.
Io ho potuto vedere in quindici anni di lavoro in sanità cosa significa la mediazione politica. Là dove avrebbe dovuto essere a tutela del cittadino ha preso spesso ben altre strade, quando va bene limitandosi a decidere i primariati. Di seguito a quali ospedali dare preferenza, fino all'ultimo laboratorio diagnostico. Quando non si parla direttamente di tangenti fin sull'ultima vite impiantata.
E' per questo che ho sottoscritto il documento di getto, senza sapere bene (ad essere sincera) né i CdA coinvolti in questi giorni, né i criteri di scelta dei candidati. Se è necessario ripensare i metodi della politica, questo, tra gli altri, mi sembra un passaggio obbligato. E che nessuno si senta offeso, perché non è di singole persone che stiamo parlando”.
Luigi di Milano. “Ritengo che il codice di comportamento relativo alle nomine possa essere un buon inizio. I massimi organi dirigenti del Partito Democratico dovrebbero farne una direttiva vincolante per tutte le strutture del partito”.
Nadia di Cosenza. “Sottoscrivo volentieri perché vorrei che questa prassi fosse adottata su tutto il territorio nazionale”.
Diego di Verona. “Ritengo essenziale per la qualità della pubblica amministrazione e per dare servizi adeguati ai cittadini che la competenza ed il merito siano i criteri per la selezione degli amministratori”.
Luciana da Verona. “Stavo proprio cercando il "luogo" dove poter chiedere di dare trasparenza alle nomine e soprattutto di capire in base a quali criteri di merito le persone saranno poi incaricate. Trovo grandiosa l'iniziativa e mi auguro di cuore che ciò possa dar vita finalmente al quel processo, da mesi richiesto, di rinnovamento e trasparenza: una testa, un incarico!”
Agostino di Venezia. “Ottima iniziativa. Sulla stessa linea il sentimento di molti componenti il Circolo Vivian Partigiano di Venezia proprio in occasione delle vicende della nuova Giunta Orsoni. Grazie”
Rosaria di Brescia. Sono bresciana, ma di confine:son membro del direttivo del comune in cui risiedo, ma faccio parte anche dei circoli del Garda, in quanto insegno a Desenzano. Noto che il Veneto si muove. Pienamente concorde, con Antonino Leone, sul cambiamento nel PD e sui modi”.
Maurizio di Verona. “Condivido le vostre proposte, soprattutto perché è giunto il momento della massima trasparenza e della fine dei vicendevoli scambi di favori. Meritocrazia e onestà, queste rappresentano, secondo il mio modesto parere, i valori di base per una buona partenza. Grazie e un saluto a tutti Voi”.
Vi sono anche commenti di incoraggiamento e di sostegno all’iniziativa (avanti tutta, ottimo, concordo perfettamente, concordo pienamente, bravi, cambiamento del PD per cambiare il nostro paese, completamente d’accordo, concordo perfettamente, sono d’accordo al 100%, negli incarichi non si può prescindere dalle competenze e dalle conoscenze, d’accordissimo del programma auguri). Vi sono richieste di poter utilizzare il documento in altre province, cosa possibile ed auspicabile.
“Condivido le vostre proposte, afferma Donatella Andreani, soprattutto perché è giunto il momento della massima trasparenza e della fine dei vicendevoli scambi di favori. Meritocrazia e onestà, queste rappresentano, secondo il mio modesto parere, i valori di base per una buona partenza. Grazie e un saluto a tutti Voi”.
Occorre distinguere la politica ed il management perché i due ambiti sono diversi e molto spesso vengono confusi e l’area di management è occupata da politici non eletti e da vassalli e non da persone scelte per la qualità delle competenze che possiedono.
Per arginare tale fenomeno occorre che i partiti, per primo il PD, pratichino la trasparenza affinché le scelte effettuate dai politici nel bene e nel male vengano conosciute dagli elettori. Solo cosi si può arginare il fenomeno dei favori, delle clientele e degli accordi politici sommersi tra i partiti e tra le componenti di un partito.
A chi si chiede cosa sia la competenza rispondo che essa implica sempre una combinazione di conoscenza ed azione. Lo studio e l’esperienza pratica ne rappresentano le fondamenta permettendo al professionista di creare un circolo virtuoso nel quale le esperienze acquisite diventano conoscenza del “saper fare”.

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