giovedì 6 maggio 2010

Silvano del Lungo risponde su valutazione e competenze

L’Italia vive un momento difficile: il debito pubblico nel 2009 si è attestato al 115,80% del Pil, il Pil ha registrato nel 2009 una contrazione del 5,3% , per il 2010 si prevede una crescita limitata dello 0,9% e la spesa pubblica continua ad aumentare per i costi fissi da sostenere anziché per i servizi erogati ai cittadini.
Tra le spese si annoverano i servizi pubblici locali, i quali presentano risultati di gestione, tariffe e compensi agli amministratori diversificati nelle diverse aree territoriali ed all’interno delle medesime aree del paese. All’interno di questa problematica si pone la capacità degli amministratori di governare i servizi pubblici locali con economicità di gestione ed efficacia. Tale questione mette in evidenza i criteri di nomina dei membri dei consigli di amministrazione nelle società partecipate o controllate dagli enti locali.
Non esiste ad oggi una legge che disciplini tali nomine e non tutti gli enti locali si sono dotati di un regolamento che preveda delle regole per il conferimento degli incarichi basate su criteri di trasparenza, competenza e probità.
Per saperne di più e prendere coscienza dei problemi posti ho intervistato Silvano del Lungo, pioniere della consulenza di direzione in Italia e presidente della società di consulenza di direzione Studio Staff di Roma.

Nella società del terzo millennio sempre più competitiva, la quale viene definita società della conoscenza, che rilevanza ha la competenza e come può essere definita?
Competenza è in italiano un sostantivo che ha il medesimo significato di “competere”, cioè quello di dirigersi insieme verso una meta. Con una differenza che qui a competere non sono né sportivi nell’agone, né imprenditori sul mercato. Qui a competere sono le diverse abilità della persona che con-corrono, appunto, a dar corpo, tutte insieme, ad una professionalità, vale a dire: si combinano tra loro per dar luogo alla competenza o a più competenze tipiche della professione che si intende praticare.

Le abilità proprie di ciascuna competenza sono dunque molteplici. Quali sono tali abilità e in che cosa si distinguono le competenze dalle altre abilità?
Le conoscenze sono un tipo di abilità che sempre si accompagnano ad ogni competenza e che insieme sono in qualche misura comprese entro la competenza, ma allo stesso tempo se ne distinguono per il tempo in cui si formano nella persona (anteriore a quello della competenza) e per il modo diverso secondo cui si formano (l’istruzione e non l’esperienza) e in cui si esprimono (il sapere e non il saper fare). Le conoscenze sono, dunque, quelle abilità che concernono sia il sapere comune (leggere, scrivere, far di conto, parlare ecc) sia specialistico ( filosofia, letteratura, conoscenza di lingue, fisica, fisiologia, patologia , biologia, economia,astronomia e via dicendo). Più in breve: “i saperi”, vale a dire possedere concettualmente nella propria mente l’insieme di conoscenze e di relazioni tra conoscenze che fanno parte di una o più discipline simili a quelle su esemplificate.
Quale è dunque la differenza tra saperi (o conoscenze) e competenze? E’ la stessa differenza che c’è tra “sapere” e “saper fare” Nel primo caso – quello del sapere- esso coincide col possesso teorico della materia, mnemonico, critico, e via enumerando facoltà della nostra mente. Il saper fare è invece la capacità di trasformare il sapere, i saperi che si possiedono in azioni per raggiungere un risultato.
Così ad esempio un ingegnere può conoscere la meccanica, può saper risolvere un problema tecnico, ma può fallire come capo progetto, perché non sa gestire gli uomini o non sa affrontare l’incertezza o concepire e gestire un’organizzazione appropriata alla realizzazione del progetto.
Tra conoscenze/saperi da una parte e competenze dall’altra, c’è distinzione, ma non c’è contrapposizione. Non esiste competenza che per essere esercitata non esiga l’incorporazione in se stessa del corrispondente suo sapere. Quel sapere è il presupposto della operatività della competenza. Non è vero il viceversa. Il sapere, senza una competenza che lo incorpori non è in sé sufficiente a operare in una organizzazione.

Quali possono essere i requisiti richiesti ai candidati per proporre la loro candidatura in un consiglio di amministrazione di una società di gestione dei servizi pubblici locali?
Sono appunto le competenze. Ogni competenza incorpora saperi e conoscenze diversi, ma è qualcosa di più. E’ la capacità di far interagire tra loro saperi, conoscenze, sensibilità e competenze diverse. Ecco alcune aree di competenze
1. Problem solving. Si tratta di competenze connesse alla soluzione di problemi, sia in chiave di analisi, sia di soluzioni. Sia a breve termine, sia a lungo termine, sia in prospettiva strategica. Questa competenza incorpora sempre uno o più saperi, per esempio, economia, amministrazione, organizzazione, ecc.
2. Realizzazione. Si tratta di competenze connesse alle modalità di realizzazione del lavoro, quali la capacità di canalizzare le energie verso un risultato e la capacità di decidere, assumendosi le responsabilità del proprio ruolo.
A seconda del tipo di realizzazione la competenza realizzativa incorporerà saperi tecnici, giuridici o economici, o amministrativi o organizzativi e via dicendo.
3. Realizzazione attraverso gli altri. In questa area è necessaria oltre che la competenza realizzativa anche la capacità di lavorare in modo integrato con gli altri, sia quella di occuparsi della crescita dei collaboratori, attivandosi per divenire un punto di riferimento per la loro crescita.
4. Area relazionale. Include le modalità di relazionarsi con gli altri, lo stile di partecipazione e di influenza sulle situazioni, la leadership
5. Gestione della incertezza. Si tratta delle competenze che consentono di confrontarsi con i cambiamenti e con le trasformazioni del mondo del lavoro.

Condivide le scelte effettuate dalla Commissione per la Valutazione, la Trasparenza e l’Integrità delle Amministrazioni Pubbliche con la delibera n. 4 del 2010 che disciplina i requisiti per la nomina dei componenti degli Organismi indipendenti di valutazione? Può rappresentare un primo passo per estendere la cultura della valutazione e delle competenze agli enti territoriali?
E’ una domanda per me problematica e complessa. Condivido, ovviamente, gli intenti e le finalità della delibera. Non ne condivido il metodo normativo, burocratico e di governo a cascata dal centro e dall’alto verso la periferia. Un metodo che tende a definire tutto nei dettagli e a prevedere per ognuno di questi l’accettabilità libera, condizionata o l’esclusione. E’ un metodo che mentre predica il bene presuppone il male. Inevitabilmente susciterà nei contesti in cui dovrà essere applicato il malefico giuoco per rispettarlo e aggirarlo insieme. Non si riuscirà mai a suscitare una sana ispirazione né in enti né in persone verso un ideale da perseguire.
Io ritengo che il metodo dovrebbe essere un altro. Costituire piccoli centri di eccellenza dedicati allo sviluppo dei metodi di valutazione, costituti da valutatori di professione, e indipendenti dalle Amministrazioni. A questi centri dovrebbero essere trasmessi obbiettivi e finalità da raggiungere. A loro il compito di elaborare metodi, di tradurli in procedimenti e procedure e di migliorarli nel tempo. Agli enti in cui va introdotta la valutazione il compito di interpellare i centri come consulenti ed accoglierne dopo averli discussi i suggerimenti attraverso un processo di consulenza. In pratica si tratterebbe di costituire un similmercato della consulenza pubblica
A un organo centrale il compito di valutare per eccezione l’operato delle Amministrazioni pubbliche in merito alla valutazione, di premiare e pubblicizzare i casi di eccellenza e viceversa di condannare i casi di evasione o di aggiramento del compito o di adesione formale. Si tratterebbe di far crescere uno stile piuttosto che di applicare procedure troppo dettagliate, difficilmente sanzionabili, facilmente aggirabili e, probabilmente assai costose.

Pur considerando le riserve espresse rispetto al metodo adottato, l’organo centrale di cui parla può essere identificato dalla Commissione per la Valutazione, la Trasparenza e l’Integrità delle Amministrazioni Pubbliche, formata da specialisti di fama internazionale, ed i centri di eccellenza dagli Organismi indipendenti di valutazione (art. 13 e 14 del decreto legislativo n. 150 del 2009)? Questi ultimi organi se costituiti da valutatori competenti ed indipendenti, come lei afferma, potrebbero rappresentare per le PA e per gli enti territoriali l’avvio del cambiamento, considerato che fino a questo momento si è fatto ricorso alla mera lottizzazione del potere e non è stata mai introdotta la cultura della trasparenza e della valutazione?
Penso proprio di sì. L’importante è lasciare alla Commissione compiti di controllo per eccezione o a campione e lasciar piena libertà di azione ai centri di eccellenza per svolgere il compito di raggiungere, col metodo che essi credono, l’obiettivo prefissato di eleggere negli Organismi Indipendenti di Valutazione degli Enti persone competenti.

La competenza dei membri di un consiglio di amministrazione quanto è rilevante per la gestione di una impresa privata o pubblica?
E’ in un caso e nell’altro fondamentale. Consente tra l’altro di delegare ad alcuni membri del Consiglio compiti diretti di Direzione Generale e di Amministrazione e di riservare alla collegialità del Consiglio compiti di indirizzo e di controllo.

Quali sono gli strumenti per misurare e valutare le competenze di una persona da nominare in un consiglio di amministrazione di una società di gestione dei servizi pubblici locali (energia, elettricità, trasporti, igiene ambientale)? La presentazione di un curriculum, di una nota illustrativa del lavoro svolto e degli obiettivi che la società a parere del candidato dovrebbe conseguire ed un colloquio su tali documenti può aiutare la valutazione delle competenze?
Non soltanto può aiutare, ma tutte le operazioni indicate sono necessarie anche se una ad una insufficienti senza la competenza di un valutatore professionale. E’ questa una competenza propria di quei consulenti aziendali che si occupano da una parte di ricerca e selezione dei manager e dall’altra di sistemi di valutazione delle risorse umane. E’ una professione che non si improvvisa, e che si basa su conoscenze di psicologia del lavoro, di organizzazione e della pubblica amministrazione, e inoltre su competenze valutative e che conviene tener fuori della azienda o dell’amministrazione pubblica piuttosto che dentro, al fine di ottenere valutazioni caratterizzate oltre che da competenza anche da indipendenza di giudizio.

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