martedì 31 maggio 2011

Gli elettori premiano il cambiamento



Al secondo turno nelle città capoluogo vince il centrosinistra 9 a 3 Novara, Milano, Grosseto, Cagliari, Trieste, Pordenone, Rimini, Napoli, Crotone contro Varese, Cosenza, Rovigo. Le province che vanno al centrosinistra sono 4: Pavia, Mantova, Trieste, Macerata. Tra  i comuni  ad Arcore si è vinto con il 58,4%     Passiamo da 20 a 22 città capoluogo strappando alla destra oltre a Milano anche Trieste, Novara, Cagliari. Si vince anche a Fermo,Olbia, Villacidro. Le Province restano 7 a 4 a favore del centrosinistra. Il centrosinistra conquista Macerata e Pavia. Insomma, su 5.700.000 abitanti circa, prima noi ne amministravamo 3,5 milioni e loro 2,2. Oggi il centrosinistra passa a poco più di 5 milioni e il centrodestra a poco meno di 700 mila abitanti.

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domenica 29 maggio 2011

Giorgio Di Filippo interviene su “Parentopoli Verona”

Mi permetto di portare alla vostra conoscenza alcune riflessioni che ho comunicato al nostro consigliere regionale Franco Bonfante in riferimento alla tematica riguardante la parentopoli di Verona.
Un saluto a tutti.
Leggendo il tuo scritto ho pensato: così fan tutti..... (è la frase di molti che leggendo la tua denuncia potrebbero fare) Ma non è così. Io porto in dote la vita di chi mia preceduto. Mio padre ha servito l'Arma dei Carabinieri: anch'io lo sono diventato (per un anno... ma Carabinieri lo si è sempre...). Sono andato prima a Torino (erano gli anni in cui stava finendo il terrorismo 81/82).. in caserma facevo anche la guardia alla scuola Allievi Carabinieri Cernaia nel periodo in cui vi erano detenuti alcuni brigatisti delle BR. Ho avuto la fortuna di conoscere il Generale Dalla Chiesa che comandando la Legione era anche responsabile della scuola. Poi sono entrato nel reparto speciale Pluto della Nato ed ho vissuto in prima persona il periodo del rapimento del genrale Dozier: era il reparto che si dedicava alla sicurezza della base Nato di Longare a Vicenza e si avevano continui allarmi per possibili attentati.... si facevano continue perlustrazioni di notte perchè si ricevevano telefonate in cui indicavano che il rapito era stato ammazzato e il corpo gettato vicino alla base... Ho perso alcuni colleghi che dopo Torino erano andati a Milano e dopo un conflitto a fuoco hanno visto i loro sogni cancellati per i cosiddetti errori di gioventù di altri. Nei vari luoghi dove ho prestato servizio ho conosciuto tanti colleghi che avevano lavorato insieme a mio padre. Prima di lasciare sia Torino e poi prima del congedo Vicenza sono andato a chiedere ai superiori (che conoscevano mio padre) il perchè non ero mai stato chiamato a svolgere lavori in ufficio (insomma nel gergo della naia gli imboscati) e tutte e due le volte la risposta che non mi aspettavo .."guarda che due giorni prima che tu arrivassi è venuto tuo padre a parlare ed è stato lui a chiederci di non avere nessun favoritismo verso di te!.
Certamente per entrare nell'Arma la vita di 30anni di mio padre a servizio della Benemerita è stata una grande "raccomandazione" ( alla selezione di Padova .... il Maresciallo "ma tu sei Di Filippo per caso figlio.... e come mai tuo padre non ti ha accompagnato o non ci ha telefonato prima?" li ho solo pensato per un attimo: incominciamo bene....). Istituzione che mi ha dato la possibilità di vivere un anno fondamentale per la mia crescita personale: è stato un periodo di grande insegnamento civico. Poi ho iniziato la vita nella società civile e posso dire e testimoniare che non è vero che così fani tutti. Ci sono tante persone , e sono la maggioranza, che nella quotidianità testimoniano come la dignità della libertà sia anche quella di non avere nessun santo in paradiso. Persone che vivono con discrezione, quasi in silenzio, ma sono le persone che insegnano. Se anche tu riesci a essere fuori dal coro, a testimoniare che è falso il pensare che così fan tutti, certamente è il frutto di quello che hai respirato nella tua famiglia, che è il respiro giornaliero di tante altre persone. Non è giusto far finta di niente per il quieto vivere, lasciare passare il pensiero che quella della raccomandazione sia una prassi normale. Nei miei 32 anni di lavoro ho conosciuto responsabili, dirigenti, politici, (anche dove lavoro adesso) che pur avendo la possibilità di entrare nella stanza dei bottoni, hanno sempre operato con la consapevolezza che un posto di comando sia principalmente mettere a disposizione della collettività il proprio sapere e soprattutto il proprio essere e il proprio fare. Non solo il dire. Non parlavano solo di giustizia: operavano e facevano atti di giustizia. Queste riflessioni nascono come grazie per il tuo impegno, che è esteso anche a chi ti sta accompagnando Fasoli, D'Arienzo, Puppato etc., perchè non siete soli, ci sono intere persone, famiglie, che vivono in silenzio la semplicità e la normalità della correttezza civica e nonaccettano che passi anche su questi temi il tentativo del sonnifero culturale che ci sta accompagnando in questi anni.
Un grazie, perchè forse la vera raccomandazione è quella di operare nella normalità semplicemente.
Giorgio Di Filippo.

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venerdì 27 maggio 2011

Giovani e donne nel rapporto Istat

Editoriale di Irene Tinagli pubblicato sulla Stampa il 24 maggio 2011
“Tutti a casa”. Un tempo era un grido di protesta rivolto ai politici, oggi sembra piuttosto una realtà di rassegnazione per milioni di Italiani. Tra i molti dati e analisi presenti nell’ultimo rapporto dell’Istat colpisce in modo particolare la persistenza in Italia di un bacino di inattività altissimo, soprattutto tra i giovani e le donne. Non persone disoccupate in cerca di lavoro, semplicemente ferme. Secondo i calcoli dell’Istat sono circa 3 milioni. Una cifra enorme. E la cosa più preoccupante è che per ben due milioni di queste persone il motivo di questa inattività è la convinzione che, tanto, sia inutile anche cercare lavoro. L’Istat li definisce gli inattivi scoraggiati. La loro percentuale sulla forza lavoro in Italia è più che doppia rispetto alla media degli altri Paesi europei, e sei volte superiore a quella della Francia.
Siamo così di fronte ad una sorta di paradosso. Da un lato un tasso di disoccupazione ufficiale che è migliore di quello di molti altri Paesi europei (8,4% contro una media europea del 9,6%), dall’altro però un tasso di inattività che non ha eguali, arrivato al 37,8% contro una media europea del 29%. Da un lato un’economia mondiale che ricomincia a girare, con una crescita media del Pil globale che nel 2010 è stata del +5%, dall’altro una totale sfiducia degli Italiani nella capacità dell’Italia di agganciare questa ripresa e, soprattutto, di tradurla in nuova occupazione e crescita diffusa.
Come mai? Qualcuno potrà pensare che gli italiani sono male informati, o incapaci di vedere quando le cose vanno bene perché di natura scettica, oppure semplicemente che sono pigri. Ma non è così. Gli italiani, come tutti gli altri, sanno leggere certi segnali e adeguare le proprie scelte di conseguenza. I segnali che influenzano i comportamenti dei cittadini in questi casi sono essenzialmente due: quelli provenienti dal mercato del lavoro più vicino a loro e quelli provenienti dalla politica. I primi hanno mostrato chiaramente un peggioramento non tanto e non solo della quantità del lavoro (nel biennio 2009-2010 si sono persi mezzo milione di posti), ma anche e soprattutto la sua qualità. I secondi hanno visto una politica economica, sociale e fiscale che in questi anni ha fatto pochissimo non solo per stimolare la creazione di nuovi posti di lavoro, ma anche per rendere il lavoro e la sua ricerca una scelta conveniente. Come ci insegnano i premi Nobel Pissarides e Mortensen (anche se non è necessario un premio Nobel per capirlo) cercare lavoro ha dei costi, fisici e psicologici. E’ normale che una persona deciderà di sostenere questi costi e questa fatica se pensa che ne valga la pena. Se invece i segnali indicano che questa convenienza è scarsa, smettere di cercare può diventare, per alcune persone, una scelta plausibile.
Anche se il dato sulla disoccupazione totale in Italia non è peggiorato, altri indicatori non sono altrettanto incoraggianti. Nel 2010, come ci dice il rapporto Istat, il calo più grosso dei posti di lavoro si è avuto tra le occupazioni cosiddette «standard», ovvero a tempo pieno e indeterminato. Quasi trecentomila posti di lavoro «buono» andati in fumo. Circa due terzi di questi posti riguardavano giovani. Al contrario, l’occupazione che si è creata nel 2010 è per lo più part-time, con contratti a tempo determinato e in fasce occupazionali scarsamente qualificate, soprattutto per le donne. Perché dunque dovrebbe stupire se così tante persone, e, guardacaso, soprattutto i giovani e le donne decidono di stare a casa e smettere di cercare? Giovani e donne sono proprio le fasce di lavoratori che in Italia hanno i lavori «peggiori», con i salari più bassi e con nessuna assistenza in termini di servizi di supporto o ammortizzatori sociali che rendano la ricerca del lavoro più semplice, meno onerosa e più conveniente. Per non parlare del fisco. Oggi centinaia di migliaia di persone sono costrette ad aprire partite Iva per lavorare con enti e aziende che non sono più disponibili ad assumerli come dipendenti, sopportando oneri e tassazioni che, persino nei cosiddetti «regimi agevolati», hanno ormai livelli molto elevati. Anche lavorare costa. E nessuna politica degli ultimi anni ha contribuito a renderlo più conveniente. Le uniche attività che fiscalmente sono state rese più convenienti sono l’acquisto e la locazione di immobili, con l’abolizione dell’Ici e l’introduzione dell’aliquota fissa al 20% per i redditi da affitti. Misure di per sé non sbagliate, ma che in mancanza di una riforma della fiscalità sul lavoro, e in un Paese in cui il la propensione al possesso di case è tra le più alte del mondo, creano non poche distorsioni nell’allocazione delle risorse e negli incentivi a lavorare. E quindi, al grido d’allarme dell’Istat che denuncia come milioni di italiani non cerchino più lavoro, molti potrebbero rispondere: e perché dovremmo? Rassegnati sì, fessi no. La vera sfida del nostro Paese oggi è quindi duplice: far recuperare dinamismo al mercato del lavoro in modo da generare più opportunità e iniettare un po’ di fiducia, ma anche rendere il lavoro una scelta più conveniente e stimolante per milioni di persone che sono stanche di girare a vuoto.

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Rapporto Banche e Politica

Articolo di Federico Testa* pubblicato su Il Sole 24 Ore il 26 maggio 2011
È ghiotta l'occasione lanciata da Guido Rossi di dibattere su un tema che è riferibile alle relazioni fra poteri economici (incardinati nel sistema bancario e finanziario) e politica. Si può solo condividere la denuncia dei rischi connessi alla progressiva perdita di intensità di democrazia nelle società occidentali, che coincide con l'aumento del tasso di concentrazione della ricchezza e la perdita di peso della classe media. Curiosamente il modello di democrazia inglese basato sull'elitarismo finanziario ha prevalso negli Usa e sembra occupare quasi tutto il sistema dell'Occidente.
Se vuoi fare carriera non serve più il cursus honorum della politica: meglio entrare nel sistema finanziario. Meno latino e più inglese. Ciò significa anche il trionfo dell'oligopolio criptocollusivo delle istituzioni finanziarie mondiali, con i noti meccanismi di porte girevoli fra regolatori e regolati o peggio istituzioni legislative.
Vorrei concentrarmi sul nostro Paese: insisterei sulla capacità del sistema bancario di influenzare le decisioni del livello legislativo. La presenza di un articolato sistema di fondazioni bancarie rende poi peculiare il tutto. Tralascio la questione del perché sia stato "virtuoso" rispetto ad altri. Anche in Italia non sono mancati interventi di emergenza da parte dei soci, e se si guarda alla dinamica di mercato e ai moltiplicatori anche il sistema delle banche popolari quotate non ne esce bene. Ma non si può dire che esso abbia dettato l'agenda della politica: la Robin Hood tax è stata introdotta quando i conti economici stavano per collassare (e dopo si sono resi necessari interventi di emergenza), ancora oggi curiosamente le azioni della Banca d'Italia sono di proprietà (forzata) degli istituti che vedono così assorbita una quota di capitale, con un qualche svantaggio competitivo rispetto ai concorrenti.
La stagione di accertamenti e sistematici "patteggiamenti" con l'Amministrazione finanziaria sembrano confermare tutto fuorché una capacità di influenza. Forte è l'interventismo del potere politico sul sistema bancario e finanziario: questo aspetto connota in una prospettiva critica la situazione italiana. Le operazioni di sistema sfociate nella nascita di fondi di investimento per il social housing e per le imprese non rispondono a un interesse del sistema finanziario ma a una richiesta della politica, e solo il tempo dirà se la costruzione di fondi e l'uso dello strumento delle Sgr è la strada corretta. Indire la prospettiva della nascita di un fondo sovrano italiano, che ancora deve delinearsi nei profili tecnici, dovrà essere valutata anche rispetto alle conseguenze per il sistema bancario, oltre che alla capacità dello strumento di rafforzare la competitività del sistema Paese.
Non diversamente si potrebbe ragionare sulla scalata alle reti private di distribuzione del gas da parte del Fondo F2i. Nato per lo sviluppo delle infrastrutture, finisce per essere longa manus del potere politico per ri-pubblicizzare beni che il privato ha dimostrato di saper gestire meglio. Vi sono aspetti che rappresentano un'invasione di campo da parte del potere politico a danno dei soggetti bancari. Si pensi al condizionamento a creare un national champion nel risparmio gestito. Va ricordata la spinta della politica nel tentativo di influenzare il ricambio o la nomina dei vertici degli istituti bancari e finanziari, per alcuni versi da dare per scontata, ma in alcuni casi così maldestra da comportare conflitti anche laceranti.
Queste ultime considerazioni consentono di toccare il tema del ruolo delle fondazioni di origine bancaria, che nel loro complesso hanno svolto tre funzioni positive: garantito l'indipendenza dal potere politico (di qualsiasi parte) anche in condizioni di pressione forte, consentito la ristrutturazione del sistema bancario nazionale con la nascita di due competitori forti su scala europea e sostenuto gli istituti con aumenti di capitali. Non poco, è chiaro. Anche se non bisogna rinunciare a guardare ai meccanismi che ne migliorino trasparenza, efficienza e indipendenza.
Dunque ben venga l'adozione della "carta delle fondazioni", un codice di autodisciplina che tenga lontani gli appetiti "di parte", che scongiuri rischi di compiacenza nei confronti del "potente di turno" e avvii una riflessione sul costo di funzionamento e su una loro concentrazione alla ricerca di economie di scala. Una valutazione della loro economicità è urgente, anche per giudicare le scelte di gestione dei loro organi, in termini di capacità erogativa e di gestione del patrimonio. La presenza di figure autonome negli organi, anche estranee al sistema di interessi locali e con una formazione internazionale, garantirebbe maggiore autonomia e vera accountability, a miglior servizio degli interessi generali dei territori di riferimento. Infine anche una politica di rotazione dei componenti degli organi consentirebbe un rafforzamento dell'autonomia e della trasparenza.
Va superata la coincidenza dell'attività di controllo con il potere esecutivo. Oggi il problema principale è il ripristino del corretto rapporto tra potere politico ed economico e finanziario, nell'interesse del rafforzamento del Paese.
*Federico Testa è parlamentare del PD, componente della commissione Attività produttive e docente di Economia e gestione dell’impresa all’Università di Verona

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giovedì 26 maggio 2011

Verona: trasparenza e competenze dimenticate

L’art. 18 del D. L. n. 112/2008 prevede l’obbligo, per le società che gestiscono servizi pubblici locali a totale partecipazione pubblica, di adottare criteri e modalità per il reclutamento del personale e per il conferimento degli incarichi, nel rispetto dei principi per il reclutamento del personale nelle amministrazioni pubbliche indicati dall’articolo 35, comma 3, del D. Lgs. 165/2001 (pubblicità, trasparenza, pari opportunità, decentramento, indipendenza delle commissioni giudicatrici).
Sembra che queste regole non siano state rispettate dalle società controllate dal Comune di Verona e che non sia stato ancora approvato il regolamento relativo al processo di reclutamento del personale come prescritto dal D. L. 112/2008 ad eccezione della società Agsm.
Tutto è iniziato da una interrogazione presentata dal Partito Democratico al Presidente della Regione Luca Zaia, primo firmatario Franco Bonfante, vicepresidente del Consiglio regionale Veneto, e sottoscritta da Roberto Fasoli e Laura Puppato, capogruppo del PD in regione.
Nella conferenza stampa di Venezia è stato sottolineato che “nel comune e nella provincia di Verona sembrano essersi verificati numerosi casi annoverabili nella così detta categoria ‘Parentopoli’, in particolare dopo le elezioni comunali del 2007, con assunzioni senza la previa approvazione dei provvedimenti di pubblicità della selezione, trasparenza ed imparzialità nella valutazione”.
Le società partecipate interessate al fenomeno sono: Amia e la società collegata Serit, Amt, Atv e Aeroporto Catullo.
Il procuratore Mario Giulio Schinaia ha aperto un’inchiesta dopo gli interventi dei mass media.
Al di là delle eventuali responsabilità penali per coloro che potrebbero risultare coinvolti in queste assunzioni si ritiene grave il comportamento non trasparente delle società che hanno effettuato le assunzioni denunciate ed inadeguato il processo di reclutamento (pubblicizzazione, richiesta dei requisiti, prove di esami, valutazione del merito, reclutamento) rispetto alle prescrizioni di legge.
Questo sistema grave ed intollerabile denunciato dal PD Veneto è “la conseguenza del tipo di nomine, dichiara Franco Bonfante, che vengono effettuate nei consigli di amministrazione delle società pubbliche che rispondono al requisito dell’appartenenza politica e della fedeltà. I criteri della conoscenza, competenza e probità passano in secondo piano rispetto ad altri criteri che non corrispondono agli interessi dei cittadini”.
I cittadini apprendono di queste nomine a cose fatte senza conoscere le competenze possedute dalle persone nominate per svolgere ruoli di interesse collettivo.
Questa metodologia di gestione del potere del centro destra è pericolosa per i cittadini e per i giovani in quanto viene trasmesso loro un messaggio pericoloso e grave: l’affermazione delle persone passa attraverso la fedeltà, scambi di favore ed appartenenze. Questo messaggio ha effetti devastanti nel paese in quanto allontana sempre di più i cittadini dai partiti, dalle istituzioni e dai processi di cambiamento di cui il paese ha bisogno.
Per rimuovere questo bubbone nelle autonomie locali ed in particolare a Verona occorre che ogni nomina a carica pubblica venga effettuata sulla base della trasparenza, del merito e della probità e preceduta da una pubblica audizione nella quale i candidati sono sottoposti ad un colloquio che permette loro di presentare curriculum, competenze, incompatibilità e conflitti di interesse.
Altri fattori da tenere presente nell’espletamento del mandato sono l’indipendenza e l’interesse delle comunità locali.
A Verona non vi è spazio per candidature indipendenti nei consigli di amministrazione delle società in quanto ogni candidatura deve essere sottoscritta dai consiglieri comunali con l’effetto di individuare le candidature della maggioranza e dell’opposizione e di permettere al Sindaco di effettuare delle scelte di carattere politico, suddividendo le nomine tra i gruppi presenti in Consiglio Comunale.
La trasparenza è diventata un tema centrale che riguarda le organizzazioni, l’economia globale, la vita istituzionale centrale e periferica dello Stato. Essa si impone comunque grazie alle nuove tecnologie dell’informazione e della comunicazione e distrugge la reputazione delle persone coinvolte. Per tale motivo occorre abbandonare la mancanza di trasparenza e le bugie.
La trasparenza è legata alla sincerità e permette di coinvolgere i cittadini nella gestione della cosa pubblica altrimenti rimangono fuori dai processi gestionali.
In un mondo cosi complesso caratterizzato da diversi e nuovi bisogni occorre utilizzare il fattore della competenza per risolvere i problemi delle comunità locali altrimenti la soluzione dei problemi viene  rimandata o affrontata in modo non appropriato disperdendo risorse in un momento in cui le risorse pubbliche sono sempre più scarse.
Il prossimo anno Verona avrà due appuntamenti importanti: il rinnovo del Consiglio Comunale e del Sindaco e le nomine negli enti. Queste ultime potranno essere affrontate in modo serio e responsabile se il regolamento che disciplina le nomine negli Enti verrà riformato introducendo i fattori della trasparenza e delle competenze pur rimanendo ferma la nomina da parte del Sindaco. Occorre, inoltre, riformare il processo di nomina: - Eliminare la sottoscrizione delle presentazioni delle candidature da parte dei consiglieri comunali e rendere possibile la presentazione di candidature indipendenti; introdurre il colloquio pubblico al fine consentire a ciascun candidato di presentare gli elementi essenziali della propria candidatura.

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martedì 24 maggio 2011

Nucleo di valutazione nella Provincia di Verona

Negli enti locali della Provincia di Verona in sede di attuazione del D. Lgs. n. 150/2009 è prevalsa la conferma o costituzione del Nucleo di Valutazione. Infatti, 33 enti locali su un campione di 77 (43% del totale) hanno scelto il Nucleo di Valutazione e solo 26 comuni (34%) hanno optato per l’organismo indipendente di valutazione (OIV) previsto dal D. Lgs. n. 150/1999. I rimanenti comuni non hanno effettuato alcuna scelta.
Per i piccoli comuni la scelta per il Nucleo di Valutazione dipende probabilmente dall’incertezza che ogni cambiamento provoca e dalle ridotte risorse finanziarie degli enti locali. Una migliore programmazione e una fattiva collaborazione tra i comuni avrebbe consentito la costituzione dell’OIV e la realizzazione di un sistema di misurazione e valutazione della performance organizzativa ed individuale in forma associata. Pochi sono gli esempi di collaborazione ed integrazione nella provincia.
Tra i casi eclatanti vi sono la Provincia ed il comune di Verona che hanno optato per il Nucleo di Valutazione.
Il Presidente della Provincia, Giovanni Miozzi, ha scelto l’OIV nel comune di Isola della Scala dove ha ricoperto la carica di Sindaco ed il Nucleo di Valutazione nella Provincia di Verona. Una profonda contraddizione che Miozzi cerca di spiegare senza riuscirci.
Qui il resto del postPer il Nucleo di valutazione nella Provincia sono utilizzate diverse motivazioni (forma collegiale e mista) prese dalle direttive della CiVIT che si rivolgono esclusivamente all’OIV o talmente generiche (salvaguardare il Know how) che possono essere applicate a qualunque tipo di organismo. Infine, Miozzi dichiara che per il Nucleo di valutazione “non è utilizzabile l’aggettivo indipendente” per la presenza tra i suoi membri del Segretario/Direttore Generale. Non si tratta di un problema di semplice denominazione in quanto il Nucleo di valutazione non è indipendente nelle scelte compiute nell’espletamento delle attività assegnate per la presenza del Segretario/Direttore Generale che assume la presidenza dell’Organo e per la diretta dipendenza dal Presidente della Provincia.La CiVIT sancisce l’incompatibilità tra le figure professionali di diretta nomina dell’Amministrazione ed i membri dell’OIV.
L’Amministrazione Provinciale non comprende che il Nucleo di valutazione, pur affidandogli ampie e qualificanti funzioni, non potrà funzionare poiché non è indipendente dall’organo di governo e, quindi, non potrà esprimere una valutazione indipendente. Il Segretario/Direttore Generale è nominato direttamente dall’Amministrazione Provinciale e mantiene la carica fino a quando viene mantenuto il rapporto fiduciario con l’organo di governo e, pertanto, tale figura professionale è incline a sacrificare l’imparzialità e l’indipendenza al fine di conservare la fiducia e di conseguenza l’incarico che gli è stato assegnato.
Diversi sono gli esempi dell’utilizzo di artifici giuridici per affermare che tutto è stato fatto nel migliore dei modi in materia di attuazione del D. Lgs. n. 150/2009 e di contrattazione decentrata. Questa metodologia usata dalla burocrazia per confermare le scelte dell’Amministrazione Provinciale ha causato e continuerà a causare effetti devastanti nella struttura organizzativa e nei rapporti con il personale della Provincia.
L’Amministrazione Provinciale non ha tenuto in considerazione l’art. 7, richiamato dall’art. 16, comma 2 che stabilisce i principi ai quali le autonomie locali devono adeguare il proprio ordinamento, che affida all’OIV la funzione di misurazione e valutazione della performance e la proposta annuale di valutazione dei dirigenti di vertice.
L’autonomia normativa ed organizzativa degli enti locali permette loro di cogliere i contenuti dell’art. 14 per definire struttura, composizione e funzioni dell’Organismo indipendente di valutazione.
Per i motivi esposti è necessario controllare l’attività del Nucleo di valutazione, fare esplodere le contraddizioni che esso presenta e rendere trasparente la sua attività.
Diego Zardini, capo gruppo del PD nella Provincia, ha presentato una interrogazione al Presidente Miozzi per conoscere le modalità regolamentari, organizzative e di funzionamento del Nucleo.
“La letteratura manageriale, dichiara Zardini, non depone a favore del Nucleo di valutazione per diverse motivazioni tra i quali si indicano: - l’autoreferenzialità; - l’ottica prettamente formalistica e amministrativa; la scarsa disponibilità di partecipare alle riunioni e di rapportarsi alle persone ed ai problemi organizzativi in modo autonomo. La Giunta Provinciale nel quadro di attuazione del D. Lgs. n. 150 del 2009 ha confermato il Nucleo di Valutazione senza considerare gli aspetti negativi che hanno caratterizzato la vita di tale organismo nelle PA”.
“La Giunta Provinciale, continua Diego Zardini, non ha proceduto alla costituzione dell’Organo Indipendente di Valutazione, previsto dal D. Lgs n. 150 del 2009, e non ha colto l’opportunità delle attività essenziali assegnate al nuovo organismo per il miglioramento della performance della Provincia.
Nell’interrogazione Diego Zardini chiede al Presidente della Provincia:
- “se non ritenga urgente pubblicare nel sito della Provincia e precisamente nel link “Trasparenza, valutazione e merito” le modalità di funzionamento, le retribuzioni, i membri (tutti) con relativo c. v. e le attività assegnate al Nucleo di Valutazione al fine di applicare la trasparenza, intesa come accessibilità totale, ai sensi dell’art. 11 del D. Lgs. n. 150 del 2009;
- di conoscere il numero delle riunioni del Nucleo di Valutazione effettuate in via telematica distinte per anno nel 2009, 2010 e 2011, le modalità e gli strumenti utilizzati per tale tipo di riunioni;
- di sapere il numero delle riunioni del Nucleo di Valutazione convocate ed effettuate a Verona con la presenza fisica dei membri dell’organismo distinte per anno nel 2009, 2010 e 2011,
- di conoscere le modalità di organizzazione e di funzionamento del Nucleo di Valutazione;
- di sapere la retribuzione dei membri del Nucleo di Valutazione e le modalità retributive stabilite (retribuzione mensile, gettone di presenza alle riunioni o altro)”.
Inoltre, Zardini richiede le delibere che riguardano il funzionamento, l’organizzazione, le attività e le funzioni assegnate e le retribuzioni del Nucleo di Valutazione.
Tale interrogazione è importante per effettuare un confronto tra le dichiarazioni di principio espresse da Miozzi e l’attività concreta svolta dal Nucleo di valutazione che non può essere sostituita dalle responsabilità del Segretario/Direttore Generale esercitate nell’espletamento di tale ruolo.
Si ricorda che il Segretario/Direttore Generale è anche Presidente del Nucleo di valutazione.
In definitiva si desidera conoscere il funzionamento del Nucleo di valutazione in quanto organo collegiale.

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domenica 22 maggio 2011

Per confermare il cambiamento



Torniamo alle urne e mobilitiamoci per il cambiamento" - Videomessaggio di Pier Luigi Bersani.
Dopo la vittoria al primo turno, il segretario del Partito Democratico invita tutti gli elettori del centrosinistra a tornare alle urne e confermare la loro preferenza. "Per non fermare il cambiamento, per dare al Paese amministrazioni competenti e non faziose. Che governino per tutti".

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L’arroganza di Berlusconi

Articolo di Giorgio Vecchiato pubblicato su Famiglia Cristiana 21/05/2011
I giornali avversari avevano fatto un cauto pronostico: vedrete che Berlusconi, dopo il lungo silenzio postelettorale, tornerà a farsi vivo. Forse una conferenza stampa, forse un’intervista in Tv. Una sola, ritenevano; nessuno immaginava che potesse farne cinque in un colpo solo, non perché i giornalisti le avessero implorate ma perché è stato lui a imporle. Un primo pacchetto ai tre Tg di Mediaset, che sono cosa sua sebbene Berlusconi sostenga da sempre di non interessarsi alle sue aziende, almeno in prima persona. Evidentemente ci sono altre persone cui basta ricevere una telefonata, pronte a obbedir tacendo. Poi i due maggiori Tg della Rai, primo e secondo: e qui il discorso, già parecchio delicato, ulteriormente si complica.
Esiste una AgCom che dovrebbe fissare le regole della comunicazione e, in caso di irregolarità, punire gli inadempienti. Già il fatto che il premier irrompa nella campagna per Milano e Napoli usando le reti di sua proprietà dovrebbe far ricordare che c’è un piccolo inciampo, chiamato conflitto di interessi. Ma tutti zitti. E lo stesso, ciò che è peggio, per le reti a canone. Pare che la Commissione debba riunirsi mercoledi prossimo, lasciando che nel frattempo Berlusconi faccia altri monologhi davanti a reverenti cronisti. Nessuno dei quali, superfluo notarlo, si è sognato fin qui di avanzare contestazioni o anche semplici obiezioni.
Ora non è da dubitare che i membri dell’AgCom siano carichi di incombenze private, tanto da dover rinviare una riunione di interesse pubblico. Ma se ritengono di poter attendere mercoledi, tanto vale posporre a giugno o luglio; tanto i buoi sono già scappati.
L’imposizione del primo ministro e l’acquiescenza delle reti pubbliche hanno suscitato violente reazioni, che oggi riempiono i giornali: dall’illegalità al paragone con la Bielorussia. Superfluo citarle per esteso. E’ da chiedersi piuttosto quale effetto avranno queste esternazioni a reti unificate, non tanto per il loro contenuto quanto per la linea padronale che esprimono. Di nuovo o inatteso, Berlusconi non ha detto nulla. Al più si è maggiormente avvicinato a Bossi per la faccenda della Grande Moschea, degli zingari incombenti e della sinistra inaffidabile. Copione conosciuto.
Che ciò serva per i ballottaggi, o dia esito negativo, è tutto da vedere. Sembrava che il premier fosse stato colpito dai commenti dopo il voto, dove si giudicava assai più dannoso che proficuo l’avere impostato un referendum sulla sua persona. Evidentemente non è così. Se prima aveva “mostrato la faccia” in singoli comizi, adesso siamo ad una carica di tipo alluvionale. E condotta non su iniziativa dei singoli Tg ma, ripetiamo, convocando d’autorità le redazioni private e pubbliche.
Qualcuno troverà che si tratta di un giusto contraltare ai Santoro, Floris e sinistra assortita, visti dal premier, ed anche dal suo elettorato, come il fumo negli occhi. Altri baseranno il loro giudizio sull’arroganza del potere, che da noi è raramente premiata ma non demorde. E chissà come saranno accolti i tre ministeri in regalo elettorale, due a Milano, secondo le indiscrezioni, e uno a Napoli.
Comunque, non c’è che da aspettare. Per il momento, senza bisogno di attese, sono state scritte due brutte pagine: una da un primo ministro e proprietario di televisioni che si arroga prerogative inaccessibili agli avversari politici; l’altra da un giornalismo Tv che non tiene dritta la schiena ma si genuflette.

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venerdì 20 maggio 2011

Pietro Ichino a Verona

Per dare valore al lavoro: quale riforma delle relazioni industriali e del mercato è il tema dell'incontro, organizzato dal Partito Democratico di Verona, che si terrà il 13 giugno alle ore 20,30 presso la sala ATER di  Verona, piazza Pozza 1/c.

Apre l'incontro
Vincenzo D'arienzo, segretario provinciale del Partito Democratico di Verona.

Relatore
Pietro Ichino, docente universitario di diritto del lavoro e senatore del PD;

Interverranno:
Arturo Alberti, presidente Apindustria;
Michele Corso, segretario generale CGIL di Verona.

Si ritiene l'incontro interessante per i problemi sociali che il paese vive e per le proposte di cambiamento che il senatore Pietro Ichino proporrà alla nostra attenzione in materia di mercato del lavoro e di relazioni industriali. Ichino illustrerà le sue proposte riguardanti la disoccupazione giovanile ed il  lavoro precario.
Editoriale di Alberto Alesina e Francesco Giavazzi

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Giuseppe Civati a Verona



Intervento di Giuseppe Civati, consigliere regionale Lombardia, alla Festa Democratica dei Circoli Ovest di Verona

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mercoledì 18 maggio 2011

Abbiamo vinto noi, hanno perso loro

Finalmente la speranza e l’impegno del centro sinistra è stato premiato. Il referendum imposto da Berlusconi ha premiato il cambiamento ed ha aperto una grave crisi nel centro destra.
Quale politica è stata premiata dagli elettori?
Secondo il mio punto di vista sono stati premiati i seguenti elementi:
- Le primarie (Milano, Torino e Bologna);
- La continuità nel cambiamento associata ad una politica amministrativa efficace (Torino, Salerno);
- Il desiderio di una alternativa libera e responsabile (Napoli). Le primarie a Napoli sono saltate per incapacità della classe politica napoletana. I cittadini hanno privilegiato Luigi De Magistris, il quale avrà sicuramente la capacità di aggregare il centro sinistra e gli elettori napoletani per vincere al secondo turno;
- La domanda di discontinuità che si è espressa negli enti locali dove il centro sinistra è stato premiato ed è presente al ballottaggio (Trieste, Cagliari).
Il centro sinistra ha vinto le elezioni per i seguenti motivi:
- L’elettorato mobile ha rimosso la fiducia al centro destra ed ha votato i candidati del centro sinistra;
- La domanda di cambiamento degli elettori non è stata intercettata dal blocco del centro destra e si è rivolta ai candidati del centro sinistra.
  Una lezione importante: Il cambiamento espresso in questa tornata elettorale parte dalla periferia e non può essere imposto dal centro ma assecondato. Pertanto, il centro sinistra ed il PD, il quale è il partito più rappresentativo della coalizione, devono creare le condizioni affinché la classe politica periferica sia espressione dei cittadini e non degli apparati di potere.
Un consiglio: non usiamo più i termini del centro destra – destra, sinistra, estrema sinistra, moderato ed altri – in quanto gli elettori guardano alla capacità di rinnovamento ed alla buona amministrazione e non certamente alle definizioni che servono solo a rafforzare il blocco sociale del centro destra senza risolvere i problemi sociali del paese. Pisapia è un democratico convinto che è stato premiato dagli elettori milanesi e non un estremista. E’ stata più estremista la Moratti con le sue furbizie e non certamente il candidato del centro sinistra.
Ricordo che i grandi cambiamenti sono sempre partiti da Milano e si sono estesi all’intero paese. Occorre impegnarsi per conseguire tale obiettivo per il bene del paese, dei giovani, dei precari, dei disoccupati e per le fasce più deboli che soffrono per la mancata attenzione del Governo.
La risposta del centro destra al secondo turno elettorale?
Il Governo ha avuto tanto tempo per risolvere i problemi sociali ed economici del paese e si impegnato solo a difendere Berlusconi dai suoi processi e, pertanto, in 15 giorni non è in grado di reagire positivamente per il bene del paese.
La variabile indipendente è rappresentata dal terzo polo, il quale non è stato premiato dall’elettorato, ma non può dimenticare di lavorare per l’alternativa a Berlusconi e, quindi, deve osare per il bene del paese appoggiando i candidati del centro sinistra. Perdere oggi qualche voto significa guadagnare credibilità e consensi in prospettiva perché ai cittadini interessa costruire un futuro migliore per l’Italia rispetto ai problemi mai affrontati da Berlusconi.
Un grazie a Pierluigi Bersani ed al suo impegno premiato dall’elettorato. E’ stato capace di conseguire questo successo, superando gli egoismi di partito e pensando agli interessi del paese.

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sabato 14 maggio 2011

L'oncologia veronese penalizzata dal piano sanitario

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Il Partito Democratico di Verona ha organizzato una conferenza stampa sul piano triennale socio sanitario regionale alla quale hanno partecipato:
- Franco Bonfante, vicepresidente Consiglio regionale Veneto;
- Vincenzo D'Arienzo, segretario provinciale Pd.
Durante la conferenza stampa Franco Bonfante e Vincenzo D’Arienzo hanno denunziato che la bozza di piano triennale socio sanitario della Regione Veneto penalizza il settore oncologico di Verona. Inoltre, è stato sottolineato che l’oncologia veronese rappresenta un punto di eccellenza in Italia ed in Europa. Tale eccellenza non è riconosciuta da Zaia e Coletto che assegnano altrove il fulcro nella rete oncologica territoriale con funzioni di hab per tutte le attività delle Aziende ULSS ed Ospedaliere del Veneto.

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mercoledì 11 maggio 2011

Controreplica di Diego Zardini a Giovanni Miozzi

Diego Zardini ha controreplicato alla risposta del Presidente della Provincia, Giovanni Miozzi, e dell’assessore Giuliano Zigiotto con la seguente lettera.
Lo scambio epistolare può ritenersi positivo nel caso in cui si trasformi in un confronto ed in un dialogo nelle sedi istituzionali con il contributo di tutti i gruppi consiliari che intendono migliorare la performance della Provincia di Verona, superando posizioni e vincoli ideologici, tramite l’attuazione del D. Lgs. n. 150/2009.
La posizione della Provincia rispetto all’attuazione del D. Lgs. n. 150/2009 può essere esaminata tramite la valutazione degli atti (deliberazioni n. 312 del 30 dicembre 2010 e n. 6 del 31 gennaio 2011) e della risposta dell’organo politico amministrativo all’interrogazione ed alla lettera presentata dal sottoscritto.
Con la delibera n. 312 è stato modificato il regolamento provinciale sull’ordinamento degli uffici e dei servizi in assenza di una delibera del Consiglio Provinciale, prevista dall’art. 42, comma 2, lettera a) del D. Lgs. n. 267/2000, sui criteri generali di integrazione e modifica dell’Ordinamento Provinciale per adeguarlo ai principi del D. Lgs. n. 150/2009.
Tale delibera non adegua in modo completo il regolamento ai principi richiamati dall’art. 16, comma 2, dall’art. 31, comma 1 e dall’art. 74, comma 2. La Giunta ha proceduto ad una modifica parziale del Regolamento senza coinvolgere il Consiglio Provinciale. Tale posizione, giuridicamente e politicamente errata, è di netta chiusura nei confronti del Consiglio e dei gruppi di opposizione che solo in tale sede possono contribuire con proposte di miglioramento. La scelta della Giunta esprime una propensione al dialogo ed al confronto uguale a zero.
Con la delibera n. 6 sembra che la Giunta abbia conseguito da molto tempo la “one best way” (il modo migliore) per quanto riguarda il controllo-guida ed il ciclo della performance. Questa “certezza” non lascia spazi di confronto e di dialogo con i gruppi consiliari nell’unico interesse di attuare il D. Lgs n. 150/2009 in modo efficiente ed efficace ed adattandolo alle specificità territoriali ed organizzative dell’ente.
Essendo tali delibere parziali, rigide e prive di linee programmatiche si chiede che venga predisposto un documento denominato “Linee guida per l’attuazione del D. Lgs. n. 150/2009 nella Provincia di Verona” al fine di promuovere l’adeguamento ai principi e l’introduzione degli strumenti manageriali previsti dal Decreto attraverso un dialogo costruttivo tra le forze politiche presenti in Consiglio Provinciale. A tale scopo i lavori del consiglio su questo argomento possono essere preparati da una apposita commissione a tempo al fine di predisporre una proposta che realizzi la più ampia convergenza possibile. Le linee guida che si propongono rappresenterebbero i criteri generali che il Consiglio Provinciale non ha mai deliberato e che dovrebbero essere rispettati dalla Giunta in sede di modifica ed integrazione del Regolamento (art. 48, comma 3, del D. Lgs. n. 267/2000).
Si segnala che l’allegato, “Relazione del nucleo di Valutazione del 28 gennaio allegata al verbale n. 1- 2011, alla delibera n. 6 non è visibile in via telematica come la delibera. Si chiede di rendere pubblico tale verbale e di sapere se tale relazione è stata approvata in sede di riunione del Nucleo di Valutazione legittimamente riunito a Verona e con seduta verbalizzata.
Si condividono alcune affermazione del Presidente e dell’Assessore in sede di risposta all’interrogazione e precisamente:
- “Non voglio, comunque, pensare che il sistema sia compiuto, poiché tutti i sistemi organizzativi debbono essere in costante e continuo miglioramento” …… “Farò apportare nel tempo gli eventuali adeguamenti alla normativa interna….”;
- “Sono certo che nei prossimi mesi potremo attivare un fattivo confronto e …… proporrò anche momenti di approfondimento …….. e di dare contributi per migliorare la nostra azione per il perseguimento dell’interesse pubblico”.
Al momento tali dichiarazioni sono poco credibili perché avvengono dopo l’approvazione del Bilancio, del PEG e del PDO e, quindi, senza aver aperto un tavolo di confronto. Vi è un’ultima possibilità per aprire un dialogo costruttivo: predisporre ed approvare il piano triennale della performance cosi come delineato dalla CiVIT. Non dovrebbe essere un problema in quanto tale piano dovrebbe contenere le scelte già effettuate dalla Giunta in sede di approvazione degli strumenti di programmazione. Molte Provincie hanno scelto tale via per attuare la gestione del ciclo della performance e per rendere intellegibili e comprensibili agli stakeholder esterni ed interni i contenuti programmatori della Provincia.
Vi sono enti locali, maggiormente di grandi dimensioni, che hanno attuato sistemi di controllo di gestione in epoca anteriore al D. Lgs. n. 150/2009 e qualche ente pubblico negli anni ’80 aveva iniziato ad applicare la misurazione e la valutazione del lavoro e dei risultati, la predisposizione di piani e l’introduzione del salario accessorio legato ai risultati. Tali esperienze vanno a vantaggio del sistema delle pubbliche amministrazioni e facilitano l’attuazione del D. Lgs. n. 150/2009. Questo non vuol dire che il Decreto sia rivolto esclusivamente alle amministrazioni centrali dello stato perché gli enti locali sono chiamati direttamente ed in modo diverso, considerata la loro autonomia, ad applicare i cambiamenti previsti dal Decreto. Quindi nessuna sotto valutazione al ruolo che gli enti locali dovranno svolgere per innovarsi ed adattarsi alla nuova normativa.
Per quanto riguarda la Provincia di Verona si ritiene che il “sistema guida” introdotto da diverso tempo nella Provincia debba essere rivisitato ed adattato alle nuove disposizioni del D. Lgs. n. 150/2009. L’affermazione che il sistema è conforme al Decreto è semplicistica in quanto ogni strumento organizzativo per mantenere il medesimo posizionamento strategico deve essere migliorato continuamente e nel caso specifico deve essere adattato agli strumenti manageriali previsti dal D. Lgs n. 150 del 2009 e non dalla normativa precedente.
Occorre trasformare il “sistema guida” della Provincia attraverso l’implementazione operativa in un sistema di misurazione e valutazione della performance così come delineato dal Decreto e dalle delibere della CiVIT (n. 89/2010, n. 104/2010 e n. 114/2010).
I premi di incentivazione della produttività possono essere attivati nelle amministrazioni che hanno realizzato la gestione del ciclo della performance ed è vietata la corresponsione del trattamento accessorio collegato alla performance in assenza delle verifiche e attestazioni sui sistemi di misurazione e valutazione adottati ai sensi del presente decreto (art. 18, comma 2). Pertanto, la Provincia di Verona dovrà sottoporre il ciclo di gestione della performance ed il sistema di misurazione e valutazione al parere obbligatorio dell’UPI.
Inoltre, bisogna tenere presente gli elementi del performance management tra i quali si indicano:
- Dati ed informazioni a supporto del potere decisionale (grado di conseguimento degli obiettivi programmati e dei risultati conseguiti) durante l’evoluzione dei processi. Questo permette al management di intervenire durante lo svolgimento dei processi con azioni correttive nel caso in cui si verifichino scostamenti per adeguare l’andamento della produzione dei servizi agli obiettivi strategici;
- Cruscotto aziendale visibile in tempo reale che guidi gli operatori al conseguimento degli obiettivi strategici;
- Canale di comunicazione con gli stakeholder esterni, rendendo visibili le fasi di ciclo della performance, gli obiettivi programmati ed i risultati conseguiti;
- Verifica degli outcome degli obiettivi programmati e la congruenza degli stessi outcome con i bisogni provenienti dall’ambiente esterno.
- La valutazione del valore prodotto dagli interventi effettuati dal punto di vista dei cittadini.
Si ritiene che gli obiettivi strategici della Provincia previsti dagli strumenti di pianificazione vadano stabiliti dopo aver conosciuto i bisogni dei cittadini, i quali rappresentano il primo anello della catena del performance management. A tal fine la Provincia avrebbe dovuto utilizzare le informazioni analitiche e svolgere un’indagine di customer satisfaction affinché gli obiettivi strategici rappresentino i problemi dei cittadini. La sola intuizione non è sufficiente a dare risposte soddisfacenti alle aspettative dei cittadini.
La Provincia di Verona ha scelto di confermare il Nucleo di Valutazione e di non istituire l’Organismo indipendente di valutazione ed il piano della performance, il quale è essenziale per realizzare il ciclo della performance.
Per quanto riguarda la scelta del Nucleo di valutazione si ritiene che le motivazioni addotte non giustificano tale opzione in quanto le stesse, ad eccezione della presenza nell’organismo del Segretario/Direttore Generale, possono essere utilizzate a favore dell’Organismo indipendente di valutazione (OIV). Il patrimonio di conoscenze e di competenze della Provincia non si disperde con la creazione dell’OIV anzi viene incentivato dalla cultura della valutazione indipendente.
Bisogna cogliere l’opportunità del cambiamento promosso dal D. Lgs n. 150/2009 per ripensare la Provincia e trasformarla in una organizzazione piatta (meno livelli gerarchici e burocrazia) e snella (processi veloci) nella quale i lavoratori della conoscenza, presenti in modo ampio nell’ente, possano esprimere tutte le loro capacità nell’interesse dei cittadini e dell’ente. Un ambiente che poggia sui seguenti fattori: processi veloci di qualità, condivisione della conoscenza, trasparenza, valutazione indipendente ed autonomia professionale dei lavoratori nel conseguire gli obiettivi del piano.
Nel disciplinare l’OIV la CiVIT (circolari n. 4/2010 e n. 121/2010) stabilisce, ai sensi dell’art. 14 del D. Lgs. n. 150/2009, che non possono essere nominati componenti dell’OIV i soggetti legati all’organo di indirizzo politico amministrativo, come i segretari comunali e direttori generali. Questo provvedimento è coerente al fattore dell’imparzialità ed indipendenza che caratterizza l’OIV.
Si ritiene che è indispensabile costituire l’OIV per i suoi aspetti positivi tra i quali si indicano: - Indipendenza ed autonomia dall’organo politico amministrativo e, quindi, una valutazione indipendente sulle attività esercitate; - Requisiti di professionalità alti e processo di selezione trasparente; - Competenze attribuite che incidono positivamente sulla performance della Provincia. Tra le competenze assegnate (art. 14 del D. Lgs. 150/2009) si ricordano: funzione di misurazione e valutazione della performance, validazione della relazione sulla performance, proposta di valutazione annuale dei dirigenti di vertice e attribuzione dei premi di risultato, attività di controllo strategico e definizione del sistema di misurazione e valutazione della performance.
La conferma del Nucleo di valutazione è una scelta che ha come orizzonte il passato con tutti i suoi limiti e difetti. Al contrario occorre costruire il futuro degli enti locali attraverso nuove prospettive e tra queste vi è la istituzione dell’OIV.
Si indicano i motivi che inducono gli enti locali a scegliere il Nucleo di valutazione:
- eludere l’applicazione delle delibere della Civit in materia di requisiti e selezione dei membri dell’Oiv (delibera n. 4/2010 e n. 121/2010 della Civit), le quali richiedono alta professionalità e trasparenza nel processo di selezione e nomina;
- costituire un organismo dipendente dall’organo di indirizzo politico amministrativo e, quindi, al servizio di interessi localistici e di parte;
- la discrezionalità degli enti locali nella costituzione dell’OIV;
- la sottovalutazione dell’art. 7 del D. Lgs (richiamato dall’art. 16, comma 2 che stabilisce i principi ai quali le regioni e gli enti locali devono adeguare il proprio ordinamento) che affida agli OIV la funzione di misurazione e valutazione della performance.
Si fa presente che l’OIV può essere costituito in forma collegiale con membri esterni e con una presenza tratta dall’interno della Provincia (diversa dal segretario/direttore generale). Il membro interno assicura una buona conoscenza degli assetti organizzativi, delle risorse e delle competenze dell’ente e gli esterni in possesso di alta professionalità ed esperienza manageriale garantiscono l’innovazione dei processi ed un sistema di misurazione e valutazione imparziale, indipendente ed efficace.
Sembra che la scelta della Giunta sia stata orientata a garantire nell’organismo la presenza del segretario/direttore generale tramite la conferma del Nucleo di valutazione non potendo conseguire lo stesso obiettivo con l’OIV per incompatibilità.
La letteratura manageriale sulle Pubbliche Amministrazioni non pone a favore del Nucleo di valutazione per l’autoreferenzialità espressa e per i risultati insufficienti conseguiti. Si afferma che tali organismi non hanno sviluppato canali di comunicazione con l’esterno, non hanno inciso sullo sviluppo e miglioramento dei servizi e dell’organizzazione del lavoro, non hanno introdotto indicatori di performance nelle Amministrazioni pubbliche al fine di realizzare la verifica dei risultati ed un benchmarking tra le Pubbliche Amministrazioni. Tali organismi operano in un’ottica prettamente amministrativa e formalistica, si limitano a poche riunioni l’anno, per la maggior parte dedicate agli aspetti formali della erogazione dei premi legati al risultato.
Per i motivi indicati si invita la Giunta Provinciale a rivedere la propria posizione ed istituire l’OIV per i benefici che la Provincia può trarre in termini di organizzazione del lavoro e di valutazione indipendente nelle materie di competenza del nuovo organismo.
L’introduzione del piano della performance è una scelta discrezionale da parte degli enti locali che favorisce il rapporto tra gli strumenti di pianificazione e l’introduzione della gestione del ciclo della performance. Si condivide la posizione della CiVIT di seguito riportata:
-Delibera n. 121/2010:  “L’introduzione del ciclo di gestione della performance ha importanti implicazioni per gli enti locali, implicazioni che devono essere pienamente evidenziate anche mediante l’adattamento del PEG a Piano della performance (per approfondimenti, si veda la delibera CiVIT n.112/2010). In particolare, esso dovrà: ………" (per approfondimenti, si veda la delibera CiVIT n. 112/2010).
Il PEG, in quest’ottica, diventa lo strumento che dà avvio al ciclo di gestione della performance.
Il processo di adattamento a Piano della performance dovrà trasformare il PEG in un documento programmatico triennale in cui, in coerenza con le risorse assegnate, vengono esplicitati obiettivi, indicatori e relativi target. Attraverso questo strumento devono essere definiti gli elementi fondamentali su cui si baserà la misurazione, la valutazione e la rendicontazione della performance.
Il PEG, inoltre, deve assicurare la qualità della rappresentazione della performance, dal momento che in esso devono essere esplicitati il processo e le modalità di formulazione degli obiettivi dell’ente, nonché l’articolazione complessiva degli stessi” (circ. n. 121/2010).
L’Anci ribadisce tali concetti ed afferma che il piano della performance è uno degli elementi fondamenti per l’attuazione del ciclo di gestione della performance e lo indica come lo strumento che dà avvio al ciclo di gestione della performance (Linee guida bis dell’ANCI in materia di ciclo della performance).
Pertanto, si invita la Giunta ad introdurre il piano della performance per dare completa attuazione al D. Lgs. n. 150/2009.
La Giunta Provinciale ha preferito la certezza delle scelte effettuate nel passato (PEG non innovativo nel senso indicato prima, assenza di un piano di performance) e non l’impegno a guidare il cambiamento cogliendo le opportunità offerte dal D. Lgs. n. 150/2009.
La posizione di difesa dello status quo con la conseguente scelta di non costruire un futuro ricco di cambiamenti, di impegno e di capacità pone oggi il posizionamento strategico della Provincia di Verona più in basso in quanto le altre Provincie non rimangono ferme ed acquisiscono posizioni più alte rispetto al passato.
La riforma delle PA poggia su alcuni elementi essenziali: la valutazione indipendente, la trasparenza e il benchmarking.
La valutazione indipendente è saltata nel momento in cui la Giunta ha deciso di confermare il Nucleo di Valutazione.
La trasparenza è in crisi per l’esclusione del piano della performance in quanto gli stakeholder non leggeranno circa 1000 pagine (PEG pag. 306 e PDO pag. 682) per capire i programmi della Provincia e, quindi, l’interazione tra l’Amministrazione ed i cittadini e la partecipazione esterna non viene facilitata. L’adozione e la pubblicazione del piano della performance per i requisiti richiesti (art. 10, comma 1) avrebbe elevato il livello della trasparenza. Inoltre, occorre che la Provincia attui l’art. 11, commi 1 e 3, del Decreto, il quale non si può ritenere applicato con la sola pubblicazione del Bilancio, del PEG e del PDO. I dati e le informazioni pubblicate nel sito istituzionale per essere trasparenti devono corrispondere a determinati requisiti: intelligibilità, verificabilità, chiarezza, attendibilità e qualità.
Il benchmarking è uno strumento manageriale molto utile che permette di attuare la strategia replicativa rispetto ai servizi posizionati nelle prime posizioni. Tale strumento può essere più facilmente applicato se la Provincia di Verona decide di istituire il piano della performance e confrontarlo con quello delle altre Provincie che presentano più o meno le medesime caratteristiche (dimensione territoriale, popolazione e altro).
Per continuare il dialogo nell’esclusivo interesse dell’attuazione del D. Lgs n. 150/2009 occorre stabilire: modalità, sedi istituzionali e tempi. Inoltre, si pongono i seguenti presupposti per avviare un confronto costruttivo:
- Approvazione del piano della performance in modo coerente agli strumenti di programmazione già approvati senza sconvolgimenti. Non è difficoltoso preparare il piano poiché le scelte sono state compiute;
- Istituzione dell’Organismo indipendente di valutazione con la conferma dei membri esterni (altre amministrazioni provinciali hanno effettuato tale scelta con un buon esito) al fine di garantire la continuità del lavoro fino a questo momento e promuovere l’innovazione tramite le competenze attribuite al nuovo organismo.
Tali condizioni non sono pesanti e penalizzanti per l’Amministrazione e non sovvertono quanto fatto fino a questo momento dalla Giunta ma consentono di introdurre nella Provincia di Verona istituti fondamentali previsti dal D. Lgs. n. 150/2009 ed adottati da tante provincie.

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lunedì 9 maggio 2011

Sacconi su 1131 interrogazioni risponde solo a 321

Interrogazione al ministro del Lavoro e delle Politiche sociali presentata alla Presidenza del Senato il 5 maggio 2011 dai senatori del Partito Democratico Giorgio Roilo, Benedetto Adragna, Tamara Blazina, Rita Ghedini, Pietro Ichino, Paolo Nerozzi, Achille Passoni, Tiziano Treu.
Al ministro del Lavoro e delle Politiche sociali
Premesso che:
nell’ambito della crisi economica e produttiva che colpisce l’Italia da più di due anni, il “Rapporto Italia 2011” dell’Eurispes ci conferma come “L’Italia sta vivendo, insieme, una grave crisi politica istituzionale, economica e sociale. Tre percorsi di crisi che si intrecciano, si alimentano e si avviluppano l’uno con l’altro fino a formare un tutt’uno solido, resistente, refrattario ad ogni tentativo di districarlo, di venirne a capo”;
lo stesso rapporto conferma che “Dilaga il precariato con i contratti di lavoro a tempo determinato che sono aumentati del 47,3 per cento, le conseguenze della crisi economica” – sottolinea l’Eurispes – “stanno infatti assumendo carattere di ineluttabilità per quanto concerne i lavoratori flessibili, in particolare per i giovani. Il mercato del lavoro ha espulso prioritariamente i lavoratori a termine, portati a ingrossare le fila dei disoccupati. Ancora peggio va l’occupazione femminile ferma al 46,4%.”;
sono stati 176.000 gli occupati in meno nel terzo trimestre del 2010 rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente. In percentuale il calo è dello 0,8%. Il tasso di occupazione tra 15 e 64 anni è pari al 56,7%;
8,7% è il tasso di disoccupazione registrato dall’Istat a ottobre 2010, il più alto da quando, nel gennaio 2004, sono iniziate le serie storiche mensili. Tuttavia nel terzo trimestre del 2010 il dato, dopo sette trimestri di crescita, ha fatto registrare una diminuzione, seppure solamente di un decimale, rispetto al trimestre precedente;
2.167.000 erano i disoccupati in Italia a ottobre 2010, più del doppio rispetto ad aprile 2007. Secondo il Centro studi di Confindustria, il biennio di crisi economica è costato all’Italia 540 mila posti di lavoro e la contrazione proseguirà per tutto il 2011, per invertire la rotta soltanto nel 2012;
oltre 2.000.000 sono i giovani di età compresa tra i 15 e i 29 anni che per l’Istat rientrano nella categoria “Neet” (No education, employment, training). E cioè che non lavorano e non studiano. Un dato confermato dagli esperti dell’Ocse, che vedono l’Italia al terzo posto tra i paesi industrializzati, dopo Messico e Turchia, per numero di giovani “lasciati indietro”;
24,7% è il valore del tasso di disoccupazione per i giovani tra i 15 e i 24 anni, una cifra che sale al 36% per le donne nel Mezzogiorno. L’aumento, dall’inizio della crisi, è di otto punti percentuali. Peggio dell’Italia fa la sola Ungheria, in Europa. Quanto all’occupazione, nel 2009 ha riguardato il 21,7% dei giovani, contro una media tra i paesi dell’Unione europea del 35,8% e tra quelli Ocse del 40,2%.;
1.200.000.000 sono le ore di cassa integrazione chieste dalle imprese italiane secondo l’Inps, l’Istituto nazionale per la previdenza sociale, il 31,7% in più rispetto al 2009, quando erano state 914 milioni; a dicembre 2010 le ore autorizzate sono diminuite del 16,4% rispetto allo stesso mese del 2009;
6.185 sono le aziende che hanno fatto ricorso alla cassa integrazione straordinaria nel 2010 secondo la Cgil. Nel corso dell’anno l’utilizzo della cassa in deroga è aumentato del 250%. I due istituti insieme hanno riguardato 400 mila lavoratori;
1,5% è il tasso d’inflazione medio registrato in Italia, secondo l’Istat, nel 2010. Rispetto al 2009, il dato è quasi raddoppiato (nei dodici mesi precedenti si era attestato allo 0,8%). A dicembre 2010 l’indice dei prezzi ha raggiunto l’1,9%, in crescita dei due decimali rispetto al mese precedente. È il dato più elevato dal dicembre 2008 e tuttavia inferiore alla media dell’Unione europea, attestatasi al 2,2%;
0,2% è il calo della produzione industriale nel quarto trimestre del 2010 secondo l’Istituto di analisi e studi economici (Isae) rispetto al trimestre precedente. Tuttavia, rispetto ai primi dieci mesi del 2009, il dato tendenziale segna un aumento del 5,4%;
1.016 sono gli euro che le famiglie italiane dovranno pagare in più nel corso del 2011 per acquistare gli stessi prodotti e servizi acquistati nel 2010. Secondo Federconsumatori e Adusbef, 267 euro in più dovranno essere spesi per i generi alimentari, 131 per i carburanti, 120 per il trasporto ferroviario. I rincari saranno del 7-8% per il gas, del 4-5% per la luce, del 7% per i rifiuti;
33,3% è la percentuale di famiglie che non sono stati in grado di far fronte a una spesa imprevista di 750 euro nel 2009 secondo i dati comunicati dall’Istat il 29 dicembre 2010. Nel 2008 era il 32%. Il 15,2% delle famiglie, poi, ha presentato tre o più sintomi di disagio economico tra quelli dell’indicatore sintetico previsto dall’Eurostat;
considerato altresì che:
su tali temi ed, in particolare, sulle prospettive di lavoro di migliaia di lavoratori coinvolti nelle crisi industriali che colpiscono tutto il territorio nazionale, sull’utilizzo delle risorse destinate agli ammortizzatori sociali, sull’utilizzo delle risorse destinate all’assistenza dei cittadini in condizione di bisogno materiale e di non autosufficienza, sulle risorse destinate alle misure di conciliazione tra lavoro ed impegni di cura per le donne, sulle misure per sostenere promuovere l’occupazione femminile e quella dei giovani, così come su molti altri temi di competenza sono state rivolte al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, sia in via esclusiva che congiunta verso i Ministri titolari di altri dicasteri, ad oggi, ben 1131 interrogazioni di cui: 335 a risposta orale e 796 a risposta scritta;
di tali interrogazioni, ad oggi, hanno concluso l’iter solo 321, di cui 137 a risposta orale e 184 a risposta scritta;
10 interrogazioni, complessivamente, sono state ritirate;
risultano, pertanto, pendenti complessivamente 810 interrogazioni;
è quindi inevitabile e doveroso chiedere al Ministro del lavoro e delle politiche sociali:
come si giustifichi tale inerzia nei confronti di problematiche così rilevanti e cogenti per il nostro Paese;
quando il Ministro in indirizzo ritenga di dare risposta alle interrogazioni ad oggi ancora inevase.
Tra le interrogazioni inevase vi sono quelle che interessano i pensionati: Conguagli ai pensionati INPS; Pensioni di invalidità civile.

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Pietro Ichino sul progetto flexsecurity

Intervista al senatore Pietro Ichino a cura di Gaia Fiertler in corso di pubblicazione su Il Mondo, maggio 2011
Che previsioni ha fatto di maggiore occupazione stabile (non soggetta al precariato selvaggio) se passasse la sua proposta?
Se si riferisce al d.d.l. n. 1873, cioè alla riforma generale a regime, tutte le nuove assunzioni in posizione di dipendenza, da quel momento in poi, dovrebbero necessariamente avvenire in forma di lavoro dipendente regolare: i requisiti del lavoro dipendente, infatti, sarebbero immediatamente rilevabili dai tabulati dell’Inps e da quelli dell’Erario. Non occorrerebbe, dunque, inviare gli ispettori, oppure aspettare che il lavoratore faccia causa all’azienda, per stanare l’elusione o l’evasione.

Quali sono questi requisiti del lavoro dipendente, secondo la sua riforma?
La definizione che propongo è questa: è lavoratore dipendente chi lavora continuativamente per un’azienda, traendo dal rapporto più di due terzi del proprio reddito di lavoro complessivo, quando la retribuzione non superi l’equivalente di 40.000 euro annui. La stessa definizione è stata adottata nel disegno di legge Nerozzi, che recepisce il progetto Boeri-Garibaldi, e in quello presentato da Benedetto Della Vedova ed Enzo Raisi alla Camera il 7 aprile scorso, che è esplicitamente ispirato al mio.

Quali forme di flessibilità eliminerebbe e quali lascerebbe e a che condizioni?
Resterebbero i contratti a termine e il lavoro temporaneo tramite agenzia, nei casi classici nei quali essi sono da sempre consentiti, il contratto di apprendistato, il part-time, il job sharing, e anche le stesse collaborazioni autonome coordinate e continuative. La novità sarebbe che, se il rapporto di collaborazione ha i requisiti della continuità e della monocommittenza di cui abbiamo parlato prima, si applica in tutti i casi la nuova disciplina della stabilità.

Quale sarebbe questa nuova disciplina? Che cosa resterebbe dell’art. 18?
L’articolo 18 continuerebbe ad applicarsi nei casi in cui il giudice accerta la discriminazione. Si applicherebbe anche nel caso del licenziamento disciplinare, tranne che qui sarebbe data al giudice la facoltà discrezionale di condannare l’impresa al solo risarcimento e non alla reintegrazione. Cambierebbe invece radicalmente la disciplina del licenziamento per motivi economici od organizzativi.

Come renderebbe più sicura la risoluzione del rapporto nei casi economici e organizzativi, senza il rischio di reintegra da parte del giudice?
In questo caso l’impresa è esentata dal controllo giudiziale sul licenziamento, ma è automaticamente tenuta a corrispondere al lavoratore un’indennità di licenziamento pari a un mese per ogni anno di anzianità di servizio, che il lavoratore può parzialmente convertire in preavviso lungo. Il lavoratore che abbia maturato due anni di anzianità ha inoltre diritto a un “contratto di ricollocazione”, che gli dà diritto, a carico dell’impresa, a un trattamento complementare di disoccupazione pari per il primo anno al 90 per cento dell’ultima retribuzione, entro il limite di 36.000 euro annui. Nei due anni successivi l’entità si riduce rispettivamente del 10 e del 20 per cento. Questo trattamento costerà all’azienda pochissimo il primo anno, molto di più nei due successivi. Ma già oggi l’80 per cento dei lavoratori che perdono il posto lo ritrovano entro il primo anno. L’alto costo nel secondo e nel terzo anno serve a incentivare l’impresa ad attivare i migliori servizi di outplacement e di riqualificazione professionale mirata, in modo da ridurre al minimo i casi di non rioccupazione entro il primo anno.

E’ comunque tutto un caso aggiuntivo per l’impresa rispetto alla situazione attuale.
Ma è largamente compensato dalla soppressione del controllo giudiziale sul giustificato motivo oggettivo. L’aggiustamento industriale, che oggi è sempre fortemente ritardato, potrà essere immediato e comporterà costi predeterminabili in un minimo e un massimo.

Un dubbio è che resti ancora molta discrezionalità nei giudici del lavoro che tendono a reintegrare.
Nel 95 per cento dei casi di licenziamento per motivi oggettivi dei quali i giudici del lavoro oggi si occupano, la discriminazione non viene neppure ipotizzata dal lavoratore ricorrente, perché effettivamente non è ragionevolmente prospettabile. In tutti questi casi, il giudice non avrebbe alcuna discrezionalità. D’altra parte, la discriminazione è una cosa molto concreta: non la si può inventare.

Ha calcolato i costi dell’indennizzo di licenziamento e del trattamento complementare di disoccupazione?
Sì. Secondo le simulazioni che abbiamo fatto, con un turnover molto alto, pari al 5 per cento annuo, che sia per metà imputabile a licenziamenti, e con un tempo medio di ricollocazione dei licenziati di 6 mesi, il costo per le aziende sarebbe mediamente pari allo 0,5 per cento del monte salari. Si tratterebbe soltanto di utilizzare una frazione di quello che oggi le aziende spendono per tenere a libro paga i lavoratori che non servono più, destinandola ad accompagnarli in modo civile a una nuova occupazione.

Questo costo aggiuntivo non scoraggerebbe gli imprenditori dall’assumere?
Le ripeto: il maggior costo del licenziamento sarebbe largamente compensato dalla cessazione del regime di sostanziale job property fondato sull’articolo 18.

Viene obiettato che non abbiamo un sistema efficiente di formazione, riqualificazione e sostegno al reddito che accompagni le persone durante la ricerca di un nuovo lavoro. In pratica quel modello di flexicurity che ha funzionato in un paese piccolo e molto diverso dal nostro, come la Danimarca, da noi non funzionerebbe (e tra l’altro con la crisi è saltato anche lì).
In Danimarca non è saltato affatto questo modello: ha solo incontrato recentemente qualche difficoltà, che sta essendo superata. Quanto a noi, la riforma avrebbe l’effetto di stimolare fortemente l’impresa interessata ad attivare i migliori servizi di outplacement e di riqualificazione mirata disponibili nel mercato. E’ vero che costano; ma le Regioni potrebbero – anzi, dovrebbero – intervenire con i contributi del Fondo Sociale Europeo a sollevare le imprese di gran parte se non la totalità del costo di questi servizi. Sarebbe, oltretutto, un buon modo per spendere finalmente questi fondi, che oggi per lo più sperperiamo, o non riusciamo neppure a spendere. E poi, la Danimarca è grande esattamente come il Piemonte; la Svezia esattamente come la Lombardia; e ha esattamente lo stesso reddito pro capite. Perché mai queste Regioni non potrebbero fare quello che si fa normalmente da decenni in quei Paesi?

Non si rischia paradossalmente di precarizzare ancora di più? Perché in fondo le sue assunzioni a tempo indeterminato non sarebbero più tali.
Mi scusi, ma questa è proprio una sciocchezza. Se fosse così, questo significherebbe che, tolta l’Italia, in nessun altro Paese d’Europa oggi ci sarebbero rapporti a tempo indeterminato, perché in nessun altro Paese è applicabile una norma simile all’articolo 18. Questo equivarrebbe a dire che al di fuori dell’articolo 18 non ci sarebbe altro che precarietà e bad jobs. Ovviamente non è così. Il problema è che in Italia siamo ormai assuefatti a confondere la sicurezza del lavoratore con il regime di inamovibilità, di job property. In realtà, la sicurezza che viene offerta al lavoratore da un regime di flexsecurity è molto maggiore e migliore rispetto a quella offerta da un regime di ingessatura del rapporto di lavoro: perché quando viene l’acquazzone anche il gesso si scioglie, e il lavoratore si trova con un pugno di mosche in mano.

Quali altre proposte ci sono reali, alternative alla sua?
Sono quelle che ho menzionato prima: il disegno di legge Nerozzi, ispirato al progetto Boeri-Garibaldi, e quello di Benedetto Della Vedova, ispirato al mio. Al di fuori di questi, a sinistra come a destra, regna la conservazione dell’esistente.

Il primo maggio il segretario cgil Camusso ha detto: «Abbiamo ascoltato il presidente della Repubblica, credo abbia assolutamente ragione: i sindacati divisi sono sindacati più deboli». Giusto? Sbagliato?
In un regime di pluralismo sindacale i dissensi tra le confederazioni maggiori dovrebbero considerarsi fisiologici. Occorrerebbe però una cornice essenziale di regole condivise, che consentisse di evitare che il dissenso produca paralisi, come accade oggi. Occorrerebbe che tutte le confederazioni maggiori fossero almeno accomunate da una cultura di democrazia sindacale: quella per cui in ogni luogo di lavoro la maggioranza rispetta i diritti della minoranza e la minoranza rispetta quelli della maggioranza.

Sempre la Camusso ha definito il precariato «il male insopportabile del nostro secolo». D’accordo?
Sì. Ma la Cgil dovrebbe fare molto di più per superarlo. Cioè indicare il modo in cui si può superare il dualismo del mercato del lavoro. Oggi i casi di false collaborazioni autonome che vengono contestati dagli ispettori o che vengono denunciati dai lavoratori interessati sono solo tre o quattro ogni diecimila. Il mio progetto consente di stanarli tutti immediatamente, sulla base dei soli tabulati dell’Inps o dell’Erario; ma al tempo stesso ridisegna il diritto del lavoro in modo da renderlo davvero applicabile a tutti. Ma per la Cgil ridisegnare il diritto del lavoro è tabù; così ci teniamo anche l’apartheid fra protetti e non protetti.

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mercoledì 4 maggio 2011

Katty Gerardo, il futuro di Castagnaro



Si è tenuto a Castagnaro un incontro organizzato dalla Lista n. 3 Liberi senza Interessi che sostiene la candidatura di Katty Gerardo a Sindaco di Castagnaro.
All'incontro sono intervenuti:
KATTY GERARDO, candidato sindaco della lista civica n. 3 CASTAGNARO-MENA' LIberi senza interessi;
FRANCO BONFANTE, vice presidente del Consiglio Regionale del Veneto;
GUSTAVO FRANCHETTO, consigliere regionale;
ANTONINO LEONE, responsabile PA del Partito Democratico di Verona;
CLARA SCAPIN, consigliere della Provincia di Verona.

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martedì 3 maggio 2011

Stefania Bozzi, perché votare donna

Sabato 30 aprile sono stata alla presentazione della Relazione di Genere del triennio 2007- 2009 da parte di un Ente Locale, il Comune di Verona. Essa è il primo passo di un percorso avviato, su sollecitazione dell'Unione Europea, per avere un quadro sistematico della popolazione veronese rispetto alle condizioni di salute, disagio sociale, caratteristiche economiche e del mercato del lavoro del territorio di riferimento, in una prospettiva di genere. Una documentazione molto ricca e preziosa. La pubblicazione è divisa in tre parti: Domanda di intervento; Risposte del Comune; Presenza femminile nella sfera pubblica.
L'ultimo capitolo della terza parte riguarda la presenza delle donne negli organi elettivi e di governo.
E qui casca l'asino. Se la situazione è negativa nel Comune di Verona, in Provincia è addirittura drammatica.
ATTENZIONE:e' EVIDENTE che non basta essere donne per fare bene in politica amministrativa, come altrettanto NON BASTA ESSERE UOMINI per essere all'altezza della responsabilità politica e amministrativa .
Ma quando la politica locale risponde con pasticci, inciuci, ambiguità, liti interne, fazioni allo scontro, non potrebbe essere che la carta di una donna competente, solida, presentabile, capace - da "ultima spiaggia" si rivelasse invece addirittura una CARTA VINCENTE o almeno una CARTA GIOCABILE?
Questi potrebbero essere gli "assi" per Isola della Scala e Castagnaro.
Chiara Chiappa per ISOLA DELLA SCALA: una alternativa a una situazione di stallo dove il granitico blocco di potere potrebbe almeno cominciare a incrinarsi.
Katty Gerardo per CASTAGNARO: a volte i feudi delle solite famiglie finiscono, rendendo possibile la rinascita di un comune e di una comunità.
Sosteniamo queste scelte coraggiose. La fortuna talvolta benedice gli/le audaci.
Stefania Bozzi
Portavoce Donne Democratiche Verona

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lunedì 2 maggio 2011

Primo Maggio e botteghe aperte

Editoriale di Irene Tinagli pubblicato sulla Stampa, il 27 aprile 2011
La concentrazione di feste come il 25 Aprile e il Primo Maggio ha riaperto le polemiche sollevate dal segretario della Cgil, Susanna Camusso, contro il sindaco di Firenze Matteo Renzi che dava libertà ai negozi di restare aperti. La questione è stata trasformata, come ormai quasi ogni cosa in Italia, in una questione di principio ideologico, in una lotta di classe che vede contrapposti commessi da una parte e bottegai capitalisti e sfruttatori dall’altra.
Giustizia sociale contro consumismo sfrenato. E nonostante gli appelli del sindaco fiorentino, nessuno si è fermato a valutare la questione in una prospettiva più ampia, che vada oltre la questione del Primo Maggio, e a porsi una semplice domanda.
A che servono i negozi, le botteghe, i bar o i ristoranti nei centri delle città? No, non servono solo a far cassa. Per quello basta un centro commerciale, uno dei tanti che punteggiano le uscite autostradali. I negozi cittadini, o meglio «le botteghe», così come i bar, le osterie e i ristoranti sono più di un registratore di cassa, sono parti vitali di un essere vivo e pulsante: la città. Solo chi non ha capito cosa è una città, come e perché è nata e perché sopravvive, può pensare ai negozi come meri luoghi di commercio o avamposti del consumismo moderno. Le botteghe cittadine sono una delle realtà più antiche del nostro Paese, uno dei fenomeni attraverso i quali si è manifestata in maniera più evidente l’imprenditorialità diffusa della nostra gente, e attorno ai quali brulicava la vita di paese e quella socialità che tutto il mondo ci invidiava.
Le città sono equilibri delicati, sono luoghi di economia, ma anche di socialità e cultura, e queste tre anime, economica, culturale e sociale si sostengono reciprocamente. Non si va in un’osteria in centro solo per sfamarsi, ma perché prima si può fare un aperitivo nel corso e dopo una passeggiata in piazza. E raramente si va in centro solo per vedere un monumento o comprare un oggetto, ma perché sappiamo che mentre siamo lì possiamo incontrare persone che conosciamo, fare due chiacchiere, e allora sì, anche comprare il pane, il caffè, o giocare la schedina. E mentre passeggiamo in centro magari vediamo i cartelloni del teatro o del cinema e ci viene pure un’idea per la serata. Questo è il ruolo e l’essenza delle città. Luoghi vivi fatti per vivere. E in quest’ottica ogni piccolo elemento ha una sua funzione che non è meramente economica o sociale, ma un po’ tutto assieme. Nel suo capolavoro The Death and Life of Great American Cities l’urbanista Jane Jacobs fece un’accurata descrizione di come i marciapiedi, per esempio, siano uno strumento fondamentale per la struttura sociale della città, luoghi in cui le persone si fermano a parlare, e in cui i bambini possono giocare. E così come i marciapiedi è importante il ruolo delle finestre, dei portoni, delle vetrine. Perché porte, finestre e vetrine aperte danno aria, vita e luce alla città e sono il miglior antidoto contro l’abbandono, il degrado, la delinquenza. Chi vede la città come un mero agglomerato di funzioni distaccate e distaccabili o addirittura contrapposte – il lavoro da una parte, il consumo dall’altra, la socialità in un’altra ancora – non solo non ha capito cos’è una città, ma la condannerà alla morte certa. Così come è già accaduto a molte città straniere e purtroppo anche da noi. La città ha bisogno di essere viva, libera e spontanea, e per farlo ha bisogno di elementi diversi e complementari: arte, musica e commercio, tradizione e modernità, italiani e stranieri. E la politica dovrebbe aiutarla a trovare soluzioni innovative per far convivere spontaneità ed esigenze di tutti.
Dare la possibilità a un negozio di stare aperto se vuole non è tanto un favore che si fa al negoziante, ma anche un servizio a tutti quei lavoratori che durante la settimana sono chiusi in una fabbrica o un ufficio grigio e quando è festa non vedono l’ora di cambiarsi e andare fuori con i figli, andare al cinema, al parco giochi e anche a fare un po’ di spesa tutti insieme. Tutte cose che potrebbero essere fatte in città, senza essere costretti a rinchiudersi in un centro commerciale periferico. Le città aperte servono molto più a questi lavoratori che ai ricchi, perché questi ultimi possono sempre rifugiarsi in qualche villa al mare o in hotel di lusso a Londra o Parigi per sottrarsi alla noia di una città fantasma, ma i meno fortunati no. Certo, anche chi lavora nei negozi ha diritto al riposo, ci mancherebbe altro, ma viene da chiedersi se non sia possibile trovare delle soluzioni innovative che possano andare incontro alle esigenze di più persone senza imporre ulteriori divieti. La proposta del sindaco di Firenze di accordarsi con gli interinali per tenere aperti i negozi senza costringere commessi e commesse agli straordinari poteva essere una possibilità. Altri accordi potevano essere valutati, come è stato fatto in altre città senza troppi clamori.
Ma nell’Italia ormai barricadera del tutti contro tutti e dello scontro ideologico ad ogni costo, per alcune persone le piazze servono solo per mostrare striscioni o banchetti elettorali quando fa comodo. Per tutto il resto dell’anno possono chiudere e morire.

Le interviste a Sergio Cofferati e a Pietro Ichino pubblicate sul Corriere della Sera del 23 aprile 2011

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Riformare il sistema contro la precarietà

Sostenere una riforma forte del diritto del lavoro, che preveda un contratto unico di lavoro con protezione della stabilità crescente con il crescere dell’anzianità
Articolo di Eleonora Voltolina, pubblicato su Il Fatto Quotidiano il 21 aprile 2011
Ho letto sul Fatto la lettera aperta firmata da Ilaria Lani, Salvo Barrano e Teresa Di Martino, tre dei promotori de «Il nostro tempo è adesso». Essendo anch’io fra i promotori di quell’evento, vorrei sottolineare che fin da subito uno dei problemi più scottanti è stato capire come sarebbe stato gestito il “post 9 aprile”. Nella fase preparatoria avevamo scelto di rimandare questa decisione, puntando ad unificare le forze sotto il cappello di un appello molto ampio, che sottolineasse le enormi difficoltà dei giovani italiani di oggi a trovare buona occupazione, salari dignitosi, ricambio generazionale.
Ora Lani, Barrano e Di Martino indicano una loro strada: sostengono che si debba puntare all’abolizione dei contratti temporanei, e che il dibattito tra flessibilità buona e flessibilità cattiva sia non pertinente. Penso sia importante a questo punto chiarire che tra coloro che hanno promosso la manifestazione, e tra le migliaia di giovani che hanno partecipato, vi è anche chi crede in una linea diversa. Una linea che vuole prendere esempio dall’estero, dove la flessibilità buona è una realtà consolidata, i contratti “a tempo” non si trasformano automaticamente in precarietà e i giovani sono molto più valorizzati che da noi. Partendo dal confronto con gli altri Paesi e dall’analisi della situazione italiana, bisognerebbe puntare a separare il bambino dall’acqua sporca: sì alla flessibilità, che serve alle imprese a competere e quindi a creare non solo utili ma anche posti di lavoro, e però no alla precarietà.
Che vuol dire in pratica? Vuol dire, come giustamente dicono anche Lani Barrano e Di Martino, spingere per introdurre al più presto retribuzioni e contributi più alti per i contratti “a tempo”, e contemporaneamente abbassare i costi per quelli stabili. Ma vuol dire anche chiedere che sia sostenuta l’imprenditoria giovanile, con poderosi sgravi nei primi anni, e pretendere che sia introdotto dai sistemi bancari il credito ai giovani: sia per formarsi senza prosciugare le tasche dei genitori, sia per provare a realizzare un’idea imprenditoriale. Vuol dire lottare per una revisione delle politiche di welfare che introduca sostegni economici per tutti coloro che perdono il lavoro, vincolando questi sostegni a un impegno attivo di ciascuno nella ricerca di una nuova occupazione; e allo stesso tempo vuol dire rivoluzionare i centri per l’impiego, monitorandone l’efficienza e l’efficacia affinché siano competitivi sul mercato domanda-offerta. Vuol dire proporre l’introduzione di un salario minimo, sul modello per esempio dello Smic francese – che è cosa molto diversa dal “reddito di cittadinanza” che metterebbe in ginocchio le casse dello Stato. Del resto anche la Costituzione all’articolo 36 dice che «il lavoratore ha diritto ad una retribuzione proporzionata alla quantità e qualità del suo lavoro e in ogni caso sufficiente ad assicurare a sé e alla famiglia un’esistenza libera e dignitosa».
E però vuol dire anche non avere paura a sostenere una riforma forte del diritto del lavoro, con l’introduzione di un contratto unico che preveda tutele progressive con il passare degli anni, sul modello di quelli elaborati da tanti esperti, da Pietro Ichino a Tito Boeri. Avere il coraggio di sostenere politiche che incentivino il merito, anche se questo significa perdere quei diritti di “inamovibilità” che specialmente nel settore pubblico si sono consolidati negli ultimi 40 anni. Vuol dire premere sull’Inps per risolvere l’enorme problema taciuto delle (inesistenti) pensioni che tra trent’anni (non) percepiranno i precari di oggi. Vuol dire lottare per i diritti ma non per i privilegi, che sono cosa ben diversa e bloccano ogni cambiamento.
A partire dalla protesta de «Il nostro tempo è adesso», la proposta per risolvere i problemi dei giovani italiani può essere declinata anche in un altro modo. Non per forza demonizzando il nuovo assetto del mercato del lavoro, bensì piuttosto cercando di migliorarlo e di impedire che al suo interno vi siano diseguaglianze tanto intollerabili tra chi ha un buon contratto e chi invece, da atipico, si ritrova cornuto e mazziato.
Il dibattito su come affrontare il post 9 aprile è prezioso: dobbiamo sforzarci di farlo guardando avanti anziché indietro, perché solo così potremo ambire a costruire un futuro diverso per i giovani italiani. Un futuro in cui ci possa essere una «flessibilità buona», e non precarietà.
Articolo di Gaia Fiertler su il Mondo di venerdì
Eleonora Voltolina, membro del comitato Il nostro tempo è adesso e fondatrice di Repubblica degli stagisti

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Katty Gerardo, Sindaco di Castagnaro

Domani sera, martedì 3 maggio, alle ore 21,00 presso la sala consiliare di Castagnaro si terrà un incontro organizzato dalla Lista n. 3 Liberi senza Interessi che sostiene la candidatura di Katty Gerardo a Sindaco di Castagnaro.
All’incontro interverranno:
KATTY GERARDO, candidato sindaco della lista civica n. 3 CASTAGNARO-MENA’ PER IL CAMBIAMENTO;
FRANCO BONFANTE, vice presidente del Consiglio Regionale del Veneto;
GUSTAVO FRANCHETTO, capogruppo del l’ Italia dei Valori in Consiglio Regionale;
ANTONINO LEONE, responsabile della pubblica amministrazione del Partito Democratico di Verona.
E’ un’occasione da non perdere per conoscere il programma della Lista N. 3 Liberi senza Interessi ed i candidati della lista stessa che sostengono Katty Gerardo, candidato sindaco di Castagnaro.
I cittadini di Castagnaro hanno l’opportunità di effettuare un grande cambiamento con la candidatura di Katty Gerardo e di realizzare una discontinuità rispetto all’Amministrazione Comunale uscente che non ha saputo costruire una gestione della macchina comunale trasparente e aperta alla partecipazione dei cittadini.
Il Sindaco e la Giunta di Castagnaro hanno avuto la possibilità di innovare la gestione del Comune tramite l’attuazione del D. Lgs n. 150/2009 e l’hanno sciupata irresponsabilmente per mantenere lo status quo.
I fattori fondamentali della riforma non sono stati introdotti nel Comune:
- La valutazione indipendente è saltata nel momento in cui la Giunta di Castagnaro ha deciso di costituire il vecchio Nucleo di Valutazione. La letteratura manageriale sulle PA si è espressa in modo negativo nei confronti del Nucleo di valutazione per l’autoreferenzialità espressa e per i risultati insufficienti conseguiti. Tali organismi non hanno realizzato canali di comunicazione con l’esterno, non sono intervenuti sullo sviluppo e miglioramento dei servizi e non hanno inciso sull’organizzazione del lavoro. La Giunta uscente ha dimostrato una scarsa propensione al dialogo ed al confronto,  deliberando in Giunta in assenza dei criteri generali approvati dal Consiglio Comunale.
La scelte dell’Organismo indipendente di valutazione avrebbe rappresentato un salto di qualità per i seguenti motivi: Indipendenza dall’organo politico amministrativo; Valutazione indipendente sulle attività esercitate; Competenze attribuite che incidono positivamente sulla performance del comune.
La Giunta uscente si è dimostrata refrattaria al cambiamento nella scelta dell'organismo di valutazione.
- La trasparenza, la quale consente ai cittadini di conoscere i fatti amministrativi e di partecipare ed intervenire con proposte e suggerimenti, non è stata realizzata poiché la Giunta non ha introdotto il sistema di misurazione e valutazione della performance, gestione del ciclo della performance, il piano della performance e gli indicatori di efficienza e di efficacia della performance. La mancata adozione di tali strumenti e la loro certificazione non consente di distribuire il salario accessorio ai dipendenti comunali.
Il fattore della trasparenza è fondamentale per abbassare il tasso di corruzione nelle PA e per coinvolgere la comunità locale nella gestione dei servizi.
Il Comune di Castagnaro non dotandosi degli strumenti manageriali previsti dal D. Lgs. n. 150/2009 non è in condizioni di realizzare un processo sistematico di comparazione - benchmarking - con gli altri comuni delle medesime dimensioni che consenta al comune di Castagnaro di importare le migliori performance in materia di servizi.
In breve l’eredità dell’Amministrazione uscente è pesante ed occorre una grande volontà e capacità per invertire la rotta e realizzare un comune dove i cittadini possano ritrovarsi come a casa propria.
“Occorre realizzare, dichiara Katty Gerardo, un modello di comune aperto al contributo dei cittadini ed agli altri comuni per migliorare la performance del comune di Castagnaro tramite la individuazione degli sprechi e delle inefficienze ed intervenire con velocità ed efficacia. “Occorre individuare, conclude Katty Gerardo, i bisogni dei cittadini, stabilire gli obiettivi strategici e scegliere le azioni per perseguirli”.

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