mercoledì 24 agosto 2011

Robin Hood Tax: misura approssimativa e pasticciata

Articolo di Federico Testa e Claudio Di Mario pubblicato su Il Sole 24 Ore il 24 agosto 2011
Il decreto legge 13/08/2011, n.138 prevede alcune novità in merito alla cosiddetta “Robin Hood Tax”
- l’innalzamento dal 6,5% al 10,5% dell’aliquota addizionale IRES per le società operanti nel settore energetico  per i periodi di imposta dal 2011 al 2013.
- l’estensione dell’addizionale IRES ai soggetti che svolgono attività regolate sia nel settore elettrico che in quello del gas (trasmissione/dispacciamento e distribuzione) col divieto di traslazione di tale imposta ai clienti finali.
- l'estensione di predetta addizionale anche ai soggetti che producono elettricità da biomasse e fonte solare-fotovoltaica o eolica, finora esclusi.
- la riduzione della soglia di fatturato che determina l’assoggettamento all’imposta (da 25 a 10 mln di Euro).
La Robin Hood Tax è stata introdotta nel giugno 2008, e la situazione attuale, almeno per quanto riguarda i fondamentali economici, è profondamente diversa.
In più, l'estensione di tale imposta anche ad attività regolate, ne cambia la ratio, considerato che i risultati di tali attività non risentono in alcun modo delle dinamiche speculative dei mercati petroliferi. Infatti, non si colpiscono più i presunti windfall profit degli operatori energetici, ma soggetti operanti in settori regolati le cui entrate non hanno alcun collegamento col prezzo delle materie prime e che anzi vedono i propri introiti fissati da un organismo terzo, l’Autorità per l’Energia Elettrica e il Gas.
Come noto, infatti, le imprese operanti nel settore della distribuzione e del trasporto di gas ed energia elettrica vedono remunerata la propria attività attraverso una tariffa i cui principi sono fissati inderogabilmente dalla L. 481 del 1995 la quale stabilisce tra le altre cose che:
- il criterio tariffario sia trasparente, certo e predeterminato;
- la tariffa remuneri il capitale investito e garantisca altresì una remunerazione efficiente dei costi di gestione, tra i quali ricadono ovviamente anche gli oneri fiscali, coperti attraverso una maggiorazione del tasso di remunerazione del capitale investito – cosiddetto WACC pre-tax – che tiene conto dell'effetto complessivo dell'aliquota fiscale pagata sull'utile ante imposte.
Tutto ciò trova fondamento (oltre che nella ragionevolezza ... dal momento che se si vuol far fare un investimento a qualcuno gli si deve dare la prospettiva di un rendimento) anche nella legislazione comunitaria laddove la direttiva 2009/72 stabilisce che le tariffe di accesso alla rete devono essere cost-reflective (articolo 37.comma 6).
In un simile contesto, dunque, appare evidente che qualsivoglia "erosione" dei margini cosi garantiti dalla tariffa viola, prima ancora che la relativa disposizione legislativa di riferimento, la logica e la finalità della tariffa stessa, determinando una inevitabile contrazione degli investimenti sia in nuova infrastruttura che in ammodernamento e manutenzione di quella esistente.
Risulta quindi chiaro il corto circuito in atto e pertanto appare di difficile sostenibilità, a fronte di eventuali ricorsi da parte degli operatori (anche in sede europea), il divieto di traslazione sui clienti finali, che nelle intenzioni del legislatore precluderebbe all’Autorità di ri-determinare le tariffe in modo tale da riconoscere alle imprese le imposte pagate allo Stato: il rischio reale e' quindi quello di defatiganti contenziosi.
Volgendo infine l'attenzione sui termini economici della misura, ossia sull’impatto della nuova Robin Tax per il bilancio dello Stato, si evidenzia quanto segue:
- gli introiti attesi paiono del tutto sottostimati;
- è assente una valutazione degli effetti sui titoli e sul bilancio statale, essendo alcune delle società coinvolte (Enel, Eni, Snam, Terna) quotate e con partecipazione statale (perdita di capitalizzazione per il Ministero delle Economie e Finanze al primo giorno di riapertura delle borse, come riportato dalla stampa, pari a circa 1,6 mld, superiore al gettito annuo atteso dall’imposta).
- è assente, altresì, una valutazione dell’impatto sulla dividend policy delle società partecipate, che ridurrà notevolmente il vantaggio derivante alle casse pubbliche dal prelievo previsto dal decreto legge.
In conclusione, anche in una situazione drammatica come l’attuale, il fine di recuperare in tempi brevi e certi (dopo aver per anni colpevolmente sottovalutato i rischi della congiuntura) non può giustificare l'adozione di misure approssimative e pasticciate, che prefigurano rilevanti "rotture" di equilibri tra i poteri, pesanti contenziosi con il conseguente carico di incertezze, benefici economici inferiori a quelli che verrebbero apportati da un corretto sviluppo economico-finaziario del settore energia, esponendoci ulteriormente al rischio dell'abbandono del nostro Paese, sempre più inquadrato come affetto da un rapido e crescente rischio normativo-regolatorio. da parte degli investitori nazionali ed internazionali.

Federico Testa è Ordinario di Economia delle Imprese, Università di Verona, e componente Commissione Attività Produttive, Camera dei Deputati
Claudio Di Mario è Ingegnere e Partner Cattaneo Zanetto & Co S.p.A

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