domenica 18 dicembre 2011

Elsa Fornero: Pensioni e Lavoro

Articolo di Enrico Marro pubblicato sul Corriere della Sera il 18 dicembre 2011
Adesso che la riforma delle pensioni è passata alla Camera e nessuno dubita che passerà al Senato, si possono tirare le somme con il ministro del Lavoro, Elsa Fornero, economista, torinese, 63 anni, che mai avrebbe pensato, fino alla chiamata nel governo Monti, di essere protagonista della riforma della previdenza più dura nella storia d'Italia.
Ministro, non ha usato la mano troppo pesante? Non poteva fare una riforma un po' più graduale?
«Noi, col decreto "salva Italia" ci siamo trovati in emergenza. Nei decenni passati erano state fatte riforme tutto sommato buone, ma è come se le avessimo accantonate proprio perché eccessivamente graduali. Questa volta la riforma non poteva che essere forte. La priorità è stata quella di mandare un segnale deciso all'Europa sulla nostra capacità di riequilibrare il sistema secondo equità intergenerazionale».
Lei aveva promesso equità anche sul fronte dei privilegi. Che cosa è riuscita a fare?
«Intanto siamo intervenuti sui regimi speciali (elettrici, telefonici, trasporti, dirigenti d'azienda, ndr), attraverso un contributo di solidarietà. Inoltre, per i lavoratori autonomi, che godevano di pensioni generose in rapporto ai contributi versati, abbiamo previsto un aumento graduale degli stessi fino al 24%. Infine c'è l'inasprimento del contributo di solidarietà sulle pensioni sopra i 200 mila euro, che io avrei voluto più alto del 15%».
E per categorie come i militari e i magistrati?
«Per questi c'è un rinvio, ma solo per approfondire le specificità dei loro ordinamenti. Nessuno si illuda che non interverremo. Stessa cosa per le casse dei professionisti. Lo so che qui dentro c'è buona parte della classe dirigente, ma sicuramente procederemo».
Entro giugno, se non saranno le stesse casse ad autoriformarsi? «Il termine iniziale era il 31 marzo. E francamente ci sembrava più che sufficiente, visto quello che abbiamo fatto in 20 giorni sul sistema che riguarda tutti gli italiani. Alla fine hanno invece ottenuto tre mesi in più. Ma insomma...»
Teme che facciano ostruzionismo? «Lo dice lei. Sappiamo che tutti o quasi questi regimi non sono sostenibili nel lungo periodo. Prima o poi non avranno i soldi per pagare le pensioni. Senza interventi, come immagina che finirà?».
Me lo dica lei. «Come è già successo con l'Inpdai (dirigenti d'azienda, ndr). Che è finita sotto l'ombrello del soccorso pubblico. Vorrei evitare che questa storia si ripetesse».
Alla Camera il governo ha accolto un ordine del giorno che chiede di togliere la penalizzazione (1-2%) per chi ha cominciato a lavorare giovanissimo e va in pensione dopo 42 anni. La correzione finirà nel decreto milleproroghe? «Posso dire che secondo me un briciolo di penalizzazione deve restare, perché è la logica del contributivo. Se vai in pensione prima di 62 anni ci vuole un minimo di disincentivo, perché non dobbiamo venir meno al principio che la pensione si commisura alla speranza di vita».
Ma con questa crisi, anche occupazionale, ha senso tenere le persone al lavoro, in prospettiva, fino a 70 anni? «Siamo tutti concentrati sulla contingenza, ma questa è una riforma strutturale. Per funzionare ha bisogno di un sistema in crescita. Non ci possiamo permettere la stagnazione e tantomeno la recessione. Il punto è: il lavoro è ciò che ti dà la pensione. Un buon lavoro ti dà una buona pensione. Il messaggio è: non vi stiamo tagliando la pensione - al netto del blocco della perequazione dovuto all'impegno al pareggio di bilancio nel 2013 - ma vi stiamo chiedendo di lavorare di più, perché questo vi premia».
Lei crede che le imprese terranno le persone fino a 70 anni?
«Qui tocchiamo una anomalia del nostro sistema. La previdenza è stata troppo spesso un ammortizzatore sociale, per cui tutte le riorganizzazioni d'impresa sfociano in prepensionamenti. Accade perché se guardiamo alla curva delle retribuzioni, lo stipendio sale con l'anzianità mentre in altri Paesi cresce con la produttività e quindi fino all'età della maturità professionale ma poi scende nella fase finale, perché il lavoratore anziano è di regola meno produttivo. Da noi non è così e questo fa sì che le aziende risolvano il problema mandando i dipendenti più anziani e costosi in prepensionamento. Anche i lavoratori hanno la loro convenienza con la pensione anticipata. E lo Stato copre questo patto implicito tra aziende e lavoratori anziani a scapito dei giovani. Se vogliamo fare la riforma del ciclo di vita, è proprio per rompere questo patto: non ce lo possiamo più permettere».
Ma come può il governo intervenire sulla dinamica retributiva, materia della contrattazione? Eppoi, gli stipendi sono già bassi... «La riforma delle pensioni deve accompagnarsi a quella del mercato del lavoro e degli ammortizzatori sociali e, anche se non è di mia competenza, della formazione. Sono tutti aspetti di un disegno di riforma del ciclo di vita. Certo che la contrattazione è materia tra le parti. Ma noi vogliamo presentare ad esse le nostre analisi e spingerle non a ridurre i salari, ma a riflettere sulla necessità di avvicinarli il più possibile alla produttività».
La trattativa sul mercato del lavoro comincerà entro il 31 dicembre? «Forse non ce la faremo, perché vorrei presentarmi alle parti con delle analisi approfondite sulle diverse questioni».
Sicuramente, tra queste, c'è quella giovanile, come ci ha ricordato ieri l'Istat: il 40% dei disoccupati ha meno di 30 anni e chi lavora, ha quasi sempre contratti precari. «Giovani e donne sono i più penalizzati perché la via italiana alla flessibilità ha riguardato solo loro, risparmiando i lavoratori più anziani e garantiti. Sono rimasta molto colpita nel sentire i pensionati che si lamentano perché devono mantenere anche i nipoti. Questo è un ciclo perverso. Non è possibile che la pensione di un nonno debba mantenere dei giovani né che questi si adagino su una prospettiva di vita bassa».
Come se ne esce? «Penso che un ciclo di vita che funzioni è quello che permetta ai giovani di entrare nel mercato del lavoro con un contratto vero, non precario. Ma un contratto che riconosca che sei all'inizio della vita lavorativa e quindi hai bisogno di formazione, e dove parti con una retribuzione bassa che poi salirà in relazione alla produttività. Insomma, io vedrei bene un contratto unico, che includa le persone oggi escluse e che però forse non tuteli più al 100% il solito segmento iperprotetto».
I sindacati non ci stanno a toccare l'articolo 18 dello Statuto dei lavoratori. «Sono abbastanza anziana per ricordare quello che disse una volta il leader della Cgil, Luciano Lama: "Non voglio vincere contro mia figlia". Noi, purtroppo, in un certo senso abbiamo vinto contro i nostri figli. Ora non voglio dire che ci sia una ricetta unica precostituita, ma anche che non ci sono totem e quindi invito i sindacati a fare discussioni intellettualmente oneste e aperte».
Monti ha detto che le nuove regole si applicheranno solo ai futuri assunti.
«Certamente penso ci voglia maggiore gradualità nell'introduzione delle nuove regole rispetto a quanto abbiamo fatto sulle pensioni».
Oltre ai giovani, le donne sono molto penalizzate. «Sono anche ministro delle Pari opportunità, che non considero figlie di un dio minore. Sulle donne bisogna invertire la logica delle compensazioni. Non vogliamo queste, ma la parità. Quando sento dire "io lavoro molto e poi devo anche occuparmi di mio marito e della casa" dico che le famiglie condividono ancora troppo poco i lavori di cura».
Il leader della Cisl, Raffaele Bonanni, dice che una manovra come la vostra poteva farla anche suo zio che non sa nulla di economia. «Lascio a Bonanni il suo giudizio. Vorrei invitarlo a discutere delle cose che stanno in questa manovra e penso di avere la presunzione di poterlo convincere che l'equità c'è, magari non quanto lui vuole, e il rigore c'è, e non ne potevamo fare a meno, pena la messa a rischio dei risparmi degli italiani e il non pagamento delle tredicesime».
Ha avuto tempo di occuparsi anche della sicurezza del lavoro? In Italia ci sono ancora troppe morti bianche. «Non ci può essere tolleranza soprattutto in una fase di crisi dove magari qualcuno può pensare che è meglio un lavoro anche non sicuro che niente. Agli ispettori del ministero ho detto che devono andare nelle imprese come amici e collaboratori ma anche con intransigenza piena».
Le sue lacrime sulla perequazione delle pensioni hanno fatto discutere. «È stata una commozione dovuta alla tensione. Può sembrare che io sia una donna dura, ma non è così. È successo che quando dovevo dire la parola sacrifici mi si è soffocata in gola, anche perché in quel momento ho pensato ai miei genitori, che di sacrifici ne hanno fatto molti».

1 commento:

uferruzz@libero.it ha detto...

----Messaggio originale----
Da: uferruzz@libero.it
Data: 31/12/2011 15.25
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Sono un dirigente d'azienda: premetto che ho 58 anni e 39 anni di contribuzione ma che non ho alcuna intenzione di pensionarmi.

E' la prima volta che scrivo ad una istituzione politica: forse il clima che si vive in questi giorni ha contribuito a superare una mia naturale (...o innaturale ?) avversione per un mondo vissuto sempre come tanto lontano dalle quotidiane esigenze delle persone "comuni".

Entro subito nel merito di un modesto contributo alla riflessione.

La riforma delle pensioni, e segnatamente il "salto in lungo" cui sono costretti i nati degli anni 1952-1953 con 39-40 anni di contribuzione, per quanto misura probabilmente inevitabile sul piano economico ed eticamente condivisibile, paradossalmente scontenta tutti gli attori senza produrre immediati vantaggi in termini di CRESCITA.

In effetti:

- i GIOVANI DISOCCUPATI continueranno a trovare occupati quei posti che, con le regole cassate, si sarebbero liberati nei prossimi 2-3 anni;

- gli ANZIANI OCCUPATI vedranno sconvolti gli imminenti progetti di vita, costruiti sul patto che oggi lo STATO rinnega;

- le AZIENDE dovranno mantenere in organico personale anziano e spesso demotivato, non potranno abbattere i costi né immettere nuove risorse "fresche".

Proporrei di aprire una discussione sull'ipotesi appresso descritta.

Limitatamente ai soli anni 2012 e 2013, lo STATO dovrebbe consentire l'accesso, su base volontaria, al pensionamento a quanti raggiungono quota 100 (con 60 anni di età anagrafica e 40 di contribuzione).

A fronte di tale eccezione alla regola, l'AZIENDA di appartenenza del pensionando dovrebbe garantire l'assunzione di un giovane (fino a 35 anni di età) con contratto a tempo indeterminato.

In tal modo, favorendo GIOVANI, ANZIANI ed AZIENDE, lo STATO registrerebbe:

- un anticipato incremento degli oneri per pensioni;

- una riduzione degli oneri per il sostegno del reddito dei GIOVANI disoccupati assunti;

- un incremento della base imponibile dell'Irpef e del relativo gettito fiscale;

- un presumibile incremento del gettito delle imposte societarie, a fronte dei minori costi e dei maggiori redditi d'impresa (da aumento dei consumi);

- un incremento del gettito dell'IVA, a fronte dei maggiori consumi procurati dai nuovi redditi da lavoro dipendente.

Ovviamente, si registrerebbe uno sbilancio negativo che lo STATO potrebbe coprire mediante interventi, del tutto giustificabili sul piano dell'EQUITA' e della solidarietà generazionale, con validità limitata ai soli due anni del progetto, del tipo:

- incremento dell'aliquota generale Irpef del 43% portandola fino al 44%;

- addizionale Irpef, per i soli GIOVANI assunti, dell'1-2%;

- penalizzazione dei "pensionandi" per l'1-2% (questo giustificherebbe la base volontaria da garantire agli interessati).

Last but non least, questa decisione potrebbe aprire qualche spiraglio nel confronto con le parti sociali (compresi i partiti) che, a fronte della creazione di posti di lavoro, potrebbero essere spinte a valutare in maniera diversa ulteriori sacrifici temporanei.

L’atto di coraggio, da parte del governo, consisterebbe nel non considerare un totem la prima drastica scelta, dimostrando al contempo di essere davvero indipendente dalla pressioni (interessate ?) degli altri Stati europei che, in qualche caso, sembrano più orientati a condizionare gli altri che non preoccupati di guardare in casa propria.

E' un'ipotesi del tutto priva di senso o meriterebbe qualche approfondimento da parte degli esperti ?

Cordiali saluti e Buon (...speriamo) 2012 !



Ugo Ferruzzi