mercoledì 28 dicembre 2011

Quale strategia per il partito democratico

Lettera aperta di Matteo Cristani
Mi presento brevemente, perché non voglio che chi leggerà questa lettera la consideri, come spesso accade, uno strumento di comunicazione politica di corrente, mentre essa è lo sfogo sincero, la protesta ragionata, e la discussione di una proposta che sta a cuore a me e spero a tanti altri.
Sono un costituente del Partito a livello regionale del Veneto, e non avevo mai aderito a nessuno dei partiti fondatori prima. Viceversa vengo da una storia di volontariato nel mondo cattolico e dalla militanza nella sinistra estrema da ragazzo. Cercavo e cerco dal 2007 un luogo aperto di discussione e credo che, nonostante i molti impedimenti che ci hanno confuso in questi anni, il PD sia ancora un luogo aperto di discussione del centro-sinistra nel triste panorama della politica italiana di oggi.
Svolgo nella vita il mestiere di Ricercatore, con passione, orgoglio e in questo momento una tremenda insoddisfazione, a causa delle cosiddette riforme del governo Berlusconi che hanno colpito tutti i settori pubblici ma in particolare scuola ed università.
Il tema di questa lettera è semplice da enunciare e nello stesso tempo imbarazzante per la maggior parte dei militanti del Partito Democratico: la strategia attuale e futura di questo partito, in particolare di fronte alla crisi economico-finanziaria ed al modo con cui il governo Monti, che appoggiamo, la sta affrontando. In conseguenza di questo ragionamento sulla strategia, possiamo poi andare al nocciolo della questione per il 2013: le alleanze.
A parte gli appelli alla battaglia di testimonianza, a parte la ricerca di miglioramenti, rimane la sostanza della manovra che ha due nomi ideologici chiari ed indiscutibili:
- Monetarismo;
- Neoliberismo.
Approviamo una manovra che fa poco per la crescita (e di nuovo Monti ci ha detto, per la quattordicesima volta dall’inizio della legislatura – la prima sua, le altre tredici volte è stato Berlusconi – che la crescita verrà promossa in un futuro decreto), che pesa tutta sui lavoratori dipendenti ed i pensionati e fa pochissimo per la lotta all’evasione. Soprattutto fa tutto ciò a partire da considerazioni economiche che nascono in un filone di pensiero che, io penso, il Partito Democratico non può condividere.
Naturalmente non possiamo fare a meno di approvarla, ma usiamo questa occasione per riflettere su come ci muoviamo, ci siamo mossi e ci muoveremo nel futuro.
Un certo numero di persone che stanno nel partito si professano liberali. Io accolgo la loro posizione come nobile. Dato che questa stagione è quella della fine delle ideologie, mi sia concessa l’opportunità di criticare l’ideologia liberale. Si tratta di una ideologia che ha dimostrato di essere erronea nelle previsioni, autoreferenziale nei fondamenti e disposta a sacrificare esigenze base delle persone all’efficienza del sistema, mostrandosi in questo altrettanto cinica di altre ben più criticate ideologie quali il fascismo o il comunismo.
Ora, naturalmente, molte cose positive esistono nel liberalismo, ma non posso che considerare particolarmente deteriori le sue versioni sopra citate, cui sembriamo votarci, per sposarle, come bagaglio ideologico. Dato che abbiamo superato le ideologie, scegliere una posizione oltranzista di destra neoliberista e monetarista appare una scelta improvvida. Questo specialmente nel quadro europeo delle sinistre, che dopo decenni di autocritica sull’attenzione agli aspetti sociali, si sono in parte ricredute e stanno muovendo i propri passi nella direzione di un serio recupero di politiche di centro-sinistra attente agli aspetti dello sviluppo e della crescita quanto a quelli della giustizia sociale. Ritengo che un numero elevatissimo di persone nel partito non accettino questa idea, e non necessariamente quando la loro provenienza di militanza precedente li marchia come socialisti, o socialdemocratici. La giustizia sociale è un tema di grande rilievo per tutte le persone di centro-sinistra.
Non riesco a credere alla proposizione totalmente apodittica di comunismo, fascismo e, paradossalmente, perfino del neoliberismo e del monetarismo, secondo cui si può avere una società più giusta solo se si accetta di sacrificare una parte della domanda di giustizia sull’altare dello sviluppo della società.
Riconosciamo che si tratta di un errore. Lo abbiamo fatto a sinistra, sostenendo che solo una società più controllata può garantire equità, cioè che solo una società senza libertà può essere giusta, e non è vero. Si è fatto da parte del fascismo un discorso simile, sperando in una società più completa in cui la giustizia e la libertà venivano sacrificate per l’ordine. Lo hanno fatto i liberali, asserendo che solo una società più ricca può distribuire la ricchezza.
L’inganno è tutto ideologico, ogni volta. Non dobbiamo cercare o costruire nuove ideologie, su questo sono d’accordo. Non dobbiamo cercare le parti che ci stanno bene delle varie ideologie, e non dobbiamo infine smettere di pensare perché ogni volta si genererebbe un pensiero organico di natura ideologica. Occorre pensare in un modo nuovo.
La scienza da tempo ci insegna che il modo nuovo di pensare si chiama comunità. Non ci sono più deus ex-machina capaci di concentrarsi per un intervallo di tempo sufficientemente lungo su un argomento per produrre un pensiero talmente perfetto da risultare incriticabile, non esistono più pensatori organici capaci di illudere generazioni di persone sulla perfezione del loro pensiero. Non ci sono più Marx, Adam Smith o Ezra Pound. Non ci dobbiamo fidare di chi dice di essere alcuno di questi redivivo.
La destra americana ha adottato Milton Friedman come unico riferimento per il pensiero neoliberista e monetarista. Possiamo ritenere che questo sia un punto di riferimento per la sinistra italiana? Non sembra affatto possibile.
Eppure la comunità economica ha prodotto pensatori non neoliberisti capaci di definire una linea di pensiero, spesso parzialmente criticabile, ma di grande importanza, come Jeremy Rifkin, Joseph Stiglitz o Lawrence Summers.
Possiamo poi continuare a parlare di molte altre cose in termini non economici, o forse, in molti sensi, in termini strettamente economici. Possiamo discutere di ambiente, di scuola, di ricerca, di spese militari. Ma dobbiamo farlo connotando le nostre scelte. E ci occorre una vera scelta strategica di fondo.
Una strategia vera quindi deve basarsi sull’assunto del cercare una linea di pensiero critica con questa presunta modernità che invece è solo vecchiume ideologico. Una strategia vera deve basarsi su prospettive realistiche. E dobbiamo dire vere parole, non numeri senza contenuti.
Mi sono chiesto, in questa fase, per dirla con John Kennedy, che cosa posso fare io per il mio partito prima di quello che il partito può fare per me.
Per prima cosa, voglio parlare di una ipotesi di programma elettorale. Poi vorrei che questo si agganciasse ad alcune idee del Partito e ad una strategia elettorale.
PROGRAMMA
1) La prima cosa su cui dobbiamo nettamente invertire rotta è la ricerca scientifica. Siamo un paese sempre più preda di demenziali superstizioni, che non crede nemmeno più alle proprie doti, come la creatività, l’energia dei suoi gangli sociali, la serietà. Occorre spendere almeno cinque volte quello che si spende ora per andare avanti, altrimenti il declino è inesorabile. Le priorità, evidenti, sono tre:
a. Energia;
b. Nuove tecnologie;
c. Invecchiamento.
Chi non coglie queste priorità non guarda la realtà con disposizione d’animo sincero, ma è accecato dall’ideologia.
2) Dobbiamo creare nuove condizioni per il lavoro. Questo significa scelte coraggiose in termini di azione politica e sociale, significa scegliere le direzioni:
a. Piccole e medie imprese;
b. Liberalizzazioni;
c. Assunzioni nei settori rilevanti del pubblico impiego, in particolare Scuola ed Università;
d. Nuove disposizioni per le infrastrutture, naturalmente in particolare quelle di medio-piccole dimensioni che sono più importanti delle grandi opere;
e. Sblocco dei pagamenti delle pubbliche amministrazioni, anche mediante sospensione del patto di stabilità;
3) Scelte di fondo sul tema delle spese militari, che vanno ridotte in modo drastico a partire da domani.
Ma il programma non può essere che il frutto di una scelta strategica. Io credo che si debba parlare in modo comprensibile. E per farsi capire in Italiano le parole esistono. Per la strategia del Partito Democratico le uniche parole che vorrei vedere sono:
- Scienza (e le annesse Cultura, Scuola, Ricerca, Arte, Territorio, Innovazione Industriale);
- Persone (Dignità, Diritti, Omosessualità, Povertà, Immigrazione);
- Comunità (Famiglia, Servizio, Senso dello stato, Coesione nazionale ed internazionale).
E per finire, al di là delle considerazioni banali che si possono fare sul fatto che le alleanze si fanno con chi ci sta su programma e strategia, io credo che dobbiamo scegliere in base a tre considerazioni elementari:
- Non possiamo stare in coalizione con chi sceglie ancora delle ideologie in blocco, perché questo sarebbe contrario allo spirito di fondazione del Partito Democratico;
- Non possiamo stare in coalizione con chi crede di risolvere i problemi con soluzioni prive di strategia;
- Non possiamo stare in coalizione con chi dubita della serietà di queste prese di posizione.
In conclusione, temo sia difficile accettare l’abbraccio mortale che Monti e il PDL ci stringono, ma occorre anche ripensare l’assetto d’alleanza con l’UDC.

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