venerdì 28 dicembre 2012

Votiamo Diego Zardini alle primarie



Voto Diego Zardini per avviare un grande processo di cambiamento nel paese e nel PD veronese. Ho stima e fiducia nel suo impegno politico che si basa su onesta e trasparenza totale.
Vota anche tu Diego Zardini per costruire insieme il futuro di un paese equo, sobrio e solidale.

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giovedì 27 dicembre 2012

Diego Zardini in conferenza stampa

Costruiamo un nuovo progetto per i nostri valori
“Il 30 dicembre, si terranno le elezioni primarie per la scelta dei Parlamentari del Partito Democratico. Si tratta di un evento di grande importanza, che dimostra la volontà del nostro Partito di valorizzare la democrazia e la partecipazione, battendosi contro una legge elettorale sbagliata e che toglie il potere di scelta ai cittadini.
Ho scelto di candidarmi e concorrere alle primarie del 30/12 dopo un’esperienza amministrativa iniziata nel 2007, come consigliere capogruppo in 2° Circoscrizione a Verona, e proseguita nel 2009, dopo la vittoria nelle primarie per la Presidenza della Provincia, come consigliere e poi capogruppo del PD in Consiglio Provinciale.
Penso che l’occasione che ci troviamo davanti, con la possibilità per il PD di guidare il Paese dopo le prossime elezioni, sia una grande opportunità per affermare, finalmente, le migliori idee elaborate dai nostri amministratori, militanti e simpatizzanti, nel corso di questi anni.
Nel corso del mio impegno in qualità di amministratore locale e provinciale ho cercato di valorizzare i temi legati alla tutela dell’ambiente, alla difesa e alla valorizzazione del lavoro, ad un rilancio dello sviluppo economico senza lasciare indietro nessuno.
Sono determinato, quindi a far sì che numerosi temi fondamentali per il nostro territorio, portati avanti a livello amministrativo, quali: l’elaborazione di un nuovo piano industriale per l’aeroporto Catullo, consentendone la fuoriuscita dalla crisi attuale; il Piano Provinciale del Lavoro; il monitoraggio dell’avanzamento di importanti progetti infrastrutturali che avranno rilevanti impatti socio-economici ed ambientali, l’opposizione al Traforo delle Torricelle, devastante opera autostradale in città; l’impegno per una gestione dei rifiuti più rispettosa dell’ambiente e per la salvaguardia del territorio da attività speculative di tipo urbanistico e ambientale (discariche), trovino adeguata rappresentanza anche a livello nazionale, rafforzando la centralità di Verona e della sua provincia, e delle istanze dei suoi abitanti.
Inoltre, sono deciso a porre al centro del mio operato il tema della sobrietà della politica – un valore da riaffermare con decisione, perché dare il buon esempio è il primo passo per cambiare la società in cui viviamo. Per questo, se eletto, pubblicherò on-line un bilancio di mandato, dove poter consultare in modo libero e trasparente l’impiego delle risorse derivanti dall’incarico parlamentare.
Credo che uno dei compiti principali delle persone impegnate in politica sia quello di essere di esempio per chi osserva e ripone in loro le proprie speranze. Per questo cercherò, nel mio piccolo, di portare il mio contributo in tal senso.
La mia candidatura, sollecitata da molte democratiche e democratici, giovani e meno giovani, vuole mettere al centro un nuovo progetto, mantenendo fermi i valori che hanno caratterizzato la nostra storia politica, ma dando loro strumenti e forme nuove, per giocare da protagonisti anche nella società attuale.
Riaffermando con decisione i concetti di solidarietà, equità e giustizia.
Intraprendendo azioni che garantiscano agli italiani un futuro di diritti, libertà, sviluppo sostenibile, liberando le energie presenti nella società e valorizzando i talenti di ciascuno con pari opportunità per tutti.
Per dare il mio e il nostro contributo, per cambiare, tutti insieme, finalmente l’Italia”.

Diego Zardini
Tel. 347/1386918
Mail: diegozardini@libero.it

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Io voto Diego Zardini

Ho effettuato un viaggio tra i sostenitori di Diego Zardini, candidato alle primarie del PD, per conoscere le motivazioni che hanno spinto le persone a supportare la sua candidatura. Dall’integrazione delle diverse dichiarazioni emerge chiaramente il profilo ed i contenuti dell’impegno politico di Diego Zardini.
Vi è alla base un rapporto di stima e fiducia nei confronti di Diego Zardini e di conseguenza un riconoscimento della sua testimonianza politica ed una condivisione della sua proposta di cambiamento, sempre più urgente, del paese e del PD. Ovviamente tale consenso non nasce da interessi individuali, da opportunismi e tattiche di corto respiro ma da una progettualità che coinvolge i sostenitori di Diego Zardini.
Si riportano di seguito le dichiarazioni integrali di alcuni sostenitori di Diego Zardini.
Matteo Avogaro: “Per dare una guida autorevole e forte al nostro Paese, il Partito Democratico avrà bisogno di eleggere parlamentari competenti, che si siano già confrontati con le istanze del territorio, che abbiano creduto nel progetto del PD fin dall'inizio. E avrà bisogno anche di giovani, perché abbiamo detto per mesi di voler rinnovare e cambiare il Paese, e non possiamo deludere ora i nostri elettori. Sosterrò a queste primarie Diego Zardini, perché rappresenta il candidato che meglio può sintetizzare tutti questi aspetti. E che pone al centro delle sue proposte il lavoro, e la questione della solidarietà e dell'uguaglianza, di cui l'Italia, oggi, ha quanto mai bisogno. Con Diego Zardini, possiamo costruire un nuovo progetto, per i nostri valori!"
Silvia Allegri: “Sostengo Diego Zardini per due ragioni. La prima: lo conosco personalmente, sono cresciuta con lui nel Circolo PD della 2^ Circoscrizione, condividendo iniziative politiche e organizzando la Festa Democratica di Quinzano, lavoro al suo fianco nel Consiglio Provinciale da più d tre anni, e garantisco, per chi non lo conoscesse di persona, la sua generosità e la sua capacità di ascoltare e aiutare. La seconda ragione: Diego Zardini è giovane e al tempo stesso competente, preparato e impegnato da anni per il PD, con convinzione, onestà e spirito di squadra. Merita la fiducia degli elettori e saprà rappresentare il Partito Democratico con un’attenzione particolare alla crescita politica e formativa dei giovani”.
Mario Allegri: “Sostengo Diego Zardini, perché non basta essere giovani, bisogna anche essere competenti e onesti e avere comunque maturato esperienza politica ed amministrativa”.
Serena Capodicasa: “Diego per me rappresenta l'unione perfetta tra il rinnovamento della classe politica e la militanza in un'organizzazione politica, fatta di sacrifici e soddisfazioni, che troppo spesso viene "rottamata" in nome del Partito liquido, che purtroppo risulta poi "ne' carne ne' pesce".
Diego monta le feste democratiche, insieme ad amici e compagni anche di 70 anni che con forza permettono ogni anno a tanti cittadini di ritrovarsi in un momento di condivisione e socialità.
Diego è capogruppo in consiglio provinciale, e ha accumulato un'esperienza da rendermi certa di mandare in Parlamento un giovane che ha le basi per sopravvivere in una giungla di leggi.
Diego ascolta, e condivide. E' questa la sua maggiore forza. Se Diego va in Parlamento, so che lo farà portando le istanze di tanti giovani che sono così poco rappresentati nelle istituzioni, e di persone come lui questo paese ne ha un estremo bisogno. E lo farà portando con se tanta esperienza diretta e passata da chi lo ha preceduto, mettendoci il suo spirito critico e la sua voglia di partecipare.
Per tutti questi motivi, più convinta che mai, scriverò ZARDINI sulla scheda il 30 Dicembre, e spero lo facciano veramente in tanti e tante”.
Paola Fresco: Io voto Diego Zardini perché mi rappresenta.
La possibilità di scelta della rappresentanza è la rivoluzione portata avanti dal Partito Democratico ed è l'opportunità che voglio sfruttare per scegliere a chi affidare il mio voto.
Diego Zardini dunque.
È giovane, dote che ultimamente sembra essere necessaria, ma non solo, è giovane con tanti anni di esperienza di lavoro anche come amministratore all'interno del partito, all'interno delle associazioni che operano nel nostro territorio, con le quali stiamo portando avanti battaglie dure. È attento e sensibile, cosa per me fondamentale, alla tutela del territorio e di conseguenza alla salute di chi lo abita.
Sa lavorare in gruppo, perché sa cosa vuol dire lavorare e anche come tenere insieme un gruppo.
È uomo generoso, non l'ho mai visto tirarsi indietro di fronte a problemi o a richieste dei tanti.
Non ha remore a spendersi per il bene comune, senza mettere limiti, e, se necessario, andando a rubare tempo agli spazi personali.
È sempre preparato dal punto di vista teorico, supportando il suo operato con motivazioni tecniche adeguate.
Peccato che non sia anche donna...
Io affidò a lui il mio voto.
Luca Granzarolo: “Io voterò Diego Zardini per molteplici ragioni: perché è una persona competente e grazie al suo ruolo di capogruppo in Provincia conosce Verona e la sua provincia benissimo e sarà in grado di fare un buon lavoro per il Paese e portare una produttiva voce veronese in Parlamento. Perché pone la massima attenzione sul tema del lavoro e del precariato senza tutele, drammatica condizione che ruba il futuro soprattutto ai giovani e sottolinea l'esigenza di eguaglianza e sobrietà. Infine perché ha dato molto al Pd, ha lavorato con continuità sul territorio, organizzando gazebo e dando un contributo essenziale alle annuali feste di Quinzano”.
Giuliano Rigo: “Da quando per la prima volta mi sono affacciato alla vita politica Diego è stato per me un riferimento. Con il suo atteggiamento semplice e pacato si è sempre dato da fare in tutti i campi, dalla festa di Quinzano, al consiglio provinciale, al contributo fondamentale che ha dato a tutti i comitati civici di Verona, dimostrando grande passione soprattutto per gli aspetti ambientali. Diego è un esempio di competenza e di umiltà per tutti, e saprà sicuramente rappresentare con forza le nostre istanze e il PD veronese in parlamento. Vi invito pertanto a votare a fare votare Diego, diffondendo tra i vostri contatti le sue e nostre idee, che vedete riassunte in questo video di presentazione ”.
Zeno Toffalini: “Perché votare Diego.. Quando si prende una scelta, nella maggior parte dei casi, si sceglie a pelle. Sapevo, so dentro di me che Diego è la persona giusta, ma spiegarlo a qualcun altro richiede lo sforzo di dipanare la conoscenza di anni, di decine di episodi piccoli o grandi in poche frasi, magari di buon lessico e adeguatamente articolate.
Forse tante cose possono essere riassunte: scelgo Diego perché lui, per gli altri, c'è sempre stato.
Quando dovevamo organizzare le feste dei giovani, e lavoravamo giorni sotto il sole di luglio, lui c'era, anche se dopo pochi giorni avrebbe dovuto tirare la Festa di Quinzano.
Quando l'uragano si è abbattuto sulla nostra Festa, nel 2008 a Montorio, c'era anche lui a raccogliere i cocci.
Ogni volta che abbiamo avuto come giovani qualche difficoltà logistica per organizzare il servizio alle celebrazioni del 25 Aprile, lui ci ha dato una mano, chiamando anche altri ad aiutarci.
Lui c'è sempre stato. E io oggi voglio esserci per lui.
Non è solo una questione di riconoscenza: sono abituato a pensare che chi è presente nelle cose piccole - quando non c'è nulla da guadagnare e anzi si paga l'impegno di tasca propria - sia affidabile anche nelle grandi.
Altri potranno parlare del Diego amministratore, Consigliere di Circoscrizione, Capogruppo del PD in Provincia. Altri ancora forse potrebbero dire che ha 34 anni, e davvero con lui si può creare un nuovo inizio per il PD di Verona. Scommettere sul futuro per tornare a vincere nella nostra provincia.
Ma il contributo maggiore che io posso dare è quello che ho scritto.
Scelgo Diego Zardini alle primarie del 30 Dicembre perché mi fido di lui. E credo sia abbastanza”.
Ho ascoltato altri sostenitori di Diego Zardini, i quali hanno sottolineato le sue qualità indicate di seguito: semplicità e umiltà, capacità di ascolto, competenze acquisite dagli incarichi ricoperti, trasparenza ed onestà sulle quali fonda il suo impegno politico, sensibilità verso i problemi sociali emergenti primo fra tutti il lavoro, il precariato e l’ambiente. Inoltre, ritengo che il suo successo alle primarie prima ed alle elezioni politiche dopo rappresenta un cambiamento positivo nel PD scaligero e segnerà l’avvio di una nuova stagione di rinnovamento e partecipazione tanto attesi dai cittadini veronesi.
Alle primarie del 30 dicembre scrivi ZARDINI per il rinnovamento del paese, di Verona e del Partito Democratico veronese.

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martedì 25 dicembre 2012

Alle primarie vota Zardini


Bastano poche immagini per ricordare l'impegno, i rapporti umani e l'entusiasmo di Diego Zardini durante le diverse manifestazioni del PD di Verona.
Oggi è offerta la possibilità agli elettori di effettuare un grande cambiamento nella rappresentanza politica del Pd nelle istituzioni parlamentari. Rinnovare la rappresentanza significa anche avviare un processo di miglioramento radicale nel Pd veronese, il quale non si è ancora adeguato agli effetti delle primarie in quanto la struttura organizzativa del partito è rimasta invariata.
Il Pd è l’unico partito che ha promosso le primarie ed ha scritto una nuova pagina di democrazia ma non le deve subire nel senso che deve adeguare la democrazia interna e la struttura organizzativa allo spirito delle primarie.
Tra i candidati che possono assecondare questo cambiamento vi è Diego Zardini che ispira il proprio impegno politico alla trasparenza, alla sincerità ed all’onesta.
Vi sono personaggi che formalmente parlano di tali fattori pur non avendo dimostrato concretamente negli incarichi ricoperti di essersi impegnati in tale direzione. Bisogna diffidare di coloro che operativamente si richiamano all’opacità e a parole alla trasparenza.
Tra le qualità di Diego Zardini che intendo indicare vi sono il legame con il territorio e la sensibilità sociale dimostrata in diverse occasioni.
Non pensare che è tutto inutile perché il rinnovamento dipende da te, da tutti noi e dalle nostre scelte.
Alle primarie del PD vota Diego Zardini se condividi il processo di cambiamento che in queste poche righe ho cercato di descrivere.

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domenica 23 dicembre 2012

Diego Zardini alle primarie del PD

Ho avuto la possibilità di operare insieme a Diego Zardini in materia di cambiamento della Provincia di Verona. Ho approfondito la sua conoscenza ed ho scoperto ed apprezzato le sue competenze e la sua volontà di operare a favore del miglioramento delle PA e, quindi, della vita dei cittadini.
Considerato l’impegno rilevante messo in campo, ritengo che Diego Zardini vada sostenuto dagli elettori alle primarie del Pd affinché possa continuare il suo impegno a livello nazionale, come parlamentare, in direzione del cambiamento delle PA.
L’allegata raccolta di articoli degli interventi effettuati da Diego Zardini in materia di Riforma della PA presso la Provincia di Verona testimoniano il suo impegno e del Partito Democratico in direzione del cambiamento.
Gli interventi di Diego trattano l’attuazione del D. Lgs. n. 150/2009 nella Provincia di Verona al fine di migliorare la performance dell’Ente tramite la concretizzazione dei seguenti strumenti:
- Il ciclo della performance attraverso la realizzazione del piano della performance, il sistema di misurazione e valutazione organizzativo ed individuale e la relazione della performance;
- La trasparenza che consente all’interno (risorse umane dell’ente) ed all’esterno (stakeholder) dell’Ente di conoscere la qualità dei servizi erogati, gli aspetti dell’organizzazione, gli indicatori relativi all’andamento gestionale, l’utilizzo delle risorse. Fattore questo che consente di creare un rapporto di fiducia con i cittadini ed i dipendenti dell’Ente;
- L’istituzione dell’Organismo indipendente di valutazione al posto del vecchio ed inefficiente Nucleo di Valutazione;
- Il cruscotto aziendale che consente ai dirigenti ed ai loro collaboratori di seguire l’andamento dell’erogazione dei servizi in rapporto agli obiettivi programmati ed intervenire nei casi scostamento;
- La realizzazione di un progetto tra la Provincia e L’Università di Verona al fine conoscere la situazione organizzativa dei comuni veronesi e di intervenire a supporto dell’adeguamento dei comuni alla riforma della PA;
Le risposte del Presidente della Provincia sono state di disponibilità formale e di chiusura realizzativa verso le proposte presentate dal Partito Democratico.
La raccolta è utile per tutti i democratici impegnati nelle Amministrazioni Comunali che intendono sostenere le proposte, descritte nella raccolta, nel proprio comune.
In un momento di grave crisi economica è necessaria una Pubblica Amministrazione efficiente ed efficace per sostenere la crescita e la competitività del sistema, specificatamente delle imprese, ed attrarre gli investimenti esteri al fine di avviare un percorso di aumento della ricchezza nazionale del paese con i conseguenti benefici.
Occorre insistere e svolgere un ruolo puntuale ed efficace al servizio dei cittadini così come è stato sviluppato da Diego Zardini.
Raccolta degli interventi

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martedì 18 dicembre 2012

Alberto Forchielli su Sistema Italia

Articolo di Antonino Leone pubblicato su Sistemi&Impresa n. 9 dicembre 2012
La crisi economica dell’Italia è arrivata ad un livello molto grave con gravi ripercussioni sulle imprese, sulla occupazione e sui conti pubblici caratterizzati da un debito pubblico molto alto che supera il 120% del Pil. Inoltre, l’Italia si trova ad affrontare due problemi: il contenimento della spesa pubblica per non incrementare il debito pubblico e la necessità di effettuare investimenti e riforme in un momento in cui le risorse finanziarie sono scarse. Discutiamo di questi problemi con Alberto Forchielli, esperto di management e profondo conoscitore dei mercati asiatici.
Quali sono state le cause principali della crisi finanziaria? L’opacità e la corruzione hanno giocato un ruolo determinante?
La crisi finanziaria è esplosa ormai da 4 anni, anche se covava da tempo. Purtroppo sono rimasti inascoltati gli appelli degli economisti più avvertiti. Quando il fallimento della Lehman Brothers ha innescato il contagio e la paura, l’attenzione si è indirizzata verso Wall Street. È lì che bisogna guardare – geograficamente e analiticamente – per capirne la genesi. Questo ha dato forza alle ragioni della Cina che vede nella crisi un fattore destabilizzante con un’origine nazionale: essa è nata a New York e non a Pechino, alla Borsa più potente al mondo e non in quelle ancora marginali di Shanghai e Shenzhen. Sul banco degli accusati sono apparsi gli stessi attori che per anni erano stati celebrati nel trionfo del liberismo: la finanza deregolamentata, la cessione di sovranità dalla politica all’economia, gli enormi flussi di denaro che si muovono fuori dal controllo statale.
Se tuttavia Pechino può ritenersi fuori dal bersaglio delle critiche dirette, la sua responsabilità indiretta non è marginale. L’opacità e la corruzione del suo sistema economico hanno alimentato una crescita quantitativa e disequilibrata. Per anni la Cina ha tratto vantaggio da un sistema sbilanciato. I risparmi eccessivi, quasi ossessivi, della sua popolazione hanno finanziato i debiti pubblici delle nazioni più ricche, in primis gli Stati Uniti. Il gigante asiatico è stato impegnato per anni in una gigantesca attività industriale la cui conclusione si ripercuoteva sulle esportazioni. I consumi statunitensi si rispecchiavano nella manifattura cinese: erano questi i principali traini dell’economia mondiale.
Il loro rapporto era tuttavia contraddittorio e l’esplosione della crisi lo ha certificato. È vero che l’innesco è stato dato allo scoppio della bolla immobiliare americana, ma i disequilibri erano già presenti. Gli economisti che li evidenziavano sono stati delle Cassandre: capivano il futuro, mettevano in guardia, rimanevano inascoltate. Fino a quando la crisi è esplosa con virulenza, con le conseguenze che conosciamo e che ancora non lasciano intravedere soluzione.
La Cina deve ora uscire da un paradosso economico, dove i risparmi dei suoi contadini poveri finanziano i consumi della middle class americana. Può farlo dando fiato ai propri consumi, trascurati per anni in nome della produzione e dell’export. Si tratta tuttavia di un percorso non facile, irto di resistenze politiche e di atteggiamenti consolidati. Per questo l’intervento del Governo è essenziale. Mettere in campo risorse pubbliche per aiutare i consumi è decisivo, così come dimostrato dal gigantesco stimolo fiscale messo in atto nel 2009 per rilanciare un’economia asfittica, penalizzata dal calo delle esportazioni mondiali. Riduzione delle tasse all’acquisto di beni durevoli, sconti per i beni durevoli (elettrodomestici, automobili), tassi di interesse favorevoli per l’accesso al credito sono stati i veicoli per compensare la flessione dell’export con i consumi interni. Questa manovra è ora probabilmente da duplicare, anche se la sua grandezza non potrà essere ugualmente massiccia.
La crisi finanziaria ha fatto emergere la debolezza dell’Europa ed i ritardi rispetto alla velocità dei mercati e del contagio. Quali scelte l’Europa deve effettuare per contrastare in modo efficace la recessione ed avviare la crescita?
Le scelte dell’Europa sono semplici da enunciare ma complesse da realizzare: maggiore integrazione, sussidiarietà e non solo egoismo dei singoli stati, ripresa economica guidata da leader di visione e non attenti ai propri interessi nazionali.
Il contagio della crisi finanziaria in quali condizioni ha trovato l’Italia?
La crisi ha rivelato con brutalità forse eccessiva le debolezze dell’Italia: mancanza di una politica industriale, un governo inadeguato, una mentalità provinciale, un sistema produttivo ancora sbilanciato sui settori maturi.
Senza le manovre economiche del Governo Monti l’Italia avrebbe rischiato il default?
Sì. La situazione era veramente drammatica. Forse il default sarebbe stata una misura estrema, ma un peggioramento ancora più marcato della situazione generale era nell’ordine delle cose.
Il superamento della crisi in Italia non può più essere affidata alle ricette del passato: inflazione competitiva, stampa della carta moneta, aumento dell’indebitamento. L’Italia per uscire dalla crisi ed avviare la crescita quali strumenti deve utilizzare, considerato che alcuni economisti propendono per la spesa pubblica ed altri per il rigore?
Deve conciliare incentivi alla ripresa e rispetto del rigore. Questa combinazione è possibile; il vero problema è rappresentato dal troppo tempo trascorso senza che si sia dato luogo alle riforme importanti. Ora potrebbe essere troppo tardi.
L’Italia ha bisogno di risorse da investire nel paese al fine di creare nuova ricchezza ed occupazione. Quali cambiamenti ritiene necessari per attrarre gli investimenti esteri e per introitare le risorse potenziali rappresentate dall’evasione fiscale e dalla corruzione?
Per non essere un elenco di buoni propositi, la lista delle cose da fare deve essere considerata ineludibile. Per attrarre gli investimenti esteri (dato che le opportunità esistono nel nostro paese per gli investitori internazionali) bisogna controllare il territorio, snellire la burocrazia, ridurre la corruzione. Si tratta di misure amministrative, non di concessione di vantaggi economici.
Ritiene che le relazioni economiche e commerciali tra la Cina e l'Italia possano intensificarsi e la Cina possa aumentare i livelli di investimenti in Italia?
Senz'altro e la crisi dell'euro in riduzione aumenterà gli investimenti cinesi che erano in fase di stallo.
I mercati e le economie sviluppate ed emergenti pongono particolare attenzione al dopo Monti?
Non c’è dubbio. Monti è considerato in grado di garantire autorevolezza sui mercati internazionali e stabilità sul versante interno.
Quali fattori prettamente italiani bisogna superare o eliminare al fine di adattare il sistema Italia a quello globale per renderlo competitivo?
Anche in questo caso l’elenco delle cose da fare, per non essere ripetitivo, va considerato cogente: investire nell’istruzione, rimuovere gli interessi di gruppi e di lobby, premiare il merito, far rispettare le leggi.
Le imprese, particolarmente quelle piccole e medie, cosa devono fare e come possono essere sostenute per superare il rischio della sopravvivenza?
Devono comprendere che rimanere piccole è un rischio, un’operazione a volte anche dolorosa. Nella globalizzazione, il pericolo di rimanere fagocitate da aziende di dimensioni e muscoli più forti è automatico. Per questo sono obbligate ad anticipare i temi della concorrenza, oppure a unirsi in aziende più grandi che diano loro sufficiente forza e stabilità.
Chi è Alberto Forchielli
Alberto Forchielli è Fondatore, Partner, Amministratore Delegato, Membro dell’Investment Committee e Consigliere di Amministrazione di Mandarin Capital Partners. Fondatore e Presidente di Osservatorio Asia, un centro di ricerche non profit focalizzato sull’Asia. Fondatore e Presidente di Cleantech srl, società attiva nell’ambito delle energie rinnovabili con particolare attenzione allo sviluppo e gestione di grandi impianti solari. Forchielli è esperto nello sviluppo di affari internazionali, in particolare di Cina ed India, grazie alle proprie abilità strategiche basate su un’esperienza di 30 anni. Da luglio 2012 è Direttore del Consiglio Direttivo di CEIBS (China Europe International Business School) a Shanghai. Attualmente si occupa del lancio settimanale “Taccuino da Shanghai”, pubblicato su Radiocor Il Sole 24 Ore.
Bolognese, nel proprio background operativo, vanta esperienze pluriennali di lavoro e di vita in diverse parti del mondo: Singapore con Finmeccanica, Washington con la Banca Mondiale, Lussemburgo con la Banca Europea degli Investimenti, Roma con il Gruppo IRI, Torino, Boston e Londra, Santiago e Lima con il Mac Group, Hong Kong e Shanghai con Mandarin Capital Partners.

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venerdì 14 dicembre 2012

Nuove droghe. Ragioni e prevenzione

E’ il titolo del libro di Renato Bricolo con la collaborazione di Nicola Andreone, pubblicato da Giunti Editore nella collana Percorsi, 2012. Presentazione di Luigi Ciotti.
Il volume offre due linee di lettura: una ripercorre l'evoluzione verificatasi negli ultimi anni nella società e nel mondo dei consumi, e lo fa attraverso l'analisi delle caratteristiche adolescenziali, dei gruppi di giovani e delle diverse sostanze che si sono succedute, nonché attraverso la conoscenza delle sfide da affrontare da parte delle famiglie. L'altra linea illustra, definisce e informa in modo scientifico sulle principali droghe, sui loro effetti e sullo stato attuale della ricerca. L'obiettivo del lavoro è quello di favorire un approccio diverso al complesso mondo dei consumatori, giovani o meno giovani, per facilitare i rapporti con tale fenomeno e per cercare di renderlo più comprensibile.
Renato Bricolo, psichiatra, ha operato prima come psichiatra a Verona, (ospedali psichiatrici provinciali di Ponton e Marzana) per passare poi al settore delle tossicodipendenze. Ha fondato e diretto il Servizio per le tossicodipendenze dell’unità sanitaria locale di Bussolengo (VR) nella quale ha svolto anche il compito di direttore dei servizi sociali. Ha poi vinto il concorso di primario all’unità sanitaria di Padova, dove ha lavorato per circa 10 anni come primario del servizio per le tossicodipendenze. In questi periodi è stato prima consulente ed esperto negli assessorati per i servizi sociali della regione Veneto, e poi ha fatto parte ripetutamente della consulta nazionale degli esperti per le tossicodipendenze collaborando con vari Ministri, segnatamente Livia Turco e Rosy Bindi. Si è sempre occupato del collegamento fra uso di sostanze e giovani, realizzando esperienze fra i primi in Italia con operatori delle discoteche e collaborando per i primi corsi di aggiornamento degli stessi sul vasto problema dei consumi di droghe (le cosiddette nuove droghe) ed alcol.
A Verona ha collaborato con Match Music, televisione che si occupava molto di musica e giovani, in specifici programmi di prevenzione all’uso delle droghe. Terminati gli impegni istituzionali e ritiratosi dal lavoro nei servizi pubblici alla fine degli anni ’90 ha continuato a lavorare come formatore con operatori dei più importanti centri italiani: Torino, Milano, Sesto San Giovanni, Firenze, Roma, Napoli, Palermo Trapani.
Ha sempre dedicato molta attenzione al problema dei detenuti in carcere, soprattutto tossicodipendenti, organizzando anche a Verona ma soprattutto a Padova prese in carico molto originali di queste situazioni, ed un circuito a sorveglianza attenuata nel carcere di Padova.
Ha avuto sempre una grande attenzione alle situazioni di alta marginalità collaborando a lungo con iniziative sia a Padova che a Verona. Da circa due anni collabora stabilmente con la Comunità dei giovani di Verona, sia come psichiatra nella comunità residenziale di Albarè, che come supervisore degli psicologi della Pronta Accoglienza di quella comunità.
Ha ideato e diretto insieme con la comunità de giovani, con la scuola di psicoterapia cognitivo comportamentale di Verona e l’insostituibile collaborazione delle operatrici dell’ufficio di esecuzione penale esterna ( UEPE) di Verona, il progetto “ Percorsi Responsabili” volto a fornire a detenuti in fine pena la possibilità di essere seguiti gratuitamente con cicli di psicoterapia cognitivo comportamentale. Questo progetto è stato sostenuto dalla fondazione Cassa di Risparmio di Verona, Vicenza e Belluno.
Il libro è costituito fondamentalmente da quattro nuclei:
- Il primo affronta il problema della evoluzione dei consumi, e caratterizza le peculiarità dell’adolescente di oggi. Affonda anche il problema dei conflitti familiari, in relazione alla presenza di figli adolescenti;
- Il secondo affonda il tema della droga in generale, nelle sue varie accezioni, significati, e tipologia;
- Il terzo passa in rassegna le principali sostanze, inquadrandone le caratteristiche, gli effetti ed eventuali sintomi;
- Il quarto affronta il cambiamento dell’offerta, dei consumi, il ritardo dell’organizzazione delle risposte e affonda le possibili vie di prevenzione.
Il testo si chiude con un glossario.
Questo libro è stato pensato non per specialisti del settore, ma per insegnanti, educatori, genitori e persone che comunque sono curiose di conoscere più in dettaglio e con un approccio laico il mondo dei consumi di sostanze.

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mercoledì 12 dicembre 2012

Mario Monti: un anno di Governo

Finalmente un governo di Tito Boeri
"Il Governo Monti in un solo anno ha fatto molto di più degli esecutivi che l’hanno preceduto, governando per intere legislature. Ci ha allontanato dal baratro e ha ridato credibilità internazionale al nostro Paese, fermando una crisi di fiducia sul debito italiano e sulla moneta unica i cui effetti avrebbero potuto essere devastanti. Certo, al miglioramento del clima di fiducia hanno contribuito anche la Bce e gli altri governi europei. Per isolare il contributo di credibilità del governo Monti dagli effetti legati all’iniziativa europea, può essere utile comparare lo spread fra Bonos spagnoli e Btp decennali nell’ultimo anno, dato che i rendimenti di entrambi i titoli hanno beneficiato degli interventi europei. Questo spread è passato da una differenza, a sfavore dell’Italia, di 143 punti percentuali (9 novembre 2011 giorno in cui Napolitano nomina Mario Monti senatore a vita con una mossa che segna l’avvento del governo tecnico) - fino a una differenza, a favore dell’Italia, di 93 punti percentuali (venerdì 7 dicembre 2012 alla vigilia dell'annuncio delle dimissioni, a mercati chiusi, di Mario Monti)".

Intervento di Stefano Fassina

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lunedì 10 dicembre 2012

Meritocrazia strumento per l’eguaglianza

Articolo di Roger Abravanel pubblicato sul Corriere della Sera il 9 dicembre 2012
Una settimana fa Pier Luigi Bersani ha vinto le primarie del centrosinistra. I suoi elettori dicono che ha fatto riscoprire la meritocrazia nella politica con le primarie del centrosinistra dopo che per anni si è assistito al proliferare di candidati scelti dai partiti (quando non personalmente dal padre padrone) unicamente sulla base della fedeltà invece che sul merito individuale. Adesso il suo compito è di creare una nuova sinistra per cercare di vincere le elezioni e governare con successo.
Creare una nuova sinistra non richiede solo di «rottamare» alcuni dei politici come vorrebbero in molti, ma anche alcune vecchie idee. La prima, e forse la più importante, è stata la risposta data al moderatore del dibattito di Sky tra i contendenti alle primarie che chiedeva a Bersani se fosse «in favore di più meritocrazia». Al che il segretario del Partito democratico ha risposto «va bene più meritocrazia, ma anche più eguaglianza». Il che sottintende che la competizione va bene per i vertici della politica e della economia, ma se estesa alle masse dei lavoratori e degli studenti può portare, per esempio, a licenziamenti di massa e alla perdita del «diritto allo studio». Ne deriva che l'unico modo efficace per ridurre la diseguaglianza è quello di ridistribuire la ricchezza dai ricchi ai poveri.
Nulla di nuovo. Per la sinistra italiana la meritocrazia resta un valore «di destra» e l'egualitarismo continua a restare il principio fondante, contrariamente alle sinistre nordeuropee che da più di vent'anni lo hanno fatto evolvere nella ricerca delle pari opportunità. L'idea era semplice: se uno va avanti solo se è bravo e non perché è furbo o raccomandato da qualcuno che gli deve un favore, la mobilità sociale aumenta perché anche un povero meritevole può salire sull'«ascensore sociale».
Questo sistema di valori è in realtà pienamente accettato dalla sinistra italiana che ha lottato negli ultimi anni molto di più della destra contro i privilegi anticoncorrenza e il non rispetto delle regole. Eppure resta sospettosa quando l'idea della competizione spinta viene estesa dall'élite alle masse. Questo avviene per due motivi. Primo, «il bisogno»: il lavoratore che fa male il proprio lavoro meriterebbe di essere licenziato ma «ha bisogno» del posto di lavoro (per mantenere una moglie che non lavora e i figli precari); e quindi resta l'articolo 18. Secondo: il «diritto acquisito»: il precario della scuola ha acquisito il diritto al posto fisso e quindi è giusto opporsi al primo concorso dopo 10 anni che lo mette in competizione con la nuova generazione di insegnanti. È ovvio perché questi due motivi valgono solo per le masse e non per il top: Matteo Renzi e Pier Luigi Bersani non hanno né il «bisogno» né il «diritto» di diventare presidenti del Consiglio e quindi si accetta una competizione accanita. Ma non si accetta per milioni di lavoratori e studenti. E neanche Matteo Renzi, che pure ha preso posizioni coraggiose e anche controproducenti su pensioni e politica estera ha osato esprimersi chiaramente a favore di una meritocrazia più diffusa su temi come il lavoro e la scuola: ha dichiarato di voler adattare il giusto modello della flexsecurity di Pietro Ichino (quasi scomunicato dal Partito democratico) ma non ha parlato della meritocrazia individuale e, relativamente alla scuola, ci si sarebbe aspettata più enfasi nel sostenere l'esigenza di valutare gli insegnanti per migliorare la qualità dell'insegnamento dove è meno buona. Il problema è che la sinistra italiana non si rende conto che rispettare i «bisogni» e i «diritti acquisiti» perpetua la spaventosa ineguaglianza della società italiana che abbiamo già descritto nelle pagine di questo quotidiano. Se non si può licenziare un lavoratore che lavora male (proteggendolo con ammortizzatori sociali orientati a reinserirlo rapidamente nel mondo del lavoro), aumenterà l'attuale apartheid tra 12 milioni di lavoratori di fatto inamovibili a livello individuale e 9 milioni licenziabili senza vincolo alcuno.
Se il «diritto allo studio» protegge insegnanti mediocri, ciò va a scapito degli studenti con meno mezzi per i quali la scuola è la unica vera chance di azzerare i privilegi della nascita; continuerà in Italia la discriminazione tra gli studenti del Nord che hanno scuole di livello europeo e quelli del sud che l'Ocse misura essere a livello dell'Uruguay e della Thailandia. Se la sinistra da un lato lotta giustamente contro la corruzione nella sanità, ma dall'altro protegge indiscriminatamente chi ci lavora, in alcune regioni del Centro Sud con sprechi assurdi, incompetenza e pessimo livello di servizio, l'ineguaglianza della qualità del servizio sanitario pubblico tra alcune regioni del Nord e altre del Centro Sud è destinata ad aumentare, in particolare adesso che non si può ricorrere più alla spesa pubblica.
La mancanza di meritocrazia ci ha resi più ineguali, nonostante la pretesa di essere una società basata sulla solidarietà. Ma è anche la principale causa della stagnazione economica degli ultimi 25 anni. L'apartheid del lavoro, oltre a essere ingiusto, ha distrutto la produttività, perché il precario bravo raramente riceve dalle imprese gli investimenti in formazione e in sviluppo professionale, che alla fine ci rimettono in produttività. E l'immettere ogni anno molto meno studenti eccellenti (un terzo) delle società nordeuropee con scuole capaci di seguire i più lenti ma anche di valorizzare i più bravi, non creerà la classe dirigente per fare ripartire l'economia del nuovo millennio.
Convincersi che la meritocrazia porta a più eguaglianza e conseguentemente «rottamare» tanti tabù della vecchia sinistra sarà essenziale a Pier Luigi Bersani per convincere gli elettori del Pd che hanno votato per Matteo Renzi a votare per lui alle prossime elezioni e a vincerle. Ma soprattutto sarà essenziale per governare un Paese fermo da 25 anni.

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domenica 9 dicembre 2012

Strumenti per l’occupazione giovanile

Articolo di Maurizio Ferrera pubblicato sul Corriere della Sera l’8 dicembre 2012
Il contratto a tempo indeterminato resta un sogno, l'apprendistato non decolla, persino il lavoro precario diminuisce. La crisi ha reso le prospettive occupazionali dei giovani ancora più drammatiche. Il governo cerca soluzioni e sta ora considerando l'ipotesi di una «staffetta» che dovrebbe funzionare così: un lavoratore anziano accetta di mettersi a part time, la Regione versa contributi aggiuntivi in modo che non ci siano perdite pensionistiche, l'azienda assume un giovane (che costa meno di un anziano). Una sorta di «patto fra generazioni», incentivato dallo Stato.
La disponibilità di fondi - e dunque la fattibilità dello schema - è incerta, ma intanto vale la pena di chiedersi: sarebbe una buona idea?
I giovani italiani hanno disperato bisogno di qualche segnale positivo circa il proprio futuro, le imprese devono essere incoraggiate a servirsi dell'apprendistato. Se questo strumento non diventa il canale «naturale» di accesso al mercato del lavoro, la riforma Fornero della scorsa estate fallirà il suo scopo. Il passaggio dal tempo pieno al part time deve a sua volta diffondersi come uno dei percorsi normali di ritiro graduale dal lavoro, come già avviene in altri Paesi. Se (rispettando le compatibilità di bilancio) fosse in grado di creare nuovi posti da apprendista e di rimuovere gli ostacoli organizzativi e culturali alla cosiddetta flessibilità «buona», l'introduzione di uno schema a staffetta potrebbe svolgere una funzione positiva.
Qui il resto del post L'idea che il problema occupazionale possa risolversi con un patto fra generazioni è però sbagliata. Poggia infatti sull'assunto che i giovani possono trovare lavoro solo nella misura in cui i lavoratori più anziani liberano «posti», andando in pensione. Sembra una supposizione ovvia e in alcuni casi (a questo o a quel giovane, in questa o quella azienda) le cose stanno davvero così. Ma se guardiamo ai grandi numeri, non troviamo alcuna correlazione fra i tassi di occupazione degli anziani e i tassi di disoccupazione dei giovani. In altre parole: non è vero che se gli anziani si tolgono di mezzo, più giovani trovano lavoro.
Le economie non sono delle scatole rigide, che possono fornire occupazione solo a un numero fisso di persone: mille dentro solo se altre mille vanno fuori. Il totale è variabile e dipende da tanti fattori, gli stessi che generano crescita o decrescita: competitività, innovazione, capitale umano, diritto del lavoro e così via. Dove questi fattori si combinano in modo virtuoso, l'occupazione aumenta per tutti: giovani e anziani, uomini e donne. In Olanda negli ultimi quindici anni il tasso di occupazione femminile è aumentato del 54 per cento, quello degli uomini è rimasto stabile. Nello stesso periodo la Gran Bretagna ha registrato un incremento congiunto sia dell'occupazione giovanile sia di quella dei lavoratori con età compresa fra i 60 e 65 anni. In Francia entrambi i tassi sono invece diminuiti. Lo scambio generazionale e quello fra i generi non sono evidentemente la strada giusta da percorrere.
La crisi che stiamo attraversando è molto grave ed è ragionevole non lasciare nulla di intentato. Bisogna però evitare false illusioni, fra chi governa e soprattutto fra chi si trova in condizioni di disagio. Se attecchisce l'idea che la soluzione al problema della disoccupazione giovanile è il patto generazionale, allora perché oltre alla staffetta dentro le imprese non abbassiamo di nuovo l'età pensionabile? Perché, già che ci siamo, non ripristinare i prepensionamenti e le pensioni baby? Qualche irresponsabile lo sta già proponendo. Attenzione: ci siamo già passati e da trent'anni siamo il Paese Ue con i più bassi tassi di occupazione (totale, femminile e giovanile) e il più alto debito pubblico.

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sabato 8 dicembre 2012

Berlusconi e PDL irresponsabili



Intervento del Segretario del PD alla Camera durante le dichiarazioni di voto finale sul provvedimento di riduzione dei costi della politica negli Enti Locali. "Destra irresponsabile, noi avanti con moralità e lavoro. Berlusconi scende in campo con il suo piatto forte da spartirsi con la Lega: no regole, no tasse, no Europa e dichiarando che Monti è un usurpatore e un affamatore del popolo. Leali sì, ma ingenui no. Non pagheremo il prezzo della vostra propaganda".
"In Italia ci siamo anche noi. E le domande che voi non vi fate, ve le facciamo noi a una a una: pensate o no di avere qualche responsabilità se l'Italia è la dove doveva essere sul punto più esposto della crisi?
Il Paese ha un drammatico bisogno di una nuova assunzione di responsabilità da parte di tutti ma è evidente che per il Pdl il governo Monti è stata una parentesi, la apre, la chiude e poi torna tutto come prima. Siete stati degli irresponsabili, irresponsabili - ha scandito Bersani rivolgendosi ai deputati del centrodestra - ci avete raccontato che non c'era la crisi".
E' Iniziato così l'intervento di Pier Luigi Bersani, nel corso delle dichiarazioni di voto sul decreto legge sui costi della politica negli Enti Locali. E rivolgendosi ai "colleghi leghisti: "Ci parlate di recessione, ma lo sapete che dal 2007 perdiamo 20 punti di produzione industriale? In quegli anni ci si raccontava che la crisi era psicologica. Voi lo raccontavate".
Bersani parlando poi del ritorno in campo di Silvio Berlusconi, ha espresso "tanta amarezza per l'eterno ritorno di una strada che ci ha portato al disastro. Berlusconi scende in campo con il suo piatto forte da spartirsi con la Lega: no regole, no tasse, no Europa e dichiarando che Monti è un usurpatore e un affamatore del popolo. Leali sì, ma ingenui no. Non pagheremo il prezzo della vostra propaganda", ha detto rivolgendosi al Pdl, che vorrebbe far venir meno la maggioranza al governo.
Sulle tasse ed in particolare sull'IMU il leader del PD ha incalzato il Pdl, chiarendo che "l'IMU non è la tassa di Monti è la tassa di Berlusconi. Di Berlusconi e Tremonti". Bersani ha sottolineato che a firmare l'atto in Europa che vincola al pareggio di bilancio per l'anno prossimo è stato il Governo Berlusconi.
"A voi le favole e i cieli azzurri, a noi la testa del cambiamento", ha concluso Bersani tra gli applausi dei parlamentari democratici.

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venerdì 7 dicembre 2012

Alessandra Moretti: nuove regole o vecchi strumenti

E’ stata scritta una nuova pagina di democrazia con lo svolgimento delle primarie del centro sinistra. Il confronto con le precedenti primarie non può essere fatto in quanto in quest’ultime vi è stata una vera competizione in un momento in cui l’Italia ha bisogno di uscire dalla crisi ed affrontare l’emergenza sociale che da diverso tempo ci attanaglia.
Per approfondire l’argomento e porre fine ad alcune affermazioni effettuate dopo le primarie ho posto alcune domande ad Alessandra Moretti, la quale è stata impegnata in qualità di portavoce nel team di Pierluigi Bersani.
Le primarie hanno segnato la vittoria di Pierluigi Bersani ed il successo di Matteo Renzi. L’avvenimento cosa rappresenta per il sistema politico italiano e quali prospettive possono fondarsi su tale evento?
Le primarie sono state l'occasione per riportare la politica laddove deve stare: tra la gente, le persone perbene e, prima di tutto, vicino a chi soffre. Siamo riusciti a colmare la distanza tra politica e cittadini e questo grande patrimonio che abbiamo recuperato non deve essere disperso. Inoltre, le primarie hanno rafforzato il centro sinistra e, in particolare, il Pd e lo dimostra il grado di fiducia che gli italiani dimostrano verso il partito democratico che raggiunge la soglia del 36%.
Quali sono i punti di forza efficaci di Pierluigi Bersani e di Matteo Renzi per realizzare un grande cambiamento nel Pd e nel paese coerente con le aspettative degli elettori?
Pierluigi Bersani é una persona che sa coniugare la capacità di governo con il coraggio del cambiamento e della innovazione. É un politico onesto, competente in grado di cambiare il paese senza spaventare gli italiani che lo sono già per le difficili condizioni socio/economiche.
Matteo Renzi é un dirigente del partito democratico ed ha contribuito a rendere le primarie un confronto serio ed autentico tra due diverse visioni e ricette per il nostro paese. Sono sicura che si metterà a disposizione del partito e con grande senso di responsabilità continuerà a rappresentare gli interessi e le attese dei tanti italiani che lo hanno votato.
Per costruire un’alternativa democratica e sconfiggere il centro destra, il quale continua a dipendere da Berlusconi nonostante i disastri che ha causato, è necessaria una sostanziale unità tra Bersani e Renzi nel Pd per affrontare positivamente le prossime elezioni politiche o al contrario occorre che il vincitore delle primarie, Bersani, gestisca il Pd con la propria maggioranza senza tentare una sintesi unitaria?
Bersani ha sempre avuto, in questi anni, un atteggiamento inclusivo nei confronti delle diverse anime presenti nel Pd. Continuerà a farlo anche nei confronti di Renzi che fa parte di quella grande squadra che contribuirà a portare il centro sinistra a governare il Paese.
Gli elettori hanno votato alle primarie scegliendo liberamente e senza intermediazione Bersani e Renzi, altrimenti non si spiega il livello dei consensi ricevuti dai due candidati, e sono molto attenti all’immagine del Partito Democratico. Il rinnovamento dei parlamentari, in particolare di quelli che hanno superato i tre mandati, ed il coinvolgimento di nuove e fresche capacità e competenze sono obiettivi da conseguire?
Certamente si. Bersani ha dichiarato che sarà il garante di questo rinnovamento che, peraltro, é già in atto da diverso tempo soprattutto nei territori dove a governare le città, le Province, le Regioni e le segreterie sono giovani under 40 bravi, preparati e in grado di assumere sulle proprie spalle responsabilità sempre maggiori.
Il Pd è un partito plurale che rappresenta diverse culture e sensibilità. Abbandonare gli schemi ideologici del passato e gli strumenti anacronistici che non hanno risolto il problema dell’uguaglianza è una strada da intraprendere per ripensare la sinistra?
Siamo e saremo sempre di più un partito al passo con i tempi e i bisogni dei nostri elettori e simpatizzanti. Innoveremo il Pd, le idee, i metodi e anche le facce, senza però mai dimenticare le radici, la storia, i valori e i principi da cui proveniamo.
Lei è impegnata nell’amministrazione comunale di Vicenza. Vuole raccontare in breve la sua esperienza e le responsabilità degli amministratori in questo momento di crisi finanziaria che colpisce gli enti locali?
La mia attività di Vicesindaco e Assessore all'istruzione e ai giovani, é stata un'esperienza politica e amministrativa straordinaria. Ho imparato a dare risposte, risolvere problemi, affrontare con coraggio cambiamenti e riforme necessarie. Gli amministratori sono stati in questi anni l'unico punto di riferimento per i cittadini, in un contesto di grande difficoltà e sofferenza.
Credo che la politica debba ripartire proprio dai territori, restituendo ai cittadini il diritto di scegliere i propri rappresentanti e per ridare credibilità alla politica.

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martedì 4 dicembre 2012

Primarie: vittoria di Bersani e successo di Renzi

Alla vigilia del voto, sabato 1° dicembre, ero abbastanza preoccupato per il livello delle polemiche e di scontri che si erano verificati in Facebook ed ho scritto la seguente dichiarazione: “Considerato che Bersani e Renzi prenderanno il caffè insieme per lanciare un appello alla serenità per domani e non potendo tutti noi prendere un caffè con loro, ritengo che l'unica cosa che possiamo fare per rappresentare la nostra appartenenza al Pd è quella di abbassare i toni e iniziare a pensare al 3 dicembre dopo i risultati per realizzare un grande cambiamento nel Pd e nel paese. Vi sono molte speranze nella società civile che non bisogna disattendere con polemiche che hanno un respiro corto”. La dichiarazione ha avuto molti consensi perché il vero problema, oltre al risultato delle primarie, è la gestione del consenso dal 3 dicembre in poi per affrontare unitariamente le prossime elezioni politiche.
Domenica sera sono venuti i risultati: la vittoria di Bersani ed il grande successo di Renzi. Le primarie hanno rappresentato un grande avvenimento democratico ed hanno ridotto le distanza tra il Pd ed i cittadini che responsabilmente hanno partecipato alle primarie. I consensi sono andati direttamente a Bersani e Renzi senza intermediazione ma con convinzione. Questo vuol dire che la nomenclatura è stata quasi assente non per propria volontà e non ha influito sui risultati.
Ieri ho letto e ascoltato alcune dichiarazioni che vanno al di là delle posizioni di Bersani, grande vincitore delle primarie, ed ho colto il tentativo di condizionare le posizioni politiche del segretario. Ritengo che tutto questo è sbagliato perché bisogna lasciare il tempo a Bersani di esprimere una strategia politica per il PD che ha urgente bisogno di liberarsi della nomenclatura e, quindi, di rinnovarsi, e per il paese che soffre dei problemi causati dalla crisi. Inoltre, penso che non sia corretto anticipare o condizionare quelle che potrebbero essere le posizioni di Bersani.
Gli elettori hanno espresso il loro consenso nei confronti di Bersani per la sua serietà, consapevolezza, capacità di rappresentare unitariamente il centro sinistra e non per essere vittima della nomenclatura.
Ieri ho scritto quanto segue: “Ferma restando la fiducia e la stima che ho in Pierluigi Bersani, stamattina, 3 dicembre, non mi sono piaciute due cose: La dichiarazione di Fassina sul Corriere della Sera "la riforma del lavoro di Pietro Ichino è un capitolo chiuso" - vorrei conoscere la sua riforma; La dichiarazione di Matteo Orfini "Monti non ritornerà alla Bocconi perché è senatore a vita", condizionando le dichiarazioni di Pierlugi Bersani sull'utilizzo di Monti per il bene del paese. Non vorrei che la vittoria di Bersani fosse condizionata da queste persone che rappresentano la nomenclatura del partito. Questi esponenti non considerano che circa il 40% del centro sinistra, percentuale che aumenta se si considera l'elettorato democratico, ha votato per Matteo Renzi e che occorre considerare tali consensi nel Pd e nel Governo in caso di vittoria elettorale. Penso che i consensi a Bersani e a Renzi provengono per la maggior parte da un elettorato di opinione e che la nomenclatura non ha inciso per nulla altrimenti i consensi a Bersani sarebbero stati molto più alti (il 97% dei parlamentari del Pd hanno sostenuto Bersani). Adesso bisogna unire e lasciare Bersani libero di stabilire la strategia più giusta e correlata agli elettori per vincere le prossime politiche.
Ci aspettiamo un grande rinnovamento nel Pd e nella compagine Governativa. Le liste elettorali del Pd saranno il banco di prova del cambiamento e la fine delle vecchie logiche correntizie che non riscuotono consensi nella società. Vogliamo un partito libero e nuovo”.
Aspetto con correttezza la posizione di Bersani, la quale dai giornali di stamattina ritengo che sia positiva.
Adesso è il momento di pensare non alla propria sopravvivenza politica, come diversi esponenti cominciano a fare, ma ad un cambiamento radicale nel Pd e nel paese.
Si invitano i parlamentari che hanno superato le tre legislature di seguire l'esempio di Veltroni e D’Alema che hanno scelto liberamente di non candidarsi. Se questo dovrebbe verificarsi sono diverse le aggregazioni di potere che saltano nel Pd e si pongono le condizioni di attribuire agli elettori il mandato di decidere democraticamente con le primarie di collegio.
Occorre che tutti gli elettori che hanno votato nelle primarie si trovino nel Pd come a casa loro attraverso una particolare attenzione nei loro confronti e, pertanto, le strutture periferiche del partito dovranno realizzare un sistema aperto, partecipato e trasparente.
Buon lavoro Pierluigi Bersani abbiamo tanta fiducia in te per l’equilibrio, capacità e visione che hai dimostrato.

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venerdì 23 novembre 2012

R. Speranza, A. Moretti e T. Giuntella per Bersani

Siamo arrivati agli ultimi giorni e le primarie del centrosinistra hanno preso il volo e coinvolto tante persone: un milione di preiscrizioni e 100mila volontari. Questi dati, i quali non sono poca cosa, dimostrano in modo univoco che le persone hanno voglia di partecipare, di mettersi al servizio delle primarie e rappresentano la vitalità del Pd e del centrosinistra che dimostra di essere propulsivo con una proposta chiara e responsabile. Spesso si guarda il partito dall'alto commettendo l'errore di sottovalutare il territorio dove vi sono tante energie e capacità che vanno liberate. I ragionamenti devono avere un approccio con la realtà e vanno semplificati in rapporto alle esigenze dei cittadini. I grandi processi teorici se non hanno un contatto con la realtà sono una elucubrazione sterile che non interessano i cittadini.
Il coordinatore del team di Pierluigi Bersani, Roberto Speranza, pone la sua attenzione all’evento con la seguente dichiarazione: “Siamo ormai a pochi giorni dal voto del 25 Novembre. Le primarie si stanno rivelando un grandissimo successo di partecipazione che ha riavvicinato tanti italiani alla politica e al Partito Democratico. La proposta di Pier Luigi Bersani appare, giorno dopo giorno, come la più forte ed autorevole. Con la sua affermazione il centrosinistra sarà in grado di aprire realmente una nuova stagione di governo per l'Italia”. Rivolgendosi agli elettori Speranza afferma: “Nel ringraziarvi per quanto avete fatto fino ad oggi, vi chiedo un ulteriore sforzo di mobilitazione per convincere gli ultimi indecisi. Come sapete, fino a domenica, è possibile iscriversi all'albo degli elettori e lavorare per portare il più significativo consenso a Bersani e al nostro progetto.
Il 25 Novembre sarà una vera e propria festa della democrazia. Circa 100.000 volontari permetteranno il funzionamento dei seggi e degli uffici elettorali in tutto il Paese. Si tratta di uno straordinario patrimonio civico di cui dobbiamo andare orgogliosi. Impegniamoci in queste ore affinché tutto si svolga in un clima di grande serenità, dimostrando quanto forte e bella è la nostra partecipazione democratica. Buon lavoro e buon voto”.
“La sfida che l'Italia deve affrontare é difficile e faticosa. La prossima sarà una legislatura di ricostruzione e costituente dove dovremo coniugare una politica del rigore con lo sviluppo economico, la crescita, il lavoro. Ritorneremo ad investire nella scuola, nella formazione, nella ricerca; settori su cui si sono abbattute le politiche del centro destra, determinando un impoverimento culturale, formativo e professionale disastroso, oltre che causare la fuga dei cervelli e dei talenti: troppi giovani italiani, capaci e competenti, lasciano il Paese per trovare all'estero condizioni migliori di lavoro, salariali e di progressione di carriera”. Dichiara Alessandra Moretti, portavoce del team di Pierluigi Bersani.
“Sarà indispensabile, continua Moretti, una forte sburocratizzazione della Pubblica Amministrazione che troppo spesso rappresenta un vincolo pesante allo sviluppo e agli investimenti nel nostro Paese. Una forte riduzione degli sprechi nella PA e degli apparati burocratici e i costi connessi. Saremo chiamati a rendere più civile questo Paese, riconoscendo, per esempio, ai bambini nati in Italia da genitori stranieri la cittadinanza”.
“Per affrontare tutto questo, conclude Alessandra Moretti, abbiamo bisogno di un Presidente del Consiglio serio, capace, autorevole, che sappia governare con una buona dose di spirito di innovazione e di cambiamento. Non quindi un uomo solo al comando, ma una persona in grado di guidare una squadra e che sappia mettere sempre davanti non la propria ambizione personale ma il bene del Paese e degli italiani. Sono tra le ragioni che mi convincono a votare Pierluigi Bersani ed a invitare tutti voi a votarlo alle primarie di giorno 25”.
Tommaso Giuntella, membro del team di Pierluigi Bersani, dichiara: “Abbiamo percorso insieme una strada che viene da lontano. In questi anni abbiamo costruito un'alternativa di governo solida, fresca e inclusiva. Pierluigi Bersani presta il suo volto a questo nostro cammino comune, iniziato con le democratiche e i democratici e che ci ha portato ad incontrare tanti compagni di strada, di altri partiti, di movimenti, di associazioni, di persone e comunità impegnate per il bene comune. “Lasciamoci davvero alle spalle, conclude Giuntella, gli anni delle soluzioni semplici, delle favole a buon mercato e degli uomini soli al comando. Abbiamo bisogno di mettere insieme l'esigenza di cambiamento radicale e la necessità che questo cambiamento si traduca in un'azione di governo efficace e duratura. Ecco perché mi appello a tutti voi perché partecipiate a questo momento storico. Perché con Pierluigi Bersani siamo tutti candidati al governo di questo Paese. E' una squadra, che ha bisogno di una figura in grado di unire, di coordinare e di portarci in Europa, di fronte ai leader dei Paesi con i quali è necessario riprendere a costruire un'Unione Europea che sappia parlare di cittadinanza, di solidarietà, di diritti, di lavoro, di giustizia ed equità. La ricorrenza del cinquantenario del Concilio ci porti alla mente il fatto che abbiamo bisogno di recuperare quelle parole perdute: dialogo, speranza, uguaglianza. Con Bersani ci candidiamo a scrivere una nuova pagina, un Paese moderno, competitivo, alleggerito da sprechi e lungaggini, ma che sia in grado di occuparsi prima delle sue criticità e delle sue parti più deboli. Perché nessuna catena è più forte del suo anello più debole”.
Il team di Bersani ha compiuto un ottimo lavoro, incontrando gli elettori in ogni parte d'Italia e ponendo attenzione ai problemi ed alle proposte delle persone.In questo periodo Alessandra, Roberto e Tommaso hanno tralasciato i loro problemi per dedicarsi esclusivamente alle primarie ed al sostegno di Bersani. Bersani è stato fortunato ha scegliere una squadra efficace ed affidabile.

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giovedì 22 novembre 2012

Servizi pubblici locali: liberalizzazioni e nuove competenze

Articolo di Antonio Alizzi e Federico Testa pubblicato su Management delle utilities n. 3 2012
Il settore dei servizi pubblici locali in Italia pare infine avviato a un processo di liberalizzazione, superando le difficoltà che in questi anni sono state frapposte ad una reale apertura alla concorrenza ed al mercato. La recente disciplina, contenuta da ultimo nel c.d. “decreto liberalizzazioni”, porta infatti a compimento un percorso lungo e travagliato, che ora riserva al “pubblico decisore” un ruo¬lo nuovo e diverso, volto sia alla regolazione che all’organizzazio¬ne delle fasi iniziali del processo, quali quella della circoscrizione dell’attività da mettere a gara, l’individuazione dei criteri di aggiu¬dicazione, la definizione delle modalità di “modificazione contrat¬tuale” di patti che hanno durata pluriennale e che pertanto sono esposti a mutamenti normativi, evoluzioni tecnologiche, cambia¬menti culturali e quant’altro può risentire dello scorrere del tem¬po. Tutto questo richiede ad una Pubblica Amministrazione, trop¬po spesso abituata a confinare il proprio ruolo a meri controlli di legittimità e conformità normativa, la capacità di individuare e de¬finire i bisogni della comunità, trasferirli in specifiche di servizio e norme contrattuali, con una logica di adattamento continuo al mu¬tamento. Una sfida difficile, ma che può rappresentare la chiave di volta per la riqualificazione e la rimotivazione del settore pubblico.
1. Introduzione. Il servizio pubblico locale, un concetto relativo
La nozione di bisogno pubblico necessariamente comporta il riferimento al livello di qualità della vita considerato adeguato da una determinata colletti¬vità in un ben definito momento storico. La categoria del servizio pubbli¬co si presenta pertanto estremamente mutevole, nel senso che “il tipo ed il contenuto delle prestazioni richieste ed offerte sono alquanto variabili, dipendendo assai dalla natura dei vinco¬li o/e delle regole o/e delle consuetudini, in base ai quali si svolgono le re¬lazioni fra individui”1 all’interno di un contesto civile2.
Da questo punto di vista, è eviden¬te come in contesti economicamente e socialmente sviluppati quali quelli che caratterizzano la “società del be¬nessere”, dove possono ritenersi so¬stanzialmente soddisfatti i bisogni pri¬mari “da consumo” di beni materiali, acquisiscano un ruolo fondamentale ai fini della determinazione della “quali¬tà della vita”3 servizi quali l’assistenza sanitaria e previdenziale, l’istruzione, i trasporti, la sicurezza, l’approvvigiona¬mento energetico, lo smaltimento dei rifiuti, la conservazione dell’ambien¬te fisico-naturale. Elencazione, que¬sta, non certo da assumere in chiave prescrittiva, ma al contrario in termi¬ni evolutivi, nel senso che il livello di crescita economica4, culturale e socia¬le di una collettività determina conse¬guentemente il maturare di consape¬volezze e bisogni5 che, in quanto av¬vertiti diffusamente ed in misura pro¬fonda, acquisiscono la natura di biso¬gni pubblici.
Questo tipo di approccio, che ha il pregio di essere dinamico, valido pro-tempore6, e quindi di richiedere un’o¬pera di costante “monitoraggio” del contesto ambientale e sociale, è quel¬lo che meglio si presta ai fini di una lettura economico-aziendale del problema.
L’ulteriore qualificazione del servizio pubblico quale locale indica il lega¬me stretto intercorrente con il territo¬rio su cui insiste la collettività di riferimento7.
Il contenuto della “località” si comprende nella contrapposizione fra servizio pubblico locale e servizio pub¬blico nazionale. Il carattere locale del servizio deriva sostanzialmente da due fattori: dalla convenienza economica all’organizzazione su scala minore op¬pure dal carattere particolare, legato alle caratteristiche della comunità lo¬cale, del bisogno. Si pensi alla raccol¬ta dei rifiuti solidi urbani, all’illumina¬zione pubblica, alla gestione degli im¬pianti semaforici. La distinzione, pe¬raltro, non sempre è agevole, poiché il servizio può presentare contempora¬neamente caratteri che lo qualificano sia come nazionale, sia come locale, e quindi il connotato della “località” fi¬nisce anch’esso per dipendere, alme¬no in parte, dalle vicende storiche, po¬litiche e sociali che hanno contraddi¬stinto l’evoluzione di una determina¬ta comunità.
2. I servizi pubblici locali tra “riserva al pubblico” e mercato
L’aver adottato un concetto di servizio pubblico quale quello sopra delineato, che prescinde dalla natura giuridica8 – pubblica o privata – del soggetto ero¬gatore, non esime peraltro il ricercato¬re dal riflettere sulle motivazioni che hanno portato, storicamente, ad affi¬dare a soggetti pubblici le attività pro¬duttive e di erogazione necessarie al soddisfacimento di “bisogni pubblici”.
Se si guarda alla produzione pubbli¬ca di beni e servizi, il fenomeno ha assunto una notevole rilevanza quanti¬tativa ed una consistente varietà qualitativa a partire dalla seconda me¬tà dell’Ottocento. Di certo all’origine “dell’intervento governativo fu il dirit¬to di passaggio su terra e spazi privati scarsi e frammentati. I costi di transa¬zione per accaparrarsi tali spazi e ter¬ra per le ferrovie, i sistemi di distribu¬zione dell’acqua (…) sembrano essere stati ovunque tali da indurre le com¬pagnie private a richiedere quella che era considerata una grave infrazione dei diritti di proprietà privata: l’espro¬priazione obbligatoria da parte del¬lo Stato”9. Ciò richiedeva l’intervento del pubblico, ma non ancora la pro¬prietà statale o municipale dei servizi pubblici: in tal senso, diventano deter¬minanti motivazioni quali la necessi¬tà di connettere, in tempi brevi, regio¬ni lontane con legami culturali e fisici, promuovendo in tal modo l’integrazio¬ne politica e sociale, nonché la preoc¬cupazione di risolvere il problema del¬la logistica militare. Ma l’espansione del ruolo attivo dello Stato va correlata soprattutto al consolidamento ed alla diffusione degli effetti della rivoluzio¬ne industriale, ovvero all’affermazione di nuovi bisogni dell’economia e delle popolazioni e all’avvento di nuove ide¬ologie. In questo senso il ruolo supple¬tivo e correttivo dello Stato nei con¬fronti del mercato era quello di elimi¬nare, o ridurre, il rischio che una de¬terminata attività, lasciata all’inizia¬tiva privata, non venisse svolta o ve¬nisse trascurata, a discapito della col¬lettività, giacché non soddisfacente¬mente remunerativa; oppure divenisse oggetto di monopolio, per cui i prez¬zi dei beni prodotti sarebbero diven¬tati più alti di quelli economicamente giustificabili”10. In questo senso è illu¬minante l’espressione del Montemarti¬ni, il maggiore teorico della prima mu¬nicipalizzazione dei servizi, che affer¬ma: “nasce quasi come pubblica fun¬zione del Municipio questa di combat¬tere il monopolio, d’aiutare il consu¬matore alle prese collo sfruttamento di un privato imprenditore … talché ogni cittadino sarà tutelato contro i perico¬li del monopolio, come ogni cittadino ha l’eguale protezione, da parte dello Stato, contro gli assassini od i ladri”11. Dinanzi all’urgenza dei nuovi bisogni la teoria economica elaborava una vi¬sione dello Stato quale forma di co¬operazione sociale e riconosceva che “vi sono bisogni collettivi al cui sod¬disfacimento non possono mai adem¬piere gli individui da se stessi” per cui “l’azione dello Stato e dei minori enti di diritto pubblico subentra… all’azio¬ne individuale”12: in questa direzione, forte fu la pressione proveniente dalle organizzazioni degli strati economica¬mente deboli della società, che riven¬dicavano una maggiore produzione di beni e servizi pubblici come strumento di redistribuzione e di miglioramento delle condizioni di vita13.
A queste considerazioni più generali sul ruolo dell’intervento pubblico in economia, altre più specifiche se ne affiancano in relazione alle caratteri¬stiche di “produzione ed esercizio” di buona parte dei servizi pubblici14, ed in particolare:
– alla necessità di dimensionamento della capacità produttiva alla pun¬ta della domanda15, con il conse¬guente aggravio dei costi di gestio¬ne16, in forza della “impraticabilità sociale” dell’indisponibilità di de¬terminati servizi;
– ai vincoli di carattere naturale rela¬tivi all’utilizzo di determinate risorse ambientali scarse;
– alle difficoltà tecniche afferenti al¬la gestione di pluralità di reti, ad esempio nel sottosuolo cittadino.
L’intervento del “pubblico” nell’erogazione di servizi pubblici è parso così trovare giustificazione – al di là del¬le considerazioni di ordine “politico-sociale”, per cui si può legittimamente ritenere che lo strumento più idoneo all’erogazione di servizi pubblici sia quello dell’impresa a soggetto giu¬ridico pubblico, che “per sua natura” si prefigge uno scopo diverso dalla pura e semplice remunerazione del capitale investito17 – nell’inadeguatezza dei meccanismi di mercato nell’allocazione delle risorse produttive18, che si riteneva caratterizzassero la produzione e/o l’erogazione dei servizi pubbli¬ci e rappresentassero il denominatore comune di beni e servizi che, da un punto di vista merceologico, potevano considerarsi del tutto diversi. Di qui la scelta che ha contraddistinto la storia economica e sociale recente, in mol¬ti Paesi, tra cui l’Italia, di dare vita ad una “riserva per il pubblico” ad opera¬re nel campo dei servizi che presenti¬no le caratteristiche sopra richiamate, così da poter godere dei vantaggi tipi¬ci delle situazioni di monopolio natu¬rale19 (che caratterizzano le distribu¬zioni attraverso reti), nelle quali si as¬siste a fenomeni di market failure at¬tribuibili20 principalmente:
– all’esistenza di economie di scala, per cui un monopolista riesce a ser¬vire tutto il mercato a costi minori di quanto potrebbero fare due o più imprese21;
– al manifestarsi di economie di inte¬grazione verticale, per cui la grande impresa presente in tutte le fasi del processo gode di vantaggi in termi¬ni di costi22;
– all’emergere di problemi di ordine tecnico inerenti al coordinamento delle reti23;
– alla presenza di costi di transizio¬ne che invece verrebbero a generarsi in situazioni di concorrenza nel passaggio da un operatore all’altro24.
L’assetto di mercato determinatosi sul¬la base delle motivazioni sopra illu¬strate, dopo aver improntato al model¬lo del servizio pubblico gestito da sog¬getti aventi natura giuridica pubblica ed operanti in condizioni di monopolio il mondo dei pubblici servizi per buo¬na parte del secolo scorso, negli anni più recenti è stato messo pesantemen¬te in discussione in forza di significa¬tivi mutamenti prodottisi nel contesto ambientale.
La tendenza a privilegiare “un orientamento alla produzione piuttosto che al mercato” spiega l’incapacità delle imprese municipalizzate di percepire e quindi di rispondere prontamente a tutte quelle sollecitazioni che, soprattutto a partire dai primi anni Ottanta, hanno complicato e destabilizzato il contesto ambientale25; fra queste si ricordano prioritariamente26 la progressiva emancipazione dell’utente, che ha generato pressanti richieste di qualità, i cambiamenti intervenuti in forza del progresso tecnologico che ha inve¬stito anche alcuni dei processi di pro¬duzione dei pubblici servizi, la spinta verso l’apertura dei mercati derivante dalle iniziative comunitarie, associata al mutamento delle logiche che informavano la finanza pubblica e, di con¬seguenza, la politica tariffaria e di finanziamento delle imprese.
La difficoltà e la rigidità27 dimostra¬te dalle aziende pubbliche nel “met¬tersi al passo” con le mutate esigen¬ze dei consumatori28 hanno poi finito per essere enfatizzate dal “conti¬nuo confronto con altre aree dell’attività economica, con altri settori di ser¬vizi, specie privati, nei quali si è avu¬to, si ha, o comunque si ritiene vi sia, un migliore e più rapido adattamen¬to dell’offerta alle caratteristiche del¬la domanda”29.
Se a ciò si aggiunge il fatto che la ne¬cessità di soddisfare esigenze di socia¬lità30, in qualche modo implicitamen¬te e “naturalmente” correlata alla na¬tura pubblica del soggetto erogatore dei servizi, ha sovente finito per “fare da velo” a fenomeni diffusi di ineffi¬cienza31, o comunque al perseguimen¬to, da parte di manager e amministra¬tori di nomina politica, di obiettivi im¬propri e “privati” piuttosto che del be¬nessere pubblico32, ci si rende conto di come fosse in qualche modo ine¬vitabile che si ponesse la questione dell’adeguatezza stessa del modello della gestione dei servizi pubblici attraverso soggetti imprenditoriali aven¬ti natura pubblica, di cui viene messa in discussione la legittimazione so¬ciale. Infine, il consolidamento e l’estensione dell’ordinamento comunita¬rio e del suo principio fondante della concorrenza come elemento costituti¬vo del mercato unico europeo33 hanno certamente contribuito ad avviare grandi processi di trasformazione nel settore dei servizi pubblici.
Si tratta di regole dirette a sostene¬re lo sviluppo dei meccanismi concor¬renziali e ad evitare che l’impatto at¬teso dalla loro introduzione sia ridot¬to a causa di un uso distorsivo del po¬tere di mercato detenuto dalle impre¬se in posizione dominante (c.d. in¬cumbent), e che hanno interessato progressivamente l’insieme dei set¬tori coinvolti nell’erogazione di servizi pubblici.
Di qui, pertanto, la spinta34 all’ade¬guamento delle legislazioni nazionali dei singoli Paesi europei, soprattutto di quelli meno naturalmente disposti a superare assetti strutturali ed equilibri di potere ormai consolidati, nella dire¬zione di intraprendere la via della libe¬ralizzazione dei mercati e della priva¬tizzazione delle imprese. Se a tutto ciò si aggiungono i crescenti vincoli di bi¬lancio a livello centrale (cui non è sta¬ta certo estranea la necessità di rag¬giungere i parametri di Maastricht) e di conseguenza a livello locale, si può capire da un lato come nella dismis¬sione dal patrimonio pubblico di quo¬te delle aziende di servizi pubblici sia stata intravista una possibilità per cre¬are flussi di cassa aggiuntivi, dall’altro come diventi sempre più impraticabi¬le la strada del finanziamento diretto della spesa in conto capitale relativa ai servizi, da parte delle amministra¬zioni locali, con ciò aprendo la via al¬la logica dell’autofinanziamento attra¬verso la politica tariffaria.
3. Dal “pubblico” erogatore al “pubblico regolatore”
Si va quindi, per il complesso di moti¬vazioni sin qui illustrate, verso model¬li organizzativi dell’intervento pubbli¬co nei servizi pubblici diversi da quel¬li del passato, che prevedono l’apertu¬ra del mercato a forme di concorren¬za (liberalizzazione) e la trasformazione proprietaria degli enti di gestione e delle infrastrutture (privatizzazione).
In ogni caso, i processi di trasformazione non significano certo che il pub¬blico decisore “batta in ritirata” dal settore delle public utilities. Signi¬fica piuttosto che i soggetti pubblici hanno a disposizione una “tastie¬ra” di strumenti ben più ampia e ricca del passato, e che “le forme più efficaci ed efficienti sono quelle che sfruttano le capacità auto-regolative del mercato, piuttosto che sostituirle con meccanismi di tipo amministrativo e burocratico”35. Di qui un ruolo del pubblico decisore che non neces¬sariamente si depotenzia, ma cambia connotati, assumendo i caratteri pre¬valenti dell’intervento regolatorio, per il quale dovranno essere trovati di vol¬ta in volta “punti di equilibrio” che ga¬rantiscano una corretta ed equa con¬temperazione tra interessi della col¬lettività e tutela della libertà economi¬ca e di impresa36, e quindi anche dei vantaggi competitivi acquisiti o degli eventuali “costi sociali” da sostene¬re. Si pensi, a puro titolo di esempio, all’esigenza – tipica del servizio pub¬blico – di garantire un servizio univer¬sale, tale che ciascun individuo pos¬sa goderne a prezzi e livelli di quali¬tà ragionevoli: ciò implica la necessità di definire regole e modalità di riparti¬zione dell’onere del servizio universa¬le tra i diversi operatori, al fine di evi¬tare che i nuovi entranti collochino la loro offerta solo sui segmenti più re¬munerativi, lasciando all’ex monopoli¬sta il compito di coprire i costi relati¬vi all’universalità del servizio. Per altro verso, per garantire l’effettivo svilup¬po della competizione occorre evitare abusi o comportamenti anticompetiti¬vi, sia in termini di prezzi che di quali¬tà del servizio, da parte dell’ex-mono¬polista, che in generale risulta proprie¬tario o gestore della rete ed allo stesso tempo concorrente: di qui, ad esem¬pio, l’importanza assunta dalle tarif¬fe di interconnessione alla rete ai fi¬ni della competitività dell’offerta del nuovo entrante.
L’attività di regolazione nel campo dei servizi di pubblica utilità mira quin¬di a perseguire un duplice obiettivo: da un lato evitare che le ragioni di ti¬po economico-gestionale che sovente consigliano una certa limitazione del¬la concorrenza nell’ambito dell’eroga¬zione di pubblici servizi, comportino l’insorgere di quelle situazioni di inef¬ficienza o abuso che si ritiene siano di norma evitati dall’operare di un re¬gime di concorrenza tra gli operatori, dall’altro porre precise garanzie a tu¬tela della collettività nei casi in cui i servizi in esame siano invece gestiti da privati37. Si affida pertanto alla re¬golazione un ruolo di “supplenza” ri¬spetto all’assenza dei meccanismi di mercato, con riferimento agli opera¬tori pubblici e privati che in forza di concessioni o contratti di programma operano nel campo dei pubblici servi¬zi. Gli ambiti di intervento della rego¬lazione38 sono quelli della sfera socia¬le, attinente alle problematiche lega¬te all’equità dei servizi, nonché quel¬li relativi agli aspetti più propriamen¬te economici.
In sostanza ci si propone da un lato di ristrutturare l’offerta al fine di ottene¬re servizi in quantità e qualità superio¬re e ad un costo più basso, e dall’al¬tro di mantenere comunque la centra¬lità della funzione sociale e di suppor¬to allo sviluppo economico attribuita ai servizi pubblici locali. Per giunge¬re a questo risultato, si punta all’in¬troduzione di forme di competizione nella erogazione di servizi pubblici: ove possibile, obiettivo del legislatore è la creazione di forme di concorren¬za nel mercato attraverso la presenza di una molteplicità di operatori. Qua¬lora le particolari condizioni tecniche ed economiche di fornitura del ser¬vizio non rendano possibile la simul¬tanea presenza di più operatori sul¬lo stesso mercato, vengono introdotte forme di concorrenza per il mercato, cioè per l’acquisizione della conces¬sione del servizio: si viene così a sta¬bilire un confronto fra le imprese, in termini di quantità, qualità e costi dei servizi, al momento dello svolgimento della gara per l’attribuzione del diritto ad operare ad esclusione di ogni altro su di un certo ambito territoriale.
L’insieme delle motivazioni sopra esposte ha fatto si che anche nel no¬stro Paese, così come in altri, venis¬sero adottati, negli anni recenti, im¬portanti provvedimenti di riforma del mercato di alcuni servizi (segnatamen¬te energia elettrica e gas), nonché si procedesse alla elaborazione di organi¬ci progetti di riforma dell’intero siste¬ma dei servizi pubblici locali, con l’in¬tenzione di introdurre nei mercati dei servizi pubblici dinamiche di competizione tra gli operatori.
In questo quadro, un cambiamento importante è richiesto alle pubbliche amministrazioni locali, che hanno visto mutare le proprie responsabilità nelle fasi di:
– assetto/regolazione del processo di assegnazione delle concessioni (la circoscrizione dell’attività da mettere a gara, l’individuazione dei criteri di aggiudicazione, la definizione delle modalità di “modificazione contrattuale” dei patti pluriennali, ecc.);
– avvio e gestione concreta della relazione;
– monitoraggio e controlli post-gara.
In questa seconda parte del lavoro, quindi, appare utile e conseguente proporre una riflessione concettuale più ampia – economica e manageriale in primo luogo, ma anche di teoria organizzativa, politica e sociale – che consenta di identificare più nitida¬mente quali siano le competenze ma¬nageriali che il processo di liberalizza¬zione, avviato dal legislatore e tutt’o¬ra in essere in tema di servizi pubbli¬ci locali, richiede di sviluppare qualo¬ra già presenti, o che incoraggia ad in¬cludere nella “cassetta degli attrezzi” del buon governo, nel caso non anco¬ra individuate.
Isolare tali competenze manageriali potrebbe generare un doppio beneficio pratico per il sistema della pubblica amministrazione:
• per un verso essa, dotandosene, ri¬uscirebbe a estendere il proprio raggio di azione di là dall’esercizio dei meri controlli di legittimità e conformità normativa in cui spesso si è auto-confinata e si continua ad auto-confinare anche adesso, resistendo al cambiamento, in una logica di inerzia e di mantenimento dello status quo;
• per altro verso e allo stesso tempo, essa sarebbe in grado di individuare e definire in maniera corretta e tempestiva gli effettivi bisogni del¬la comunità, di trasferirli in specifiche di servizio e norme contrattuali, in una logica di adattamento continuo al mutamento.
Più che un punto di partenza della rilessione, tuttavia, le key-competences rappresentano il punto di arrivo di un ragionamento che parte da una considerazione di ordine generale, in¬dagata estesamente e trasversalmente in letteratura, secondo cui c’è un legame evidente tra regole di qualità e performance efficienti ed effica¬ci, sia nei processi decisionali sia in quelli attuativi39. Le regole però – det¬to brutalmente – non sono di “qualità” solo quando vengono rispettate larga¬mente ma anche e soprattutto se sono fatte bene. Che cosa vuol dire che devono essere “fatte bene”? Significa che, per parlare di qualità di una rego¬la, occorre soffermarsi su tutte le sue fasi, da quella in cui la regola non c’è ancora, ma se ne comincia a sentire la necessità, a quando viene affermata. E questo vale non solo per una singo¬la regola ma anche per i sistemi com¬plessi di regole.
Le diverse fasi possono essere organiz¬zate in un processo che chiameremo “la sequenza della regola”.
4. La sequenza della regola
Si tratta di una sequenza generale riguardante l’adozione di una regola, applicabile in più contesti economici e socio-culturali.
1) Una regola, o un sistema di regole, agisce a posteriori in uno spazio sociale ben definito.
È fondamentale operare un’analisi ex ante dell’ambiente da norma¬re al fine di mappare i bisogni che non vi trovano una risposta. Occor¬re ordinare i bisogni per storicità e per l’impatto esercitato sul processo da organizzare. Quali sono i bisogni più vecchi e quali quelli recenti? Sono in essere trend socio-cul¬turali che pongono nuove attese? Sono state tentate delle soluzio¬ni in passato o si è dinanzi a questioni trascurate/ignorate? Quali tra questi bisogni non-soddisfatti compromettono più direttamente o con maggiore forza le sfera economica, sociale, culturale su cui si intende agire?
Con riferimento a questo primo as¬sunto, la legislazione italiana in ma¬teria di servizi pubblici locali – sul versante dei cittadini – è andata in¬tonando il “canto” del libero merca¬to lungo gli anni, ha sviluppato una certa attenzione verso la qualità del¬le dinamiche concorrenziali, ha ini¬ziato da un lato a familiarizzare con indici di soddisfazione e meccanismi/ strumenti di misurazione della quali¬tà, e dall’altro, sta tuttora elaborando una sensibilità più matura nei con¬fronti della valutazione dei servizi ri¬cevuti, servizi che – a tutti gli effet¬ti – sono destinati “a soddisfare biso¬gni pubblici”40.
2) La definizione di una regola consta di più momenti, sequenziali ma distinti.
Questo secondo assunto è, a sua vol¬ta, costituito da quattro sotto-fasi.
a. La definizione degli obiettivi da raggiungere o, seguendo l’assunto 1, l’esplicitazione del bi¬sogno (o dei bisogni) a cui si desidera fornire una risposta.
b. Una valutazione concreta delle alternative, tenendo in conside¬razione gli attori e le risorse a di¬sposizione nel momento dell’a¬nalisi.
c. Una scelta consapevole e condi¬visa – nel senso che ne percepi¬sca largamente il senso di utilità e opportunità – della best option per intervenire in quel dato contesto.
d. La traduzione formale, alias la formulazione vera e propria del¬la regola.
Un’osservazione immediata, che sarà recuperata più avanti, è legata alla di¬versa natura dei punti a. e c., rispetto ai punti b. e d. La prima coppia (a. e c.) richiede un approccio e competenze tipicamente manageriali da parte delle risorse umane coinvolte: la vera sfida, infatti, consiste nel sintetizzare istanze e contributi talora molto eterogenei. La coppia b. e d., al contrario, viene ge¬stita da profili umani altamente tecnici che, facendo ricorso a saperi speciali¬stici e codificati, sanno entrare nel me¬rito delle questioni e prospettano ipote¬si di intervento e conseguenze (b. e d.).
3) Una volta implementata, la regola non può essere sottratta a due ul¬teriori processi: il controllo e la ma¬nutenzione.
Sulla questione del controllo la te¬oria organizzativa e quella manage¬riale hanno fondato una buona par¬te della loro ragion d’essere. Non essendo oggetto del presente lavoro è sufficiente notare, in questa se¬de, come presupposto e contralta¬re del principio del controllo sia il principio del comando. L’esigenza del monitoraggio, in effetti, poggia sul riconoscimento di una qualche fonte di potere alle cui disposizioni ci si conforma.
Last but not least, occorre accen¬nare al problema della “manuten¬zione” della regola. Poiché la rego¬la non è che una “soluzione” a un bisogno, è fondamentale verificare di tanto in tanto se:
• il bisogno viene soddisfatto;
• il bisogno sussiste ancora o è mutato;
• le soluzioni possibili sono aumentate/diminuite;
• pur permanendo il bisogno, la regola adottata, per qualche ragio¬ne, non sortisce gli effetti sperati o, addirittura, compromette ulteriormente la situazione.
In questi casi, porsi il problema del¬la “manutenzione” implica due azio¬ni precise:
i) unitamente all’adozione della rego¬la implementare un sistema di regi¬strazione degli effetti che va gene¬rando, quindi organizzare i dati rac¬colti in database. Prevedere dei va¬lori-soglia di performance che, nel caso non vengano raggiunti, lancino un warning.
ii) In presenza di warning, applicare “la sequenza della regola” ripartendo dalla lettera b) dell’assunto nume¬ro 2 (“una valutazione concreta delle alternative, tenendo in considera¬zione gli attori e le risorse a disposizione nel momento dell’analisi”).
5. Dalle aree di tensione alle competenze-chiave manageriali
È stato osservato in più passaggi come l’apertura alla concorrenza abbia tra¬sformato in profondità l’universo dei servizi pubblici in Italia. La transizio¬ne al mercato nelle public utilities locali tuttavia, sebbene non fosse un’e¬sperienza pionieristica a livello europeo, non è stata sempre lineare o indo¬lore in Italia. Paralleli e differenti in¬terventi di riordino legislativo, una geo¬grafia del territorio articolata e variega¬ta, contingenti equilibri politici e isti¬tuzionali da preservare, un’evoluzione tecnologica impetuosa e imprevedibi¬le, un quadro macroeconomico e geo¬politico denso di incertezze e insidie, una molteplicità di attori (locali e cen¬trali), ecc. sono solo alcuni tra i fatto¬ri di complessità che, in modo diretto o indiretto, e con un coefficiente spe¬cifico di impatto, hanno costantemen¬te condizionato: la rapidità degli inter¬venti, l’implementazione di processi efficienti, l’affermazione della centra¬lità dei diritti della collettività sugli in¬teressi dei singoli e cosi via.
Provando ad aggregare secondo una logica di omogeneità la gran parte di questi fattori di complessità, è possibile isolare – in via analitica e provvisoria – alcuni temi rilevanti.
Più che tematiche, in realtà, si può parlare di questioni aperte particolar¬mente sensibili alla regolazione che qui definiamo “aree di tensione”. Su queste aree, in altre parole, non agiscono solo gli obblighi di-fare o di-non-fare della regola, ma scaturiscono, di solito, delle riflessioni più am¬pie sul senso di utilità e di opportu¬nità che ha messo in moto il proces¬so di regolazione. Se il processo di regolazione ha osservato “la sequenza della regola” descritta sopra, allora le aree di tensione tendono a distendersi e normalizzarsi. Se, viceversa, l’attivi¬tà di regolazione non è completa, non attraversa cioè tutte e tre le fasi della sequenza, allora le aree di tensione di¬vengono “aree di conflitto” che metto¬no a rischio l’accettazione e la stessa osservanza delle regole adottate.
Il contesto italiano, rispetto alla regolazione dei servizi pubblici locali, sembra evidenziare quattro “aree di tensione”:
1. Area di tensione istituzionale
Quest’area registra una tensione tra livelli istituzionali differenti: quelli che decidono centralmente (Organiz¬zazioni internazionali, Unione Euro¬pea e Governo Centrale) e quelli am¬ministrativi (Regioni, Province, Comuni) che decidono localmente. Il pro¬cesso regolatorio, in molti casi, è condiviso e c’è bisogno che i vari livelli si allineino nella “lettura” del proble¬ma, nella condivisione degli obiettivi, nell’assegnazione delle funzioni di re¬golazione. Vi sono già, in Italia, orga¬ni di collegamento di tipo consultivo e di coordinamento41 tra il livello cen¬trale (Consiglio dei Ministri, Ministeri, ecc.) e quelli locali (Regioni, Provin¬ce, ecc.) come la Conferenza perma¬nente per i rapporti tra lo Stato, le Re¬gioni42, e a cascata, ad esempio, l’U¬nione delle Province Venete43. In tema di public utilities potrebbe essere uti¬le rivedere la natura delle relazioni tra i vari livelli. Per riorganizzarle in modo più lineare si dovrebbe ricorrere al¬la “sequenza delle regola”.
2. Area di tensione legale
La modalità con cui un’impresa ottie¬ne la concessione a erogare un servizio consiste nel prendere parte a una gara e vincerla. La gara viene indetta attra¬verso un bando che, da un lato, sinte¬tizza le condizioni e le modalità di par¬tecipazione alla competizione, dall’al¬tro contiene le condizioni e le modali¬tà con cui si aggiudica la gara e i crite¬ri attorno ai quali si svilupperà la suc¬cessiva relazione.
La predisposizione del bando e la sua pubblicazione rappresentano un’area di tensione che, data la prevalenza delle disposizioni giuridiche, qui definia¬mo “area di tensione legale”. Formu¬lare correttamente i requisiti di parte¬cipazione alla gara, ad esempio, che è un aspetto che può apparire piuttosto agevole, ha evidenziato di recente tutta la propria criticità nella più grande con¬cessione italiana, quella di Roma Capi¬tale44. Altrettanto complesso è tradurre linguisticamente i restanti aspetti del bando. I meccanismi di normalizzazio¬ne dell’area di tensione legale consisto¬no, anche in questo caso, nell’applica¬re “la sequenza delle regola”.
3. Area di tensione della sostenibilità politico-economica
Quest’area registra una tensione tra gli attori economici che erogano il servi¬zio pubblico, quelli che potrebbero po¬tenzialmente sostituirli e i decisori isti¬tuzionali che stabiliscono le regole del gioco. Nella gran parte dei casi, al di là delle specificità territoriali, la domanda a cui bisogna dare una risposta è: quali sono le condizioni economiche più sostenibili, in termini di generazio¬ne di valore, per le imprese da una parte e per i cittadini dall’altra? Gli aspet¬ti da valutare sono più d’uno. Sceglien¬do di prediligere il criterio della massi¬ma efficienza, ad esempio, le imprese espresse dal territorio, spesso già ero¬gatrici del servizio, essendo di dimen¬sioni medio-piccole potrebbero temere la competizione (impari) con le grandi imprese esterne e resistere al cambia¬mento. In questo senso il tema della sostenibilità, oltre che economico, di¬venta politico: ha a che vedere con il consenso, con la necessità di coinvol¬gere e far partecipare più risorse loca¬li possibili, in definitiva con lo sviluppo economico del territorio stesso. Anche per quest’area di tensione, il meccani¬smo di distensione da attuare è “la se¬quenza della regola”.
4. Area di tensione della stabilità sociale e del welfare
Quest’area di tensione è vicina all’area di tensione della sostenibilità politico-economica nella misura in cui, pur in¬sistendo sulle medesime questioni, ne osserva non i riflessi economici ma gli effetti sociali: la coesione sociale e le conseguenze sul sistema di welfa¬re. Come garantire: l’accesso ai servizi sociali indispensabili a ogni membro della comunità, al lavoro e alle oppor¬tunità di crescita professionali, mante¬nere la coesione e stimolare la mobili¬tà sociale, la crescita e l’offerta cultu¬rale e, più in generale, il grado di civil¬tà e la qualità della vita nel suo com¬plesso? Monitorare la stabilità socia¬le e i vari aspetti del welfare, solleci¬ta anche un’intensa attività di comuni¬cazione sul territorio; di motivazione, controllo, manutenzione e sensibiliz¬zazione. Ancora una volta, attuare “la sequenza della regola” può contribuire a normalizzare quest’area di tensione.
L’ultimo passaggio di questa riflessione risponde alla domanda: di quali competenze manageriali dovrebbe dotarsi la pubblica amministrazione alla luce delle quattro aree di tensione?
Per “costruire” una risposta – provvi¬soria e aperta a future ricerche – si è operato su un’attenta revisione di ana¬lisi e studi disponibili, incrociando la letteratura di stampo manageriale con quella più tecnica. Il punto di arrivo di quest’indagine teorica è che l’ap¬plicazione ottimale alle singole aree di tensione del processo della sequenza della regola possa essere ottimizzata dal possesso, tra le altre, di una pre¬cisa competenza-chiave di tipo mana¬geriale. È però utile, a questo riguar¬do, operare una premessa metodologi¬ca. Non è questa la sede per elenca¬re le numerose management skills tra¬dizionali o emergenti esistenti45, non è la sede per classificarle in base ad un qualche criterio di preponderanza o per minimizzare il valore delle compe¬tenze manageriali non citate rispetto a quelle richiamate. E con riferimento a quelle citate, non è neanche la se¬de per presentarne le numerose defini¬zioni o dar conto delle eventuali dispu¬te di cui è piena la letteratura di riferi¬mento. Per ciascuna competenza, in¬vece, si proporrà una definizione sem¬plice e condivisibile per poi, breve¬mente, motivarne l’importanza all’in¬terno della relativa area di tensione.
1) La negoziazione è la competenza-chiave manageriale per l’area di tensione istituzionale.
Def.: la negoziazione è “the process of making joint decisions when the parties involved have difference preferences”46.
Gli elementi che rendono questa competenza centrale nel distende¬re l’area di tensione istituzionale sono: la presenza di rappresentanti istituzionali di livello diverso, l’esi¬genza di giungere ad una decisione condivisa, la logica diversa con cui le parti coinvolte si muovono e, di conseguenza, generano le loro pre¬ferenze.
A proposito della produzione normativa e della gestione dei servi¬zi pubblici locali non bisognereb¬be in alcun modo mettere da par¬te la competenza della negoziazio¬ne lungo tutta la sequenza della re¬gola. Se lo Stato è in parte coin¬volto perché legifera, anche gli enti locali lo sono perché sono respon¬sabili della gestione47. Rispetto ai servizi pubblici locali48, poi, biso¬gna tener conto della peculiarità dei cosiddetti servizi pubblici na¬zionali49 che presentano filiere pro¬duttive e meccaniche economiche diverse; soggetti economici pecu¬liari che producono ed erogano il servizio; uno specifico ordinamen¬to giuridico di riferimento; un potere regolatorio che ha impattato e impatta sul modello organizzativo e sull’evoluzione delle politiche di li¬beralizzazione e privatizzazione.
2) Recrutare/formare specialisti all’in¬terno dell’organizzazione è la com¬petenza-chiave manageriale per l’a¬rea di tensione legale.
Def.: “Specialization is the antithe¬sis of synthesis and integration”50.
L’area di tensione legale è quella che, per essere normalizzata ed evi¬tare il caos, necessita anzitutto di personale specializzato in grado di tradurre in modo adeguato le deci¬sioni condivise in documenti ufficia¬li che regolino, in modo particolare, le concessioni. Gli enti locali han¬no bisogno di attraversare le varie fasi della sequenza della regola con le persone giuste. Il documento for¬male più delicato è il bando di gara. Non predisporlo correttamente de¬termina inefficienze (di tempo e di risorse) e genera un clima di incertezza del diritto che compromette l’adozione delle regole migliori e la stessa credibilità della pubblica am¬ministrazione. Questi professionisti, inoltre, devono essere il più possibi¬le interni all’organizzazione. Affidandosi a società esterne di consulenza, infatti, oltre a incrementare il nume¬ro delle parti in gioco (aggravando il processo), il pubblico decisore accetta di cedere una parte cospicua della sua responsabilità ad altri soggetti. Il rischio della deresponsabilizzazione è notevole e, inoltre, nel momento in cui è il consulente a definire e interpretare il know how, an¬che l’imparzialità viene messa a rischio.
3) L’accountability è la competenza-chiave manageriale per l’area di tensione della sostenibilità politi¬co-economica.
Def.: “The concept of accounta¬bility involves two distinct stages: answerability and enforcement. Answerability refers to the obliga¬tion of the government, its agencies and public officials to provide infor¬mation about their decision and ac¬tions and to justify them (…). En¬forcement suggests that the public or the institution (…) can sanction the offending party or remedy the contravening behavior”51.
Come per l’area di tensione lega¬le, il legame tra questa competenza e la possibilità di gestire efficace¬mente ed efficientemente l’area di tensione della sostenibilità politico-economica è auto-evidente. Julia Steets ha osservato in modo acu¬to che l’accountability può essere espressa anche con una domanda: “Who is accountable, to whom, for what, how and why?”52.
La pubblica amministrazione ha bi¬sogno di questa competenza in ge¬nerale, e ancora di più quando me¬dia tra interessi, persone, istituzio¬ni e compie valutazioni di opportu¬nità, come nel caso dei servizi pub¬blici locali. E dell’accountability non può essere trascurato nessuno dei suoi due aspetti: quello dell’answerability e quello dell’enforcement. Dall’answerability segue il principio del dar conto di quello che si fa, mentre dall’enforcement discende il principio della responsabilità.
Oltre che dichiarata, la competen¬za dell’accountability deve essere attuata: servono sistemi di raccolta dati, monitoraggio e rendicontazio¬ne sempre più raffinati e tempestivi nei confronti degli erogatori del ser¬vizio. È necessario, allo stesso tem¬po, sviluppare un’attività struttura¬le d’informazione, comunicazione, sensibilizzazione e dialogo con la comunità. Strumenti di democra¬zia partecipativa – iniziative refe¬rendarie di tipo territoriale o altre simili forme di scambio con i citta¬dini – possono catalizzare l’atten¬zione, coagulare l’interesse su cer¬ti temi, far passare messaggi posi¬tivi. Una pubblica amministrazione che possiede ed esprime la compe¬tenza dell’accountability, infine, si apre all’innovazione: migliora i pro¬pri processi, sviluppa una naturale predisposizione all’adattamento e al cambiamento. Ne beneficia an¬che la “sequenza della regola” che acquista fluidità e qualità.
4) L’integrazione è la competenza-chiave manageriale per l’area di tensione della stabilità sociale e il welfare.
Def.: “To Integrate means to make entire or complete, and integration represents creating the whole by adding together or combining sepa¬rate parts”53.
Il grado di accesso a un servizio pubblico, la sua distribuzione sul territorio, i criteri mediante cui vie¬ne organizzato e offerto alle perso¬ne oppure, qualora necessario, si giunga a limitarne i livelli di fruizione esercitano decise ripercussio¬ni su valori fondanti quali la coesio¬ne sociale, lo sviluppo professiona¬le, la crescita civile, la mobilità so¬ciale, e così via. A differenze dell’a¬rea di tensione legale, dove la com¬petenza-chiave manageriale è quel¬la della specializzazione, qui occor¬re invece integrare.
Della definizione di “integrazione” spicca nitidamente l’atto dell’aggiungere, dell’arricchire, del com¬binare parti separate. Integrare è, in sostanza, l’opposto di ridurre, escludere, emarginare.
Gestire un’area di tensione sociale richiede di tener conto delle richieste di tutte le parti in gioco e, per quanto possibile, “creating the whole”.
Anche per questa competenza è la dimensione dello sviluppo concreto a renderla fruttuosa: la pubblica amministrazione comincia a integrare quando conosce, quando incontra, quando risponde, quando spiega, quando propone soluzioni nuove in grado di creare valore per tutti anche se qualcuno, all’inizio, rinuncia a qualcosa.
Agire con efficacia su tutte e quattro le aree di tensione individuate espri¬mendo al meglio le competenze-chia¬ve manageriali che si sono affrontate, non è un processo indolore, non è un processo rapido per la pubblica ammi¬nistrazione. Prenderne tuttavia consa¬pevolezza, per quanto semplice pos¬sa sembrare, rappresenta un notevole passo in avanti per fronteggiare la dif¬ficile sfida del cambiamento: la chiave di volta per la riqualificazione e la ri¬motivazione del settore pubblico.

Antonio Alizzi è Dottore di Ricerca in Scienze Organizzative e Direzionali e Professore a contratto di Management per l’Editoria all’Università degli Studi di Verona.
Federico Testa è Professore di Economia e gestione delle imprese all’Università degli Studi di Verona, deputato e membro della Commissione Attività Produttive della Camera dei Deputati.

Note
* Pur essendo il presente lavoro frutto delle riflessioni comuni dei due autori, i paragrafi 1, 2 e 3 sono da attribuire a Federico Testa, i paragrafi 4 e 5 ad Antonio Alizzi.
(1) R. Normann, La gestione strategica dei servi¬zi, Etas Libri, Milano, 1985, 35, dove sottolinea co¬me “la maggior parte dei servizi consiste in azioni e interazioni che sono tipicamente eventi sociali”.
(2) In questo senso C. Baccarani, Mutamenti am¬bientali e condotta strategica delle imprese munici¬palizzate, Cedam, Padova, 1988, 30.
(3) Per un approfondimento K. Galbraith, L’eco¬nomia e la qualità della vita, Mondadori, Milano, 1971.
(4) G. Cozzi, A. Massarutto, Dalla municipalizzata all’impresa pubblica locale, in S. Vaccà, a cura di, Problemi e prospettive dei servi locali di pubblica utilità in Italia, Franco Angeli, Milano, 2002, 36, ri¬cordano come “per moltissimi servizi (fra quelli lo¬cali, si pensi alle farmacie, o ai mercati ortofrutti¬coli) semplicemente il mutato contesto economico originatosi dopo il boom economico degli anni 50- 60 ha fatto scomparire, o comunque ridurre drasti¬camente, le esigenze di controllo pubblico, permet¬tendo che fosse il libero mercato a soddisfare la do¬manda anche di servizi essenziali”.
(5) Si pensi, per tutti, alla nascita e al consolida¬mento del movimento ambientalista, così “letti” da G. Panati, Interazioni tra ecologia e processi deci¬sionali economici, in Economia e ambiente, anno II, gennaio-giugno 1983, 20: “il conservazionismo ambientale nasce dalla richiesta delle classi medie superiori di maggiori beni e servizi di natura colletti¬va, cioè soddisfacibili soltanto collettivamente (…): all’aumentare del reddito ciascuno di noi sposta in avanti l’obiettivo delle richieste (…); quando il teno¬re di vita reale raggiunge livelli elevati, allora i bene¬ficiari di tali redditi inseriscono nella voce succes¬siva dell’elenco degli acquisti un ambiente più pu¬lito, dove poter meglio valorizzare e godere gli altri beni già conseguiti, e rivolgono la propria attenzio¬ne all’inquinamento ambientale”.
6) L. D’Alessandro, Imprese di pubblica utilità, Utet, Torino, 1967, 4, con riferimento alle imprese chiamate a erogare servizi di pubblica utilità, sotto¬linea come “tale categoria di imprese non può es¬sere definita una volta per sempre, in base a prin¬cipi economici astratti, ma è, per così dire, aperta: in altre parole, essa, in dipendenza dell’evoluzione dell’economia o della tecnica, o di particolari ne¬cessità locali, può essere ampliata”.
7) In questo senso M. Elefanti, La liberalizzazione dei servizi pubblici locali, Egea, Milano, 2003, 9.
(8) Per un approfondimento e una ricostruzione storica, L. Solimene, Servizio universale, liberalizza¬zione dei mercati e regolamentazione dei servizi di pubblica utilità, in Economia Pubblica, n. 2, 2002.
(9) R. Millward, La regolamentazione e la proprietà dei servizi pubblici in Europa: una prospettiva storica dal 1830 al 1950, in Economia Pubblica, n. 2, 2004, 28.
(10) P. Piras, Servizi pubblici, cit., 4.
(11) G. Montemartini, Municipalizzazione dei pub¬blici servigi, S.E.L., Milano, 1902, riprodotto ana¬staticamente dalla Sintesi Editrice di Brescia nel 1997. Non diversamente L. D’Alessandro, Imprese di pubblica utilità, Utet, Torino, 1967, 5, sottolinea come “l’intervento pubblico di disciplina e control¬lo per le imprese riconosciute di pubblica utilità è giustificato dal fatto che esse, mentre sono rivolte a fini interessanti in modo notevole vastissime ca¬tegorie di cittadini, sono d’altra parte caratterizzate da situazioni che non rendono praticamente possi¬bile la condotta aziendale in regime di concorren¬za; e ha lo scopo di evitare che la privata impresa, potendo in tali casi agevolmente godere di posizio¬ni privilegiate, volga a proprio vantaggio profitti di monopolio, con danno evidente del consumatore”.
(12) F.S. Nitti, Principi di scienza delle finanze, Pierro, Napoli, 1903, 26.
(13) In proposito G. Montemartini, Municipalizza¬zione cit. sostiene che gli obiettivi principali che si dovevano porre le Amministrazioni locali attraverso l’intervento nell’erogazione di servizi pubblici erano quelli della riduzione dei prezzi dei servizi che in¬vece il privato monopolista avrebbe fissato in mo¬do tale da ottenere extra-profitti), del miglioramen¬to della qualità dei servizi, dell’innalzamento delle condizioni dei lavoratori. L. Solimene, Servizio uni¬versale, liberalizzazione dei mercati e regolamen¬tazione dei servizi di pubblica utilità, in Economia Pubblica, n. 2, 2002, 7, ricorda che “una delle cer¬tezze che hanno caratterizzato il passato era rap¬presentata dall’idea che esistessero da una parte attività svolte in regime concorrenziale, o comun¬que attività per cui la concorrenza fosse la forma di mercato più efficiente, mentre dall’altra si collo¬cavano i servizi di pubblica utilità, che non poteva¬no essere aperti alla concorrenza, data l’esigenza di tutelare l’interesse generale”.
(14) Sull’argomento L. D’Alessandro, Imprese di pubblica utilità, Utet, Torino, 1967, 6.
(15) R. Arcangeli, Economia e gestione delle imprese di servizi pubblici, Cedam, Padova, 2000, 152.
(16) Per un approfondimento G. Panati, G.M. Golinelli, Tecnica economica industriale e commercia¬le, NIS, Roma, 1991, 292.
(17) “E nella quale le decisioni sono finalizzate all’ottimizzazione del servizio offerto, date le risor¬se disponibili”, R.N. Anthony, D.W. Young, Controllo di gestione per gli enti pubblici e le organizzazioni non profit, McGraw-Hill, Milano, 1992, 33. In pro¬posito, va ricordato con P. Saraceno, La produzione industriale, Leuv, Venezia, 1970, 63, che: “Massi¬mizzazione del reddito, che è l’obiettivo di un’im¬presa privata, massimizzazione dell’economicità di gestione, che è l’obiettivo dell’impresa pubblica, si risolvono ambedue nella massimizzazione del diva¬rio tra costi e ricavi; tali espressioni possono quin¬di considerarsi tutte equivalenti e la massimizzazio¬ne del reddito può, in conseguenza, essere assunta come la determinante fondamentale del comporta¬mento che il soggetto economico intende ottenere dall’impresa, sia essa pubblica o privata”.
(18) In questo senso A. Garlatti, Il riordino delle forme di gestione dei servizi pubblici locali: opportunità e rischi emergenti, in Azienda Pubblica, n. 6, 2000, 691.
(19) Per un approfondimento del concetto, G. Croce, La regolazione dei servizi pubblici in condizio¬ne di informazione asimmetrica, in Economia e politica industriale, n. 99, 1993, 106. In proposito, F. Gulli, Economie di scala versus economie di den¬sità nella distribuzione elettrica: un’analisi quanti¬tativa, in Economia delle fonti di energia e dell’am¬biente, n. 2, 2000, ricorda come “il concetto di mo¬nopolio naturale ha avuto una sostanziale evoluzio¬ne formale: monopoli naturali sono quelle industrie la cui funzione di costo è subadditiva, per tutti i li¬velli di output rilevanti”.
(20) Per una rassegna, L. Prosperetti, Monopolio, concorrenza e regolazione: i pubblici servizi in un mercato che cambia, in Economia e politica industriale, n. 80, 1998, 226.
(21) “È il caso tipico dei servizi elettrici, telefonici, di gas, acqua, i quali richiedono reti di distribuzio¬ne collegate con gli impianti di produzione in virtù della connessione fisica tra azienda di produzione ed utente, necessaria affinché quest’ ultimo pos¬sa ricevere ed utilizzare il servizio. L’imponenza di questi impianti e il loro costo rappresentano un li¬mite alla molteplicità di imprese fornitrici dello stesso servizio”, R. Mele, Strategie e Politiche di Marketing nelle imprese di pubblici servizi, Cedam, Pa¬dova, 1993. C. Antonelli, Reti e regolazione: monopoli legali, benessere collettivo ed efficienza economica nelle industrie a rete, con particolare riferi¬mento alle telecomunicazioni, Autorità garante della Concorrenza e del mercato, 1991, sottolinea peraltro come ciò possa verificarsi anche in relazione ad economie di rete e di densità.
(22) Sull’argomento J. Vickers, G. Yarrow, Privatisa¬tion: an Economic Analysis, The MIT Press, Cam¬bridge, 1988.
(23) F. Bulckaen, C. Cambini, Assetti di mercato e problemi di regolazione nei servizi di pubblica uti¬lità, in F. Bulckaen, C. Cambini, a cura di, I servizi di pubblica utilità, Angeli, Milano, 2000.
(24) D. Archibugi, G. Ciccarone, M. Marè, B. Pizzet¬ti, F. Violati, Relazioni triangolari nell’economia dei servizi pubblici, in Economia Pubblica, n. 5, 2000, nonché B. Pizzetti, D. Archibugi, I costi di transizione nella concorrenza per il mercato, in L’Indu¬stria, n. 2, 2001.
(25) “Nulla è definitivo in economia; tanto meno lo è la tematica della regolazione dei mercati e del¬le attività produttive. Diversi sono i fattori che mo¬tivano la ciclicità e la ricorrenza di atteggiamenti di avvicinamento o di allontanamento da questi inter¬venti di politica economica e di politica industriale: alcuni, di natura metaeconomica, si radicano nella cultura dominante in un certo contesto storico; altri vanno posti in relazione ai cambiamenti tecnologici operanti in determinati settori produttivi; altri anco¬ra interpretano l’evoluzione… del manifestarsi della concorrenza nei vari comparti produttivi”, G. Zanetti, Corsi e ricorsi nella fiducia verso la regolazione, in L’Industria, n. 1, gennaio-marzo 1997, 5.
(26) In questo senso Vaccà, Presentazione, in S. Vaccà, a cura di, Problemi e prospettive dei ser¬vi locali di pubblica utilità in Italia, Franco Ange¬li, Milano, 2002, 13 e ss. laddove scrive “non vo¬gliamo, ovviamente, sottovalutare la rilevanza di provvedimenti legislativi (…) Ci sembra però uti¬le sottolineare che le riforme istituzionali o sono state definite articolatamente sulla carta ma han¬no finora prodotto ben poco in termini di adem¬pimenti concreti (…) o hanno fatto salvi i princi¬pi ormai da tempo acquisiti (…) ma hanno rein¬trodotto un’ampia discrezionalità per i comuni in materia di scelte riguardanti la privatizzazione di alcuni servizi locali di pubblica utilità (…) D’altro canto altri fattori di cambiamento, spesso sotto¬valutati nelle analisi correnti, hanno già avuto (e più ancora avranno nei prossimi anni, consisten¬ti effetti sulla trasformazione del settore. Ci riferia¬mo, in particolare, sia ai fattori di carattere finanziario (passaggio da una condizione di finanza derivata a una condizione di finanza diretta) (…) sia – specialmente – ai fattori derivanti dall’innovazione tecnologica e dall’evoluzione delle aspettative e dei comportamenti dei consumatori finali”.
(27) La rigidità è spesso aggravata dall’avversione al rischio dei soggetti che operano all’interno delle strutture, che tendono a liberarsi delle responsabi¬lità o mediante l’interpretazione restrittiva e penalizzante per l’interlocutore delle disposizioni normative o regolamentari, o attraverso l’approvazione di ogni azione intrapresa da parte di una pluralità di organi collegiali, con il conseguente rallentamento dei processi organizzativi.
(28) R. Cafferata, Cambiamento tecnologico e riorganizzazione delle amministrazioni pubbliche, in Economia Pubblica, suppl. al n. 3, 1999, ricorda come “il lavoro che si svolge nelle amministrazioni pubbliche ha prepotentemente assimilato tutti gli input statici della burocrazia e nessuno di quel¬li dinamici”.
(29) E. Borgonovi, Le nuove frontiere dei servizi pubblici tra soddisfazione dell’utente e tutela dell’interesse pubblico, in Sinergie, n. 40/41, 1996.
(30) Il riferimento è agli “oneri impropri”, cioè i co¬sti addizionali che la struttura sopporta per l’assun¬zione di obiettivi sociali, su cui si veda L. Casel¬li, Impresa pubblica e oneri impropri, in Bolletti¬no dell’economia pubblica, n. 12, 1969, nonché P. Saraceno, Il processo decisionale statale, in Econo¬mia e politica industriale, n. 9, 1975, 26, il quale a proposito del sistema delle imprese a partecipa¬zione statale precisa che: “la quantificazione degli oneri impropri dovrebbe effettuarsi due volte: in via preventiva, onde consentire all’Autorità di governo di rendersi conto del costo dei fini politici che ci si propone di perseguire e decidere con cognizione di causa sull’opportunità delle iniziative che, per con¬seguire quei fini, si vorrebbero prendere; la quan¬tificazione degli oneri impropri dovrebbe effettuarsi poi in via consuntiva onde identificare gli eventuali oneri derivanti da inefficienze delle imprese ed evi¬tare che essi siano invece attribuiti al perseguimento dei fini politici”.
(31) A. Quadrio Curzio, M. Fortis, Le liberalizzazioni e le privatizzazioni dei servizi pubblici locali, Il Mulino, Bologna, 2000, 33, dove viene rilevato come solo una gestione efficiente dei servizi pubblici rappresenti la grande occasione per riuscire a ristabi¬lire un sano e corretto rapporto fra la società civile e l’amministrazione.
(32) Al di là delle vicende nazionali della cosiddetta “tangentopoli”, per un inquadramento teorico del problema G. Stigler, The Theory of Economic Re¬gulation, in Bell Journal of Economics and Management Science, n. 1, 1971; A. Shleifer, R. Vishny, Politician and Firms, Quarterly, in Journal of Eco¬nomics, vol. 109, Issue 4, 1994, 995.
(33) A. Quadrio Curzio, M. Fortis, Le liberalizzazioni e le privatizzazioni dei servizi pubblici locali, Il Mulino, Bologna, 2000, 39, dove si afferma che “l’adeguamento del nostro sistema politico-amministrati¬vo all’ordinamento comunitario delinea un model¬lo di Stato «forte ma neutrale» nell’economia. Forte, vale a dire in grado di garantire il regolare funzionamento dell’ordinamento economico; neutrale, in quanto non pretende di dirigere le forze di mercato. Il nuovo stato neutrale è in grado di riequilibrare i meccanismi del mercato, senza assumere direttamente la gestione di imprese, dettando regole di comportamento, e vigilando sull’osservanza delle stesse”. Si veda anche L. Vasques, I servizi pubblici locali nella prospettiva di libera concorrenza, Giappichelli, Torino, 1999, 26, dove si eviden¬zia che, proprio al fine di salvaguardare il principio fondamentale della concorrenza, gli organi comu¬nitari hanno adottato un atteggiamento sempre più vigile e critico su forme di aiuto statale a favore delle imprese che, come è noto, provocano un’altera¬zione delle dinamiche di mercato.
(34) Per un approfondimento, E. Bertero, Fa differenza un cambiamento, da pubblico a privato, dell’assetto proprietario?, in Economia Pubblica, n. 2, 2003, in particolare il par. 3, Pressione finanziaria e istituzioni sopranazionali.
(35) Secondo l’efficace espressione di A. Massarutto, La regolazione del settore dei servizi idrici: le ragioni per l’istituzione di un’Authority, in Economia delle fonti di energia e dell’ambiente, n. 1, 1998, 50. In proposito L. Prosperetti, G. Marzi, “Come funziona la liberalizzazione dei servizi pubblici: un’analisi di alcune esperienze internazionali”, Working Paper Series, Istituto di Economia Politica Università degli Studi di Milano, aprile 1998, affermano: “(…) la concorrenza non serve solo a tenere i prezzi vicini ai costi medi. Nella realtà di un mercato competitivo, la concorrenza influenza l’efficienza della struttura dei prezzi spingendo le imprese:
– a coprire i costi congiunti in modo creativo e flessibile;
- ad ottimizzare l’uso delle reti e delle risorse con schemi articolati di tariffe multiorarie, connesse al traffico (o al carico, a seconda dei casi) delle reti;
– a correlare strettamente prezzi e qualità, segmentando adeguatamente il mercato.
Tutto ciò che realisticamente una buona regolazione può sperare di ottenere è invece di mantenere i prezzi dei servizi a un livello vicino ai costi di lungo periodo. Quest’obiettivo è corretto e non deve certamente essere sottovalutato. Confrontato con i punti che precedono è però poca cosa, e dunque esso deve essere perseguito quando non vi siano percorsi alternativi che consentono di raggiungere – tramite la liberalizzazione – gli effetti positivi più generali generati da un mercato competitivo. Una visione dell’intervento pubblico che ponga la rego¬lazione (e non la liberalizzazione) al primo posto non tiene poi conto degli effetti che la tecnologia e lo sviluppo della domanda possono avere nell’indebolire, fino ad eliminarle, le condizioni tecnologiche e di mercato che avevano dato luogo inizialmente al market failure”.
(36) L. Vasques, I servizi, cit., 32, ricorda “(…) come la concorrenza rappresenti uno strumento umano, e come tale non perfetto per definizione. È opportuno dunque non utilizzare quest’ultimo con atteggiamento ideologico, presupponendo che le leggi di mercato siano la panacea di tutti i mali. Le leggi di mercato vanno usate con grande accor¬tezza, tenendo comunque conto che i servizi pubblici di qualunque specie coinvolgono anche diritti ed interessi dell’individuo, e che le regole di concorrenza assai di rado tutelano ex se diritti, quando questi ultimi non hanno rilevanza economica immediata. Ciò premesso, ne deriva che allo Stato de¬vono almeno residuare, per quei servizi che coinvolgono diritti soggettivi del cittadino, poteri di mo¬nitoraggio e controllo sulle modalità di svolgimento dei servizi, e, talvolta, anche sulle tariffe adottate”.
(37) In proposito, M. Passarelli, P. Peruzzi, A. Petretto, Una semplice guida, cit., ricordano come “la separazione tra gestione ed indirizzo e il ricorso ad Autorità indipendenti è un modello organizzativo che consente di dividere le informazioni a disposizione dei politici e, conseguentemente, limitare la loro discrezionalità nell’intraprendere azioni non conformi al benessere sociale (…). Nel caso particolare dell’organizzazione dei SPL, con la “separazione”, invece di avere un’unica struttura politica che nell’amministrare un servizio pubblico mette in atto le sue offerte collusive con i gruppi di pressione, si genera un comportamento strategico tra agenzie parzialmente informate (politici, gruppi di pressione, burocrati) che aumenta i costi di transazione delle loro attività collusive, rendendole meno convenienti”.
(38) La regolamentazione, intesa in senso lato, “riguarda l’uso del potere legittimo di coercizione da parte dello Stato per disciplinare alcune attivi¬tà aventi per oggetto la produzione di beni e servizi destinati alla vendita”. La regolamentazione si manifesta in una pluralità di forme: dal “controllo dei prezzi”, a “l’obbligo di messa a disposizione del servizio”, alle “norme che disciplinano la qualità”, alla “imposizione di barriere all’entrata, cioè le limitazioni imposte alla libertà di esercizio di una certa attività”. Solitamente tali barriere all’entrata (sia per i settori energetici sia per altri settori, fra i quali le telecomunicazioni) sono state imposte mediante “l’attribuzione per legge di una riserva esclusiva allo stato, alle regioni o ai comuni. Tale riserva è stata utilizzata dal titolare o per gestire direttamente l’attività in esame o più spesso per concederne l’esercizio a un altro soggetto mediante un rapporto di tipo contrattuale (di solito la concessione). Il risultato netto dell’esercizio di tale diritto attribuito per legge è dunque quello di restringere la concorrenza ed anzi spesso di creare un monopolio legale territoriale. Non di rado poi… il soggetto a cui viene delegata la gestione del servizio in esclusiva è un’impresa pubblica”; L. De Paoli, La regola¬mentazione dei servizi energetici di pubblica utilità in cambiamento, in L. De Paoli, a cura di, Regolamentazione e mercato unico dell’energia, Angeli, Milano, 1993, 3.
(39) Sul punto si veda: M. De Benedetto, M. Martarelli, N. Rangone, La qualità delle regole, Il Mulino, Bologna, 2011.
(40) Sia consentito, in proposito, citare il ns. F. Testa, Aspetti manageriali della transizione al mercato nelle public utilities locali, Cedam, Padova, 2001, 2.
(41) Sul punto si vedano: T.G. Cummings, C.G. Worley, Organization Development and Change, Orga¬nization Theory and Design, Cengace Learning, An¬dover-Hampshire, 2008; R.L. Daft, J. Murphy, H. Willmott, Organization Theory and Design, Cen¬gace Learning, Andover-Hampshire, 2010; J.D. Thompson, Organization in Action, Transaction Pub¬lishers, Piscataway-New Jersey, 1967; W.W. Pow¬ell, The New Institutionalism in Organization¬al Analysis, University of Chicago Press, Chicago, 1991.
(42) http://www.statoregioni.it/
(43) http://www.upinet.it/2823/news/unione_delle_ province_venete/
(44) Che il bando per la più importante concessione di distribuzione del gas del Paese venga pro¬mulgato, ritirato, cambiato e poi ri-promulgato dà efficacemente l’idea di come un’amministrazione locale non di secondo piano (la Capitale d’Italia) stia messa quanto a competenze e professionalità in materia.
(45) Tra le competenze manageriali, a titolo esemplificativo, vi sono le seguenti: valutare le persone e le loro performance, disciplinare e guidare le persone, ascoltare le persone e organizzare in processi, formulare degli obiettivi e degli standard, pensare in modo chiaro e secondo direttrici analitiche, istruire chiaramente le persone; identificare e risolvere i problemi; assumere decisioni e valutare i rischi, lavorare e insieme addestrare; supportare e delegare, gestione del tempo e delle priorità.
(46) “Il processo di assumere decisioni condivise quando le parti coinvolte esprimono preferenze differenti”, M. Mehnert, Negotiation: Definition and Types, Manager’s Issues in Negotiation, Cultural Differences and the Negotiation Process, (Seminar Paper) Grin Verlag, Munich, October 2008, 2.
(47) “Gli enti locali, nell’ambito delle rispettive competenze, provvedono alla gestione dei servizi pubblici che abbiano per oggetto produzione di be¬ni ed attività rivolte a realizzare fini sociali e a pro¬muovere lo sviluppo economico e civile delle comunità locali”. Art. 112 t.u.e.l. (d.lgs. 267/2000).
(48) Tra i servizi pubblici locali ci sono: la distri¬buzione e la vendita finale dell’energia elettrica; la distribuzione e la vendita finale del gas metano; i servizi idrici; le fognature e la depurazione; il tra¬sporto pubblico locale; la raccolta e lo smaltimen¬to dei rifiuti.
(49) Tra i servizi pubblici nazionali ci sono: la tra¬smissione su grandi linee dell’energia elettrica; la gestione dei gasdotti su scala nazionale; i traspor¬ti ferroviari, i trasporti aeroportuali; le autostrade; le telecomunicazioni.
(50) “La specializzazione è l’antitesi della sintesi e dell’integrazione”, R.D. Phair, Why and How to ex¬pnd the Role of Systems Biology in Pharmaceutical Research and Development, in Igor Goryanin, Ad¬vances in Systems Biology, Springer, Jan 1, 2012.
(51) “Il concetto di accountability coinvolge due fa¬si distinte: answerability ed enforcement. L’answe¬rability si riferisce all’obbligo in capo al governo, al¬le sue agenize e pubblici ufficiali di fornire infor¬mazioni sulle decisioni assunte ed essere in gra¬do di giustificarle (…). L’enforcement indica che il pubblico o le istituzioni (…) possono sanzionare la parte offendente o porre rimedio a un comporta¬mento contrario alle regole”, http://siteresources. worldbank.org/PUBLICSECTORANDGOVERNAN¬CE/Resources/Accountability Governance.pdf. E qualche riga sopra: “accountability exists when there is a relationship where and individual or body, and performance of tasks or functions by that in¬dividual or body, are subject to another’s oversight, direction or request that they provide information or justification for their actions”.
(52) “Chi è responsabile, verso chi, di che cosa, come e per quali ragioni?”, J. Steets, Accountability in Public Policy Partnerships, Palgrave Macmillan, New York, 2010, 14.

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