venerdì 11 maggio 2012

Walter Veltroni, intervista dopo i risultati elettorali

Articolo di Aldo Cazzullo pubblicato sul Corriere della Sera del 10 maggio 2012
E ora, Veltroni? Cosa resta del quadro politico italiano?
«Resta il riformismo di cui il Pd, come dimostra il voto, è il perno insostituibile. Questo voto consegna all'Italia un'alternativa secca: o un'altra stagione di incertezza, instabilità, populismo di vecchio e nuovo stampo; oppure provare l'unica cura che il Paese non ha mai provato, il riformismo. È il solo modo per fronteggiare una situazione storicamente inedita. Io non so se si ha la consapevolezza di vivere in un momento del tutto particolare, forse unico nel dopoguerra. Diceva Burckhardt: "Noi vorremmo conoscere l'onda sulla quale vaghiamo nell'oceano, ma noi siamo quest'onda". Parlando con Bersani ho usato un'espressione che mi fa piacere lui abbia ripreso: viviamo insieme il '29 e il '92, due cifre capovolte, un mix pericolosissimo di recessione economica e crisi politico-istituzionale. Con il voto l'Italia ha gridato un bisogno di cambiamento. O lo raccogliamo, trovando una soluzione razionale coraggiosamente innovativa, oppure il nostro Paese è esposto a rischi molto seri e molto drammatici».
Quali rischi?
«Pensiamo al contesto europeo. Da una parte, il messaggio di speranza che viene dalla Bastiglia; anche se al primo turno la destra francese ha preso più voti della sinistra e si è confermata la giustezza del sistema a doppio turno. Dall'altro, il voto greco, con il successo dei neonazisti. La Grecia è un Paese a rischio, non solo finanziario. E stata la culla della democrazia. Non vorrei fosse il Paese in cui il contrasto tra le esigenze di una società veloce, globalizzata, frammentata e i tempi e le modalità della democrazia come l'abbiamo conosciuta finora produca una qualche forma di autoritarismo».
Teme per la democrazia?
«C'è il rischio che sulla crisi e sulla disperazione si innesti nel continente un'involuzione antieuropea. Nello stesso tempo, in Italia Si può aprire un'opportunità gigantesca. La destra è esplosa e non tornerà più com'era prima. Ma in politica i vuoti si riempiono. Chi pensasse, come si pensò nel '93, che si va alle elezioni con la situazione di oggi, si sbaglia. Si manifesteranno pulsioni antieuropee, estremiste: non a caso La Russa si è subito congratulato con Marine Le Pen. Esiste poi un elettorato moderato che troverà una sua forma politica».
Con i moderati voi non dovevate allearvi?
«La discussione tattica sulle alleanze nasce dalla convinzione che il sistema sia immobile e si possano spostare solo gli stati maggiori. Il voto ha dimostrato che non è così. Sono sempre stato convinto che una proposta innovativa possa innescare una grande mobilità elettorale. Casini ha tutt'altro disegno strategico rispetto al nostro. Noi dobbiamo puntare su noi stessi, avere fiducia nella possibilità che il riformismo risponda sia alla domanda di radicale rinnovamento che si esprime con il voto al Movimento 5 Stelle, sia alla domanda di innovazione di un elettorato che aveva creduto a Berlusconi o al centro. La grande vittoria della sinistra estrema, che il malessere sociale poteva produrre, non c'è stata. Se il Pd sa essere nel contempo più radicale e più riformista, può rivelarsi, certo non da solo, la soluzione del problema italiano».
Intanto il Pd perde voti e Grillo ne guadagna. Cosa pensa di lui?
«Grillo sugli immigrati e sulla mafia ha detto cose inaccettabili. Ma preferisco parlare dei suoi elettori. Vogliono una politica diversa e hanno trovato questo modo per dirlo. E successo altre volte, si pensi ai grandi successi dei radicali. La politica può fare due cose. Può scrollare le spalle, può demonizzare. Oppure può dare il segno di aver capito la lezione. Ritirarsi dal potere indebitamente occupato, dai consigli di amministrazione. Ridurre il numero dei parlamentari, dimezzare il finanziamento pubblico dei partiti, rivedere le spese della pubblica amministrazione. Spero che il mio partito porti in Parlamento il suo pacchetto complessivo di riforme della politica. Occorre una politica più lieve nella gestione del potere e più ferma negli aspetti di regolazione; come nei Paesi anglosassoni, gli unici - e non è un caso - in cui non c'è mai stata una dittatura. Se si vuole evitare il riflesso autoritario bisogna che la politica riapra i polmoni, sia capace di rappresentare una dimensione di progetto dentro un tempo storico del tutto inedito, segnato dalla bulimia comunicativa».
Cosa pensa dei social network? Come cambiano la politica?
«Opporsi al nuovo è un atteggiamento romantico che può diventare stoltamente antimoderno. I social network sono una grande risorsa democratica. Ma è sbagliato pure non capire le contraddizioni che il nuovo propone. Mi preoccupa la radicalizzazione estrema delle posizioni: l'invettiva, le grida, la rimozione della complessità. Ma questo non è tempo di urla e grida; se c'è stato un tempo complesso nella storia è questo, e come ha notato Michele Serra non sempre tutto è riducibile nei 140 caratteri di un tweet»
Ma ora gli elettori hanno la possibilità di esprimersi non solo con il voto.
«E vero. Se un cittadino voleva criticare Moro o Berlinguer doveva scrivere una lettera, che dopo 10 giorni sarebbe arrivata sul tavolo di una segretaria, che la smistava al funzionario di turno. A Moro e a Berlinguer la critica non sarebbe mai arrivata. Ora sul telefonino arriva in tempo reale. E una bellezza per il riavvicinamento del rapporto. Ma dipende anche dal grado di autonomia del leader: la persona che ti scrive non è il mondo. Ci sono poi momenti della storia in cui l'uomo politico ha il dovere della solitudine. Dagli ultimi discorsi di Moro traspare una solitudine che pagò con la vita. Ma anche Berlinguer ha vissuto momenti di immensa solitudine, quando da sinistra gli arrivavano bordate terribili: revisionista, traditore. Un grande uomo politico, se ha il senso e la visione dello Stato, coltiva il prezzo della solitudine e sa dire dei no. L'opposto di Berlusconi, che a forza di inseguire i sondaggi ha disfatto il Paese».
Nel pacchetto di riforme che lei propone c'è anche il dimezzamento dei vostri stipendi?
«Il problema vero è l'efficienza. La gente è stanca di pagare un sistema che non genera decisioni. I parlamentari precedenti guadagnavano anche più di quelli di oggi, ma davano l'impressione che il meccanismo decisionale funzionasse meglio, e quindi valesse il costo. Le retribuzioni vanno ridotte ulteriormente e senza esitazione portate ai livelli europei, ma la riforma dev'essere complessiva. Il centrosinistra si intesti questa battaglia».
Che impressione le fanno i suicidi?
«Il piccolo imprenditore che si suicida e l'operaio che si toglie la vita sono fratelli. Finché non si capirà la comunanza di destino tra il sistema imprenditoriale italiano e il lavoro, l'Italia non ce la farà. Occorre un salto culturale, un grande patto tra i produttori, non la riapertura di un conflitto tra il piccolo imprenditore e i suoi operai, che sono la sua famiglia. E non si parla abbastanza dell'esistenza in Italia di 650.000 bambini in povertà assoluta. Senza solidarietà, crescita ed equità il Paese si sfascia. Mettiamo al centro del nostro vocabolario due parole-chiave: legalità e comunità».

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