sabato 30 giugno 2012

Dopo la riforma del lavoro la politica attiva del lavoro

Articolo di Manuela Campanella pubblicato su http://www.nuovitaliani.it/
Il quadro europeo
Il tema del lavoro e della più generalizzata crisi oggi è al centro di tutti i nostri pensieri. Al legislatore italiano a cui spetta intervenire non si può che suggerire di prendere spunto dai sistemi “vincenti” adottati negli altri paesi che sebbene nella stessa situazione hanno saputo dare risposte concrete ed efficaci alla schiera dei nuovi disoccupati. Tra questi il modello europeo, e in particolar modo dei paesi nordeuropei, è da sempre un punto di riferimento sia per le politiche del lavoro adottate, sia per un eccellente sistema di Servizi Per l’Impiego, attraverso il quale la maggior parte di questi provvedimenti trova attuazione sul territorio.
Le politiche attive del lavoro (ovvero le normative per creare nuova occupazione e favorire l’inserimento dei lavoratori nel mercato) adottate più di frequente nell’UE sono:
- incentivi per lo start-up di nuove aziende e per l’assunzione di personale (in genere per categorie come giovani, donne, disabili, ecc.);
- analisi del fabbisogno attuale di personale delle imprese e anticipazione delle caratteristiche della domanda futura;
- orientamento allo studio verso percorsi formativi che abbiano dei reali sbocchi sul mercato;
- riqualificazione dei lavoratori attraverso programmi formativi mirati al matching tra le richieste delle imprese e la manodopera disponibile (identificazione delle capacità e delle competenze attraverso tecniche di profiling);
- programmi di tutoring personalizzati (piani di azione specifici per ciascun lavoratore, alcuni con un operatore a lui dedicato).
Le politiche passive invece coincidono con gli interventi di tipo assistenziale come indennità di licenziamento, sussidi di disoccupazione, sussidi per redditi molto bassi ecc. In molti paesi europei esiste anche la cosiddetta assicurazione contro la disoccupazione, la quale consiste nel contributo a carattere volontario o obbligatorio da parte del lavoratore di una parte di stipendio che gli viene restituita sottoforma di indennità qualora dovesse perdere l’impiego.


Le politiche passive, inoltre, ottengono i migliori risultati quando sono opportunamente collegate alle politiche attive (ad esempio i sussidi collegati alla frequenza di corsi di formazione). Così i lavoratori hanno un reddito garantito durante il periodo della ricerca di lavoro e della eventuale riqualificazione senza gravare troppo sulle casse dello Stato ed evitando di restare inattivi per troppo tempo. Sempre con le stesse finalità molte normative europee prevedono l’obbligo per i lavoratori di accettare anche le offerte di lavoro lontano dal luogo di residenza pena la revoca del sussidio (in alcuni casi da subito altri dopo un certo periodo di tempo).
A loro volta gli SPI (Servizi Per l’Impiego) sono il braccio sul territorio attraverso il quale le normative sul lavoro si realizzano. A detta di alcuni questi oggi rivestirebbero una “posizione storica unica” per il loro ruolo fondamentale nella lotta contro la disoccupazione. In Europa hanno un’ampia diffusione a livello locale (con o senza un coordinamento centrale), spesso oltre alla funzione di placement sono adibiti all’erogazione dei sussidi (in modo da agevolare l’integrazione tra politiche attive e passive - welfare to work), operano in collaborazione con gli enti territoriali (quando non sono una diretta emanazione di questi), e sovente prevedono il Management by Objectives e altre tecniche di valutazione dei risultati. Alcuni paesi europei hanno aperto a soggetti privati per l’espletamento di diversi servizi (nella maggior parte in un’ottica di integrazione con il servizio pubblico ma talvolta anche in competizione). In tale modo agenzie private collocano manodopera con l’obiettivo finale temp to perm, o svolgono attività generica di placement, formazione, outplacement specializzato, ecc. A questo riguardo citiamo anche l’esempio dell’Australia dove vige la totale esternalizzazione (con o senza l’impiego di voucher) della funzione pubblica di erogazione dei servizi per l’impiego (orientamento, mediazione e formazione) ad enti privati, pubblici e appartenenti al terzo settore, selezionati mediante periodiche gare di appalto (con prezzi fissati amministrativamente).
Comune a tutti i Servizi Per l’Impiego è anche il sistema di reclutamento via internet attraverso un database online di curriculum vitae e di posizione disponibili a cui imprese e lavoratori possono liberamente accedere previa registrazione al sito. Sistema utilizzato sia dagli “specialisti” del collocamento, operatori pubblici e agenzie, che dai singoli lavoratori e uffici del personale delle aziende.
Inoltre a disposizione del pubblico vi sono dei siti web appositamente dedicati all’impiego che forniscono il quadro completo delle informazioni che possono essere potenzialmente utili.
La situazione italiana
Nel nostro Paese invece, le politiche del lavoro veramente efficaci sono poche, e la porzione di popolazione che riescono a raggiungere è molto limitata. Tradizionalmente gli interventi sono stati più che altro di tipo assistenziale, come ad esempio i sussidi in caso di riduzioni temporanee dell’attività produttive (Cassa Integrazione Guadagni) e in caso di licenziamenti (Mobilità), le indennità di disoccupazione e i sostegni al reddito per particolari fasce della popolazione. Da notare che, per quanto previsto dalla riforma del lavoro del Ministro Fornero le indennità di licenziamento e di disoccupazione saranno gradualmente sostituite dall’ASPI (Assicurazione Sociale Per l’Impiego), che a sua volta si basa su un sistema di contribuzione obbligatoria simile alla già citata assicurazione contro la disoccupazione. Per quanto riguarda le politiche attive molto si è fatto per la formazione dei lavoratori sia a livello nazionale (Italialavoro, Formez) che locale, per agevolare la creazione di nuove imprese (Sviluppo dell’imprenditoria giovanile nelle aree depresse L. 95/95, incubatori di imprese, ecc.) e per incentivare le assunzioni. Tuttavia questi provvedimenti nel complesso hanno dato risultati di gran lunga insufficienti in quanto spesso sono stati diretti solo a particolari categorie di persone e/o sono stati adottati solo da alcune amministrazioni locali. Per di più molti programmi efficaci sono stati eliminati o ridotti per mancanza di fondi.
Per quanto concerne gli SPI, la Legge Treu del ’97 e la precedente Legge Bassanini hanno dato vita ai cosiddetti Centri Per l’Impiego che hanno sostituito i preesistenti uffici di collocamento. Questi svolgono la funzione di intermediazione tra domanda e offerta di lavoro, e in generale hanno il compito di supportare: a) i lavoratori nella ricerca di occupazione; b) le imprese nella ricerca di personale e nell’attività di gestione; c) chiunque desideri porre in essere una nuova attività produttiva.
Il sistema istituito si basa sul totale decentramento, le Regioni rivestono un ruolo di regia e alle Province è affidata la gestione. Come conseguenza di ciò l’implementazione delle politiche del lavoro e la messa a punto dei CPI (Centri Per l’Impiego) e delle relative prestazioni varia molto a secondo delle realtà locali. A livello teorico la gamma dei servizi offerti consiste in: 1) accoglienza 2) orientamento e consulenza 3) servizi alle imprese 4) incontro domanda e offerta (placement) 5) inserimento lavoratori disabili e categorie protette 6) servizi Eures (per cercare lavoro nell’UE) 7) sportello giovani 8) sportello donna 9) servizi per extracomunitari 10) orientamento allo studio 11) promozione tirocini 12) avviamento PA (bandi per assunzioni negli enti pubblici).
Tuttavia, nella realtà il quadro che appare è molto disomogeneo e presenta gravi carenze sia per la differente gestione da parte delle amministrazioni locali sia spesso per l’insufficienza di fondi. Inoltre, se si paragonano le regioni del Nord a quelle del Sud, le discrepanze sono ancora più marcate. Nel primo caso infatti i CPI riescono spesso a porre in essere oltre alle prestazioni summenzionate anche diverse azioni personalizzate e “proattive” quali particolari programmi di incentivi e corsi di formazione. Al Sud invece lo stato di implementazione dei servizi all’impiego è molto limitato e sovente l’attività svolta non va oltre la mera gestione degli adempimenti.
Anche il sistema di raccolta delle informazioni seppur in parte funzionante (le imprese devono obbligatoriamente fornire le Comunicazioni Obbligatorie, ovvero i dati sulle assunzioni, proroghe, trasformazioni e cessazioni dei rapporti di lavoro) nell’insieme è molto frammentato, confusionario e di difficile accesso. A chi coraggiosamente si appresta ad effettuare una ricerca al riguardo il quadro che si trova di fronte è alquanto raccapricciante: i dati a disposizione sono di diversa natura, difficilmente unificabili e comparabili, e provengono da fonti diverse sia pubbliche che private. Mettere ordine tra queste informazioni e capire bene quali sono i servizi per l’impiego realmente esistenti sul territorio è sicuramente una delle priorità di chiunque decida di affrontare la questione dell’impiego nel suo insieme. Se non sappiamo dettagliatamente cosa succede fuori nel mercato e quali siano i servizi forniti dalla nostra pubblica amministrazione risulta impossibile fare un’accurata analisi della situazione in cui ci troviamo e fare un adeguato piano di intervento. Così come è impossibile verificare attentamente il risultato delle nostre politiche che abbiamo implementato nel passato e/o che andremo ad implementare nel futuro.
In maniera simile, altri interventi normativi come l’apertura del collocamento agli operatori privati (agenzie di selezione del personale, agenzie interinali, ecc.) e delle successive disposizioni a favore dell’intermediazione privata (Legge Biagi del 2003, l’art. 29 della manovra finanziaria 2011 - “Liberalizzazione del collocamento e dei servizi”) non hanno sortito gli effetti sperati. I risultati di una ricerca ISFOL del 2010, effettuata su un campione di 40 mila individui tra i 18 e i 64 anni, ci mostrano un panorama molto deludente. La modalità prevalente di ricerca del posto di lavoro in Italia è ancora il passaparola 30%, le auto candidature presso le imprese sono il 17.7%, il 7,5% trova un impiego attraverso contatti nell’ambiente professionale (in tal caso a far leva sono la reputazione, il merito o anche il semplice passa-parola), un 7% attraverso le agenzie private, e solo il 3% attraverso i servizi pubblici per l’impiego. Quest’ultimo dato è particolarmente sconfortante in quanto è rimasto invariato negli anni, nonostante i tanti sforzi volti a migliorare il collocamento pubblico. Inoltre anche la percentuale di collocamento effettivamente realizzata dalle agenzie specializzate in cui si riponevano molte speranze non è significativa (solo 7%).
“Uno dei motivi per cui l’Italia ha difficoltà di crescita - secondo il Direttore generale dell’Isfol Aviana Bulgarelli - consiste proprio nel cattivo utilizzo del proprio capitale umano: le persone non sanno come far conoscere e valere il proprio talento, le imprese non riescono a trovare lavoratrici e lavoratori con le competenze necessarie ai propri fabbisogni. La scorciatoia di rivolgersi ad amici e parenti non premia professionalità e merito, né aiuta le imprese a competere, crescere e innovare".
Buone pratiche
Detto ciò se si guarda agli interventi intrapresi a livello locale, molte amministrazioni provinciali e regionali hanno saputo porre in essere tante “buone pratiche” che sarebbe utile armonizzare e in molti casi estendere a tutto il territorio nazionale.
La Regione Emilia Romagna ad esempio, tra i provvedimenti adottati a favore dell’occupazione degno di particolare nota è il piano formativo anti-crisi per l’aggiornamento e la riqualificazione dei lavoratori sospesi o licenziati. Ogni lavoratore viene contattato dai servizi per il lavoro provinciali e attraverso colloqui individuali viene stabilito un piano di azione personalizzato di aggiornamento delle competenze e acquisizione di nuove al fine di favorire un rapido re-ingresso nel mercato del lavoro. Partendo dal presupposto che la formazione rappresenta una leva strategica per contrastare la crisi di un sistema economico-produttivo, la regione in esame mette a disposizione un ampia offerta di percorsi formativi che si caratterizzano per la capacità di rispondere alle reali e concrete esigenze dei lavoratori (inclusi coloro che hanno contrati a progetto) e delle imprese. Inoltre, per promuovere il Lifelong learning sono stati destinati 2,8 milioni di euro del Fondo Sociale Europeo per l’accesso individuale a corsi di alta formazione a persone occupate, inoccupate e disoccupate tra i 18 e i 64 anni residenti in Emilia-Romagna, e per la prima volta anche in altre regioni (attraverso voucher dell’importo massimo di 5 mila euro, oltre a un contributo fino a 3 mila euro nel caso in cui la sede sia extraregionale, a copertura delle spese di alloggio e trasporto).La Regione ha dato avvio anche alla realizzazione di Poli Tecnici per valorizzare la cultura tecnicoscientifica e rispondere alle esigenze di specializzazione e di innovazione delle imprese. Infine, sono stati destinati oltre 5 milioni di risorse del Fondo Sociale Europeo per giovani interessati a creare imprese innovative e sviluppare progetti di ricerca industriale e trasferimento tecnologico.
Perla Regione Lombardia segnaliamo il progetto Labour Lab relativo alla erogazione di politiche attive per specifici target di lavoratori svantaggiati, tramite la rete pubblico-privata regionale. Inoltre in collaborazione con l’Università di Milano Bicocca ogni anno viene pubblicato un rapporto sulle professionalità più richieste dalle imprese che operano nel territorio.
La Provincia di Como ha ricevuto un finanziamento di 6.747.574,44 euro dall’amministrazione provinciale per il reimpiego di lavoratori disoccupati. Ben quattro milioni sono andati direttamente ai lavoratori, con il sistema delle Borse Lavoro: con 650-700 euro al mese per sei mesi, rinnovabili per altri sei, hanno lavorato nelle aziende e il 48% è poi stato assunto. 2.682 è il numero delle persone seguite con borse lavoro, progetti di riqualificazione e di aggiornamento dal maggio 2008 a febbraio 2012.
La Provincia di Roma ha creato mediante il progetto Porta Futuro un centro di accoglienza al pubblico con uno staff specializzato di assistenza ai lavoratori (intermediazione, redazione CV cartaceo e video, orientamento, offerta formativa), e alle imprese (contrattualistica, tirocini, incentivi alle assunzioni). In più attraverso il portale web, i cittadini posso visionare direttamente i programmi e le offerte di lavoro e formative, inserire il CV e inviarlo alle imprese, che a loro volta possono inserire autonomamente nella banca dati le loro offerte di lavoro. Sono stati realizzati anche 18 Centri Orientamento Lavoro (COL) a Roma e 25 nei Comuni della Provincia, con lo scopo di attuare una strategia mirata sulle esigenze formative e professionali del singolo cittadino. Attraverso un processo di autonomia decisionale e consapevolezza delle scelte (secondo un’ottica auto-orientativa ed esplorativa) viene svolto l’assessment psico-sociale e delle competenze della persona ed elaborato un progetto individuale per la formazione e/o la ricerca del lavoro.
In generale, moltissimi sono i programmi messi a punto a livello regionale e provinciale per rispondere alla crisi occupazionale incentrati su corsi di formazione, tirocini, incentivi all’assunzione di lavoratori in cassa integrazione, incentivi alla creazione di nuove imprese, incentivi all’occupazione femminile, di giovani e disabili. Programmi realizzati anche in collaborazione con agenzie per il lavoro, enti di formazione, Università, ecc.
Conclusioni e proposte
Tuttavia la risposta del sistema Italia alle istanze della crisi è frammentata, disomogenea e di gran lunga insufficiente. Per cui in un contesto nazionale ed internazionale così difficile, con una crisi economica prolungata negli anni e di cui ancora non si intravede con certezza la fine, è indispensabile seguire con una certa solerzia le linee guida dell’UE in materia di lavoro (si veda al riguardola Strategia Europea per l'Occupazione – SEO, e gli orientamenti per le politiche occupazionali degli Stati membri valevoli per il triennio 2005-2008 - Decisione del Consiglio 12 luglio 2005, n.2005/600/CE).
Più precisamente la nostra opinione è che si debba al più presto implementare e ampliare le politiche del lavoro esistenti e sviluppare gli SPI in base all’esperienza dei paesi europei. E questo attraverso:
L’implementazione dell’organo di governance delle informazioni SARA Lavoro e di validi sistemi di valutazione delle politiche del lavoro. Il Sistema di ARchivi per Analisi sul Lavoro consiste in un organismo autonomo di natura tecnico-scientifica avente come compito il monitoraggio delle politiche del lavoro (si veda in proposito le raccomandazioni de “Il lavoro che cambia” – del comitato tecnico scientifico del Cnel presieduto da Pierre Carniti, 2009). SARA Lavoro avrebbe, quindi, libero accesso ai dati, e garantirebbe il coordinamento, l’unificazione e la standardizzazione delle informazioni in modo da ottenere degli output conoscitivi che rispondano pienamente alle esigenze di affidabilità, completezza, adeguatezza, tempestività, comparabilità e accessibilità (tutto ciò che in pratica ora non avviene). Il monitoraggio delle politiche del lavoro consentirebbe finalmente di poter effettuare anche nel nostro Paese una corretta valutazione degli interventi posti in esseri. Oltre a ciò, a tale scopo si potrebbe seguire il principio per cui la legge che instituisce una particolare politica debba prevedere anche la sua valutazione e i sistemi per effettuarla (come già avviene in molti paesi).
L’unificazione del funzionamento dei CPI per la parte sostanziale dei servizi, lasciando libertà alle regioni di legiferare in materia di lavoro e di porre in essere sul territorio i provvedimenti specifici che ritengano più opportuni. I servizi erogati dai CPI devono essere decisi a livello nazionale, così come i parametri per la raccolta delle informazioni e per la gestione del personale (mansioni, training specializzato, ecc..), e i sistemi di valutazione.
Lo sviluppo dei servizi offerti dai CPI (matching tra domanda e offerta di lavoro, riqualificazione, programmi di orientamento e di tutoring personalizzati, ecc.) in linea con gli standard di efficienza europei. A questo riguardo si ritiene necessaria anche una formazione specializzata degli operatori pubblici nonché un incremento del personale in termini numerici.
La costituzione dei Centri per l’impiego integrati, i quali in collaborazione con l’Inps avrebbero anche il compito di erogare direttamente i sussidi, consentendo nell’ottica del Welfare to work l’integrazione tra politiche attive e passive del lavoro. La corresponsione dei sussidi viene in questo modo collegata a l’ottemperanza da parte del lavoratore delle disposizioni dei CPI (obbligo di frequentare corsi di formazione, accettazione offerte di lavoro anche in ruoli diversi da quelli svolti e/o distanti dal luogo di residenza, ecc.). Questi provvedimenti sono particolarmente importanti per l’efficienza dell’intero sistema, sia per combattere gli sprechi e la formazione di lavoro nero, sia per evitare che periodi troppo lunghi di inattività impediscano al lavoratore di rientrare nel mercato (esempi di storture del sistema attuale ce ne sono tanti, basti pensare che in una regione attiva come il Veneto dove nel corso dell’ultimo anno sono stati stipulati 145.000 nuovi contratti a tempo indeterminato vi sono centinaia di lavoratori in cassa integrazione da 7 anni).
La creazione di sistemi di analisi dei fabbisogni di manodopera in modo da offrire adeguati corsi di formazione per i lavoratori e un corretto orientamento allo studio per i giovani. Al riguardo si ritiene particolarmente rilevante l’azione preventiva di anticipazione delle caratteristiche della domanda futura di manodopera.
L’organizzazione dei servizi offerti via internet (www.cliclavoro.gov.it). Le informazioni presenti sul sito devono essere il più possibile complete, aggiornate e di facile fruizione (si veda in proposito il sito ufficiale del Regno Unito, ottimo modello sia per l’organizzazione delle informazioni che per i contenuti). Per quanto concerne invece la ricerca di lavoro online questa necessita di un maggiore coinvolgimento delle parti interessate attraverso dei sistemi di incentivazione alla partecipazione delle imprese e dei lavoratori, quali ad esempio appropriate campagne pubblicitarie sui media tradizionali e non.
Il maggiore coinvolgimento di soggetti privati nello svolgimento di alcune funzioni (intermediazione, formazione, ecc.). Questa è una valida soluzione per adeguare in tempi brevi l’offerta dei servizi alle concrete necessità del territorio creando spesso anche dei margini di risparmio per lo Stato. Inoltre nel caso dei disoccupati di più difficile collocazione si può considerare la totale esternalizzazione dell’intermediazione e la riqualificazione del lavoratore a società specializzate nell’outplacement (di norma riescono a ricollocare l’80% dei lavoratori entro un uno, due anni al massimo), coinvolgendo attivamente anche le imprese che hanno esigenze di riduzione del personale.
L’introduzione di programmi di job rotation e di forme di condivisione del lavoro (job sharing, part-time). In caso di riduzioni temporanee o definitive dell’attività produttiva si potrebbe richiedere alle imprese di adottare di concerto con le parti sociali alcune di queste soluzioni al fine di evitare licenziamenti o lunghi periodi di inattività.
Lo sviluppo di specifiche politiche del lavoro per aree geografiche, settori e categorie (ad esempio incentivi alla creazione di nuove imprese e all’assunzione di particolari tipologie di lavoratori). Riteniamo che molti programmi attualmente esistenti sul territorio siano validi ma insufficienti e scollegati tra loro. Al contrario dovrebbero essere concepiti e implementati a livello nazionale su parametri diversi di quelli puramente territoriali (categorie di lavoratori, settori industriali, aree geografiche, ecc.). Fermo restante per le amministrazioni locali la possibilità di ampliare e integrare tali interventi. A tal proposito il ripristino dei provvedimenti previsti in passato per l’imprenditoria giovanile (L.95/95 ex L.46/86) è auspicabile, insieme all’ampliamento degli interventi a favore di categorie svantaggiate quali donne, disabili, ecc.
L’estensione delle politiche passive esistenti alle categorie non protette. Gli ammortizzatori sociali andrebbero riformati il più possibile in collaborazione con le imprese in modo che chi ha necessità di ridurre il personale partecipi almeno in parte ai costi per le indennità di licenziamento e per la ricollocazione dei lavoratori. Anche sussidi di disoccupazione universali e forme di sostegno per i bassi redditi andrebbero previsti dal sistema.

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venerdì 29 giugno 2012

Ichino: Fornero spiega il diritto del lavoro


Il senatore Pietro Ichino, sempre paziente nello spiegare gli avvenimenti politici più ingarbugliati, ha scritto nel suo sito cosa si intende per diritto del lavoro per spiegare le dichiarazioni del Ministro Fornero rilasciate nel corso di una intervista  al Wall Street Journal.
“Ci sono tre modi di intendere il “diritto al lavoro.
Il modo burocratico: “se vai all’ufficio di collocamento, hai diritto a essere avviato a un lavoro, sulla base di una graduatoria”.
Il modo sindacale: “Se hai un posto di lavoro, non puoi essere licenziato”.
Il modo costituzionale: “lo Stato ha il dovere di creare le condizioni affinché tutti abbiano una opportunità di lavoro secondo le proprie capacità e la propria scelta”.
Il primo lo abbiamo sperimentato per mezzo secolo, dal 1949 al 1997, con il nostro monopolio statale del collocamento: l’esperienza mostra che in quel modo, di fatto, abbiamo garantito soltanto il diritto dei collocatori alla bustarella.
Il secondo lo abbiamo sperimentato per quarant’anni, dal 1970 a oggi, con l’articolo 18 dello Statuto dei lavoratori: è il diritto a tenersi il proprio posto stabile quando lo si è trovato, ma non è affatto il diritto al lavoro stabile per chi ancora non lo ha trovato.
Resta il terzo, ovvero il modo più serio e più impegnativo di intendere il diritto al lavoro: l’esperienza degli ultimi due secoli mostra che non vi è modo migliore per garantire a tutti una opportunità di lavoro secondo le proprie capacità e la propria scelta, che quello di un mercato del lavoro ben funzionante, fluido e innervato di servizi efficienti, in un sistema economico aperto.
Nella sua intervista pubblicata mercoledì dal Wall Street Journal Elsa Fornero, dicendo che il lavoro non è “oggetto di un diritto”, ha soltanto voluto prendere le distanze dal modo burocratico e dal modo sindacale di intendere il “diritto al lavoro”, spiegando come va letto correttamente l’articolo 4 della nostra Costituzione. Chi per questo la ha duramente attaccata ci dica, per favore, qual è il suo modo di intendere il diritto al lavoro”.

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Prospettive dei Circoli Pd


Si è svolta di recente l’Assemblea nazionale dei segretari di circolo del Pd, i quali hanno espresso con i loro interventi entusiasmo, visione, obiettivi da conseguire nel territorio e critiche accompagnate dal desiderio di fare meglio per il bene del paese.

Si consiglia di leggere tutti gli interventi ed in particolare quelli di:  
- Alessandro Nicola: “Il Partito Democratico è un partito vero senza padroni e non ne vogliamo avere mai”;
- Maria Rosaria Calvio: “Basta con la guerra tra bande che infiacchiscono la buona azione locale. La gente non capisce la guerra per bande e si danneggiano gli amministratori locali che spesso non ne fanno parte”.

I lavori dell’Assemblea sono stati conclusi dall’ intervento di Pierluigi Bersani che ha fatto sue alcune dichiarazioni degli intervenuti ed ha prospettato un impegno comunitario nel Partito e nei circoli.

Sulle prospettive dei Circoli ho scritto un articolo e preparato un documento in PowerPoint che vi prego di leggere per offrire le vostre valutazioni ed arricchire i contenuti dei miei scritti.  

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giovedì 28 giugno 2012

Ministro Elsa Fornero: job e work

Articolo di Enrico Marro pubblicato  sul Corriere della Sera il 28 giugno 2012
Elsa Fornero talvolta potrà apparire una maestrina, come ha detto il leader della Cisl, Raffaele Bonanni, qualche volta ha pure commesso gaffe, come per esempio sugli esodati, definiti «un costo della riforma delle pensioni», ma ora darle addosso per l'intervista pubblicata ieri dal Wall Street Journal è pretestuoso.
A parte che basta andare sul sito dello stesso quotidiano per verificare, nella trascrizione della conversazione tra il ministro del Lavoro e i giornalisti, che Fornero parla di job e non di work come invece riportato nell'articolo sul giornale di carta. Il senso della frase incriminata cambia.  Nella trascrizione Fornero spiega che i giovani «devono comprendere che un posto di lavoro (a job, appunto, ndr) non è qualcosa che si ottiene di diritto, ma qualcosa che si conquista». Nell'articolo si sintetizza: «L'atteggiamento della gente deve cambiare. Il lavoro (work) non è un diritto; deve essere guadagnato».
Parole che, messe così (work isn't a right), hanno scatenato la polemica sul ministro che avrebbe contraddetto l'articolo 1 della Costituzione, «L'Italia è una Repubblica democratica, fondata sul lavoro», e il 4 che afferma «il diritto al lavoro». Ma chiarire l'equivoco generato da work e job non è sufficiente. Vale la pena di cogliere l'occasione per entrare nel merito della discussione. Che così come non può essere strumentale non deve nemmeno essere ipocrita. Nessuno può pensare che il lavoro sia un diritto nel senso che lo Stato dà un posto a tutti. Anche la sinistra riformista, in tutto il mondo, da Blair fino a Obama, ha teorizzato da tempo che la priorità è assicurare a ciascuno stesse opportunità di partenza. Siamo lontanissimi, è vero.
E la stessa Fornero riconosce che la sua riforma «non è perfetta» aggiungendo però che servirà a «chi deve entrare nel mercato del lavoro».
Il diritto al lavoro si garantisce dando al cittadino gli strumenti per trovare un'occupazione corrispondente alle sue aspirazioni e alla sua preparazione, promuovendo «le condizioni che rendano effettivo questo diritto», come dice l'articolo 4. Se qualcuno ancora non ne è convinto, basta che si rilegga quanto scrisse Amintore Fanfani, artefice della formulazione finale dell'articolo 1, sul quotidiano Il Popolo all'indomani dell'approvazione dello stesso articolo nell'Assemblea costituente, il 23 marzo 1947: «L'espressione "fondata sul lavoro" esclude che la Repubblica si fondi sul privilegio, o sulla fatica altrui; affermando invece che essa si fonda sul dovere - che è a un tempo diritto - di ogni uomo di provare col suo sforzo libero la sua capacità "di essere", e di contribuire al bene della comunità nazionale». Insomma, concludeva Fanfani (come riporta Antonio Passaro nel suo libro «Il valore del lavoro»), l'articolo 1 vuole affermare il «dovere di ogni uomo di essere quello che egli può».

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martedì 26 giugno 2012

L’uguaglianza nella crisi economica

Articolo di Giuseppe Bedeschi pubblicato sul Corriere della Sera il 25 giugno 2012 LEZIONE DELLA CRISI
Non c'è liberalismo senza sicurezza sociale
La crisi economica che tormenta il mondo industriale
viene interpretata da molti intellettuali come una crisi del liberalismo. Questa tesi è sostenuta anche da un consigliere del neopresidente francese Hollande, Aquilino Morelle, in un intervento apparso sulla rivista «Micromega» e di cui il Corriere ha pubblicato una sintesi (il 21 giugno). «Il sistema liberale - dice Morelle - è fondamentalmente basato sulla disuguaglianza». Ma esso, aggiunge l'autore, è arrivato al capolinea, come hanno dimostrato il crac del 2008 e il disastro che ne è seguito. Senonché - ecco forse la novità contenuta nell'intervento - anche la sinistra è complice di questo disastro, poiché negli ultimi trent'anni «si è paralizzata davanti all'aggressività di questo nuovo capitalismo totale, ammutolendo e rifugiandosi nell'idea che non si poteva fare diversamente, che eravamo davanti a una sorta di "necessità" storica». Dunque, la sinistra deve riscattarsi dall'errore commesso, dalla sua complicità col liberalismo capitalistico, e a tal fine deve ritornare al suo antico patrimonio ideale, basato su un'idea semplice e forte: l'eguaglianza. Infatti, dice Morelle, l'obiettivo che da sempre definisce la sinistra è la ricerca dell'eguaglianza. «Se rinunciamo a questo, rinunciamo alla sinistra». In questo passaggio sarebbe da individuare l'errore di John Rawls con le sue «disuguaglianze accettabili», e di Anthony Giddens con la sua «terza via». La posizione sostenuta da Morelle merita qualche chiosa. 
 
Intanto io non sarei così graniticamente sicuro come l'intellettuale francese che al centro del patrimonio ideale della sinistra ci sia un concetto rigoroso, aritmetico, di eguaglianza. Basti pensare a Marx (e non credo che Morelle voglia espellere Marx dal patrimonio culturale della sinistra). Orbene, l'autore del «Capitale» pensava che una società fondata sulla emancipazione del lavoro non potesse basarsi sul «diritto eguale», in quanto quest'ultimo è, piuttosto, un diritto... disuguale. Nel quadro del diritto uguale, infatti, tutti devono avere la stessa quantità di beni e di servizi; ma questa eguaglianza puramente aritmetica non tiene conto del fatto che - diceva Marx - «l'uno è fisicamente o moralmente superiore all'altro», cioè non tiene conto del fatto che gli uomini sono tutti disuguali non solo per capacità fisiche, ma anche per capacità intellettuali e morali. La concezione della nuova società propugnata da Marx non era dunque basata sul diritto eguale, ed era assolutamente antilivellatrice.
Se poi veniamo a tempi a noi più vicini, dobbiamo constatare che il pensiero democratico, maturato nel fuoco delle battaglie socialiste, ha perseguito non tanto l'eguaglianza economica, quanto la sicurezza sociale per tutti. Scriveva per esempio Gaetano Salvemini nel 1937: «La maggior parte degli uomini e delle donne desiderano un minimo di benessere, di tempo libero e di sicurezza. Non si preoccupano neppure dell'eguaglianza economica, se per eguaglianza economica si intende eguaglianza assoluta delle condizioni economiche col termine sicurezza intendiamo un livello di vita minimo, decoroso e con le sue modeste attrattive». (Ricavo questa citazione dal bel libro di Gaetano Pecora, Socialismo come libertà. La storia lunga di Gaetano Salvemini , appena pubblicato da Donzelli). Anche per un autore democratico come Salvemini, dunque, il problema della società moderna non era quello di una «eguaglianza economica assoluta», bensì quello di assicurare a tutti un minimo di sicurezza.
Ma Morelle è davvero sicuro che questa preoccupazione sia assente nei pensatori liberali? È sufficiente che egli legga Raymond Aron (per citare un autore appartenente al suo universo culturale) per vedere che le cose non sono così semplici come lui crede. Morelle dovrebbe soffermarsi a questo proposito sulla critica che Aron rivolse all'idea di libertà teorizzata da Friedrich von Hayek. L'idea hayekiana, diceva Aron, non basta a precisare i criteri che contraddistinguono una società libera. Infatti, oltre alla libertà come non-costrizione, ci sono anche altre libertà, senza le quali quella libertà rischia di rimanere vuota. «Affinché il cittadino sia veramente libero di fare qualcosa, non basta che la legge impedisca agli altri di vietargli la suddetta cosa minacciandoli di incorrere in una sanzione, bisogna anche che egli ne possegga i mezzi materiali». Ovvero, perché io sia libero, devo certo godere, in primo luogo, delle libertà civili e politiche (senza le quali c'è solo il regno dell'ingiustizia e delle tenebre), ma la società deve inoltre assicurarmi alcune libertà fondamentali (di avere i beni essenziali, di istruirmi, eccetera), senza le quali la tanto celebrata «libertà» come non-costrizione diventa una parola vana. Questo diceva il liberale Aron. Alla luce di queste parole, Morelle pensa davvero che il liberalismo sia una merce così poco raccomandabile?

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venerdì 22 giugno 2012

Creatività al circolo Pd di Pontecagnano

Da una panchina di Pontecagnano nel salernitano due ragazzi, Roberta D'Amico e Roberto Brusa, guardano la cinepresa e raccontano come attraverso l'ironia e sketch che sembrano happening d'arte stiano smuovendo le coscienze della loro cittadina: siccome sta diventando un dormitorio e hanno chiuso i quattro cinema, con gli amici si sono inventati una finta partita di pallavolo tra i calcinacci del palasport in costruzione da anni oppure una «prima visione» davanti al bandone serrato di una sala - come fossero a un drive-in - confortati dai popcorn.
Fotografano le loro azioni, le mettono in rete e Pontecagnano ride e pensa che qualcosa lì non va. Raccontata la scena non diverte come vederla: è uno degli otto capitoli di un docu-film nato e concepito negli uffici del Pd nazionale, “Democratici. Un altro film”, per far conoscere chi forma la base del partito, chi costituisce la forza collettiva degli iscritti nelle cittadine, nella campagne, dal sud al nord fino agli italiani in Lussemburgo. Pubblicato su l’Unità 


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Inps: Giovanelli interroga Fornero

'Chiediamo al ministro Fornero di intervenire per sanare la situazione che si e' venuta a creare dopo l'illegittima determinazione del Presidente dell'Inps del 31 maggio scorso con la quale Mastrapasqua opera di fatto un riassetto organizzativo dell'Istituto prima dell'emanazione dei decreti ministeriali di trasferimento delle risorse strumentali, umane e finanziarie successivo alla soppressione dell'Enpals e di Inpadap'.
Lo afferma Oriano Giovanelli, deputato del Pd, primo firmatario di un'interrogazione al ministro Fornero su questo tema, sottoscritta anche dai deputati democratici Alessandro Naccarato, Amalia Schirru, Paolo Fontanelli, Lucia Codurelli, Maria Luisa Gnecchi, Donella Mattesini.
'E' altamente scorretto dal punto di vista istituzionale - prosegue Giovanelli - procedere al riassetto organizzativo, atto di carattere eccezionale, prima che il Parlamento, su proposta del Governo, abbia proceduto alla riforma della governance dell'Inps, come previsto dalle mozioni approvate l'8 maggio scorso. Per questo sono altrettanto viziate le determinazioni 89 e 90 del 30 maggio scorso con le quali il Presidente Inps rinnova incarichi dirigenziali in scadenza palesando un processo di  riorganizzazione del nuovo ente già in atto ancor prima dell'approvazione del piano industriale e al di fuori di una trasparente valutazione del complesso delle risorse professionali a disposizione del nuovo ente risultante dal processo di fusione di Inps Enpals e Inpdap. A nostro parere risultano illegittime anche le determinazioni, in corso di assunzione, riguardanti l'attribuzione di incarichi dirigenziali presso 40 sedi provinciali dell'Inps a neo vincitori di concorso pubblico tutt'ora presenti al corso di formazione per dirigenti della Scuola Superiore della Pubblica amministrazione, quando sono presenti nell'istituto risorse dirigenziali dotate della sufficiente esperienza e managerialità e con curricula mediamente molto più' ricchi.
Questa situazione e' molto grave in quanto atti e trattamenti estemporanei e non conformi ai criteri generali previsti di assegnazione di incarichi dirigenziali possono innescare dannose situazioni di contenzioso generalizzato'.
Si riporta integralmente l’interrogazione presentata al Ministro del lavoro e delle politiche sociali
- Per sapere - premesso che:
l’articolo 21, comma 2, del decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201, convertito, con modificazioni, dalla legge 22 dicembre 2011, n. 214, dispone che: «Con decreti di natura non regolamentare del Ministro del lavoro e delle politiche sociali di concerto con il Ministro dell’economia e delle finanze e con il Ministro per la pubblica amministrazione e la semplificazione, da emanarsi entro 60 giorni dall’approvazione dei bilanci di chiusura delle relative gestioni degli enti soppressi alla data di entrata in vigore del presente decreto-legge e sulla base delle risultanze dei bilanci medesimi, da deliberare entro il 31 marzo 2012, le risorse strumentali, umane e finanziarie degli enti soppressi sono trasferite all’Inps»;
dispone inoltre al comma 2-bis che, «in attesa dell’emanazione dei decreti di cui al comma 2 le strutture centrali e periferiche degli enti soppressi continuano ad espletare le attività connesse ai compiti istituzionali degli stessi»;
lo stesso articolo 21 al comma 7 dispone che: «entro sei mesi dall’emanazione dei decreti di cui al comma 2, l’Inps provvede al riassetto organizzativo e funzionale conseguente alla soppressione egli enti di cui al comma 1 operando una razionalizzazione dell’organizzazione e delle procedure»;
i decreti di cui al comma 2 non sono stati ancora emanati in quanto non sono stati approvati definitivamente i bilanci di chiusura di Inpdap che il citato comma 7 prevede che solo nei mesi successivi all’emanazione degli stessi è possibile procedere alla soppressione degli Enti «operando una razionalizzazione dell’organizzazione e delle procedure»;
con determinazione del Presidente dell’Inps n. 5804 del 31 maggio 2012 si dispone di impegnare il direttore generale a predisporre il piano industriale dell’istituto entro il 30 giugno 2012, operando di fatto un riassetto organizzativo dell’Inps prima dell’emanazione dei decreti ministeriali di trasferimento delle risorse strumentali, umane e finanziarie, previsti dall’articolo 21 citato;
l’interrogante giudica scorretto dal punto di vista istituzionale oltre che di dubbia legittimità procedere al riassetto organizzativo, atto di carattere eccezionale, prima che il Parlamento, su proposta del Governo, abbia proceduto alla riforma della governance dell’Inps, come previsto dalla mozione n. 1-01028 dell’8 maggio scorso;
con le determinazioni 89 e 90 del 30 maggio 2012 il Presidente ha rinnovato incarichi dirigenziali in scadenza rispettivamente in ottobre e settembre 2011 palesando un processo di riorganizzazione del nuovo ente già in atto ancor prima dell’approvazione del piano industriale e al di fuori di una trasparente valutazione del complesso delle risorse professionali a disposizione del nuovo ente risultante dal processo di fusione di Inps Enpals e Inpdap;
risulta che sarebbero in corso di assunzione deliberazioni riguardanti l’attribuzione di incarichi dirigenziali presso 40 sedi provinciali dell’Inps a neo vincitori di concorso pubblico tutt’ora presenti al corso di formazione per dirigenti della scuola superiore della pubblica amministrazione, sebbene siano presenti nell’istituto risorse dirigenziali dotate della sufficiente esperienza e managerialità e con curricula mediamente molto più ricchi, che hanno concorso all’interpello per ricevere tali incarichi -:
se il Governo sia a conoscenza di quanto descritto in premessa;
se alla luce delle considerazioni svolte, qualunque incarico dirigenziale assegnato prima del riassetto organizzativo debba essere esplicitamente qualificato dall’Inps come «temporaneo» in attesa del definitivo riassetto organizzativo;
se ci sia coscienza del fatto che atti e trattamenti estemporanei e che sono di dubbia conformità ai criteri generali previsti di assegnazione di incarichi dirigenziali possano innescare dannose situazioni di contenzioso generalizzato.

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mercoledì 20 giugno 2012

Nuove regole per un nuovo Circolo Pd

Il sistema dei partiti e, quindi, della rappresentanza politica è in crisi. I risultati delle recenti elezioni amministrative hanno comprovato il distacco della società civile dai partiti, causato anche dal disagio sociale avvertito nel paese. Questa condizione impone una riflessione approfondita per individuare un percorso che permetta di recuperare il rapporto di fiducia con i cittadini. L’impegno deve considerare i problemi reali delle persone che vanno compresi, condivisi ed affrontati attraverso la costruzione di una prospettiva strategica e valutare il modello organizzativo del partito per realizzare i contenuti dell’art. 49 che assegna ai cittadini il “diritto di associarsi liberamente in partiti per concorrere con metodo democratico a determinare la politica nazionale”.
Modelli organizzativi per i partiti
Il modello organizzativo dei partiti viene affrontato in un articolo, pubblicato su Il Sole 24 Ore del 3 giugno 2012, da Sergio Fabbrini. L’autore sottolinea che i modelli di partito realizzati negli ultimi vent’anni non hanno funzionato: - Partito come organizzazione sociale;  Partito come organizzazione personale. Secondo Fabbrini il primo modello ha dato vita a organizzazioni a difesa di interessi specifici (sindacali, nel caso del Pd, e territoriali, nel caso della Lega Nord) a causa di una società frammentata e corporativa degli interessi ed il secondo modello per nulla innovativo, ideato per primo da Berlusconi ed utilizzato poi da altri partiti, ha trasformato i partiti in portavoce di una accozzaglia di lobbies, di ordini professionali e di associazioni varie.
Tale distinzione, utile per capire alcuni aspetti della crisi dei partiti, non tratta la crisi di partecipazione politica ed associa nel medesimo modello il Pd e la Lega, ignorando che la Lega  può essere associata al modello di partito come organizzazione personale. 
La difesa dei più deboli da parte del Pd non può essere associata ad una forma di partito che esprime interessi specifici in quanto rientra tra i fini generali dello Stato la tutela delle persone  che presentano problemi di sopravvivenza.
I modelli dei partiti possono essere valutati rapportandoli alla partecipazione democratica.
Per capire i partiti e la presenza che esprimono nel territorio si richiamano due modelli organizzativi fra di loro contrapposti rispetto alla partecipazione dei cittadini, dai quali si possono desumere degli utili elementi:
- L’organizzazione ragno possiede una testa centrale che impartisce ordini con la pretesa che vengano eseguiti dalle parti periferiche del corpo. In tale modello prevale la gerarchia e la leadership autoritaria ed è assente il coinvolgimento e la partecipazione delle persone al processo decisionale. Le persone non coinvolte, destinatarie delle decisioni, reagiscono in modo negativo e quelle che presenti  esprimono uno scarsa passione, appartenenza ed impegno. Questo modello sottovaluta la partecipazione democratica.
Il ragno è un animale formato da una testa, dagli occhi e dalle zampe che fuoriescono da un corpo centrale. Il ragno se perde la testa muore. Al contrario la perdita di una zampa non causa la morte.    
Il ragno rappresenta una struttura centralizzata e gerarchica. La testa del ragno invia comandi alle zone periferiche del corpo che eseguono supinamente in assenza di un processo decisionale partecipativo.
Il ragno raffigura il partito di Berlusconi: leadership autoritaria,   assenza di democrazia ed unità di comando in contrasto con l’art. 49 della Costituzione. Il Pdl, partito personale, è andato in frantumi non a caso da quando Berlusconi non detiene più il potere. Il Pdl sembra più ad una impresa tayloristica anziché ad un partito democratico.
- L’organizzazione stella marina, la quale si è imposta all’attenzione attraverso testimonianze tangibili, è caratterizzata dall’assenza di una testa centrale, rappresentata da unità operative indipendenti e flessibili, e della leadership che viene esercitata da tutti i membri della comunità. Tale modello non è facile da attuare in modo completo nelle organizzazioni complesse e nei partiti che hanno bisogno di identificarsi in una leadership autorevole, capace ed in grado di esprimere una visione condivisa. Al contrario le caratteristiche della stella marina possono essere adottate per valorizzare le persone e la partecipazione di massa alla vita democratica.  Il modello organizzativo è quello della piramide rovesciata.
La stella marina non ha una testa ed  un cervello e il suo corpo centrale non ha funzioni di governo. I pescatori per eliminarle una volta pescate   le tagliavano a metà e le ributtavano in mare invano perché le stelle marine si autoreplicano da una parte del corpo e diventano il doppio. Le decisioni della stella marina provengono dai  membri del corpo che cooperano.
Il Pd ha le caratteristiche della stella marina: democrazia diffusa e struttura decentralizzata.
Il Pd deve replicare  la stella marina attraverso la conservazione delle cose buone fatte, il miglioramento continuo e la valorizzazione delle comunità e strutture locali.   
Circoli Pd e territorio
Il circolo Pd è una struttura decentrata con pochi livelli gerarchici che ha bisogno a sua volta di decentrarsi rispetto agli elettori ed agli iscritti al fine di ascoltare le opinioni  e le riflessioni, di capire il disagio sociale e trovare insieme le soluzioni possibili.
La scarsa mobilitazione e partecipazione alla vita del circolo è la conseguenza della bassa fiducia che i cittadini ripongono nei partiti e del tipo di organizzazione che il circolo si è dato.  
Per avviare il processo di cambiamento dal basso e dal territorio occorre ridisegnare i fattori essenziali del modello di organizzazione del Circolo: leadership cooperativa, organizzazione snella e veloce, strategia con obiettivi chiari e tempi certi, metodo di lavoro che si fonda sulle comunità, l’uso delle energie e delle risorse in direzione del cambiamento e non della difesa dello status quo.  
Il modello stella marina può essere realizzato nei circoli Pd attraverso la costituzione di comunità di passione o di entusiasmo (così definita da alcuni studiosi)  focalizzate su un argomento specifico scelto dai membri. 
Le comunità si caratterizzano  per i seguenti elementi:  
- sono costituite secondo le proposte delle persone, le quali scelgono spontaneamente la comunità alla quale aderire;
- il portavoce della comunità è eletto dai membri;
- gli obiettivi sono stabiliti dalla comunità;
- la comunità è dotata di autonomia nel perseguire gli obiettivi prestabiliti;
- la solidarietà è il valore che contraddistingue le comunità;
- il coordinatore e gli organi del circolo mantengono con le comunità rapporti di coordinamento e di collaborazione.
In una intervista recente, pubblicata su l’Unità il 28 maggio, Pierluigi Bersani parla di un Pd aperto alla società civile, ai movimenti ed alle associazioni. La dichiarazione di Bersani che condivido pienamente esprime la strategia del Pd da perseguire a livello centrale e periferico.  
Un ruolo importante in questo contesto deve essere svolto dai Circoli del Pd, i quali rappresentano l’unità territoriale di base che svolge attività politica e si rapporta con gli elettori e gli   iscritti al partito nel territorio di competenza. Dall’attuazione efficace della politica dei Circoli derivano i consensi al partito anche se su di essi influiscono le scelte effettuate a livello centrale e la qualità della comunicazione offerta ai cittadini.
Per tale motivo occorre ripensare con urgenza i circoli del Pd, stabilire nuove regole, utilizzare nuovi strumenti per avviare un grande cambiamento che coinvolga gli iscritti e gli elettori di uno specifico territorio, tenendo conto dell’incessante cambiamento del pianeta e dei problemi sociali dell’area di competenza. Inoltre, occorre eliminare i limiti, di cui se ne indicano alcuni tra i più importanti, che si frappongono ad una gestione libera, democratica ed efficace del circolo:
- La ricerca  costante di consensi all’interno del Partito sottovaluta l’importanza di recuperare consensi all’esterno nella società civile e genera conflitti e divisioni non facilmente componibili;
-  L’obiettivo di lavorare per la propria sopravvivenza ed ascesa politica pone in secondo piano il processo di formazione ed attuazione della strategia del circolo, l’adattamento continuo ai cambiamenti che avvengono nella società e la possibilità di lavorare con gli altri e per gli altri;
- Il controllo e l’interferenza delle correnti nella vita del circolo è un ulteriore motivo di divisione che blocca la crescita e l’adesione libera e responsabile delle persone al Pd.
Fattori di cambiamento
La prima condizione da valutare è l’unità all’interno del circolo per utilizzare al meglio tutte le risorse e le capacità disponibili della struttura. A tal fine occorre cambiare le regole del Congresso Provinciale e Comunale che prevedono una partecipazione diretta dei circoli con proprie liste che si ispirano a determinate componenti. Bersani nell’ultimo congresso ha proposto di cambiare le regole al fine di prevedere una partecipazione diretta dei circoli alla vita del Partito. La finalità della proposta è nobile ma crea dei problemi in quanto la competizione non dilazionabile  nel momento congressuale si trasforma dopo in divisione stabile tra i quadri. Pertanto, è necessario cambiare le regole del Congresso e prevedere la presentazione di liste provinciali o comunali nei Congressi territoriali. Tale regola attenua le disgregazioni che accompagnano la vita del circolo.
Viene spontanea la domanda: Unità su che cosa e per quali finalità? Ritengo che l’unità possa e debba realizzarsi sui valori (solidarietà, uguaglianza, democrazia, visione) e obiettivi condivisi che stanno alla base del processo fondativo del Pd.  Le finalità da perseguire sono rappresentate dalla visione di una società giusta ed equa.
Si ritiene necessario ispirare i comportamenti ed i rapporti alla cultura della trasparenza, della sincerità e della franchezza. Le bugie e l’opacità non consolidano  l’appartenenza al Pd e creano una falsa rappresentazione della realtà  che inficia  il processo decisionale ed allontana le persone nel momento in cui scoprono di essere stati oggetto di bugie strumentali.  La sincerità è un fattore non sostituibile per realizzare proficui rapporti di stima e di fiducia che stanno alla base dell’unità del circolo nel perseguire gli obiettivi programmati.
Al Circolo compete organizzare il tesseramento e la propaganda del partito. Queste attività da sole, anche se realizzate bene, non sono sufficienti a costruire un modello di circolo aperto alla società e partecipato. Gli incarichi tradizionali dell’esecutivo che non creano valore e rispondono ad esigenze di equilibrio interno vanno eliminati e sostituiti con responsabilità nuove che rispondono alle necessità della società civile.
L’obiettivo è quello di realizzare un sistema aperto ed una struttura da top-down a bottom-up che favorisce le decisioni prese alla periferia (comunità) del sistema (circolo) per affrontare i problemi più complessi alla presenza di pochi elementi di controllo dall’alto. Occorre realizzare progetti di bottom-up utilizzando le conoscenze delle persone, le relazioni, la creatività e la capacità di pensare oltre l’equilibrio raggiunto perché ogni cosa ed ogni processo sono migliorabili e le nuove tecnologie, le quali vanno utilizzate per creare una partecipazione virtuale ed orizzontale dal basso  e non per comunicazioni unidirezionali dall’alto (es. groups.google, blog del circolo).           
Per arrivare alla costituzione delle comunità di passione occorre pazienza, impegno e conoscenza delle persone e dei temi di loro gradimento. Pertanto, si rende necessario effettuare nel territorio di competenza inchieste, interviste, questionari e relazioni personalizzate a campione nei borghi, analizzare e valutare i risultati di tali interventi ed invitare  le persone più disponibili a collaborare nelle comunità. Si potrebbe adottare la banca del tempo per conoscere la disponibilità delle persone a lavorare nelle comunità. Inoltre, i problemi esposti dalle famiglie potrebbero trovare soluzione nel circolo (sostegno scolastico, consumi, virus nel PC, biblioteca virtuale, tempo libero ed altro). In sintesi occorre co-creare valore per le comunità locali.
La proposta non è chiusa in quanto completa e priva di spazi di confronto e dialogo perché occorre valutarla ed adattarla al contesto territoriale di ciascun circolo senza perdere di vista l’obiettivo principale, sostenuto da Pierluigi Bersani nell’intervista pubblicata su l’Unità del 17 giugno 2012: “Al mio partito chiedo di avere coraggio. Un partito di governo deve aprirsi, coinvolgere, ascoltare, ma poi deve decidere. Con nettezza”.
I circoli sono titolari di un ruolo strategico importante perché rappresentano il primo anello della catena di partecipazione alla vita politica nella quale si organizza la partecipazione responsabile e consapevole degli iscritti e degli elettori, svolgono le funzioni contenute nell’art. 49 della Costituzione, sono contro la trasformazione dei partiti in comitati elettorali che gravitano intorno ai notabili di turno (rischio attuale). Le responsabilità dei Circoli vanno sostenute con interventi di finanziamento migliori rispetto a quelli attuali, tenendo conto dei loro miglioramenti gestionali da rilevarsi tramite l’analisi dei risultati elettorali conseguiti nel territorio di competenza.  
La speranza è quella di creare con il nostro impegno tante stelle marine nei circoli al servizio dei cittadini e del paese, rafforzando così il rapporto tra il Partito Democratico e le comunità locali.
Documento in PowerPoint

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lunedì 18 giugno 2012

Esodati e mercato del lavoro

Lettera sul lavoro del senatore Pietro Ichino pubblicata sul Corriere della Sera del 18 giugno 2012
Caro Direttore, per decenni ci siamo consentiti di andare in pensione a cinquant’anni accumulando debito pubblico, poi debito per ripagare il debito e gli interessi sul debito, finché i creditori hanno incominciato a dubitare della nostra capacità di restituire il tutto. Così, di colpo, come per effetto dello scoppio di una “bolla”, la drammatica crisi del debito pubblico nel dicembre scorso ci ha costretti a rimettere i piedi per terra.
Fino ad allora avevamo fatto finta che con 60 anni di età e 37 o 38 anni di contribuzione un lavoratore si fosse “guadagnato il diritto” alla pensione. Se si considera che a 60 anni gli italiani hanno una attesa media di vita di 23 anni se uomini, 24 se donne, è evidente l’insostenibilità di quell’idea: non è possibile che 38 anni di contribuzione nella misura del 33 per cento costituiscano un finanziamento sufficiente per una pensione pari a tre quarti o quattro quinti dell’ultima retribuzione, destinata a durare per 23 o 24 anni. Il sistema poteva stare in piedi soltanto con un cospicuo contributo dello Stato: ed è infatti ciò che è accaduto per tutto il mezzo secolo passato, nel quale lo Stato ha contribuito ogni anno con l’equivalente di molte centinaia di miliardi di euro al pareggio di bilancio dell’Inps.
In realtà lo sapevamo benissimo: tanto che nel 1995 abbiamo fatto la riforma delle pensioni necessaria. Ma l’abbiamo applicata solo ai ventenni e trentenni, cioè ai nostri figli e non a noi stessi. Il Governo Monti, appena costituito, ha dovuto fare in due settimane quello che avrebbero dovuto fare i Governi precedenti nell’arco di due decenni, estendendo la riforma del 1995 a tutti. Naturale che in questo modo molti di noi cinquantenni e sessantenni siano rimasti scottati; ma la colpa non è del Governo che ha gestito lo scoppio della bolla: è di chi per tanto tempo ha lasciato che si gonfiasse.Ora, certo, occorre curare le scottature prodotte da quello scoppio. Ma non possiamo farlo tornando indietro rispetto alla riforma. Già con il decreto “Salva-Italia” del dicembre scorso sono stati “salvaguardati”, cioè esentati dall’applicazione delle nuove regole, circa 65.ooo sessantenni senza lavoro e molto prossimi al pensionamento secondo le regole vecchie. Oggi a chiedere di essere “salvaguardati” sono moltissimi altri, un po’ meno vicini al traguardo. Se si esaminano le categorie interessate, ci si rende subito conto che – oltre a circa 24.500 lavoratori per i quali un accordo stipulato prima della fine del 2011 ha previsto la cessazione del lavoro dal 2012 in poi, con o senza l’assistenza di un fondo di solidarietà (categoria alla quale pare davvero logico estendere la “salvaguardia” già disposta per casi analoghi con cessazione del lavoro entro il 2011) – tra gli altri aspiranti potrebbero annoverarsi tutti i cinquantenni e sessantenni attualmente disoccupati: l’Inps, in particolare, segnala 173.100 lavoratori con più di 53 anni, che per i motivi più svariati hanno cessato di lavorare tra il 2009 e il 2011; e 122.750 nati dopo il 1946 e senza lavoro da anni, autorizzati dallo stesso istituto ai versamenti contributivi volontari (per ulteriori dati rinvio al mio sito). Esentare dall’applicazione delle nuove norme tutti questi casi equivarrebbe evidentemente a svuotare la riforma del dicembre scorso, ripristinando la situazione finanziariamente insostenibile precedente e l’ingiustizia tra generazioni, con un incremento di decine di miliardi del debito di 2000 miliardi che già lasciamo da pagare ai nostri figli e nipoti.
I cinquantenni e sessantenni senza lavoro non devono essere incoraggiati a uscire definitivamente dal tessuto produttivo, ma aiutati a rientrarvi, con tutti gli incentivi e le agevolazioni possibili per favorire il loro ritorno a un’occupazione retribuita adatta a loro, ancora per qualche anno. La soluzione deve consistere in una norma speciale che estenda, nella misura delle disponibilità finanziarie, il trattamento di disoccupazione, e al tempo stesso istituisca alcuni forti incentivi all’ingaggio di queste persone: per esempio con esenzioni contributive, sgravi fiscali, una disciplina speciale che consenta un periodo di prova fino a un anno nel rapporto di lavoro dipendente, e che agevoli la costituzione di rapporti genuini di collaborazione autonoma continuativa con le amministrazioni locali, dove ne ricorrano gli elementi essenziali. In altre parole, occorre mantenere fermo il principio per cui a 50 e a 60 anni si può ancora lavorare, e si deve essere disponibili a farlo se si vuole beneficiare di un sostegno del reddito; ma anche fare tutto il possibile per abbattere il diaframma che impedisce a questa offerta di lavoro maturo di incontrarsi con la domanda potenziale, soprattutto nel settore dei servizi alle famiglie e alle comunità.
La nuova cultura del lavoro di cui il Paese ha urgente bisogno deve liberarsi dall’idea che per un sessantenne trovare un lavoro, anche magari a part-time, sia impossibile. Per liberarsi di quell’idea non basta, certo, un tratto di penna sulla Gazzetta Ufficiale: occorre anche far funzionare meglio il nostro mercato del lavoro, abbattendo il diaframma che impedisce l’incontro fra una grande domanda di servizi alle famiglie e alle comunità locali e questa grande offerta potenziale di manodopera, che può essere facilmente posta in grado di svolgerli.
Nota di Pietro Ichino

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domenica 17 giugno 2012

Verona alla Conferenza Pd per il lavoro di Napoli

Grande entusiasmo e partecipazione alla Conferenza per il Lavoro. Interventi di alto livello per i contenuti espressi e per la presenza dei maggiori leaders del Pd, delle forze sociali e sindacali che hanno contribuito insieme a valorizzare il lavoro e le persone in un momento di grave crisi politica ed economica.
Non bisogna sottovalutare l'ampia presenza dei rappresentanti periferici del Pd che hanno contribuito con i loro interventi ad arricchire il dibattito.  
Il Pd di Verona è stato presente alla Conferenza con i suoi delegati che hanno contribuito con la presentazione di un ordine del giorno approvato dall’Assemblea dei delegati.
Si riporta integralmente il documento:
 L’ASSEMBLEA
apprezza e approva
le proposte elaborate dalla Direzione del Partito Democratico, contenute nel documento “Sviluppo Sostenibile per la buona e piena occupazione”, mirate a realizzare la strategia della crescita in Europa ed in Italia 
ritiene altresì

- che per sostenere le imprese ed il lavoro occorrono delle Pubbliche Amministrazioni più efficaci ed efficienti rispetto al sistema pubblico degli altri Stati al fine di ridurre i costi della burocrazia a livelli accettabili,gli sprechi e le spese improduttive, abbassare i tempi di attesa dei servizi richiesti dalle imprese e dai cittadini ed elevare la competitività delle imprese italiane;

- che per realizzare tale disegno è necessario introdurre effettivamente nel sistema pubblico i seguenti fattori: Trasparenza; Valutazione indipendente delle competenze; Misurazione e valutazione della performance organizzativa; Benchmarking;

- che l’introduzione dei fattori sopra specificati vada associata da un sistema di premi e sanzioni da applicare rispettivamente alle PA che rispettano o meno tali regole.

Antonio Aldrighetti, responsabile Forum Lavoro del Pd Verona
Franca Rizzi, consigliere Pd della Provincia di Verona
Antonino Leone, responsabile delle Pubbliche Amministrazioni del Pd di Verona

ODG votato all'unanimità dall'Assemblea

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giovedì 14 giugno 2012

Oriano Giovanelli sulla corruzione

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Valutazione trasparente sulla ricerca universitaria

Articolo di Andrea Ichino e Pietro Ichino pubblicato sul Corriere della Sera il 14 giugno 2012
Caro Direttore, «Le notizie concernenti lo svolgimento delle prestazioni di chiunque sia addetto a una funzione pubblica e la relativa valutazione sono rese accessibili dall'amministrazione di appartenenza»: questo prevede l'articolo 19 del Codice della Privacy. E l'articolo 4, lettera h), della legge n.15/2009 impone alle amministrazioni di «assicurare la totale accessibilità dei dati relativi ai servizi resi dalla Pubblica amministrazione tramite la pubblicità e la trasparenza degli indicatori e delle valutazioni operate da ciascuna Pubblica amministrazione, anche attraverso: 1) la disponibilità immediata mediante la rete Internet di tutti i dati sui quali si basano le valutazioni, affinché possano essere oggetto di autonoma analisi ed elaborazione; 2) il confronto periodico tra valutazioni operate dall'interno delle amministrazioni e valutazioni operate all'esterno, ad opera delle associazioni di consumatori o utenti, dei centri di ricerca e di ogni altro osservatore qualificato».
Perché le stesse regole non dovrebbero valere anche per l'attività di ricerca dei professori universitari? Finalmente questa attività è valutata dall'Anvur (Agenzia nazionale per la valutazione del sistema universitario e della ricerca) che sta facendo un ottimo lavoro. Ci sembra naturale che anche agli oggetti di questa valutazione si applichi il principio della trasparenza totale. Tra gli universitari prevale invece la tesi secondo cui i voti dati dall'Anvur alle singole pubblicazioni non devono essere divulgati; si adducono per questo motivi che a noi sembrano deboli e non tali da sovrastare i benefici della trasparenza totale.
Il primo argomento contrario è quello solito: la tutela della privacy. Ma, come abbiamo visto, è proprio la legge a dire che, mentre il diritto alla riservatezza protegge la vita privata delle persone, non c'è invece nulla di «privato» nella prestazione di un dipendente pubblico e nella sua valutazione.
Un secondo e più valido argomento contrario è che nelle singole valutazioni potrebbero verificarsi inevitabili errori in più o in meno, che si compenserebbero a vicenda nell'aggregazione, e che invece danneggerebbero i singoli autori se fossero resi visibili, dando luogo a ricorsi e a critiche ingiuste all'operato dell'Anvur. Poiché, però, i singoli ricercatori riceveranno ugualmente in forma privata le valutazioni che li riguardano, le critiche ci saranno, purtroppo, lo stesso. La trasparenza totale, se mai, porrà in risalto la bontà complessiva del lavoro che l'Anvur sta svolgendo. Ciò che si chiede, del resto è solo che venga reso noto in quale delle quattro classi di merito previste sarà posta ogni pubblicazione: gli errori non possono che essere marginali. Si afferma inoltre che l'Anvur non valuta l'intera produzione di ciascun ricercatore, ma soltanto le tre pubblicazioni da lui/lei scelte per il periodo 2004-2010. Alcuni ricercatori lamentano di non aver potuto scegliere liberamente le proprie tre opere perché costretti da giochi di squadra a consentire l'uso di loro prodotti ad altri co-autori magari meno dotati, al fine di massimizzare la valutazione della struttura di appartenenza, anche a scapito dei singoli membri. Ma se di ogni pubblicazione verrà reso noto il voto conseguito e l'elenco tutti gli autori, i punteggi eccellenti saranno imputabili a ciascuno di essi e non soltanto a quello che ha indicato l'opera fra le proprie tre migliori. Di ogni ricercatore avrà senso usare la valutazione media più favorevole tra quella delle opere da lui/lei scelte e quella di tutte le opere di cui compare come autore.
Sulla «missione» affidata dalla legge all'Anvur, ossia valutare ciascun dipartimento e non i singoli membri, si basa invece l'argomento addotto dal suo presidente, professor Fantoni, sul Corriere del 30 maggio: se questa è la missione perché fare diversamente? Una risposta è che pubblicare quelle valutazioni consentirebbe il confronto tra diversi criteri di aggregazione, rafforzando la credibilità dell'Anvur. Inoltre, valutare una struttura non significa valutare solo il suo risultato aggregato. Due dipartimenti potrebbero entrambi ottenere un rating di valore medio, ma il primo con un 50% di prodotti eccellenti e i rimanenti pessimi o del tutto mancanti; viceversa, la mediocrità potrebbe prevalere nel secondo dipartimento. Serve l'intera distribuzione delle valutazioni, non solo la media, se non vogliamo fare l'errore di Trilussa!
Informazioni disaggregate servono affinché il difficile lavoro dell'Anvur possa dare tutti i suoi effetti positivi. In primo luogo, al servizio degli studenti, che devono poter scegliere in modo informato con chi e dove studiare, e delle imprese che hanno bisogno di sapere chi svolge la ricerca più avanzata. E poi affinché emerga nei dipartimenti un dibattito costruttivo sulle strategie per migliorare, anche mediante modifiche delle afferenze a ciascuna struttura. D'altra parte, non c'è difetto dell'operato dell'Anvur che possa produrre danno maggiore essendo reso visibile, piuttosto che restando occulto. Ogni eccezione alla regola della trasparenza deve essere sostenuta da motivi validi, che nel caso della ricerca universitaria non sembrano esserci. Chi non accetta questo principio è libero di sottrarvisi; purché non pretenda di essere finanziata con denaro pubblico.

Valutazione trasparente dellaricerca universitaria 

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domenica 10 giugno 2012

Contrastare la corruzione

Articolo di Salvatore Bragantini pubblicato sul Corriere della Sera il  9 giugno 2012
Nel 2009, lasciando l' Italia, l' ex ambasciatore Usa Spogli affermò che la nostra grande piaga è la corruzione; la muta reazione confermò la diagnosi - certo umiliante - di un male che trabocca ogni giorno dalle cronache. Sfugge sempre il danno che esso fa, anche all'economia. La corruzione, beninteso, esiste ovunque, la colpa non è nel Dna nostro; il tema vero è perché la nostra società civile non riesce a prevenirla, e poi a bloccarne le prime manifestazioni.
Il solo argine alla corruzione da noi è nel lavoro della magistratura, ma essa è un' estrema rete di sicurezza che deve entrare in gioco solo quando qualche intoppo fa saltare i filtri del sistema. Se però questi sono sempre occlusi, essa fa, dopo e male, il lavoro che altri avrebbe dovuto fare bene prima. Quando la casa brucia, i pompieri sparano con violenza l' acqua; di quadri e arredi del salotto buono non si curano. Inutile poi lamentarsi se qualche pompiere va giù pesante. È la mancanza di preveggenza dei padroni di casa ad aver innescato il fuoco. Un effetto collaterale di questa mancanza del «filtro civile» è il logorìo dei carri dei pompieri, usati troppo e male, invece dei furgoni delle pulizie, che restano fermi in garage.
Qualche esempio? Un lobbista amico del presidente della Lombardia Formigoni, con lui assai munifico, riceve in 10 anni 60 o 70 milioni, a titolo di consulenza, da un Istituto di cura privato con il quale la Regione, a sua volta, è stata assai munifica. Il lobbista, pur di sanità ignaro, coltivava i suoi contatti in Regione lavorando molto «sul lato umano». L'hanno stoppato solo i Pm. Ferma l' ammirazione per chi sia dotato di psicologia così fine, preziosa anzi, sorgono ovvie domande. Fino all' arrivo dei Pm andava tutto bene? Perché - negli infiniti dibattiti in Regione - sono mancate aspre domande sui rapporti stretti fra il presidente della Regione e un lobbista che così apertamente ne sfruttava l' amicizia? Nessuno dei molti, influenti e pii, amici del presidente Formigoni gli ha mai intimato, a brutto muso, la fine di tale malcostume?  

Poi ci sono le distrazioni dei fondi che l' Italia - cioè noi tutti - paga ai partiti. La denuncia del caso Lusi non è venuta dai suoi, troppo distratti, amici di partito. Non parliamo della Lega, che a Roma ladrona si trovava tanto bene; mesta attende l' imminente ritorno alle amate valli. Anche qui, chi sapeva - ed erano tanti - ha taciuto; se imbraccia oggi fiero la ramazza, fa solo ridere. Alcune centinaia (o migliaia?) di calciatori e addetti ai lavori sapevano del calcio-scommesse, eppure nessuno ha squarciato il velo. Chi doveva consigliare la Regione Sicilia nella copertura dei suoi rischi finanziari non può decentemente dire che quanto ha ricevuto da controparti della Regione remunerava una consulenza. Non succede mai nulla fino all' ululato delle sirene! Se una società di giochi facente capo a soggetti con legami malavitosi riceve 148 milioni da Bpm, si arcua giusto qualche sopracciglio. All'arrivo degli inquirenti, accorre il deputato Laboccetta, che gli sfila il computer del titolare spacciandolo per proprio, per cancellare con calma tutto. Ovviamente il benemerito pastura quieto fra i banchi di Montecitorio. Chi in Bpm s'era opposto è stato bruscamente zittito: avrà cercato consensi nella struttura, senza frutto. In questi e in altri casi qualcosa era pur trapelato, prima dell' arrivo dei Pm, nelle cronache nere finanziarie, ma senza che si smuovesse l' opinione pubblica, come invece accade in Germania se un ministro copia la tesi di laurea, o se la moglie del presidente riceve soldi da un poco di buono. Non si pretende che il Paese sia composto di tanti Giorgio Ambrosoli, che da soli scoperchiano il malaffare. Basterebbe che si levasse spontaneo un moto di simpatia - nel senso originario della parola - verso chi lo fa. Una volta «contagiato» un sufficiente numero di cittadini attenti al bene pubblico, la partita sarebbe vinta.
I 148 milioni al clan Corallo, i 60 al munifico lobbista, il loro multiplo che l' ospedale ha bellamente incassato, i «tesoretti» sperperati in corruzione da tanti partiti, sono rubati a famiglie e imprese meritevoli. Essi tuttavia tacciono: se lo scandalo tocca il loro settore, per il timore di contraccolpi, se non li tocca, perché non li tocca. Alzino finalmente la testa! È questa la zavorra che ci impiomba, scoraggiando nuove iniziative di italiani e stranieri. Il governo fa bene contro l' evasione; faccia ancor di più. Raccolga lo spunto del governatore di Bankitalia, Ignazio Visco: aumentiamo il peso delle donne, meno aduse alla corruzione, nell' economia. Ammutolita la Lega, aiutiamo però il Sud, gran riserva di sviluppo economico e civile, a superare le storiche debolezze sul tema. Monti parli, oltre che alle menti, ai cuori. Dica la verità: la pervasiva corruzione divora il futuro dei nostri figli.


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venerdì 8 giugno 2012

Come cambia l’art. 18


Il 31 Maggio il Senato ha approvato il disegno di legge contenente la riforma “Fornero” del mercato del lavoro. Il punto piú discusso è stato sicuramente la modifica dell’articolo 18. Nonostante tanti programmi televisivi e tanti dibattiti, però, la confusione rimane alta. In questo breve video realizzato in collaborazione con LaVoce.info vediamo cosa dice l’art.18, come protegge i lavoratori, quali sono i suoi effetti sul mercato del lavoro e, soprattutto, come questo cambierà con la riforma.
a cura di Luigi Minale e Fadi Hassan, quattrogatti.info
 

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mercoledì 6 giugno 2012

Verona Pd: Proposta di modifica del regolamento sulle nomine

Si è svolta stamattina la conferenza stampa del Gruppo consiliare Pd de Comune di Verona, rappresentato da Michele Bertucco, capo gruppo, Vincenzo d’Arienzo e Elisa La Paglia. In tale contesto è stata  rappresentata la posizione politica del Pd rispetto alle nomine nelle società partecipate dal Comune.
L’obiettivo del Gruppo consiliare del Pd  è quello d modificare l’attuale regolamento comunale che disciplina le nomine al fine di prevedere la verifica dei requisiti di professionalità e onorabilità dei candidati e la pubblicizzazione dei  criteri di nomina adottati dall'amministrazione.
La proposta si articola nei seguenti punti:
1. Adozione di specifiche delibere di indirizzo programmatico per ciascuno degli enti partecipati. E' necessario che il Consiglio comunale ritorni ad esercitare il massimo potere di indirizzo e controllo che lo statuto gli assegna, fissando per ciascun ente gli obbiettivi a cui i nominati devono attenersi nel corso del loro mandato;
2. Verifica dei requisiti di professionalità, competenza e moralità dei candidati, da attuarsi tipicamente con la presentazione del curriculum, di una nota illustrativa del lavoro svolto e di un colloquio. Questo da un lato per prevenire commistioni di interessi conseguenti al cumulo delle cariche (anche politiche), conflitti di interessi o delle pendenze con la giustizia (vedi Carta di Pisa, sottoscritta dall'opposizione). Dall'altra parte per prevenire lo svuotamento di competenze dei consigli di amministrazione, dove troppo spesso persone prive della necessaria preparazione si trovano a delegare i propri compiti al personale amministrativo (es. deleghe conferite al direttore generale dell'ente);
3. Garanzia delle pari opportunità, con l'obbiettivo di formare cda al 50% femminili
4. Pubblicità preventiva delle caratteristiche degli incarichi da ricoprire, degli emolumenti e dei compensi ad essi connessi, delle candidature pervenute, dei curricula dei candidati, delle valutazioni di idoneità professionale degli stessi, nonché di tutti gli atti della procedura, nessuno escluso;
5.  Audizioni pubbliche di confronto con i candidati davanti a commissioni dei consigli elettivi (tipicamente le commissioni consiliari;

6. Dopo le nomine, pubblicazione dei criteri di scelta adottati.
Michele Bertucco ha dichiarato che la proposta prevede la presentazione delle candidature da parte dei cittadini in possesso dei requisiti richiesti senza la sottoscrizione dei consiglieri comunali di un determinato gruppo consiliare.
Se la proposta del gruppo Pd viene accolta dalla maggioranza di Tosi finalmente si potrà parlare di nomine aperte alla società civile ed all’insegna della trasparenza  e delle competenze.
“In queste settimane di nomine in enti e aziende partecipate vediamo, si legge nel comunicato stampa, la politica indulgere sulle proprie debolezze e ricadere nei ben noti errori di autoreferenzialità e chiusura. Anziché diventare occasione di apertura alla società civile e di partecipazione per una selezione meritocratica della classe dirigente, l'attuale tornata di nomine vede ancora una volta il prevalere di logiche spartitorie sulla base di fedeltà personali, partitiche e correntizie, senza tenere in minimo conto le competenze di cui gli enti hanno bisogno. Un errore tanto più grave se solo si pensa che anche dalle capacità degli amministratori nominati dipendono le possibilità di sviluppo del territorio e di uscita dalla crisi”.

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