lunedì 30 luglio 2012

Welfare aziendale alla Tod’s

Articolo di Antonia Jacchia pubblicato sul Corriere della Sera il 28 luglio 2012
Mercati instabili, spread in altalena, aziende in difficoltà. In un momento critico per l' economia del nostro Paese, il gruppo Tod' s ha deciso di fare un passo in avanti nel segno della responsabilità sociale.
L' azienda di Casette d' Ete (in provincia di Fermo) torna a distribuire ai dipendenti della divisione industriale (1.400 persone, esclusi i dirigenti e i commerciali) un bonus di 1.400 euro lordi a lavoratore. Un contributo che, a partire dal 2008, è ormai entrato nel Dna della società. Quest' anno ai soldi (e per tutti i 1700 dipendenti dei quattro stabilimenti di Brancadoro, Vallina, Tolentino e Comunanza), si sono aggiunte la copertura dell' acquisto dei libri scolastici dei figli e di cure specialistiche e interventi chirurgici, anche per i familiari.
Il patron di Tod' s, Diego Della Valle, lo aveva già anticipato nell' aprile scorso durante l' assemblea dei soci per l' approvazione del bilancio 2011. Oltre al bonus, quest' anno sarebbe intervenuto con altre misure a favore dei propri collaboratori. In fondo, in ogni occasione, l' azionista di controllo del gruppo del lusso ama ripetere che parte del successo arriva proprio dai dipendenti e quanto sia importante restituire al territorio quello che il territorio dà. E l' azienda marchigiana, nonostante la difficile congiuntura, continua a mietere successi. Nel primo trimestre di quest' anno, a dispetto della crisi dei consumi, ha visto crescere i ricavi dell' 8% a 263,2 milioni e il margine operativo a 66,7 milioni (+2,4%).
La scelta (di premio e welfare), spiega una nota della società, è adottata «in un momento particolarmente difficile per l' economia del Paese, che genera forti preoccupazioni fra i lavoratori in merito alle prospettive del loro futuro e alle loro crescenti difficoltà economiche quotidiane». Con i suoi 3.800 dipendenti nel mondo, il gruppo calzaturiero marchigiano, persegue in Italia una strategia di relazioni con i dipendenti avviata da tempo, nonostante il parere contrario del sindacato. Le iniziative annunciate, continua la nota, «vanno ad aggiungersi ad altre già attuate, e hanno lo scopo di migliorare le condizioni di vita delle famiglie dei propri dipendenti» (nella fabbrica di Casette d' Ete sono stati organizzati asilo aziendale, palestra ma anche corsi di cinematografia per i lavoratori). Il bonus di 1.400 euro sarà erogato in due tranche (agosto e dicembre). E l'assicurazione a copertura dei costi sanitari vale «per i dipendenti e i membri delle loro famiglie nei casi che necessitano di cure specialistiche o di interventi chirurgici rilevanti, con le relative cure pre e post intervento». Il gruppo ritiene così di aiutare i dipendenti «ad avere una condizione di vita meno difficile e di dare sicurezza e tranquillità alle loro famiglie su temi particolarmente importanti come la salute e l' istruzione». In questo, l' azienda di Della valle è in buona compagnia: da anni, di elargizioni spontanee in giro per le aziende italiane, se ne vedono sempre più spesso. Poi ci sono i casi (come quelli di Ikea, Eni, Heinz, Coca Cola, Ferrero, Nestlè, Heineken, Kraft, Luxottica, per fare qualche esempio) dove gli elementi di welfare vengono contrattati insieme con il sindacato, in una sorta di scambio dove le aziende recuperano flessibilità ma si fanno carico di stabilizzare la condizione dei dipendenti curandone la formazione e sostenendo le esigenze familiari.
Ma per Tod' s, i sindacati continuano a non starci. E la Filctem Cgil, che già nel 2008 aveva bocciato l' una tantum, di circa «80 euro netti al mese», continua a rivendicare un contratto integrativo che nel gruppo marchigiano non c' è.
A commento dell' iniziativa il segretario generale di Fermo, Giuseppe Santarelli, parla di «carità pelosa» e filantropia «ottocentesca, che lascia poco spazio alle relazioni sindacali». «Con l' integrativo, che Della Valle rifiuta, i dipendenti otterrebbero sicuramente più di 1.400 euro, una somma che peraltro è la stessa da quattro anni, e non tiene conto dell' inflazione». Quanto all' assicurazione sanitaria, «sarebbe opportuno siglare un accordo bilaterale, per rispettare la dignità dei lavoratori».

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venerdì 27 luglio 2012

Franco Bonfante: rischio chiusura Uffici Postali

La crisi economica e l’esigenza di contenere i costi di gestione dei servizi porta inesorabilmente al taglio dei servizi se non vengono individuati giusti interventi che consentono di mantenere i servizi nei luoghi dove vengono richiesti. Per tale motivo Le Poste Italiane dovrebbero tagliare un migliaio di uffici (73 nel Veneto) che insistono nei piccoli comuni e nelle frazioni causando notevoli problemi descritti da Franco Bonfante, consigliere regionale Pd del Veneto.
In tale direzione si muove la mozione di Franco Bonfante, sottoscritta da tutti i consiglieri del Pd, che si riporta integralmente di seguito.
“La Giunta regionale intervenga con le dovute verifiche e gli strumenti di sostegno a sua disposizione per scongiurare la chiusura degli uffici postali nei piccoli Comuni del Veneto”.
Questo il richiamo e l’impegno chiesto al governo regionale da una mozione presentata dal consigliere regionale del PD, Franco Bonfante e sottoscritta da tutto il gruppo dei democratici. “L’annunciata soppressione da parte di Poste Italiane di oltre un migliaio di uffici collocati soprattutto nei piccoli paesi o frazioni, cancella una serie di servizi che per molte persone, in primo luogo anziani e disabili, sono ancora essenziali: dal ritiro delle pensioni alla possibilità di effettuare una raccomandata, al pagamento di un bollettino. Sicuramente – sottolinea l’esponente democratico - l’operazione risponde a necessità di tipo economico, resta tuttavia il dovere delle istituzioni locali di trovare soluzioni alternative che garantiscano la sopravvivenza di questi presidi”. Nello specifico il documento che verrà sottoposto alla votazione dell’aula chiede di “effettuare una verifica con Poste Italiane ed i Comuni veneti interessati dal piano di riorganizzazione, in modo da conoscere le singole situazioni e la misura della dichiarata antieconomicità”. Contemporaneamente fissa l’impegno di “stabilire, previo parere della competente commissione consiliare, dei criteri equi e trasparenti per un intervento finanziario della Regione in aiuto ai Comuni che intendono partecipare alle spese, per mantenere aperto l’ufficio postale a rischio chiusura”. “La Giunta regionale – conclude Bonfante - ha tutti gli strumenti legislativi che permettono un immediato stanziamento di risorse alle amministrazioni locali che eviterebbero la prevista soppressione di 73 uffici postali e che permetterebbero una loro riconversione, ad esempio aprendo al cittadino una serie di servizi utili, come i certificati anagrafici o la possibilità di saldare il ticket sanitario”. Ritengo utile l'intervento di Bonfante perchè si muove in direzione di applicare la sussidiarietà la dove esistono i bisogni delle persone. Pertanto, ritengo positivo un intervento della Regione e dei Comuni per mantenere un presidio delle Poste nei luoghi indicati da Bonfante. /span>
Occorre sempre di più fare sistema affinché questi problemi vengano risolti in modo adeguato rispetto alle esigenze delle popolazioni interessate. E' necessario fare sistema e realizzare dei centri polifunzionali di servizi pubblici integrati rilevanti a livello locale al fine di contenere i costi, superare l’antieconomicità ed offrire ai cittadini dei servizi integrati efficienti ed efficaci. Molti sono gli uffici pubblici non integrati che partecipano separatamente al processo di produzione dei servizi con costi elevati, scarsa collaborazione e tempi di attesa molto lunghi (Inps e Ufficio del Lavoro, Asl e Inps per gli invalidi civili ed altri).

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giovedì 26 luglio 2012

AGSM Verona: cambiare tutto per non cambiare nulla

L’obiettivo dell’Amministrazione Comunale di Verona è quello di fare cassa con le società di gestione dei servizi pubblici locali ed in particolar modo con Agsm.
La Giunta Tosi non si accontenta più di prelevare gli utili dalle società controllate bensì interviene anche sulle riverse straordinarie di Agsm accumulate negli anni. Pertanto, il fine ultimo di Agsm è quello di finanziare le attività comunali con le entrate di Agsm.
L’obiettivo di offrire agli utenti un servizio di qualità ed  efficiente  che incida positivamente sul sistema tariffario è offuscato dalle esigenze finanziarie del Comune di Verona. Tutto questo avviene in momento di crisi economica che colpisce gli utenti che usufruiscono dei servizi di energia elettrica e gas gestiti da Agsm.
Gli utili conseguiti nel 2011, pari a euro 7.685.494 con un decremento di euro 6.928.141 rispetto al risultato dell’esercizio 2010, verranno incassati dal Comune che li spenderà nella gestione corrente. Inoltre, le riserve straordinarie di Agsm, circa 30 milioni di euro, verranno utilizzate dal Comune. 
Tutte queste operazioni non tengono conto dell’indebitamento finanziario netto, di matrice bancaria ed onerosa, di Agsm che si attesta a 255,69 milioni di euro contro i 247,77 milioni dell’esercizio precedente (vedi tabella). Gli oneri finanziari netti del 2011 si sono attestati a 7,23 milioni di euro  contro 4,72 milioni di euro dell’anno precedente.
Per il 2012 si prevede un ulteriore incremento dell’indebitamento finanziario di Agsm.
L’aumento dell’indebitamento complessivo e la contestuale diminuzione del margine operativo lordo di Agsm, il quale si attesta a 71,11 milioni di euro con un decremento di 14,79 milioni rispetto al 2010, presagisce un andamento finanziario che potrebbe portare ad una non congrua capacità di rimborso. Tutte le pseudo operazioni di sponsorizzazione effettuate da Agsm pesano sul bilancio (campagna pubblicitaria a favore di Agsm negli impianti sportivi gestiti dal Comune per un costo totale 130 mila euro più Iva, la sponsorizzazione della squadra di Calcio Hellas Verona per un costo di 700 mila euro nel 2010 e nel 2011). Bisognava arrivare all’acquisizione di Amia da parte di Agsm con un impegno finalizzato a risolvere i problemi di strategia e di organizzazione di Agsm. Al contrario non è cambiato nulla è l’acquisizione avviene lasciando insoluti i problemi di Agsm: sponsorizzazioni, situazione finanziaria e contenimento dei costi, rilievi dell’autorità per l’energia elettrica e il gas, la quale ha riscontrato violazioni della disciplina in materia di obblighi di separazione funzionale e contabile e in materia tariffaria, unificazione della controllata Agsm Trasmissione. Da parte di Amia si dovrebbe procedere all’acquisizione della controllata Serit che gestisce i medesimi servizi. Per migliorare la situazione finanziaria di Agsm occorre che il consiglio di amministrazione di AGSM prenda almeno le seguenti decisioni: - Il contenimento degli utili da distribuire per dedicare una parte di essi a migliorare il rapporto di indebitamento (esempio: diminuzione dell’esposizione finanziaria a breve) e la liquidità per finanziare il capitale circolante; - La cessazione della prassi consolidata di contribuire a finanziare il comune per attività e servizi che non rientrano nell’attività istituzionale di AGSM. Tali finanziamenti hanno due effetti negativi in quanto AGSM incontra difficoltà di liquidità per investire con mezzi propri nelle attività correnti: - L’aumento dell’esposizione finanziaria; - La crescita degli oneri finanziari; - Unificazione delle società del gruppo la cui disciplina giuridica non prevede la gestione separata in società; - Medesimo consiglio di amministrazione per tutte le società controllate con lo stesso compenso. Il fattore dell’autonomia e delle competenze nelle scelte aziendali dovrebbe essere acquisito dagli organi di Agsm altrimenti si continua a gestire male un’azienda che ha una forte e sensibile finalità sociale.

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Per l’Unione Europea

Lettera aperta di un gruppo di studiosi pubblicata dal Corriere della Sera il 25 luglio 2012
Caro presidente del Consiglio, le vicende europee di questi mesi e di questi giorni mostrano che c’è ormai una sola via per sormontare la crisi che sembra inarrestabile. Occorre andare alla radice della malattia grave che rischia di travolgere, con l’euro, l’intero edificio dell’Unione.
Ora che i necessari provvedimenti per la stabilità sono stati varati, inclusivi di un puntuale controllo sui bilanci nazionali e di una efficace vigilanza bancaria sovranazionale in preparazione, ci vuole un’iniziativa politica che annunci senza ambiguità l’intento di dare l’avvio – con una data certa – all’unione politica europea, a partire dall’eurozona e con chi ci starà. Sia i mercati sia la Corte costituzionale tedesca dubitano di questa volontà, che invece deve esser proclamata chiara e forte.
Questo obbiettivo, decisivo per uscire dalla crisi dell’euro, lo hanno espresso un gran numero di osservatori di primo piano di ogni Paese e anche il Fmi. Ma non si sta muovendo apparentemente ancora nulla, al di fuori di vaghi preannunci rivolti a un futuro indeterminato. Quando sarà troppo tardi. La crisi può sfuggire di mano anche in tempi molto brevi.
Unione politica, lo sappiamo, oggi vuol dire: Fiscalità sovranazionale, tesoro europeo, risorse proprie accresciute, eurobonds o redemption fund (quest’ultimo lo ha chiesto formalmente anche il Pe), investimenti importanti in beni pubblici europei, poteri accresciuti alla Bce, in prospettiva anche una sicurezza e una difesa comune. Il tutto attribuendo funzioni maggiori di governo alla Commissione e di codecisione e controllo democratico al Parlamento europeo.
Cose che in parte non trascurabile sono fattibili a trattati immutati (con il ricorso alla cooperazione rafforzata), in parte richiederanno una riforma dei trattati.

Unione politica vuol dire la riaffermazione forte degli ideali di pace, eguaglianza, democrazia, solidarietà, dignità della persona che hanno ispirato la costruzione europea sin dal suo inizio.
Andrebbe predisposto un solenne annuncio comune in tempi brevi, da parte di: Consiglio europeo, Presidente del Parlamento europeo, Presidente della Commissione. Con calendario e road-map prestabiliti: come si è fatto con l’euro nel 1990. Il Parlamento europeo dovrebbe, come già è avvenuto in passato, assumere un ruolo importante nell’intraprendere la via verso l’unione politica.
Il presidente del Consiglio italiano in carica, caro presidente, ha tutte le credenziali di credibilità internazionale ed europea per assumere un’iniziativa indubbiamente ambiziosa, ma ormai necessaria ed urgente. La quale tra l’altro corrisponde a quanto da mesi e anche negli ultimi giorni hanno dichiarato di volere gli stessi governanti tedeschi, Wolfgang Schäuble e Angela Merkel. Hanno subordinato la condivisione della responsabilità comune all’adozione di una prospettiva federale per l’Unione. Vanno presi alla lettera e messi alla prova. E così pure va fatto con la Francia di Hollande, vincendo le residue esitazioni e resistenze.
L’Unione europea può ormai venire messa in sicurezza solo puntando alto.

Franco Bassanini, Franco Bruni, Giuseppe Galasso, Pietro Ichino, Alfonso Iozzo, Alberto Majocchi, Piergaetano Marchetti, Guido Montani, Valerio Onida, Antonio Padoa-Schioppa, Barbara Spinelli, Luigi Zanzi

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mercoledì 25 luglio 2012

Elena Lake, testimonianza di un impegno politico

Elena Lake di anni 25, studentessa presso l’Università degli Studi di Padova in Scienze Politiche con indirizzo in Politica internazionale e Diplomazia e responsabile Partnership Italia di un’azienda internazionale che si occupa di campagne ambientali, è stata la prima eletta per il Consiglio di Circoscrizione della Prima Circoscrizione di Verona.  
Elena è nata e cresciuta a Verona ed afferma nel suo blog “Sono metà americana, metà italiana, e ho avuto la fortuna di poter vivere un anno in California dai miei parenti, un anno in Germania grazie alla borsa Erasmus, nove mesi a Parigi dopo la laurea triennale in Scienze Politiche e sei mesi a Bruxelles, per uno stage nell’ufficio dell’eurodeputato Paolo De Castro, che è anche Presidente della Commissione Agricoltura e Sviluppo Rurale in Parlamento Europeo, e grazie al quale mi sono avvicinata all’attività politica. Grazie a queste esperienze, ho potuto capire come funziona la politica “giusta”.
Ho pensato di intervistare Elena perché è una giovane donna che entra in politica per rappresentare una visione di cambiamento in una città provinciale molto legata agli equilibri esistenti.
Quali sono le motivazioni che l’hanno indotta a candidarsi nel PD di Verona in un momento caratterizzato dall’antipolitica?
L’idea di impegnarmi in politica mi seduceva da parecchio tempo, dal momento che penso di essere portata a lavorare sulle questioni pubbliche piuttosto che sui problemi privati e più ispirata a cercare di migliorare le condizioni di vita della società nel suo complesso piuttosto che quelle dei singoli settori. Sicuramente il momento storico ha dato una spinta determinante a me come a tanti miei coetanei in direzione di questa scelta. Questo momento è sembrato sicuramente il più favorevole per un giovane che vuole cominciare ad occuparsi di politica, dal momento che si percepisce un forte bisogno di idee nuove, di volti nuovi, di nuovi modi di comunicare, anche nella politica locale.
La scelta del PD è stata per me la scelta più ovvia dal momento che ne condivido i valori che stanno alla base del Partito Democratico: l’etica, il pluralismo, la dialettica. Mi piace la voglia che i militanti dimostrano, nonostante alcune scelte non condivisibili dei vertici, di migliorarsi sempre, di fare autocritica, con un occhio che guarda al suo interno e un altro che crede veramente nelle possibilità e nelle risorse del nostro Paese.
Qual’è la politica “giusta” che lei intende perseguire?
Il mio modello in questo senso è sicuramente l’eurodeputato Paolo De Castro, presso cui ho fatto lo stage in Parlamento Europeo, un grande esperto di politiche agricole e comunitarie, un europeista ed un politico onesto, attento e lungimirante. Sicuramente il mio modello di politica “giusta” è una politica imparziale, dove tutti i segmenti della società riescono ad esercitare lo stesso grado di influenza sulla persona che deve prendere le decisioni. Una politica in cui questa persona prende le decisioni e le prenda nel rispetto delle opinioni di tutti e nell’interesse generale. Inoltre apprezzo la politica efficace ed effettiva, nella quale i toni siano smorzati e si privilegi la cooperazione, la razionalità e la realizzazione dei progetti alla retorica, all’ideologia e alla demagogia.
Quali sono i problemi più urgenti da affrontare nella prima circoscrizione?   
Nella Prima Circoscrizione i problemi più gravi sono legati al traffico: la zona ZTL dovrebbe, a mio parere, permettere l’ingresso esclusivamente ai residenti e ai commercianti, per privilegiare la vivibilità del Centro Storico. La viabilità di Veronetta deve essere rivista: non è possibile che una zona così ricca dal punto di vista storico-architettonico sia così aperta al traffico ed inquinata. Si deve incentivare l’uso della bicicletta rispetto all’auto. Inoltre è importante cercare di collegare con il centro storico e rendere più attraenti ed accessibili le zone di Veronetta e di San Zeno per i turisti: a Verona c’è molto da vedere e bisogna creare le possibilità per questi quartieri per potersi esprimere.
La campagna elettorale rimane un evento ricco di esperienze umane. Può raccontare le interazioni, le attese e le emozioni nel rapporto gli elettori?   
La campagna elettorale è stato un momento molto intenso, dove ho concentrato tutti gli sforzi per riuscire a raggiungere più cittadini possibile. E’ stata particolarmente interessante perché ho lavorato in un gruppo di giovani candidati nelle circoscrizioni. Ognuno di noi aveva la possibilità di apportare nuove idee e la condivisione di progetti aumentava le nostre possibilità di successo. La campagna elettorale è stata quindi molto divertente e piacevole: siamo diventati un po’ una famiglia, dal momento che per un mese e mezzo ci vedevamo quasi tutti i giorni per riunioni e feste ed altre iniziative.
La mia campagna elettorale è stata un misto di tradizione ed innovazione. Come fanno sempre i candidati, sono passata a visitare molte famiglie che conosco: ho espresso il mio punto di vista sull’amministrazione Tosi, sul candidato sindaco del Partito Democratico, i valori che stavano alla base della mia candidatura e i progetti che avevo in programma. Ho deciso di sostenere la mia candidatura sul web, con un blog ed un profilo twitter con il quale sono riuscita ad avere una newsletter di elettori che tuttora, grazie al web, restano sempre aggiornati sulle mie attività. Questa “strategia” si è rivelata vincente e mi ha permesso di diventare Consigliere di Circoscrizione.
Abbiamo esempi di città come Seattle, Austin, Barcellona, Bilbao, Glasgow, Edimburgo, Denver, Pittsburgh, Lille, Toronto e Berlino hanno adottato strategie e politiche di sviluppo con successo. Al contrario Verona è considerata ancora una città provinciale nonostante l’offerta culturale. Quali sono le cause del mancato sviluppo di Verona?
Per emanciparsi da una visione di Verona come città statica e provinciale bisogna puntare al massimo, partendo dalle capacità di attrazione di Verona e provincia e dalla sua posizione centrale nel Nord Italia. Fino ad oggi, Verona non è ancora per tutti i gusti. La differenza principale tra le città più europee, internazionali ed all’avanguardia è, a mio parere, nella diversificazione e nell’offerta di attività per il tempo libero: a Verona si cerca ancora di attirare un certo target di turisti, i giovani si trasferiscono o invecchiano precocemente. L’evoluzione di una città passa anche dalla sua apertura alle esperienze multi-culturali come i ristoranti etnici e per la cucina internazionale; avremmo bisogno di locali che organizzino serate di ogni tipo, concerti di musica alternativa, spettacoli, incontri letterari, atelier, mostre, eventi che richiamano artisti di strada o ancora poco conosciuti, festival con musica di vario genere che attiri le nuove generazioni e riesca a svecchiare un po’ e a rendere la nostra città sempre più attraente per italiani e stranieri e prolifica dal punto di vista culturale. La Verona che vorrei è un mix di tradizione ed avanguardia: le premesse ci sono, ma ci vorrà ancora un po’ di tempo.
Quali sono le specificità di una giovane donna da mettere al servizio della politica e di Verona?
Sicuramente essendo ancora piuttosto giovane riesco ad interessarmi in modo particolare e ad impegnarmi con determinazione per lo sviluppo delle politiche giovanili, per l’aumento della domanda di lavoro e per la diversificazione degli eventi culturali. Come donna riesco probabilmente a capire meglio, essendo personalmente coinvolta, le problematiche di quel 50 % della popolazione che ancora oggi ha difficoltà a far comprendere il concetto di pari opportunità. La questione è sempre la stessa: la difficoltà a conciliare gli impegni lavorativi e familiari, e la tendenza di noi donne, quando siamo poste di fronte a questo dilemma, è quella di optare per la famiglia oppure arrancare facendosi aiutare dai parenti. Ci vuole molta organizzazione da parte nostra, comprensione da parte anche dell’aziende, e tutto questo potrebbe essere favorito, naturalmente, da politiche comunali che facciano coincidere gli orari degli asili e delle scuole con quelli di lavoro.
Considerato il contesto economico e sociale, come immagina il suo futuro e quali sono i desideri che intende realizzare?
Certamente in questo periodo di crisi i dubbi sul mio futuro sono tanti. La disoccupazione giovanile o lo sfruttamento degli stage sottopagati impedisce a me ed ai miei coetanei di fare programmi a lungo termine. Ci vorranno almeno dieci anni per poter uscire da questa crisi, che ha “fregato” un’ intera generazione e i cui responsabili sono rimasti impuniti.
Ma cerco di essere ottimista; credo nell’Italia e nelle sue possibilità di ripresa. Mi piacerebbe, una volta finiti gli studi, cominciare un dottorato di ricerca sempre sulle questioni di politica internazionale. Voglio continuare ad impegnarmi in politica, credo che sia la strada giusta, e spero di poter continuare a lavorare nel settore dell’ecologia. E magari un giorno sposarmi, avere dei figli e vivere, spero, a Verona.

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martedì 24 luglio 2012

Filippo Patroni Griffi: ridisegnare il governo del territorio

Intervista al Ministro Filippo Patroni Griffi a cura di Silvio Buzzanca pubblicata su la Repubblica il 24 luglio 2012  
Province in rivolta contro accorpamento e tagli. L'Anci che fa balenare il default di Comuni come Roma. Ministro Patroni Griffi, il suo collega Giarda spera che sui tagli «il Senato sia più saggio del governo». Lei cosa ne pensa?
«Il governo prenderà in considerazione questi problemi, valuterà tutti gli aspetti e domani (oggi-ndr) deciderà. Sia la dichiarazione di Giarda, sia quelle dell'Upi e dell'Anci riguardano gli aspetti dei trasferimenti. Io posso commentare solo gli aspetti ordinamentali.
Comunque con l'intervento sulle Province tentate una missione impossibile: fare convivere popolazioni, tipo pisani e livornesi, che si combattono da secoli...
«Spero che la missione non sia impossibile proprio perché è giunta l'ora di dire basta ai campanili. Noi stiamo facendo una riforma che pesca nel passato per guardare al futuro. E oggi in questo campo tutte le forze politiche hanno un'occasione storica. Ridisegnare tutto il sistema del governo sul territorio: sistema delle autonomie, Comuni e Province, e organi periferici dello Stato. Sarebbe un vero peccato fare prevalere logiche particolaristiche o municipalistiche».
Una bella impresa...
«Ricevo telefonate che oscillano fra la richiesta di salvare la propria Provincia, o, se non è possibile, di "tagliare almeno quella vicina. Una sorta di particolarismo all'insegna di muoia Sansone con tutti i filistei».
Non sembra che abbiate molti consensi.
«Credo che le popolazioni siano molto più aperte e consapevoli delle opportunità. Noi stiamo semplificando i livelli di governo dicendo chi fa che cosa. E lo stiamo facendo ripensando anche le dimensioni territoriali. Non possiamo pensare che dal 1865, dalla riforma organica di Rattazzi, ad oggi, non sia successo nulla nell'erogare servizi e nelle richieste dei cittadini».
Lei cita il criterio delle dimensioni. A Trapani lamentano che vengono cancellati per 50 chilometri in meno.
«Quando si fissa il limite di un concorso a 24 anni ci sarà sempre qualcuno che si lamenterà perché perchè ha 23 e 11 mesi. Ma dobbiamo uscire dall'ottica di Province cancellate o soppresse. In realtà tutte sono cancellate e tutte si devono riordinare avendo dei requisiti minimi. Debbono cercare aggregazioni diverse. Poi non protestano tutti».
Pensa alla Romagna? Ravenna, Rimini, Forlì e Cesena sono pronte a fondersi.
«Lo vogliono proprio fare e anche con nomi nuovi. I nomi delle Province sono molto identitari e si ricollegano ai municipi e alle città. Ora si comincia a pensare a nomi che aggreghino realtà territoriali storiche come la Romagna. O realtà economiche. Pensiamo alla Brianza che non è solo Monza. Un'altra possibilità potrebbe essere in Abruzzo la provincia appennino- adriatica di Pescara, Teramo e Chieti. Anche in Piemonte verranno fuori realtà a cui stanno pensando da tempo».
Per l'onorevole Nunzia Di Girolamo, pidellina di Benevento, voi usate dei «parametri porcata». Minaccia di non votare la fiducia insieme ad altri. Non è che il governo rischia in Parlamento sulle Province?
«Mi auguro di no. Noi dovevamo individuare dei criteri e popolazione e territorio mi sembrano ragionevoli. Sarebbe interessanti trovarne altri alternativi, ma non ne ho sentiti molti. Capisco che appena uno fa due calcoli pensi subito alla sua esigenza. Ma il Parlamento è un luogo di sintesi. Sicuramente ci saranno scontenti. Ma il Parlamento deciderà con una visione sistematica, di insieme».
In Parlamento i leghisti le chiederanno di abolire le Prefetture.
«La cosa va quasi in automatico. Non solo le Prefetture, ma tutti gli uffici periferici dello Stato, quelli scolastici, dei beni culturali verranno riorganizzati su base tendenzialmente provinciale. In alcuni territori ci saranno però dei presidi di sicurezza e di ordine pubblico su base infraprovinciali».

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Europa, la via d’uscita dalla crisi

Articolo di Lucrezia Reichlin pubblicato sul Corriere della Sera il 24 luglio 2012
In questi giorni di manifestazioni di piazza, impennate dei tassi di interesse e dichiarazioni discordanti dei politici europei ci si chiede se si sia ormai arrivati ad un punto di non ritorno per la moneta unica. È ancora possibile percorrere una strada che concili le legittime preoccupazioni del Nord ad imboccare la via di trasferimenti al Sud a fondo perduto e quelle, altrettanto legittime del Sud, a chiedere di non morire di eccessiva austerità?
La crisi è in gran parte il risultato di un fallimento collettivo, cioè il frutto di un disegno imperfetto la cui concezione è responsabilità sia del Nord sia del Sud. La sua natura sistemica non assolve nessuno dalle sue responsabilità individuali, ma indica la necessità di un piano di azione comune che risponda alle preoccupazioni diverse degli Stati membri.
Paesi come Spagna e Italia, pur colpevoli per avere reso possibile l’accumulazione del debito privato la prima e di quello pubblico la seconda, sono ora puniti in misura eccessiva rispetto alle loro responsabilità nazionali. Il costo che questo comporta per i nostri cittadini, come quello prima di noi di Grecia, Irlanda e Portogallo, è ormai insopportabile e inconciliabile con il sistema di valori delle democrazie europee. Il funzionamento della moneta unica si è inceppato e ci sta travolgendo in una spirale negativa da cui non si vede uscita.
Si è arrivati a una paralisi politica in cui gli interessi e quindi gli incentivi dei diversi Paesi divergono e rendono la possibilità di una soluzione molto difficile. Non solo i governi, ma anche le élite europee, come osservato nelle colonne di questo giornale, sono divise tra chi accentua la necessità del rigore e chi invoca una socializzazione al livello europeo dei costi della crisi. Né l’una né l’altra soluzione sono ormai realistiche. La prima perché l’eccessiva austerità ci porta verso il baratro, la seconda perché non solo non è politicamente accettabile per i Paesi del Nord ma è anche incompatibile con il mantenimento degli incentivi all’adozione di politiche riformatrici nei Paesi a rischio. In un documento firmato da economisti europei di convinzioni e provenienza geografica diverse, che è stato reso pubblico ieri (consultabile su www.INETeconomics.org), abbiamo definito una piattaforma che va in questa direzione. L’idea centrale della nostra proposta sta nel riconoscere che ci sono due problemi distinti: trovare una soluzione al lascito del passato, cioè alla crisi a nostro avviso in buona parte dovuta ai difetti della architettura originaria della moneta unica, e definire una nuova architettura che contenga i requisiti minimi necessari per la sopravvivenza dell’euro nel lungo periodo. Nonostante molti di noi pensino che una maggiore integrazione fiscale e politica sia auspicabile nel futuro e che si debba lavorare a costruirla, una nuova architettura dell’euro non necessita né di eurobond, né di una piena unione fiscale. In particolare non crediamo sia necessario costruire la cosiddetta transfer union così temuta dai tedeschi, cioè un meccanismo permanente di condivisione del debito. La nuova architettura, tuttavia, dovrebbe avere tre caratteristiche. Primo, prevedere quel grado minimo di condivisione del rischio necessario al funzionamento di una unione bancaria, complemento indispensabile alla unione monetaria, pilastro mancante del disegno originario. Secondo, concepire un meccanismo per far fronte a crisi di liquidità dando più poteri di intervento alla Bce o direttamente o attraverso il fondo salva Stati. Terzo, concepire un regime per la ristrutturazione del debito quando un Paese non sia eligibile al finanziamento di quel fondo. Questo regime è necessario ad evitare caotici fallimenti di Stati sovrani o quei trasferimenti che hanno reso ostile all’euro l’opinione pubblica del Nord.
Ma anche se ci fosse la volontà politica necessaria questa proposta non è percorribile se non si fanno i conti con il lascito del passato, cioè con la urgenza della crisi attuale. Per questo abbiamo bisogno di innescare un processo di aggiustamento che permetta di abbattere lo stock del debito nei Paesi a rischio e ristabilire la loro competitività erosa negli anni precedenti alla crisi. Ma affinché questo avvenga, l’Europa deve sostenere con più forza i Paesi che stanno perseguendo l’aggiustamento fiscale sia con una forma temporanea e limitata di mutualizzazione del debito sia dando poteri straordinari alla Bce per limitare il contagio. Le proposte tecniche, anche di origine tedesca, non mancano. Ma tralasciando i dettagli, bisogna mettere al centro del negoziato politico l’idea che fare i conti con l’emergenza richiede soluzioni diverse da quelle necessarie a riformare il sistema dell’euro nel lungo periodo. Il nostro documento ricorda che anche il gold standard prevedeva clausole di emergenza, cioè la sospensione temporanea delle regole normali per poter fare fronte alle crisi. E non c’è dubbio che in questi mesi, in questi giorni, stiamo vivendo una crisi profonda che oltre a portarci verso un impoverimento economico erode le nostre democrazie. Data la dimensione dell’aggiustamento necessario non è pensabile che le economie del Sud possano compierlo solo attraverso la compressione dei salari reali; questo ci porterebbe verso una prolungata deflazione e stagnazione che minerebbe le nostre economie negli anni a venire. Costruiamo quindi un piano di emergenza per l’Europa e allo stesso tempo definiamo la nuova architettura di lungo periodo e le tappe da percorrere nei prossimi anni. Riaggreghiamo il consenso ripartendo dalla motivazione fondamentale del progetto dell’euro che deve essere lo strumento per un maggiore benessere per tutti i cittadini e non quello per arricchire pochi creando una instabilità finanziaria che danneggia tutti.

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Massimo D’Alema: Pdl inaffidabile per le riforme

Intervista a Massimo D'Alema a cura di Simone Collini pubblicata su L'Unità 24 luglio 2012
Evitiamo di aprire un dibattito su quando si dovrebbe votare», dice Massimo D'Alema. Il quale però, parlando dal palco della Festa de l'Unità di Fucecchio, non nasconde di essere preoccupato: «La situazione è insostenibile, per responsabilità di chi dovrebbe far parte della maggioranza e invece tiene un piede di qua e uno sull'asse con la Lega. Saggezza vuole che si approvi al più presto la legge elettorale, comunque».
Crollo della Borsa, spread oltre i 500 punti: la decisione presa lo scorso autunno di sostenere un governo tecnico anziché puntare subito alle elezioni non sembra aver prodotto risultati rilevanti. O no, presidente D'Alema?
«No, non si può legare il governo tecnico allo spread. E comunque se ci fosse il governo Berlusconi, sarebbe molto peggio. Siamo in una bufera europea, che onestamente ha poco a che fare con l'esecutivo italiano. Anche la Spagna, che ha una guida politica, ha uno spread a quota 620. La verità è che quanto sta avvenendo rivela la fragilità della risposta europea di fronte a una speculazione che colpisce i Paesi comunitari - che presi singolarmente sono impotenti a reagire - e che rischia di provocare una crisi dell'Euro. E questo, soprattutto per responsabilità tedesca». Perché dalla Germania fanno sapere che chi è maggiormente colpito, come la Grecia, può anche uscire dall'Unione?
«Sono dichiarazioni che contribuiscono a dare la sensazione di una caduta generale, ma non c'è solo questo. Persino una parte delle misure decise al Consiglio europeo, in modo tardivo e insufficiente, non riesce a essere messa in opera. E necessario attuare rapidamente quanto deciso, perché il vuoto di governance, la scarsa solidarietà e la mancanza totale di una strategia per il futuro sono insostenibili».Limitiamo il discorso all'Italia: anticipare il voto in autunno, considerato che le riforme economiche più importanti sono state già approvate, può servire a dare un messaggio di stabilità all'esterno? O al contrario rischierebbe di portare maggiore instabilità?
«Si tratta di questioni su cui tutto si può fare meno che aprire un dibattito, che rischierebbe, oltretutto, di investire scelte che spettano al Capo dello Stato. Ciò di cui si deve discutere adesso, ciò che va fatto ora è una riforma della legge elettorale. Si è perso ancora molto tempo. Questa è un'emergenza, a prescindere dalla data delle elezioni. Per essere comunque pronti. Purtroppo, abbiamo interlocutori improbabili. E ogni giorno che passa c'è un motivo in più d'allarme».
Gli interlocutori "improbabili" a cui fa riferimento sono maggioranza con voi, in Parlamento...
«Veramente non si capisce più se il Pdl faccia parte della maggioranza, o di quale maggioranza faccia parte, visto il modo in cui si comporta di fronte ai provvedimenti del governo. L'altro giorno c'è stata una scena incredibile in Parlamento. È stato ratificato il Fiscal compact, che è stato negoziato da Tremonti per il governo Berlusconi e che impone vincoli molto pesanti per il Paese. Bene, quelli che sostenevano quel governo o hanno votato contro, come la Lega e una parte del Pdl, o non c'erano, come Tremonti e Berlusconi o, come hanno fatto una cinquantina di deputati Pdl, si sono astenuti. Tutto il peso della responsabilità dei provvedimenti approvati è sulle nostre spalle. E questo, mentre con un voltafaccia al Senato hanno votato insieme alla Lega e liquidato le riforme costituzionali su cui avevamo pazientemente costruito un accordo. Non si capisce neanche se ci sia ancora, la strana maggioranza. È ragionevole dubitarne».
E quanto può durare una situazione del genere, si capisce?
«Francamente, no. La situazione si fa sempre più insostenibile. Questo deve essere chiaro a tutti. Compresi il presidente del Consiglio e il presidente della Repubblica».
Cosa vuole dire?
«Semplicemente che il Pd è fatto da persone responsabili, che noi e l'Udc garantiamo la maggioranza, ma veniamo messi in minoranza quando si tratta di dimostrare responsabilità e approvare le riforme. La situazione è di ora in ora più insostenibile perché abbiamo a che fare con forze politiche totalmente inaffidabili, per le quali è molto difficile anche fare questo breve pezzo di strada. E questa scarsa affidabilità alimenta tutte le incertezze per il futuro. Ora non vorrei che la ritrovata convergenza tra Pdl e Lega venga utilizzata per impedire la riforma elettorale e paralizzare la situazione».
La riforma elettorale si è incagliata sul nodo preferenze o collegi uninominali: pensa sia possibile trovare un accordo?
«Un accordo si deve trovare, in queste ore, perché altrimenti perde di senso. I collegi uninominali per noi sono preferibili, ma ci può essere da parte nostra una ragionevole flessibilità. Se si dovesse convenire che non c'è alternativa alle preferenze, si può pensare a circoscrizioni molto più piccole di quelle attuali. Si ridurrebbero enormemente i costi della campagna elettorale e i rischi di un impatto correttivo».
Quindi non ci dovrebbe essere nessun impedimento all'accordo?
«L'impedimento non è tecnico, ma politico. Il Pdl non si capisce se vuole la riforma elettorale o meno, se vuole cambiare l'attuale legge o soltanto fare propaganda. Stanno raccogliendo le firme per il presidenzialismo, quando l'accordo era per tutt'altra riforma. Hanno fatto un colpo di mano insieme alla Lega, che finge di aver riguadagnato una sua autonomia ma si muove in Parlamento come una componente dell'alleanza con il Pdl. Che a sua volta sta con un piede dentro la maggioranza e con l'altro nel fronte di chi fa opposizione al governo. La situazione è sempre più precaria a causa del comportamento del partito di Berlusconi».
Che ha annunciato che si ricandiderà: e il Pd, con quale alleanza e quale linea andrà alle elezioni?
«Con quelle che garantiscono una prospettiva di governo del Paese. Bersani ha presentato dei punti qualificanti per un governo di legislatura, sui quali è possibile creare una maggioranza ampia di progressisti e moderati. Quanto alla linea, da una parte dovremo confermare quella della serietà e del rigore avviata da questo governo. Dall'altra, dovremo anche puntare su crescita e giustizia sociale in modo molto più coraggioso di quanto non abbia potuto fare questo governo. E poi dovremo portare avanti un progetto europeo di centrosinistra, lavorare sulla linea aperta dai francesi per una svolta in Europa, per un salto di qualità nell'integrazione politica dell'Unione».
I francesi vuol dire il socialista Hollande: che dice del centrista Casini, il quale riconosce che senza il Pd non si può governare il Paese?
«Che questa considerazione ci carica di un ulteriore elemento di responsabilità. Mi domando se nel Pd tutti abbiano la stessa idea di Casini».
Vuole aprire una polemica?
«Tutt'altro, dico anzi che dovremmo evitare polemiche inutili, l'esasperazione di discussioni tra di noi».
A cosa si riferisce?
«A molte questioni, perché anche se sono per la libertà assoluta penso che in un momento così delicato, nel quale il partito si mette in gioco per una sfida che sarà drammatica, debba prevalere un elemento di disciplina e responsabilità. Ci sono non so quanti pretendenti a fare il capo di governo, quando è chiaro che non ci aspetta una passeggiata di salute».
Tra i "pretendenti" di cui parla, il Pd sosterrà Bersani?
«Bersani è stato eletto segretario del Pd con un voto a cui hanno partecipato oltre quattro milioni di elettori, questo anche perché la regola del Pd dice che il leader del partito è candidato a governare il Paese. Altrimenti non avrebbe senso eleggerlo con il voto dei cittadini. Ma, al di là di questa considerazione, mi pare evidente che la personalità più in grado di tenere unita una maggioranza parlamentare e di governare il Paese in un momento così difficile sia proprio Pier Luigi Bersani».

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sabato 21 luglio 2012

AGSM Verona con AMIA per non cambiare

La Giunta Comunale di Verona ha già deliberato l’acquisizione di Amia da parte di Agsm in assenza di una politica di cambiamento da realizzare nei due gruppi che rimarranno immutati nella governance e  nell’organizzazione. Pertanto, la decisione sembra una rilevante operazione finanziaria che porterà benefici alle casse del Comune e non agli utenti.
Si ricorda che Agsm e le controllate Agsm Distribuzione e Agsm Energie sono stata sottoposte a controlli da parte dell’autorità per l’energia elettrica e il gas, la quale ha riscontrato violazioni della disciplina in materia di obblighi di separazione funzionale e contabile e in materia tariffaria. Il controllo da parte dell’Autorità è iniziato nel maggio del 2011 e a tutt’oggi non si conoscono le misure che Agsm intende intraprendere per realizzare i contenuti della legislazione vigente, la quale garantisce la libera concorrenza e l’efficienza dei costi. Inoltre, occorre valutare la possibilità di integrare Agsm Trasmissione in Agsm Verona al fine di semplificare la governance del gruppo e ridurre gli organi di gestione.
Il gruppo Amia dovrebbe a sua volta integrare la Serit che gestisce i medesimi servizi.
L’Amministrazione Comunale e le società di gestione dei servizi pubblici locali non hanno ancora introdotto gli standard di qualità dei servizi pubblici e la conseguente trasparenza delle informazioni ai sensi del D. Lgs n. 150/2009.
Prima della acquisizione occorreva valutare ed avviare le innovazioni necessarie per migliorare la qualità e le tariffe dei servizi ed introdurre l’organizzazione snella nei gruppi. 
Il Partito Democratico con i suoi rappresentanti in Consiglio Comunale, pur essendo favorevole all’aggregazione,   ha criticato duramente il piano industriale presentato dall’Amministrazione Comunale:
- “è eccessivamente fiducioso. A breve termine non sarà utilizzabile l’impianto a letto fluido come è stato previsto (pag. 50) e l’impatto del termovalorizzatore a griglia, qualora entrasse in funzione, atteso che i rifiuti saranno acquisiti da altre realtà non servite da AMIA, e quindi fuori dal territorio provinciale, non genererà redditività per le nostre aziende, ma solo per il privato che gestirà l’inceneritore;
- se anche Cà del Bue dovesse funzionare, non è stato studiato in che modo AMIA potrà allargare la sua sfera di influenza su altre realtà del bacino provinciale e, pertanto, l’incremento possibile di redditività, visto che l’attuale sistema di smaltimento pare essere più economico del previsto inceneritore;
- era necessario studiare uno scenario dinamico, ovvero una situazione nell’ambito della quale la RD aumenta sempre di più per valutare le ripercussioni su Cà del Bue;
- era opportuna una riflessione sul ruolo strategico, e le conseguenti azioni positive, di AGSM nell’ampio panorama dei soggetti che gestiscono servizi pubblici locali per determinare alleanze e aggregazioni (pag. 26 e seguenti). Oggi la società è presente solo nel capoluogo. In questo ambito occorre valutare anche le difese dalle espansioni altrui. A titolo esemplificativo, l’aggressività della nuova aggregazione che ci sarà  entro i prossimi novanta giorni tra la bolognese Hera, Acegas (Trieste) e Aps (Padova), potrà essere significativa vista la contiguità territoriale;
Nel “cross selling” (pag. 46) non è valutata una politica industriale che consenta l’acquisizione di nuovi mercati (il solo contratto con l’Hellas Verona non può essere la stella polare).
Basta la sola presenza di AMIA in vari Comuni per favorire l’espansione di AGSM, come indicato nello studio fatto? No. Occorre creare “operatività” e nuovi rapporti politici con i Comuni in modo da suscitare il processo di affidamento di servizi nuovi a favore di AGSM;
- era doverosa la valutazione sulla possibilità di avere un impianto di smaltimento di proprietà da parte di AMIA, in grado di ridurre i costi. Ciò in ragione sia dell’ineludibilità dello smaltimento del rifiuto non recuperabile, sia delle ceneri che Cà del Bue produrrà;
- la riduzione dei costi di funzionamento doveva essere studiata. Il sistema di gestione dei servizi pubblici locali esistente e futuro di quelle società va semplificato incorporando in AGSM quelle società controllate che possono essere incorporate. I costi di funzionamento che insieme ai costi inutili, agli eventuali sprechi e ai possibili doppioni sono pagati dai veronesi con le tariffe.
- impossibile non valutare l’effetto dell’intervento, forse anche sanzionatorio, dell’Authority per l’Energia e il Gas Naturale nei confronti di Agsm e di due controllate”.
Dal piano industriale si evince chiaramente che gli studi che lo hanno preparato non hanno operato a 360 gradi perché concionati dal tipo di incarico che hanno ricevuto.
In definitiva manca un piano strategico che stabilisca il percorso del gruppo nei prossimi anni al fine di semplificare i processi di produzione dei servizi, realizzare il modello organizzativo più efficiente, eliminare gli sprechi ed ampliare la platea degli utenti con alleanze ed integrazioni con altre multi utility.  

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Pietro Ichino per l’Agenda Monti

Intervento, pubblicato su http://www.pietroichino.it/, del senatore Pietro Ichino svolto all’inizio dell’assemblea svoltasi il 20 luglio 2012 a Roma, per iniziativa dei firmatari del documento L’Agenda Monti al centro della nuova legislatura
C’è una questione di giustizia sociale che è venuta assumendo un peso maggiore rispetto a tutte quelle con le quali abbiamo dovuto confrontarci negli ultimi decenni. Una questione che vede la mia generazione, quella che ha avuto la ventura di nascere nel quindicennio successivo all’ultima Guerra mondiale, imputata di molte responsabilità gravi nei confronti delle generazioni successive:
1. innanzitutto la responsabilità di aver condotto il Paese a consumare in ciascuno degli ultimi trent’anni l’equivalente di circa 30 miliardi di euro più di quanto il Paese stesso fosse in grado di produrre, accollandone irresponsabilmente il debito ai figli e ai nipoti;
2. ma anche la responsabilità di avere utilizzato quel denaro preso a prestito non per investirlo in infrastrutture moderne, o in istruzione, o in altri beni duraturi, ma per riservare a sé impieghi pubblici usati come rimedio alla disoccupazione e trattamenti previdenziali e assistenziali di cui sapevamo benissimo (quanto meno dall’inizio degli anni ’90) che essi non avrebbero potuto essere estesi alle generazioni successive;
3. la responsabilità di non avere colto, dieci anni fa, l’occasione straordinaria offerta dall’euro per incominciare a ridurre il debito pubblico, sfruttando il drastico abbattimento degli interessi che il nuovo sistema monetario ha portato con sé in dote (se anche soltanto nella prima metà dell’anno scorso, prima della crisi scoppiata nel corso dell’estate, avessimo adottato misure analoghe a quelle contenute nel programma del Governo Monti – come pure già si sapeva che si sarebbe dovuto fare: basti leggere gli atti dell’assemblea del Lingotto del 22 gennaio 2011 – oggi il Paese non correrebbe il rischio gravissimo che corre e il debito avrebbe già incominciato a ridursi);
4. la responsabilità di non aver saputo dare al Paese un sistema istituzionale – a partire dal sistema elettorale – capace di superare i particolarismi faziosi sul piano politico e i veti incrociati delle varie corporazioni su quello economico; basti osservare in proposito che il Paese stesso oggi affronta la crisi più difficile e pericolosa vedendo alternarsi tra loro in Parlamento, a seconda delle occasioni, la maggioranza che vota la fiducia al Governo Monti e la maggioranza PdL-Lega che nella prima parte della legislatura ha sorretto il Governo Berlusconi, che vuole cose opposte; e rischia fortemente di uscire dalle prossime elezioni politiche senza una maggioranza parlamentare in grado di governare;

5. la responsabilità di aver lasciato aggravarsi il difetto del sistema di istruzione, formazione e orientamento professionale rispetto alle esigenze dell’inserimento delle nuove generazioni nel tessuto produttivo, al punto da generare una situazione di vera e propria esclusione di un terzo dei ventenni di oggi sia dalla scuola sia dal mercato del lavoro;
6. la responsabilità di aver lasciato che un vecchio sistema di protezione del lavoro, modellato sulle caratteristiche del tessuto produttivo di mezzo secolo fa, generasse lungo l’arco degli ultimi tre decenni un fenomeno macroscopico di esclusione di metà dei new entrants dal lavoro regolare, con il conseguente instaurarsi del peggiore regime di apartheid tra lavoratori protetti e non protetti che sia oggi osservabile in tutto il panorama dei Paesi occidentali industrializzati;
7. infine, una responsabilità forse ancora più grave di tutte queste è di avere disperso gran parte dell’amor di Patria, del senso dello Stato, di quelle civic attitudes che hanno costituito la fonte della nostra Costituzione repubblicana. Quelle stesse civic attitudes che costituiscono oggi il presupposto indispensabile perché un popolo possa avere fiducia nel proprio futuro e – nella nostra situazione specifica – perché gli altri popoli europei possano accettare di costruire con noi un rapporto solido di fiducia e solidarietà reciproca.
Ciò di cui il Paese oggi ha bisogno urgente è un’opera lunga – l’orizzonte non può essere meno che decennale ‑ di ricostruzione culturale, economica, istituzionale, e di riequilibrio tra gli interessi delle generazioni vecchie, di quelle più giovani e di quelle future. Un’opera compatibile, certo, con l’alternarsi al governo di schieramenti politici di diversa natura, ma a condizione che essi condividano almeno gli obiettivi fondamentali a cui orientare l’azione e i vincoli da rispettare.
Ciò che rende incerta l’affidabilità del nostro Paese per i nostri partners europei è che questa condivisione degli obiettivi fondamentali da conseguire e dei vincoli da rispettare, tra le forze politiche principali, non c’è. Non c’è nel PdL, il cui leader Berlusconi proclama la sua fedeltà al Governo Monti un giorno sì e uno no, ma nel giorno no si riserva esplicitamente di fare concorrenza a Beppe Grillo sul suo stesso terreno. Ma va detto che non c’è a sufficienza neppure nel Pd così come esso si presenta oggi, se è vero che in una parte della sua dirigenza predomina ancora l’idea di una nuova “Europa di sinistra” che dovrebbe consentire all’Italia di sostituire almeno in parte alla politica del rigore del Governo Monti una politica “sviluppista”; dove però poi, a ben vedere, stringi stringi lo “sviluppismo” consisterebbe nel disfare alcune cose essenziali fatte dal Governo Monti durante i pochi mesi in cui è stato in carica: per esempio, nel ripristinare le pensioni svincolate dal requisito di età anagrafica (per i cinquantenni e sessantenni di oggi, si intende), ripristinare l’inamovibilità protetta da vecchio testo dell’articolo 18 per chi il lavoro fisso ce l’ha, ripristinare la Cassa integrazione “a perdere” come strumento per la soluzione delle crisi occupazionali aziendali; soprattutto, ripristinare la possibilità di far debiti lasciandoli da pagare alle generazioni che verranno. Quando questi dirigenti politici con la testa rivolta all’indietro parlano di “equità”, se si va a vedere la cosa da vicino ci si accorge che parlano quasi sempre di restituire qualcosa a qualche gruppo di cinquantenni o sessantenni, anche al costo di aumentare il debito pubblico destinato a essere pagato da quelli che di anni oggi ne hanno venti, o non sono ancora nati. La vera, grande opera di equità, invece, oggi è liberare almeno in parte questi ultimi dal fardello ingiusto che abbiamo posto sulle loro spalle; e rimodellare il tessuto sociale e produttivo in funzione delle loro esigenze vitali.
La riduzione del nostro debito sovrano deve avvenire principalmente attraverso la dismissione del patrimonio pubblico poco o male utilizzato e, se necessario, eventualmente anche con un prestito forzoso a carico della parte più ricca dei soggetti privati. Le leve su cui possiamo ragionevolmente agire e i giacimenti di risorse cui possiamo attingere per reinnescare un ciclo di sviluppo economico, sono invece: una drastica riduzione degli interessi sul debito stesso con la costruzione dell’unione fiscale europea e l’eliminazione dei molti enormi sprechi che caratterizzano le nostre amministrazioni. Su quest’ultimo punto c’è ancora tutto da fare. Lo stesso Governo Monti, su questo terreno può essere criticato per non avere fatto abbastanza, per non avere fatto con l’efficacia necessaria, per un difetto di tempestività nella soluzione dei problemi della transizione dal vecchio al nuovo assetto; ma sono, queste, critiche che devono essergli mosse in nome dei principi stessi che sono alla base del suo programma. Sono tutte questioni cui vanno date soluzioni coerenti con gli obiettivi di fondo che lo stesso Governo Monti si è proposto di conseguire. Per rendere più efficace e compiuta l’azione di riforma, non per limitarne la portata. D’altra parte, è evidente come il successo della stessa fondamentale scommessa di Monti sulla nostra partecipazione da protagonisti alla costruzione del sistema di governo europeo dell’economia sia in larga parte legato al successo dell’iniziativa sul terreno interno della razionalizzazione della nostra cosa pubblica.
A ben vedere, questo è oggi ‑ e resterà ancora per qualche anno – il vero spartiacque della politica italiana: quello che corre tra chi è convinto della necessità e possibilità della scommessa europea dell’Italia come massima possibile garanzia per le nuove generazioni, e chi è convinto del contrario. Se, come sembra volere una larga maggioranza degli italiani, scegliamo la strada di una ricostruzione del nostro Paese totalmente iscritta nel grande disegno dell’Unione politica ed economica Europea, per qualche anno le distinzioni tra destra e sinistra resteranno, sì, ma non saranno quelle decisive. Decisiva sarà la capacità di percorrere il sentiero stretto che ci condurrà ad allineare il nostro Paese rispetto ai migliori standard europei in tutti i campi, a riconquistare la stima, la fiducia e la solidarietà degli altri popoli del continente e dei loro Governi. Decisive saranno le idee e il know how indispensabili per recuperare le risorse là dove oggi vengono sprecate, per realizzare una profonda revisione di tutti i meccanismi amministrativi, per far sì che una dirigenza pubblica motivata e correttamente incentivata, si riappropri delle proprie prerogative manageriali e incominci a esercitarle incisivamente per ridare efficienza e produttività alle strutture, trasferendo le risorse disponibili dai rami secchi alle amministrazioni che hanno bisogno di un potenziamento degli organici. Decisive saranno le idee e il know how indispensabili, nel settore privato, per promuovere il trasferimento dei lavoratori, rapido e in condizioni di massima sicurezza economica e professionale, dalle strutture produttive in fase di contrazione o chiusura a quelle in fase di espansione.
Oggi in Italia – noi ne siamo fortemente convinti – il Pd costituisce la forza politica che ha maggiore titolo per candidarsi a dare voce e rappresentanza alla larga maggioranza degli italiani che è favorevole alla grande scommessa europea e pronta a farsi carico dei sacrifici che essa può comportare. Lo stesso Pd, dunque, può e deve candidarsi a guidare la maggioranza parlamentare che nella prossima legislatura continuerà l’opera iniziata dal Governo Monti in quest’ultimo anno. Ma per questo occorre che vengano superate alcune ambiguità, alcune reticenze, alcune riserve mentali, alcuni eccessi di condiscendenza nei confronti dell’egoismo della mia generazione, che sono incompatibili con quella scelta strategica.

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venerdì 20 luglio 2012

Welfare aziendale alla Whirlpool

In un momento di crisi economica che colpisce anche i lavoratori già occupati a causa della diminuita capacità di accedere al consumo alcune aziende riscoprono il welfare aziendale e con esso la valorizzazione delle relazioni umane  in azienda con il duplice effetto: - il sostegno ai lavoratori dipendenti; il miglioramento dei rapporti tra azienda e lavoratori. Tra gli esempi si ricorda quello della Whirlpool.  
Articolo di Dario Di Vico pubblicato sul Corriere della Sera il 19 luglio 2012
La crisi aguzza l' ingegno e anche le multinazionali studiano nuove formule di rapporto con i dipendenti. La notizia del giorno viene da Varese e dalla Whirlpool, il colosso americano (19 miliardi di dollari di fatturato e 68 mila dipendenti nel mondo) che gestisce l' eredità degli ex stabilimenti di elettrodomestici della Ignis. L' iniziativa si chiama «Dalla piazza alla fabbrica» e permetterà agli addetti dello stabilimento di Cassinetta di Biandronno di fare la spesa in azienda (ogni giovedì dalle 11 alle 19 a partire dal 19 luglio) acquistando frutta, verdura, formaggi, vini, salumi e altri prodotti tipici direttamente dagli agricoltori locali che si sono organizzati con la formula del farmers market. Grazie a questa novità si stima che i dipendenti Whirlpool potranno risparmiare sulla spesa qualcosa come il 25% che in un momento di crisi e di contenimento dei salari rappresenta sicuramente un fattore di ristoro.
Il mercatino in fabbrica è stato organizzato di comune accordo dalla direzione aziendale della multinazionale, dal Cral e dal Crivello, un' associazione di produttori dell' agroalimentare varesino. Per ricreare il clima del mercato rionale è stato allestito uno spazio apposito, al coperto, in una zona adiacente allo stabilimento. Spiega Fabio Scaltritti, il manager italiano che dirige l' impianto: «Oltre ai vantaggi economici questo modello di distribuzione senza intermediari dà uno sbocco alle produzioni locali e fornisce a chi compra una garanzia di tracciabilità degli alimenti, di sicurezza della loro genuinità e in definitiva di benessere».


Non capita certo tutti i giorni che un manager di una multinazionale si esprima in questo modo e illustri i vantaggi del commercio a chilometro zero, ma è evidente che le grandi aziende in qualche modo si stanno interrogando sui nuovi rapporti da costruire in fabbrica. Se poi, come a Varese, la Whirlpool può attingere alla grande tradizione comunitario-paternalistica del commendatore Giovanni Borghi, tradizione e modernità vengono cucite alla perfezione. Tanto che dopo il primo step del mercatino in fabbrica si pensa già ad allargare l' iniziativa organizzando acquisti di gruppo per i 2 mila dipendenti di Cassinetta.
La Whirlpool, come tutti i grandi player del settore elettrodomestici, vive in Europa un momento di grande difficoltà. Il mercato è caduto drasticamente e non bastano i segnali positivi che vengono dai Paesi terzi per pareggiare il conto. In provincia di Varese gli americani hanno tenuto il centro operativo europeo che si rivolge anche ai mercati del Medio Oriente e dell' Africa mentre complessivamente in Italia i dipendenti sono 5 mila, ma si tratta di posti di lavoro che corrono qualche rischio. Da tempo, infatti, il Ceced-Confindustria, l' associazione che raggruppa sia le multinazionali sia i produttori italiani, sostiene come non sia più possibile produrre lavatrici e frigoriferi in Italia a prezzi competitivi a causa del costo del lavoro. Lo spettro di una delocalizzazione in Polonia è stato più volte evocato e mai del tutto esorcizzato. E quindi porre attenzione al clima in azienda è diventata una priorità.

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giovedì 19 luglio 2012

Alessandra Moretti: una donna al servizio della comunità

Intervista a Alessandra Moretti, vice sindaco di Vicenza
Può raccontarsi al fine di far conoscere le tappe fondamentali del suo impegno?
Sono nata a Vicenza il 24 giugno 1973. Sono mamma di Guido e Margherita e nipote di un comandante partigiano che mi ha trasmesso i valori della libertà, della giustizia e dell'impegno civile. Esercito il mestiere di avvocato dal 2001 nell'ambito di uno studio legale associato composto da giovani professionisti. Ho iniziato a fare politica da quando avevo quattordici anni con l'Associazione Studenti di cui sono diventata segretaria cittadina dal 1990 al 1993, occupandomi delle problematiche relative al mondo scolastico e studentesco. Dopo una breve parentesi nei DS, sono tornata ad appassionarmi alla politica con Romano Prodi e mi sono iscritta al Pd nel 2007.
Nel 2008 ho partecipato alla campagna elettorale per il Sindaco di Vicenza sostenendo la candidatura di Achille Variati, come capolista della lista civica che portava il suo nome. Sono diventata cosí vicesindaco e assessore all'istruzione e alle politiche giovanili da maggio 2008. In questi anni mi sono impegnata per restituire alla scuola un ruolo chiave nella crescita culturale della mia città, ritenendo che uno sviluppo sostenibile di Vicenza non possa prescindere dalla valorizzazione degli istituti scolastici di quartiere come luoghi privilegiati di democrazia e confronto interculturale.
Su questi presupposti ho istituito un tavolo di lavoro con tutti i dirigenti scolastici della città da cui é nato il Piano Territoriale Scolastico (PTS) un vero patto educativo finalizzato ad affermare che le pari opportunità formative degli alunni non possono prescindere dalle pari opportunità di accesso alla scuola da parte degli stessi. Dal 2009 faccio parte della Direzione Nazionale del PD dove cerco di portare la voce degli enti locali attraverso un approccio alla politica concreto, semplice e non ideologico.
Quali sono state le motivazioni che l’hanno indotta ad impegnarsi nella politica e nell’attività amministrativa di Vicenza?
Credo moltissimo nell'impegno civico e la politica rappresenta per me, prima di tutto, una grande passione. Sento forte la responsabilità di dare il mio contributo per migliorare la mia città, i servizi rivolti ai cittadini e la qualità della vita delle future generazioni.
Perché ha scelto di impegnarsi nel Partito Democratico in un momento caratterizzato dalla crisi dei partiti e dall’astensionismo?

Ho scelto di impegnarmi all'interno del partito perchè lo voglio migliorare attraverso il confronto democratico anche con chi non la pensa come me. Credo sia più difficile ma anche più stimolante portare le proprie ragioni e affermare le proprie convinzioni nell'ambito istituzionale di un partito di cui la nostra Carta Costituzionale ne riconosce ed afferma l'importanza.
Quali politiche ha realizzato a Vicenza nei settori di sua competenza?
Il Piano territoriale Scolastico, che rappresenta un patto tra tutti gli istituti Comprensivi della città, finalizzato a creare pari opportunità formative e di accesso allo studio, valorizzando le scuole di quartiere e favorendo una maggiore mobilità sostenibile. In questo ambito sono state introdotte anche delle misure atte a creare le migliori condizioni di integrazione degli alunni stranieri.
Nel 2010 ho aperto il primo Centro per la documentazione pedagogica e la didattica laboratoriale, attivando oltre 60 laboratori didattici e sportelli di consulenza gratuita per i bambini dai 3 anni e per gli adolescenti e i loro genitori. Vi collaborano 100 volontari tra pensionati, professionisti e insegnanti.
Un altro tema che mi ha appassionata é stato quello dell'educazione alimentare e ho contribuito a promuovere tra gli studenti e le proprie famiglie, un consumo maggiore di verdura e frutta, attraverso una dieta mediterranea utile ad evitare problematiche di sovrappeso, conciliando anche l'esigenza etica per l'ente locale di evitare gli sprechi di cibo anche grazie alla collaborazione tra alcune scuole cittadine e la mensa per i poveri della città. Tra i primissimi interventi segnalo l'introduzione della City Card, uno strumento elettronico che consente alle famiglie di effettuare on line i tutti i pagamenti dei servizi scolastici.
Quali sono i problemi più urgenti da affrontare a Vicenza?
La riqualificazione degli edifici pubblici, in un'ottica di tutela dell'ambiente; la realizzazione di alcune tecnostrutture polivalenti a servizio dei quartieri; la prosecuzione con le piste ciclabili per favorire una mobilità sostenibile; misure atte a contenere l'inquinamento dell'aria.
Quali sono le specificità di una giovane donna da mettere al servizio della politica e delle città?
Credo che, per chi fa politica, l'obiettivo da perseguire sia sempre l'interesse collettivo. Per questa ragione si deve avere anche il coraggio di introdurre delle azioni che non sempre incontrano il consenso della gente. Tuttavia, soprattutto in un momento di grave difficoltà economico e sociale come questo, la politica deve ritrovare la forza di portare avanti delle riforme che abbiano uno sguardo lungo sul futuro e ciò al fine di tutelare quelle generazioni che pagheranno più di tutti l'irresponsabilità e la miopia di una classe dirigente che ha fallito e che oggi il Paese non vuole più.
Pierluigi Bersani negli ultimi suoi interventi ha parlato di Pd aperto alla società, ai movimenti ed alle associazioni. Secondo lei quali cambiamenti bisogna avviare nelle articolazioni periferiche del Partito Democratico per realizzare tale strategia?
Dobbiamo saper parlare alla società civile e a quel mondo straordinario di persone che quotidianamente fa politica con i propri comportamenti, rispettando la legge e aiutando il prossimo. Dobbiamo costruire una società più giusta perchè oggi sono troppo evidenti le disparità e le diseguaglianze. Non c'è comunità senza equità e solidarietà e noi, come PD, dobbiamo ripartire da qui per riconquistare la fiducia degli elettori delusi.
I circoli del Pd che rappresentano il primo anello della catena di partecipazione alla vita politica hanno bisogno di adeguarsi ai cambiamenti che avvengono nel paese e, quindi, al contesto sociale di riferimento?
I circoli sono l'espressione più vera e vitale del nostro partito. Ne fanno parte militanti storici che hanno visto nascere il PD e che provengono da esperienze molto diverse (il cattolicesimo popolare, il comunismo, il socialismo), ma che hanno sempre saputo dialogare. I vertici del partito a volte mi sembrano più ingessati e meno pronti al cambiamento di quanto invece sia la base. Non a caso la politica è troppo spesso in ritardo rispetto ai cambiamenti della società.

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La buona amministrazione per superare la crisi della politica

Articolo di Alessandra Moretti pubblicato su Italianieuropei n. 7 del 2012
La crisi economica e i timori per il futuro che essa alimenta, uni­ti alla diffusa percezione che l’attuale classe politica abbia perso il contatto con la realtà e con i gravi problemi dei cittadini, rischiano di aggravare la già profonda sfiducia nei confronti della politica. In questo scenario di fragilità del sistema democratico, gli amministrato­ri locali, quotidianamente partecipi dei bisogni dei cittadini, possono svolgere un ruolo strategico per ricostruire l’ormai sfilacciato legame di fiducia fra istituzioni e paese reale.
Nel contesto storico attuale, dominato da un senso diffuso di smarri­mento e di sfiducia nella classe politica, il bisogno di buona amministra­zione e, in generale, di buona politica che i cittadini esprimono rimanda al desiderio di ritrovare il senso di appartenenza a una comunità che intende ricostruire un legame solido con le istituzioni.
Proprio sugli amministratori locali si riversano quindi le attese e le spe­ranze di quei cittadini che guardano alla politica così come è stata con­cepita da alcuni filosofi dell’antichità per i quali il termine indicava l’am­ministrazione della polis per il bene e nell’interesse di tutti. Troppo spesso in questi anni abbiamo seguito le vicende di “cattivi po­litici” che, con i loro comportamenti orientati alla tutela dell’interesse personale a discapito di quello collettivo, hanno profondamente dan­neggiato l’immagine dell’intera categoria, facendo ricadere su chi invece si dedica alla politica con onestà e passione responsabilità che non sono loro imputabili. A tal proposito, ci si deve interrogare proprio sulle ragioni dell’antipo­litica e su quanta responsabilità abbiano avuto nel suo montare coloro che hanno sfruttato per anni, in chiave populista e demagogica, le paure e le insicurezze dei cittadini, senza peraltro mai dare risposte o offrire soluzioni credibili ai loro problemi e alle loro istanze. La crisi sembra aver azzerato le attese di crescita e di miglioramento delle prospettive di vita e ha nel contempo alimentato le insoddisfazioni e le frustrazioni delle persone, che spesso tendono ad affidarsi a quelli che Ilvo Diamanti definisce «i Tribuni che mobilitano le passioni “contro” i poteri politici ed economici».
La distanza tra i problemi di chi vive la vita vera e la percezione che ne ha chi ancora oggi rappresenta la politica è diventata insopportabile; è venuto meno il contatto con la realtà da parte di chi quella realtà dovrebbe conoscerla e interpretarla. La rappresen­tazione della politica veicolata dai mass media ha stancato, non convince più, non è più credibile e ha profondamente deluso.
Fra le questioni che hanno contribuito ad accre­scere lo scollamento tra politica e società civile vi è senz’altro il problema della corruzione, del malco­stume, della violazione delle regole che tocca ormai tutti gli ambiti del quotidiano. L’Italia, da questo punto di vista, appare come un malato grave che, se non sottoposto urgentemente a una cura energica e coraggiosa, rischia di morire.
La questione morale diventa quindi un tema estre­mamente rilevante per recuperare credibilità e au­torevolezza agli occhi degli italiani, in particolare perché la scarsa pro­pensione al rispetto delle norme sta travolgendo anche la parte sana del nostro paese, quella che resiste e che lotta ogni giorno per affermare il principio di legalità. Le conseguenze più pesanti della crisi economica e sociale che stiamo vivendo si abbattono, infatti, proprio sugli onesti, su chi paga le tasse, richiede la ricevuta fiscale, rispetta le istituzioni e si sente quotidianamente preso in giro da chi, come un parassita, vive sulle loro spalle, da chi, insomma, lo sciopero fiscale lo fa da sempre e da sempre la fa franca.
Visto che la corruzione, il malaffare e l’evasione si annidano soprattutto nelle zone d’ombra, dove potere e discrezionalità si esercitano senza ri­spettare i più elementari criteri di trasparenza, è necessario accorciare la distanza tra periferia e centro, attraverso, ad esempio, la pubblicazione via internet dei bilanci dei ministeri, delle pubbliche amministrazioni, delle aziende partecipate e dei partiti politici.
Proprio in questo momento, in cui il paese ha urgente bisogno di lega­lità, di affermare il senso di giustizia e di equità, dobbiamo evitare di far sentire isolati quei cittadini perbene che continuano a rispettare lo Stato ma che chiedono di non essere lasciati soli. Il compito di chi ha incarichi di governo, a tutti i livelli, è quello di sostenere le categorie più deboli, soprattutto nel momento in cui si allarga la frattura tra i ricchi e i poveri e si vedono aumentare le ingiustizie sociali: perché senza solidarietà non vi è una comunità.
Non meno rilevanti di quelle sociali e politiche sono le conseguenze eco­nomiche della corruzione. È del tutto evidente che la presenza di un capillare ed esteso sistema di corruzione impedisce lo sviluppo e frena la crescita del paese, disincentivando anche le imprese straniere a investi­re risorse in Italia dove, peraltro, alla corruzione si aggiungono le lungaggini di una burocrazia ammi­nistrativa soffocante, un sistema di giustizia civile inefficiente e una scarsa cultura dell’innovazione e dello sviluppo tecnologico.
Ecco perché il ruolo degli amministratori locali può essere in questa fase strategico per ricostruire il rapporto di fiducia tra le istituzioni e il paese: il loro essere a contatto con le persone e con i problemi reali, il loro essere percepiti come per­sone “normali” e non come dei “privilegiati”, il loro essere disponibili all’ascolto e alla comprensione, il loro saper motivare le risposte anche quando queste sono negative possono fare la differenza.
Appare indispensabile, proprio in questo scenario di fragilità del sistema democratico, attivare meccanismi di partecipazione e di cittadinanza at­tiva che facciano sentire i cittadini al centro delle scelte amministrative e che li mettano anche nelle condizioni di controllare l’operato di chi am­ministra le città. Penso alle assemblee tra Giunta municipale e comitati di quartiere per discutere su come investire le poche risorse disponibili; penso alla facilitazione del rapporto tra i cittadini e l’amministrazione che è possibile realizzare attraverso l’introduzione di sistemi informatici in grado di snellire i tempi di attesa per i pagamenti o per il rilascio di certificati; penso alla valorizzazione della vita nei quartieri di periferia, possibile puntando sulla scuola come luogo ideale per promuovere la crescita interculturale tra generazioni e facendo attecchire l’idea che solo una comunità aperta all’esterno riesce a sopravvivere alle complessità che caratterizzano la nostra epoca.
Essere un buon amministratore significa anche intraprendere scelte co­raggiose di cambiamento e di innovazione che non sempre rispondono alle aspettative della generalità dei cittadini e questo perché la politica non può essere schiava esclusivamente del consenso, ma deve necessariamente avere uno sguardo lungo sul futuro con il quale ripensare, anche dal pun­to di vista urbanistico, una città al passo con i rapidi e spesso imprevisti cambiamenti della società.
Su questi presupposti e su questa idea di città, a Vi­cenza abbiamo inteso promuovere un percorso cul­turale e educativo al fine di mettere al centro dello sviluppo cittadino la scuola come motore di demo­crazia e di crescita interculturale, partendo dal pre­supposto che le diversità sono la regola e non l’ecce­zione, che il diverso non ci inquina ma ci arricchisce. La scuola come meccanismo propulsore delle scelte strategiche per uno sviluppo sostenibile che tiene conto, seppur in una visione globale e complessiva, anche delle peculiarità di ciascun quartiere.
Se infatti è vero che il 70% degli apprendimenti e dei nuovi saperi av­vengono al di fuori della scuola, questo significa che chi amministra deve favorire lo sviluppo armonico dei quartieri, a partire dall’attenzione verso i bambini e gli alunni che diventano così gli “indicatori ambientali della qualità della vita nel contesto urbano”, nella convinzione che una città a misura di bambino sarà sicuramente più vivibile per tutti.
Ecco quindi l’idea di un patto, della realizzazione di uno sforzo con­giunto da parte di tutte le agenzie educative del territorio – l’ente loca­le, l’ufficio scolastico provinciale, gli 11 dirigenti scolastici cittadini e le associazioni degli stranieri – per raggiungere l’obiettivo di governare le iscrizioni scolastiche attraverso delle regole comuni a tutti secondo la convinzione che le pari opportunità formative non possono prescindere dalle pari opportunità di accesso alla scuola, arginando così l’anarchia assoluta che ha prodotto inevitabilmente scuole di serie A e di serie B.
Altro elemento che supporta questa idea di città è rappresentato dal Centro per la documentazione pedagogica e la didattica laboratoriale: prima esperienza italiana che offre oltre 60 laboratori e sportelli gratuiti finalizzati all’educazione, alla formazione e alla crescita della persona e rivolti ai bambini, ai ragazzi, agli insegnanti e agli adulti, con oltre 100 volontari esperti professionisti che settimanalmente mettono a disposi­zione il loro tempo e le loro competenze in favore della comunità.
Una buona amministrazione di centrosinistra è quindi quella che lega le proprie scelte amministrative a un ideale educativo e a valori etici che contribuiscano a rafforzare nel cittadino il senso di appartenenza a una comunità e la cultura della legalità coniugata al principio della solidarietà, collegando i comuni do­veri con la capacità di integrare, di estendere diritti, di includere nuove popolazioni, favorendo il me­scolamento tra culture.
Spetta pertanto alle amministrazioni locali accor­ciare la distanza e favorire lo sviluppo di un nuovo umanesimo democratico che riesca a rimettere al centro del fare politica la persona come soggetto di diritti e di doveri, e cioè come cittadino inserito in un contesto di relazioni sociali e di responsabilità individuali e collettive. In questo contesto lo sforzo della politica deve essere quello di potenziare il ruolo dello Stato come promotore della realizzazione dell’uguaglianza delle opportunità, di garantire il rafforzamento delle capacità di scelta e autodeterminazione degli individui, lo sviluppo di relazioni sociali uma­namente ricche.
A questo Stato, tuttavia, si chiede di rispettare gli enti locali come ultimo anello istituzionale che quotidianamente fatica a garantire la gestione delle città e ad assicurare i servizi essenziali ai cittadini. A questo Stato noi amministratori locali chiediamo di essere ascoltati perché attraverso la nostra voce può conoscere davvero quali sono le sofferenze vere e pro­fonde delle famiglie italiane, quali sono le attese e i bisogni delle nuove generazioni, riconquistando così una fiducia indispensabile e quanto mai necessaria per la ricostruzione di questo paese.

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