venerdì 9 novembre 2012

Federico Testa contro il caro bolletta

Stralcio dell’articolo "Caro-bolletta e (assenza di) strategia energetica nazionale: le implicazioni e qualche ipotesi di soluzione" di Federico Testa* pubblicato su Management delle Utilities, n. 2, 2012
Nella primo paragrafo dell’articolo Federico Testa specifica le cause che hanno portato al caro bolletta e nel secondo individua tra le cause l’assenza di una seria politica energetica.
All’origine del caro bolletta
“La bolletta energetica per le aziende e le famiglie italiane è sempre più cara, con gravi ripercussioni sulla competitività del sistema delle imprese e sui livelli di vita delle persone. ……….....
Nel terzo paragrafo che si riporta integralmente vengono indicati i possibili interventi da realizzare.
Cosa fare a questo punto?
Senza alcuna pretesa di esaustività e completezza, si vogliono di seguito elencare alcuni possibili “filoni di intervento” su cui stimolare la riflessione e le decisioni, in un quadro organico che il Paese aspetta da troppo tempo:
• è urgente aprire una discussione su cosa va in bolletta e cosa va in tassazione generale (evidentemente situazione economica permettendo): voci come i regimi tariffari speciali per le ferrovie od altre di natura più generica andrebbero infatti spostate a carico del bilancio dello Stato. Ma non diversamente bisognerebbe affrontare il nodo della “tassa sulla tassa”, che caratterizza ad esempio il gas metano, per il quale è prevista il calcolo dell’IVA sulle accise, che procura allo Stato un extra gettito di oltre il 6% (costituendo l’accisa circa il 30% del totale imponibile comprendendo anche l’addizionale regionale in favore delle regioni che la richiedono). La tassazione diventa ancor più odiosa per tutte le situazioni di morosità del cliente finale, in cui l’impresa di vendita pur non recuperando gli importi dovuti, è tenuta al versamento del tributo, senza possibilità di rivalsa;
• conseguentemente, decidere chi paga e chi no in bolletta. Si tratta di rimettere mano agli attuali schemi di incentivazione attivando un percorso logico corretto, che preveda innanzitutto l’individuazione delle priorità di politica industriale per il Paese (quali settori di base, energivori e non, rilevanti per la competitività di sistema, nonché settori particolarmente esposti a concorrenza internazionale), a cui concedere le agevolazioni, con una selezione di merito che abbia quindi alla base le scelte prospettiche strategiche, superando gli attuali criteri troppo spesso meramente quantitativi;
• chiedere ai produttori di energia rinnovabile di farsi carico degli oneri di bilanciamento del sistema, dotandosi (singolarmente, in forma associata o pagando terzi) delle necessarie strutture di accumulo, così da fornire l’energia con continuità e prevedibilità nell’arco delle 24h.
Accumuli che se invece predisposti da Terna o Enel Distribuzione finirebbero necessariamente in bolletta, e quindi pagati ancora una volta prevalentemente da famiglie e pmi;
• spingere sullo sviluppo della generazione distribuita ad alta efficienza (così da minimizzare i costi di produzione), individuando un nuovo paradigma di sistema elettrico che superi il modello di produzione accentrata ed i conseguenti costi in infrastrutture, consentendo progressivamente di ridurre i costi di trasporto, dispacciamento e bilanciamento. In questo senso, l’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato (segnalazione AS898) ha, tra l’altro, rappresentato recentemente che “il mancato sviluppo di reti private – a servizio non solo di imprese industriali, ma anche commerciali e di servizi, come previsto dall’articolo 28 della Direttiva 2009/72/CE – si potrebbe tradurre da un lato in una riduzione delle opportunità di crescita per la produzione di energia elettrica da fonte rinnovabile e in cogenerazione ad alto rendimento – che quindi sarebbero limitate ai sistemi di auto-approvvigionamento e agli impianti che immettono l’energia prodotta nella rete pubblica – e, dall’altro lato, in una minore concorrenza nei confronti dei gestori delle reti pubbliche di trasmissione e di distribuzione e, indirettamente, ai proprietari dei grandi impianti di generazione che immettono l’energia prodotta nella rete pubblica. Per quanto riguarda i gestori delle reti pubbliche di trasmissione e di distribuzione, infatti, essendo i loro ricavi proporzionali all’energia che transita su tali reti, la minaccia di una riduzione di domanda a causa dello sviluppo dei Sistemi di Distribuzione Chiusi costituisce un potente incentivo ad una efficiente gestione di tali reti pubbliche, al fine di ridurre gli oneri di trasmissione e dispacciamento e quindi la convenienza ad adottare soluzioni impiantistiche basate su reti private”. Tale posizione induce a ritenere che la mancata corresponsione delle tariffe di rete da parte degli utenti appartenenti ai sistemi di utenza non si debba tradurre per forza in un aumento delle tariffe di rete per gli utenti esterni ai sistemi di utenza in quanto tale mancato gettito potrebbe/dovrebbe rimanere in capo ai gestori delle reti e costituire un driver per i medesimi gestori di rete all’efficientamento delle proprie attività senza alcun costo aggiuntivo in bolletta e per il consumatore finale sia esso domestico o industriale;
• accelerare gli investimenti di interconnessione con gli altri Paesi europei, al fine di valorizzarne le peculiarità del mix produttivo e di conseguenza anche l’efficienza e la flessibilità del nostro parco di cicli combinati, che ben si presta a modulare le produzioni più rigide di altri Paesi. È davvero impossibile pensare di costruire una politica energetica che superi il livello nazionale, per integrare i sistemi energetici continentali e per realizzare l’interconnessione dell’intero spazio mediterraneo (anche Nord Africa per intercettare gli impianti del futuro progetto Desertec, se verrà effettivamente realizzato a costi competitivi)? Questo permetterebbe di effettuare una “divisione del lavoro” tra i vari Paesi, che valorizzi specificità, competenze, storie industriali, ad esempio concentrando l’eolico nel Nord Europa, dove i venti sono forti e costanti, ed i fondali bassi per l’off-shore, utilizzando il carbone tedesco, così come il nucleare francese, per fare la produzione di base (base load) per tutta l’Europa, ed i cicli combinati italiani per la modulazione dell’offerta. Quest’ipotesi, affascinante, ha però biso¬gno della costruzione di un siste¬ma europeo che superi gli egoismi nazionali e la logica per cui ogni Paese deve avere un suo campione nazionale, e di investimenti importantissimi nelle reti di trasmissione, nazionali e transnazionali, che superino i colli di bottiglia esistenti, che nascono dalla storia e dalle logiche nazionali, ma sono anche funzionali – dobbiamo saperlo – ad arbitraggi e rendite di posizione dei vari produttori (spesso proprio i “campioni nazionali”).
Si tratta quindi, in sostanza, di riprendere in mano assetti, equilibri, rendite di posizione, facendo lo sforzo di individuare un modello sostenibile per gli anni a venire, là dove la sostenibilità sia interpretata nella sua accezione ambientale ma anche economica, così da consentire il mantenimento e – se possibile lo sviluppo – di una presenza industriale qualificata nel nostro Paese, in coerenza con la sua storia. Il Governo Monti ha di recente dimostrato di voler “prendere per le corna” il tema della liberalizzazione dell’ap¬provvigionamento del gas (attraverso la separazione proprietaria di Snam da Eni), forse la “partita elettrica” potrebbe essere la prossima sfida. È l’auspicio di chi scrive.
* Federico Testa è Professore di Economia e gestione delle imprese all’Università degli Studi di Verona, componente della Commissione Attività Produttive della Camera dei Deputati e responsabile Energia del PD

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