mercoledì 13 novembre 2013

E’ utile una tassa patrimoniale?

Articolo di Kenneth Rogoff pubblicato sul Corriere della Sera l’11 novembre 2013

Ci si chiede se sia compito dei Paesi avanzati introdurre tasse patrimoniali come mezzo per stabilizzare e ridurre il debito pubblico nel medio termine. Il Fondo monetario internazionale, solitamente conservatore, ha accolto l’idea con grande entusiasmo. Il Fmi calcola che una tassa una tantum del 10%, se introdotta rapidamente e senza preavviso, potrebbe ricondurre molti Paesi europei a un rapporto di debito pubblico/Pil simile ai tempi antecedenti la crisi. È un’idea affascinante.
L’argomentazione morale a favore di una tassa patrimoniale appare oggi più convincente che mai, con la disoccupazione ancora a livelli di recessione, mentre le profonde disuguaglianze economiche minacciano di lacerare il tessuto sociale. E se fosse davvero possibile far sì che questa tassa resti una tantum, essa potrebbe, in principio, rivelarsi assai meno dannosa che continuare a spingere verso l’alto le aliquote di tassazione del reddito.
Sfortunatamente, se la patrimoniale sembra un modo sicuro per aiutare un Paese a risalire la china dell’abisso fiscale, essa non rappresenta tuttavia la soluzione a tutti i mali. Tanto per cominciare, il gettito fiscale della patrimoniale una tantum potrebbe rivelarsi assai elusivo. L’economista Barry Eichengreen ha esplorato a suo tempo l’introduzione di imposte sul capitale nel primo e nel secondo dopoguerra, scoprendo che, a causa della fuga dei capitali e delle pressioni politiche che spingevano verso le dilazioni, i risultati erano spesso deludenti. Neppure le armate della Guardia di Finanza sarebbero capaci di bloccare l’esodo massiccio della ricchezza, se gli italiani dovessero fiutare l’arrivo di una pesante patrimoniale. La sovra e sotto fatturazione nel commercio, per esempio, è un metodo assodato per far sparire i soldi dal Paese. (Per esempio, l’esportatore dichiara un prezzo inferiore per le spedizioni estere e si tiene il gruzzolo in contanti al sicuro in un Paese straniero). Senza contare poi la corsa all’oro, ai gioielli e ad altri beni difficili da individuare. L’effetto deformante di una tassa patrimoniale sarebbe inoltre esacerbato dalla preoccupazione che l’una tantum rischia di diventare un’imposizione abituale. Dopotutto, la maggior parte delle tasse temporanee si trasformano in brevissimo tempo in tasse permanenti. Il timore di tasse patrimoniali future potrebbe scoraggiare lo spirito imprenditoriale e abbassare il tasso di risparmio. Per di più, le difficoltà amministrative nel mettere in piedi una tassa patrimoniale davvero omnicomprensiva sarebbero enormi, innescando tutta una serie di questioni e polemiche sull’equità dell’imposizione. Per esempio, sarebbe molto difficile attribuire un valore di mercato alle piccole imprese familiari diffusissime nei Paesi mediterranei.
Le tasse sul patrimonio che prendono di mira i terreni e le strutture potrebbero considerarsi esenti da tali preoccupazioni, mentre le imposte di proprietà sono molto meno frequenti al di fuori dei Paesi anglosassoni. In teoria, tassare i beni immobili è meno soggetto a distorsioni, mentre le tasse sulle strutture ovviamente rischiano di scoraggiare sia le opere di manutenzione che le nuove costruzioni. A questo punto, che altro possono fare i Paesi dell’Eurozona per aumentare i loro introiti sulla scia della ripresa economica? La maggior parte degli economisti vede con favore l’idea di allargare la base imponibile—eliminando, per esempio,detrazioni speciali e privilegi—in modo da mantenere basse le aliquote. Allargare la base del reddito imponibile è un elemento centrale delle proposte Simpson-Bowles per la riforma fiscale negli Stati Uniti.
In Europa, l’unificazione della percentuale Iva sarebbe un passo avanti verso una maggior efficienza, anziché creare distorsioni con diverse imposizioni fiscali per diversi beni. In principio, le fasce di basso reddito potrebbero essere compensate tramite l’erogazione di sussidi monetari. Un’altra idea è quella di ottenere nuovo gettito dalle quote o dalle tasse sulle emissioni di CO2. Reperire risorse tassando le emissioni nocive riduce le distorsioni, anziché crearle. Sebbene tali tasse siano mostruosamente impopolari—forse perché gli individui si rifiutano di ammettere la rilevanza delle emissioni nocive da essi prodotte—a mio avviso esse indicano una direzione importante per le politiche future (e proporrò nuove idee al riguardo).
Sfortunatamente, i paesi avanzati hanno attuato pochissime riforme fiscali fondamentali fino ad oggi. Molti governi si rassegnano ad aumentare le aliquote anziché rivedere e semplificare il sistema.
In Europa, si è fatto ricorso anche a una tassazione sommersa, in particolare la repressione finanziaria, per risolvere i problemi di un drammatico indebitamento pubblico. Tramite normative e direttive amministrative, banche, società di assicurazioni e fondi pensione sono stati costretti ad acquistare quote molto più consistenti del debito pubblico di quanto non avrebbero voluto. Si tratta però di un approccio assai poco lungimirante, in quanto i titolari finali di pensioni, contratti di assicurazione e depositi bancari sono in ultima analisi gli anziani e quella classe media già gravemente tartassata.
Vi è inoltre la questione irrisolta di quanto dovrebbero realmente pagare i Paesi periferici sul loro debito massiccio, a prescindere dallo strumento di tassazione. Sebbene il Fmi sembri particolarmente entusiasta sull’impiego della patrimoniale per ripianare le eccedenze del debito in Spagna e in Italia, pare ragionevole condividere il fardello con i Paesi del Nord. Come hanno fatto notare di recente gli economisti Maurice Obstfeld e Galina Hale, le banche francesi e tedesche hanno tratto ingenti profitti dalla gestione dei flussi tra i risparmiatori asiatici e la periferia dell’Europa. Sfortunatamente, tutte le discussioni sulla condivisione del debito non fanno altro che rallentare i tempi, rischiando di erodere l’efficacia di una qualsiasi patrimoniale quando essa sarà finalmente varata.
Tuttavia, il Fmi ha ragione in termini di equità e di efficienza—a insistere su una patrimoniale temporanea nei Paesi avanzati per abbattere il debito pubblico. Ma quasi certamente il gettito sarà inferiore, e i costi più elevati, di quanto non lascino presagire i calcoli fatti per promuovere l’iniziativa. Una tassa patrimoniale temporanea potrebbe essere davvero una soluzione per i Paesi che oggi sono in difficoltà, e occorre prendere seriamente in considerazione questa idea. Ma questo tipo di imposta non può sostituirsi alla necessità di avviare una riforma fiscale complessiva e a lungo raggio per instaurare un sistema di tassazione più semplice, più equo e più efficiente.

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