domenica 29 giugno 2014

Pietro Ichino scrive al PD sul lavoro

Articolo di Pietro Ichino pubblicato sul Corriere della Sera il 29 giugno 2014
Cari amici e colleghi democratici, entro il mese di luglio il PD è chiamato a mantenere in Parlamento una promessa ripetuta ben cinque volte dall’inizio di quest’anno: quella dell’emanazione di un Codice semplificato del lavoro centrato su di un contratto a tempo indeterminato “a protezione crescente”, cioè caratterizzato da una stabilità minima nella fase iniziale, destinata ad aumentare gradualmente con l’anzianità di servizio della persona interessata.
Il primo impegno in questo senso è contenuto nella ENews dell’8 gennaio scorso con la quale Matteo Renzi, appena eletto segretario del PD, annuncia i contenuti essenziali del suo Jobs Act: al primo posto la “presentazione entro otto mesi di un codice del lavoro che racchiuda e semplifichi tutte le regole attualmente esistenti e sia ben comprensibile anche all’estero”, con la previsione del “contratto a protezione crescente”. Questo impegno viene ribadito da Enrico Letta, in qualità di presidente del Consiglio, un mese dopo, il 12 febbraio, con il documento programmatico Impegno Italia 2014, dove, sotto il titolo del secondo capitolo “Adottare il Codice del lavoro semplificato”, si legge “Il diritto del lavoro è attualmente troppo complesso e scarsamente accessibile, anche e soprattutto per gli operatori stranieri che vogliono investire in Italia. Ci impegniamo a […] raccogliere e riordinare in un testo unico breve e facilmente comprensibile la disciplina del lavoro”.
Lo stesso impegno compare ancora – ed è la terza volta – nella settima slide presentata un mese dopo da Matteo Renzi, neo-premier, nella famosa conferenza-stampa del 12 marzo. La quarta conferma viene il 5 maggio dal PD, insieme a tutte le altre componenti della maggioranza, in sede di discussione in Senato del decreto-Poletti sul contratto a termine; in quella sede, avendo io presentato un emendamento aggiuntivo, mirato a inserire nel decreto anche il “contratto a protezione crescente”, il ministro mi chiede di ritirare l’emendamento per collocare questa materia nella legge-delega, il cui esame incomincerà di lì a pochi giorni; accolgo la richiesta a fronte di un impegno in questo senso di tutta la maggioranza, consacrato in una “premessa” che viene inserita con un emendamento del Governo: essa annuncia l’“emanazione di un testo unico semplificato della disciplina dei rapporti di lavoro, con la previsione sperimentale del rapporto di lavoro a tempo indeterminato a protezione crescente, salva l’attuale articolazione delle tipologie dei contratti di lavoro”. Quest’ultimo inciso sta a significare che il contratto a protezione crescente non è né un “contratto unico” destinato a sostituire tutti gli altri tipi contrattuali, né un tipo di contratto aggiuntivo rispetto a quelli oggi esistenti: esso non è altro che il contratto ordinario a tempo indeterminato disciplinato in modo nuovo, per tener conto del nuovo contesto economico e anche della nuova disciplina del contratto a termine recata dal decreto Poletti.
Questo stesso preciso impegno viene infine confermato dal PD insieme a tutte le altre componenti della maggioranza alla Camera, in sede di approvazione definitiva del decreto Poletti in terza lettura a metà maggio. Una settimana dopo il PD stravince le elezioni europee con il 40 per cento dei voti: gli italiani colgono il significato straordinario della svolta in corso nel partito guidato da Renzi, e scommettono su di essa.
Si arriva così all’esame in prima lettura in Senato del disegno di legge-delega sul lavoro, che costituisce il luogo di adempimento di quell’impegno. Presento un emendamento che ripropone testualmente, come oggetto della delega legislativa al Governo, quanto indicato nella “premessa” del decreto Poletti. Senza questo emendamento, la delega legislativa non consentirebbe al Governo di adempiere l’impegno, tante volte rinnovato, di emanare il testo unico semplificato, cioè una riscrittura integrale della legislazione sul lavoro (la formulazione che compare nel disegno di legge – “riordino delle forme contrattuali” – non ha certamente questo significato). L’emendamento viene sottoscritto da tutte le componenti della maggioranza, ma non dal PD: alcuni dei suoi dirigenti di vertice affermano ora che la riforma non potrà toccare né la disciplina del contratto di lavoro a tempo indeterminato né, in particolare, lo Statuto dei lavoratori, vecchio ormai di 44 anni. L’impegno per il Codice semplificato e il contratto di lavoro a protezione crescente è improvvisamente svanito nel nulla?
Se il PD nei giorni prossimi verrà meno a questo impegno, non soltanto esso perderà gran parte dei nuovi consensi conquistati il 25 maggio, ma farà perdere all’Italia gran parte del nuovo potere contrattuale acquisito negli ultimi mesi in Europa anche sulla base della promessa di una incisiva riforma del lavoro. Per questo vi scongiuro, amici e colleghi democratici: evitate alla politica italiana questa ricaduta nella vecchia inconcludenza; e al Paese la nuova umiliazione che ne conseguirebbe.

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mercoledì 25 giugno 2014

Welfare: Rotta e Zardini scrivono a Faraone

“E' partita la campagna del PD, afferma Davide Faraone responsabile Welfare del PD, in tutto il paese, gireremo ogni città, incontreremo le famiglie, gli assistenti sociali, gli insegnanti, il non profit. Raccoglieremo le denunce e le proposte. Promuoveremo naturalmente i servizi che funzionano, e li proporremo come modello per l'Italia. Tuttavia molte cose possono essere fatte, già da ora, senza l'intervento del legislatore, con semplici provvedimenti amministrativi, dai comuni, dall'Inps e dalle Asl".
"Il nostro paese è un generatore di frustrazioni per persone disabili e un moltiplicatore di disperazione per le famiglie, continua Faraone. A cominciare dalla via crucis che porta al riconoscimento della condizione invalidante. Carte, verbali, iter stressanti, soprattutto per i minori disabili: 4, 5 visite tra Asl ed Inps per il rilascio della certificazione. Tempi biblici per l'attesa dei verbali e per la liquidazione dell'indennizzo economico. Revisioni ogni due anni o anche meno che costringono al ripetersi dell'intera procedura senza alcun motivo”.
Occorre realizzare maggiore collaborazione ed integrazione da parte delle pubbliche amministrazioni in particolar modo nel caso in cui le fasi di lavorazione del processo di produzione del servizio sono assegnate a enti o organi pubblici diversi. Si pensi ai tempi troppo lunghi di definizione delle richieste di invalidità civile che sono assegnate alle Asl ed all’Inps e al reclutamento delle categorie protette nel rispetto dei limiti delle quote di riserva.
Su quest’ultimo problema i deputati Alessia Rotta e Diego Zardini hanno scritto a Davide Faraone per sollecitare un intervento urgente a favore delle persone disabili. Si riporta la comunicazione:
“La tua iniziativa “Disabili e burocrazia, ecco cosa si può fare subito” è apprezzabile e condivisibile perché è finalizzata a migliorare l’offerta dei servizi alle persone disabili che rappresentano le fasce più deboli e bisognose di sostegno e di una corsia preferenziale.
Spesse volte si commette l’errore di pensare che il miglioramento continuo possa avvenire soltanto ed unicamente con le grandi riforme legislative quando invece può essere realizzato anche con la legislazione vigente ed a costi zero. I processi di produzione di prodotti e servizi nelle pubbliche amministrazioni sono obsoleti e, quindi, mal si adattano al miglioramento continuo ed ai cambiamenti che avvengono nella società italiana e nel pianeta. Pertanto, occorre ripensare e ridisegnare i processi di produzione dei servizi della macchina statale per renderli snelli e veloci e sottrarre il disegno organizzativo delle strutture pubbliche al vincolo normativo.
Con questa nota si intende sottoporti il grave problema dell’inserimento dei disabili nel mondo del lavoro e specificatamente nelle pubbliche amministrazioni. La legislazione vigente lo consente e le pubbliche amministrazioni sono troppo lente per dare attuazione agli adempimenti previsti dalle disposizioni di legge.
La materia delle assunzioni dei soggetti disabili da parte delle pubbliche amministrazioni è attualmente regolata dalle seguenti disposizioni normative:
- Legge 12 marzo 1999, n. 68, avente la finalità di “promozione dell’inserimento e della integrazione lavorativa delle persone disabili nel mondo del lavoro”. L’articolo 3, comma 1, della medesima legge disciplina le assunzioni obbligatorie e le quote di riserva a favore dei soggetti disabili;
- Decreto-legge 31 agosto 2013, n. 101, convertito con modificazioni dalla Legge 30 novembre 2013, n. 125, il quale prevede all’art. 7 una deroga a favore delle categorie protette, incluse le persone disabili, al divieto di nuove assunzioni nel caso in cui le pubbliche amministrazioni una situazione di soprannumerarietà e di eccedenza di personale. Il comma 6 e 7 disciplinano rispettivamente la rideterminazione del numero di assunzioni obbligatorie delle categorie protette e l’assegnazione al Dipartimento della Funzione pubblica il compito di monitorare l’osservanza dell’obbligo da parte delle pubbliche amministrazioni.
Alla luce dell’attuale legislazione non esistono ostacoli di ordine legislativo a dare attuazione all’articolo 7, comma 6 e 7, del Decreto Legge n. 101/2013 in materia di assunzioni delle categorie protette nelle amministrazioni pubbliche nei limiti delle quote di riserva stabilite dalle disposizioni normative. Purtroppo si assiste a tempi troppo lunghi da parte della burocrazia pubblica nell’espletare gli adempimenti previsti rispetto alle aspettative delle categorie protette, le quali da molto tempo aspirano ad entrare nel mondo del lavoro.
Si cita il caso Inps, il quale dopo aver espletato il processo di selezione ed inviato la richiesta della documentazione alle persone risultate idonee ha bloccato in data 11 febbraio 2013 il reclutamento a causa delle disposizioni di legge antecedenti al D. L. n. 101/2013. All’inizio di aprile 2014 l’Istituto ha richiesto per la seconda volta la documentazione alle persone risultate idonee alle prove di selezione ed interessate all’assunzione e da tale data non si ha alcuna notizia sui tempi di definizione delle assunzioni.
Considerata la mancanza di notizie certe sui tempi di attuazione del D. L. n. 101/2013 e l’urgenza di avviare l’assunzione delle categorie protette nelle pubbliche amministrazioni, si è provveduto a presentare diverse interrogazioni finalizzate a velocizzare l’attuazione del reclutamento delle persone disabili da parte delle pubbliche amministrazioni:
- Interrogazione 4/01464 del 24/07/2013 firmatari Diego Zardini, Alessia Rotta ed altri deputati http://bit.ly/1ntMkpw
- Ordine del giorno su P.D.L. 9/01682-A/084 del 24/10/2013 presentato da Diego Zardini ed accolto dal Governo http://bit.ly/1nW1ln7
- Interrogazione 5/ 01607 del 28/11/2013 firmatari Diego Zardini e altri parlamentari
http://bit.ly/1nW1ln7
- Interrogazione 5/03015 del 18/06/2014 firmatari Alessia Rotta e Diego Zardini
http://bit.ly/1p5jt1z
Si fa presente che alle interrogazioni non vi è stata alcune risposta e che l’o.d.g. pur condiviso dal Governo non ha portato ai cambiamenti auspicati.
Si ritiene urgente e importante avviare e concludere il processo di reclutamento delle persone disabili nelle pubbliche amministrazioni in un momento in cui non occorrono modifiche normative e non serve la copertura finanziaria in quanto è prevista dal Decreto-legge 31 agosto 2013, n. 101, convertito con modificazioni dalla Legge 30 novembre 2013, n. 125.
Si rimane in attesa di conoscere gli interventi che verranno effettuati presso il Ministero del Lavoro per risolvere la problematica descritta”.
Alessia Rotta
Diego Zardini

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martedì 24 giugno 2014

Rotta e Zardini per il lavoro ai disabili

Continua l’impegno incessante dei parlamentari Alessia Rotta e Diego Zardini a favore delle persone disabili per il loro inserimento lavorativo nelle pubbliche amministrazioni. Diversi sono gli atti (interrogazioni e o.d.g.) presentati dai due parlamentari al fine di realizzare l’inserimento dei disabili nel mondo del lavoro e particolarmente nelle pubbliche amministrazioni. Dopo l’approvazione del Decreto-Legge 31 agosto 2013, n. 101, convertito con modificazioni dalla Legge 30 novembre 2013, n. 125, è possibile dare attuazione all’art. 7 del decreto e procedere alle assunzioni delle categorie protette nelle pubbliche amministrazioni. Considerati i tempi lunghi del processo di reclutamento da parte della burocrazia pubblica, Rotta e Zardini hanno presentano una ulteriore interrogazione al Ministro del Lavoro e delle politiche sociali che si riporta integralmente:
“Per sapere – premesso che:
la grave crisi economica e sociale dell'Italia ed il conseguente alto tasso di disoccupazione colpisce i ceti più deboli e tra questi i soggetti disabili, tutelati dalla legge 12 marzo 1999, n. 68, avente la finalità di «promozione dell'inserimento e della integrazione lavorativa delle persone disabili nel mondo del lavoro» (articolo 1); a tal fine, l'articolo 3, comma 1, della medesima legge disciplina le assunzioni obbligatorie e le quote di riserva a favore dei soggetti disabili;
la normativa precedente al decreto-legge 31 agosto 2013, n. 101 convertito con modificazioni dalla legge 30 novembre 2013, n. 125, ha vietato alle pubbliche amministrazioni che presentano una situazione di soprannumerarietà e di eccedenza di personale di effettuare le assunzioni dei soggetti disabili per le quote d'obbligo riservate per legge a tali soggetti;
l'ultima indagine condotta dall'Istat, i cui dati sono confermati dall'ufficio per i diritti dei portatori di handicap delle Nazioni Unite, rileva che la disoccupazione tra i portatori di disabilità è tra il 50 e il 70 per cento nei paesi industrializzati e in Italia raggiunge una punta dell'80 per cento, nonostante la legislazione in vigore preveda percorsi specifici per l'inserimento nel mercato del lavoro;
la Corte di giustizia europea ha emesso la sentenza C31211 che condanna l'Italia per non aver applicato in modo completo i principi europei in materia di diritto al lavoro per le persone con handicap ed invita il Governo ed il Parlamento ad adeguarsi alla direttiva 2000/78 CE del Consiglio, del 27 novembre 2000;
il decreto-legge 31 agosto 2013, n. 101 convertito con modificazioni dalla legge 30 novembre 2013, n. 125, prevede all'articolo 7 una deroga a favore delle categorie protette, incluse le persone disabili, al divieto di nuove assunzioni nel caso in cui le amministrazioni pubbliche registrano una situazione di soprannumerarietà. Il comma 6 disciplina la rideterminazione del numero di assunzioni obbligatorie delle categorie protette sulla base delle quote d'obbligo e dei criteri di computo previsti dalla normativa vigente, tenendo conto, ove necessario, della dotazione organica come rideterminata secondo la legislazione vigente ed il comma 7 assegna al dipartimento della funzione pubblica il compito di monitorare l'adempimento dell'obbligo da parte delle pubbliche amministrazioni. Tale provvedimento risponde alle aspettative delle persone disabili di entrare nel mondo del lavoro;
la preoccupazione è quella di assistere a tempi troppo lunghi del processo di selezione e reclutamento dei soggetti disabili da parte delle amministrazioni pubbliche, regolato dall'art. 7, c. 6 e 7, del decreto-legge n. 101 del 2013 rispetto agli adempimenti da porre in essere ed alle esigenze delle categorie protette, le quali da molto tempo aspirano ad entrare nel mondo del lavoro –:
se non ritenga necessario effettuare una ricognizione nelle pubbliche amministrazioni al fine di conoscere lo stato di attuazione della legge 12 marzo 1999, n. 68 ed intervenire nel caso in cui venga rilevato che gli obblighi della legge a favore dei soggetti disabili non siano rispettati;
se non reputi urgente porre particolare attenzione ai tempi di attuazione degli adempimenti previsti dal decreto-legge n. 101 del 2013 affinché il processo di selezione e reclutamento delle categorie protette da parte delle pubbliche amministrazioni venga avviato e si concluda in tempi accettabili, posto che occorre controllare tale processo ed intervenire in modo efficace nel caso in cui si presentino comportamenti dilatori e burocratici da parte delle pubbliche amministrazioni al fine di renderli improduttivi per non disattendere le aspettative delle persone interessate e la volontà del Governo;
se non ritenga necessario intervenire affinché i datori di lavoro pubblici ed il dipartimento della funzione pubblica pubblichino nei propri siti istituzionali i dati relativi alle quote d'obbligo scoperte a favore delle categorie protette posto che la trasparenza di tali informazioni mette nelle condizioni i cittadini di conoscere i comportamenti dei datori di lavoro pubblici riguardo lo stato di assunzione delle categorie protette e le pubbliche amministrazioni di velocizzare gli adempimenti di cui all'articolo 7, commi 6 e 7, del decreto, decreto-legge 31 agosto 2013, n. 101 convertito, con modificazioni, dalla legge 30 novembre 2013, n. 125”.

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mercoledì 18 giugno 2014

Riforma PA sempre più urgente


Intervista a Marianna Madia pubblicata su l’Unità il 17 giugno 2014
I più scettici in questi giorni le fanno tutti più o meno la stessa domanda: «Perché dovresti riuscire tu dove altri hanno fallito?». Perché proprio lei, giovane ministra al suo esordio al governo, dovrebbe riuscire a rivoluzionare la Pubblica amministrazione, carriere, posizioni, permessi sindacali? Marianna Madia risponde con la tranquilla determinazione di sempre: «Perché sono maturi i tempi, come ha dimostrato ampiamente il voto delle europee, e perché c’è un premier che mi dà un forte commitment politico e mi dice di andare avanti, non di mediare».
Nessuna mediazione? L’Unadis, il sindacato della P.A., ha definito la sua riforma uno “spoils system becero”. Un giudizio pesante a cui lei come risponde?
«Sarà il Parlamento a dire l’ultima. Ma deve essere chiara una cosa: sì ai miglioramenti, nessuno spazio per difendere rendite di posizioni. Quanto al sindacato, la loro mi sembra una critica ingenerosa intanto perché non c’è una norma contro i lavoratori. Il faro che mi ha guidato in questa riforma e nelle nuove regole sulle persone è quello di non avere esuberi e quindi, anche quanto parliamo di mobilità obbligatoria all’interno di cinquanta chilometri di distanza, per far sì che nella riorganizzazione le persone stiano al posto giusto per far funzionare la macchina, lo facciamo proprio per evitare tagli del personale».
Altro allarme: il capitolo demansionamento.
«Noi ne parliamo soltanto in alternativa alla messa in mobilità. Ogni iniziativa punta a rendere più efficiente la macchina amministrativa e quindi a colmare le lacune laddove ce n’è più bisogno evitando così i arrivare agli esuberi».
Non crede che in un Paese come il nostro la valutazione sui dirigenti, lo spoils system come lo chiamano i sindacati, sia un rischio reale?
«Abbiamo fatto in modo di evitare ogni forma di valutazione che non sia super partes. Sarà una commissione che non avrà nulla a che vedere con la politica e con i sindacati, penso a quella istituita da Saccomanni per le nomine del Mef, a valutare una rosa di nomi per ricoprire i ruoli apicali di cui ci sarà bisogno. Fino ad oggi nella Pubblica amministrazione ogni ministero ha pensato ai dirigenti come se fossero proprietà privata. D’ora in avanti non sarà più così, ci sarà un concorso unico per dirigenti che saranno a disposizione di tutta la P.A e poi sarà la Commissione a stabilire chi andrà dove. Ci sarà un vero e proprio “mercato” della dirigenza, si creerà di nuovo competizione, si potranno avere incarichi di grande responsabilità ma se non ci saranno risultati all’altezza delle aspettative, la volta successiva potrà capitare di avere un ruolo meno importante».
Perché ha dimezzato i permessi sindacali retribuiti?
«Perché oggi i cittadini chiedono a ogni corpo intermedio finanziato con le risorse pubbliche di fare un passo indietro. Dimezzare i permessi sindacali non è una misura punitiva, è la risposta a ciò che ci chiedono e mi creda nelle oltre 40mila mail che ho ricevuto in molti mi hanno indicato questo come un intervento necessario».
Quanto hanno influito le mail sulle decisioni?
«Molto. Le ho lette con grande attenzione insieme al Dipartimento Funzione pubblica, e ne ho fatto tesoro o per migliorare alcuni punti, come è avvenuto sui criteri per la dirigenza, o per toglierli proprio, e penso all’esonero dal servizio, che volevo introdurre per cercare di liberare nuovi posti, dando il 65% della retribuzione a chi andava via un po’ prima della pensione. C’è stata una vera e propria sollevazione dei dipendenti che ci dicevano che in questo modo avremmo pagato delle persone per farle stare a casa. L’ho trovata un’obiezione giusta e ho agito di conseguenza».
«Le dico subito che numeri certi non ce ne sono e a me non piace dire bugie. Le varie misure possono avere delle platee potenziali. Faccio qualche esempio: nel decreto c’è una norma che prevede che le singole amministrazioni possono decidere di mandare in pensione chi ha raggiunto il massimo della contribuzione. Si tratta di una platea di circa 20mila persone l’anno per tre anni, ma da un lato bisogna sottrarre coloro che comunque lo farebbero e dall’altro verificare quante amministrazioni attueranno questa norma. Sarà la differenza tra questi due dati a dirci quanti posti di lavoro si creeranno davvero. A questo si aggiungono una stima di circa 15mila posti che si libereranno con l’abrogazione della norma sul trattenimento in servizio e quelli che si arriveranno con il divieto di lavorare nella pubblica amministrazione per chi è in pensione. Poi, altri posti potrebbero derivare dal fatto che abbiamo bloccato l’assunzione di nuovi dirigenti a favore di ingressi di qualifiche più basse. Sarà la somma di tutte queste norme a determinare il risultato finale, cioè lavoro per i giovani».
Nella vita pratica dei cittadini cosa cambierà dopo la sua rivoluzione?
«L’obiettivo è quello di rendere la vita migliore a cittadini e imprese. Avremo servizi offerti in modo digitale. Entro il 2015 i cittadini avranno un pin unico per accedere a tutti i servizi delle p.a., dal 30 giugno parte il processo civile telematico e dal 2015 quello amministrativo telematico. Il 6 giugno è entrata in vigore la fatturazione elettronica che migliora l’efficienza dei servizi e evita fenomeni corruttivi. Inoltre le Regioni entro il 30 giugno dovranno presentare il piano per il fascicolo sanitario elettronico. E concludo, ma l’elenco è lungo, con una norma che semplificherà moltissimo la vita per i malati cronici e i disabili che non saranno più costretti a dover continuamente certificare il loro stato dal medico della Asl per accedere ai servizi di cui hanno diritto».

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sabato 7 giugno 2014

Contributo alla riforma della PA

Caro Matteo e cara Marianna,
vi ringrazio per aver dato la possibilità a tutti i cittadini di poter intervenire con proposte sul cambiamento delle pubbliche amministrazioni. Aspetto molto importante affinché il cambiamento possa partire dal basso e dai bisogni dei cittadini.
I 44 punti che avete indicato nella lettera e l’approccio adottato a favore del cambiamento e non contro le persone rappresenta un buon inizio al contrario della riforma Brunetta che si basava sul presupposto errato della lotta parolaia ai fannulloni ed agli assenteisti. Coinvolgere e non escludere è la posizione giusta da cui partire.
Anac - Autorità anticorruzione
L’Italia rappresenta il 50% della corruzione in Europa che secondo l’Unione Europea ammonta complessivamente a circa 120 miliardi. Questo è il primo problema da risolvere per far funzionare meglio le PA in quanto dietro le inefficienze si nasconde la corruzione. Ritengo che le competenze dell’Anac sono diventate molto ampie e non facilmente espletabili con efficacia. Per tale motivo occorre lasciare all’Anac le competenze relative all’anticorruzione ed alla trasparenza e liberarla dalle altre attività che riguardano la performance. Inoltre, occorre potenziare l’Anac e assegnare dei poteri sul piano repressivo: sanzioni, controlli a campione, indagini ispettive ed attività di prevenzione.
Occorre ricordare che l’illegalità, dalla corruzione alla criminalità organizzata, limita la crescita economica, crea distorsioni nel mercato ed incide negativamente sulla vitalità delle imprese.
Autorità per la misurazione, la valutazione e la trasparenza della performance
Si ritiene proficuo assegnare ad un’altra autorità da costituire le funzioni relative alla misurazione, valutazione e trasparenza della performance.
Non è sufficiente affermare che le PA in Italia non funzionano o funzionano male e che gli operatori pubblici non lavorano. Occorre conoscere la qualità e la quantità dei servizi erogati ed il livello di efficienza ed efficacia dei servizi per intervenire in modo adeguato con azioni correttive finalizzate al miglioramento continuo. In assenza di un sistema di misurazione e valutazione della performance supportato da un sistema informatico (es. Balance Scorecard) si naviga a vista con interventi operativi indipendenti dalle variabili che intervengono nel processo produttivo (risorse umane, fattori produttivi, organizzazione e gestione del processo, qualità e quantità del servizio o prodotto) con il rischio conseguente di accumulare sprechi, di porre in essere un’organizzazione del processo di produzione non coerente con l’esigenza di erogare servizi di qualità senza dispendio di risorse.
Controllare in assenza di un sistema di misurazione e valutazione e di indicatori efficaci non è utile al fine di migliorare la performance e l’utilità dell’ente. In tale caso gli obiettivi programmati ed i risultati conseguiti non corrispondono ai requisiti della correttezza, utilità e priorità e consentono di affermare che l’ente ha conseguito i propri obiettivi.
Un fattore che occorre tenere presente tra gli indicatori è la velocità e il tempo di definizione dei servizi e delle prestazioni richieste. Penso al tempo medio delle visite specialistiche, al tempo medio di definizione delle prestazioni ed al tempo medio di pagamento dei debiti da parte delle PA. Queste informazioni non sono presenti sui siti istituzionali anche se vi sono enti pubblici come l’Inps che utilizzano tali indicatori rapportati al tempo per programmare la propria attività fin dalla metà degli anni ottanta. Occorre rendere obbligatoria la trasparenza di tali indicatori affinché i cittadini e gli studiosi di organizzazione possano prenderne conoscenza ed esprimere le proprie valutazioni e proposte di miglioramento.
L’opacità delle informazioni non aiuta il management pubblico a realizzare modelli organizzativi adeguati al cambiamento che avviene nel pianeta. Bisogna togliere l’alibi al management pubblico tramite la implementazione di un sistema di dati e di informazioni elaborate che riflettano lo stato delle PA e consentano di effettuare le scelte giuste in sede di pianificazione, di gestione e di azioni correttive.
Dalla Relazione sulla performance delle amministrazioni centrali 2012, redatta dall’Anac nel mese di febbraio 2014, si evince chiaramente che i dirigenti hanno conseguito per il 2012 il premio intero (parte variabile dello stipendio) per aver raggiunto gli obiettivi strategici programmati e rendicontati dalle stesse PA all’Anac. Pertanto, registriamo due fenomeni in contraddizioni tra di loro: la scarsa fiducia dei cittadini e delle imprese nei confronti delle PA e l’assegnazione del premio di risultato ai dirigenti.
Ritengo che i piani delle PA non sono credibili e rapportati alle risorse e che gli obiettivi programmati sono stati stabiliti per essere conseguiti.
E’ necessario che il controllo dei piani e dei rendiconti venga assegnato all’Organismo indipendente di valutazione della performance per superare il paradosso descritto prima.
Le attività assegnate alla CiVIT (adesso Anac) sono insufficienti ed è necessario ampliare i poteri in materia di controllo (controllo a campione, verifiche ed ispezioni) ed applicazione delle sanzioni qualora i documenti presentati all’autorità non siano veritieri e siano finalizzati ad eludere qualsiasi controllo o valutazione seria e responsabile.
L’assenza di controlli a campione sul campo e l’impossibilità di stabilire sanzioni a carico delle PA inadempienti ha reso l’attività della CiVIT non incisiva e limitata ad un controllo formale degli atti e documenti trasmessi dalle PA.
Alle PA non devono essere riconosciuti i premi incentivanti legati alla parte variabile del salario qualora non abbiano introdotto un sistema di misurazione e valutazione oggettivo, serio e responsabile, non hanno utilizzato gli indicatori di qualità e quantità delle attività e dei servizi e non hanno adottato la trasparenza degli obiettivi programmati e dei risultati conseguiti in modo significativo e comprensibile.
Trasparenza totale
Il sistema di misurazione e valutazione della performance con i relativi strumenti deve essere soggetto alla trasparenza totale affinché i cittadini e gli utenti dei servizi possano prenderne conoscenza ed intervenire con proposte e contestare eventuali scelte improduttive che abbassano la qualità dei servizi e creano sprechi e doppioni.
L’indice di Trasparency International posiziona l’Italia al 72° posto su 174 paesi. L’opacità e la bassa trasparenza condizionano lo sviluppo del paese.
Regioni, Servizio Sanitario Nazionale ed Enti locali
Il decreto legislativo n. 150/2009 si è rivolto quasi completamente ed in modo obbligatorio alle amministrazioni centrali dello Stato ed agli enti pubblici non territoriali trascurando gli enti territoriali ed il Servizio sanitario nazionale. La maggior parte dei comuni capoluogo e delle Regioni avevano anticipato la riforma e, pertanto, non hanno incontrato difficoltà ad adeguarsi alla nuova normativa. Molti enti locali, non essendo obbligati dalla normativa, non hanno introdotto gli istituti previsti dal Decreto e si sono limitati ad applicare la trasparenza in modo parziale e per materie che non riguardano gli aspetti dell’organizzazione (indicatori, risorse, andamenti gestionali) e la fasi del ciclo di gestione della performance.
La riforma Brunetta ha avuto una scarsa incidenza sulle autonomie locali a causa dei pochi obblighi (art. 11 del D. Lgs. n. 150/2009, abrogato dal D. Lgs. n. 33/2013), dei molti principi ai quali gli enti territoriali dovevano adeguare il proprio ordinamento (art. 16 del D. Lgs. n. 150/2009) e della facoltà di adottare alcuni istituti (sistema di misurazione e valutazione, indicatori di performance, organismo indipendente di valutazione della performance). Le autonomie locali hanno scelto di enunciare i principi in assenza di alcuna implementazione operativa, di trattare la trasparenza come un qualsiasi adempimento e di non introdurre, avendone la facoltà, alcuni istituti (già specificati) essenziali per avviare un percorso di cambiamento.
L’area delle autonomie locali (comuni, regioni e strutture del servizio sanitario nazionale), la quale non rientra nelle attività della CiVIT, dipende dalla “intesa tra la Conferenza delle Regioni e delle Province autonome, l’Anci, l’Upi e la Commissione” che definiscono “i protocolli di collaborazione per la realizzazione delle attività di cui ai commi 5, 6 e 8” (comma 2, art. 13 del D. Lgs n. 150/2009). Questa ultima disposizione non ha funzionato per nulla perché si è limitata ad offrire alle autonomie locali delle line guida in assenza di qualsiasi tipo di sostegno e di controllo sull’attuazione dei contenuti del Decreto. Occorre ricordare che tra la Conferenza delle Regioni e delle Province autonome e la CiVIT non è stata sottoscritta alcune intesa e che l’Anci attraverso il progetto “Performance e Merito” ha assistito i comuni aderenti all’iniziativa fino alla conclusione del progetto stesso.
Occorre far entrare nel processo di cambiamento le autonomie locali attraverso delle norme obbligatorie, stabilite d’intesa con le diverse associazioni, al fine di realizzare il sistema di misurazione e valutazione della performance che dovrà essere trasparente e comprensibile ai cittadini, la costituzione dell’Organismo indipendente di valutazione e l’introduzione degli indicatori di performance.
Si propone di abrogare il nucleo di valutazione ed il servizio di controllo interno che la letteratura manageriale ha duramente criticato per l’autoreferenzialità espressa e per i risultati insufficienti conseguiti.
Si ritiene necessario stabilire a livello centrale degli indicatori di qualità e quantità dei servizi erogati da parte dei comuni, i quali potranno essere classificati per popolazione, delle regioni e del servizio sanitario nazionale al fine di realizzare il benchmarking tra i diversi enti ed iniziare un percorso di miglioramento continuo.
Occorre riflettere sulla possibilità di costituire in ogni regione una commissione per la performance, i cui costi siano a carico di ciascuna regione, al fine di sostenere nelle autonomie locali il processo di cambiamento delle PA. La commissione dovrebbe operare d’intesa con l’autorità centrale e con la regione che l’ha istituita e dovrebbe avere una durata provvisoria di tre anni cioè il tempo utile per avviare la riforma.
I comuni in questi ultimi anni si sono dotati di un sito web che non sempre è all’altezza di favorire l’utilizzo degli strumenti di performance management finalizzati al miglioramento continuo. Occorrono degli interventi finanziari diretti a realizzare un sistema informatico efficace ed efficiente in ogni comune per realizzare il sistema di misurazione, valutazione e trasparenza della performance.
Pianificazione e controlli interni negli enti locali
La legislazione vigente prevede un coacervo di strumenti e documenti relativi alla pianificazione ed ai controlli interni. Si ritiene che tali strumenti siano tanti e non ben coordinati. Pertanto, occorre avviare un processo di semplificazione e di integrazione, classificando i comuni nel modo seguente:
- Comuni capoluogo di provincia e comuni equiparabili per popolazione;
- Comuni di medie dimensioni;
- Piccoli Comuni con una popolazione inferiore ai 10 mila abitanti. Per questi comuni occorre prevedere l’obbligo di associarsi al fine di realizzare il sistema di misurazione e valutazione della performance e la costituzione dell’Organismo indipendente di valutazione della performance.
Il d. l. n. 174/2012 ha introdotto alcune modifiche al fine di semplificare la pianificazione degli enti locali. Infatti, il piano dettagliato degli obiettivi (PDO) ed il piano della performance (Ppf) sono stati unificati nel piano esecutivo di gestione (c. 3 bis, art. 169 del TUEL). Non è stato considerato che il riferimento temporale del PDO e del Ppf sono diversi. Il primo è redatto su base annuale ed il secondo si riferisce al triennio.
Occorre rendere tali strumenti significativi e comprensibili all’esterno (cittadini, associazioni, studiosi) altrimenti fallisce l’obiettivo della trasparenza, della partecipazione alla gestione dei servizi e del controllo esterno.
Investimenti esteri
L’Italia ha bisogno di risorse per superare la crisi economica e, pertanto, occorre attrarre gli investimenti esteri attraverso un grande impegno a sostegno della trasparenza, dell’anticorruzione e del miglioramento delle PA contro la burocrazia.
Antonino Leone - Verona

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