mercoledì 23 dicembre 2015

Al lavoro in bicicletta è legge

La giornata di ieri è stata particolarmente importante per l’approvazione definitiva di alcuni provvedimenti legislativi che produrranno benefici per il paese: - Legge di stabilità; Riforma della Rai; Collegato ambientale alla legge di stabilità del 2014.
Tra questi provvedimenti tutti importanti ritengo utile scrivere sul collegato ambientale perché è la prima volta che la green economy entra in una legge e soprattutto vi è una inversione di tendenza sull’uso della bicicletta per recarsi al lavoro con la copertura assicurativa.
Prima dell’approvazione del collegato ambiente l’infortunio in itinere e l’erogazione della relativa indennità ai lavoratori ciclisti veniva riconosciuto in pochissimi casi:
- Assenza o insufficienza dei mezzi pubblici di trasporto;
- Non percorribilità a piedi del tragitto casa e lavoro e viceversa;
- Incidente avvenuto solo all’interno di piste ciclabili o di zone interdette al traffico.
Tali condizioni normative rendevano irrealistico il riconoscimento dell’infortunio in itinere in quanto l’uso della bicicletta per recarsi al lavoro doveva essere necessitato.
Con l’approvazione dell’art. 5 del collegato ambientale l’uso della bicicletta per recarsi al lavoro “deve, per i positivi riflessi ambientali, intendersi sempre necessitato”. Pertanto sono state eliminare tutte quelle condizioni normative che impedivano l’uso della bicicletta e l’avvio di una cultura rispettosa dell’ambiente.
Tanto gradimento è stato espresso da parte di coloro che si sono impegnati in questa battaglia di civiltà: Diego Zardini, il quale, d’accordo con Giulietta Pagliaccio, ha sostenuto la modifica normativa, Paolo Gandolfi, il quale ha messo a disposizione tutta la sua conoscenza in materia, Giulietta Pagliaccio, presidente Fiab, che ha saputo sostenere e collaborare opportunamente per questo risultato, Stefano Vaccari, relatore del provvedimento in Senato, il quale ha colto l’opportunità di modificare la normativa esistente in materia di infortunio in itinere, le associazioni ciclistiche di tutta Italia, il gruppo “Al lavoro in bicicletta” in Facebook con i suoi 3.165 sostenitori, coloro che hanno sottoscritto la mozione su Change.org ed altri.
“E' grande la soddisfazione per la definitiva approvazione del collegato ambientale. Afferma Diego Zardini. Una legge di grande innovazione che ha l'obiettivo di mettere l'economia su un sentiero di sostenibilità. Tra le tante disposizione approvate particolare orgoglio mi dà l’approvazione della copertura della assicurazione Inail per gli infortuni in itinere nel caso di incidenti avvenuti ai lavoratori che usano la bicicletta nel tragitto casa-lavoro-casa. Finalmente vengono eliminate le condizioni giuridiche che impedivano tale risultato e si premia chi usa mezzi rispettosi dell'ambiente.
“Era il 2012, dichiara Giulietta Pagliaccio Presidente della Fiab, quando lanciammo una campagna per portare l'attenzione al tema dell'infortunio in itinere in bici. Molte furono le adesioni, anche di personaggi illustri. Continua il presidente della Fiab, “la strada però non era semplice: la nostra fortuna è stata quella di aver incontrato sulla nostra strada politici - e tra questi Diego Zardini - che con noi hanno creduto nella possibilità di cambiare una legge che sembrava granitica”.
“Oggi festeggiamo, conclude Giulietta Pagliaccio, un provvedimento che segna un cambiamento importante nella quotidianità delle persone: andare al lavoro in bicicletta assume la dignità di trasporto e questo non può che accelerare quel processo di cambiamento nella mobilità quotidiana dei cittadini. E' proprio un bel regalo di natale per tutti i ciclisti e per tutti quelli che ci stanno ancora pensando”.
E’ prevista la destinazione di 35 milioni finalizzati allo sviluppo di iniziative quali bike to work e bike to school. Il Ministero dell’Ambiente destinerà i fondi ai comuni con una popolazione superiore ai 100.000 abitanti che abbiano realizzato un piano urbano della mobilità sostenibile. Il collegato ambiente e la legge di stabilità 2016 prevedono dei fondi a favore dell’Emilia Romagna per il finanziamento della ciclovia Verona – Firenze da realizzarsi sul percorso dell’antica ferrovia dismessa. Si apre la prospettiva di un incentivo fiscale per i cittadini che decidono di utilizzare mezzi di trasporto sostenibili per recarsi al lavoro.
Occorre ricordare le dichiarazioni di soddisfazione del sottosegretario all’ambiente Silvia Velo, di Chiara Braga, responsabile ambiente del PD, ed Ettore Rosato, capogruppo dei deputati PD. Tali esponenti hanno sottolineato l’importanza dell’approvazione del collegato ambiente per l’innovazione e le opportunità che la legge contiene.
“Si tratta, afferma Diego Zardini riferendosi al collegato ambiente, di una manovra per la rivoluzione economica verde, un vero e proprio Green Act italiano. Tra le misure principali si ricordano quelle che rafforzano il recupero e riciclo delle materia, la riduzione dei rifiuti prodotti, le disposizioni a sostegno della mobilità sostenibile e del contrasto ai dissesti idrogeologici”. Si ricordano infine i finanziamenti per attività connesse all’ambiente e alla green economy, agevolazioni fiscali sui rifiuti per i comuni virtuosi, il divieto di gettare di gettare mozziconi di sigarette a terra, il credito d’imposta per le imprese sugli interventi di bonifica dell’amianto e le misure contro le cosiddette carrette dei mari.

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lunedì 21 dicembre 2015

Trasparenza e disabili nelle PA

La trasparenza è un fattore essenziale per realizzare il cambiamento e per contrastare la corruzione.
Continua incessante l’impegno di Diego Zardini, deputato veronese del PD, a sostegno della trasparenza e dell’inserimento dei soggetti disabili nel mondo del lavoro.
Si ricorda che Zardini ha presentato un emendamento al disegno di legge delega sulla riorganizzazione delle pubbliche amministrazioni, approvato dal Parlamento, per ampliare le materie soggette alla trasparenza e precisamente:
1) Le fasi di dei procedimenti di aggiudicazione ed esecuzione degli appalti pubblici;
2) Il tempo medio di attesa per le prestazioni sanitarie di ciascuna struttura del Servizio sanitario nazionale;
Il tempo medio dei pagamenti relativi agli acquisti di beni, servizi, prestazioni professionali e forniture, l’ammontare complessivo dei debiti e il numero delle imprese creditrici, aggiornati regolarmente;
Le determinazioni dell’organismo di valutazione.
“Nonostante una netta inversione di tendenza, affermano i deputati Diego Zardini e Davide Baruffi, che si è registrata nel corso dell’anno, l’alto tasso di disoccupazione dell’Italia ancora influisce negativamente sui soggetti disabili, tutelati dalla legge 12 marzo 1999 n. 68, la quale si pone l’obiettivo, in particolare, di promuovere l’inserimento e l’integrazione delle persone disabili nel mondo del lavoro e disciplina conseguentemente le assunzioni obbligatorie e le quote di riserva a favore dei soggetti disabili”.
Diego Zardini e Davide Baruffi hanno presentato una interrogazione al Ministro della pubblica amministrazione finalizzata a pubblicare nel sito della Funzione Pubblica i risultati del monitoraggio relativo alle fasi del processo di assunzione dei soggetti disabili da parte delle PA. Inoltre, nell’interrogazione viene chiesta la trasparenza, con la pubblicazione nei siti istituzionali, dei dati e delle informazioni relative alle quote d’obbligo riservate a favore delle categorie protette.
“L’interrogazione, dichiara Diego Zardini, si propone l’obiettivo di mettere da un lato tutti i cittadini nelle condizioni di conoscere i comportamenti dei datori di lavoro pubblici, in un quadro di trasparenza delle pubbliche amministrazioni; e dall’altro lato per permettere alle pubbliche amministrazioni medesime di velocizzare gli adempimenti previsti dalla normativa vigente (rideterminare la dotazione organica, ristabilire il numero delle assunzioni obbligatorie delle categorie protette e procedere obbligatoriamente all’assunzione, a tempo indeterminato, di tali soggetti)”.
I deputati Zardini e Baruffi chiedono al Ministro di sapere:
“Quale sia l’orientamento del Ministro interrogato sulla necessità di introdurre, a livello normativo, un vero e proprio obbligo di pubblicazione da parte della funzione pubblica dei risultati del monitoraggio sul processo di assunzione dei soggetti disabili nelle PA e delle pubbliche amministrazioni centrali e periferiche e degli enti territoriali dei dati e delle informazioni relative alle quote d’obbligo scoperte;
Nelle more dell’auspicata modifica normativa, il Ministro interrogato non valuti opportuno pubblicare comunque sul sito della funzione pubblica i risultati del monitoraggio previsto nonché se non ritenga opportuno assumere iniziative per la pubblicazione, sul sito delle pubbliche amministrazioni, delle quote d’obbligo riservate a favore di queste categorie protette al fine di rendere conoscibile e trasparente ai cittadini la disponibilità di tali posti, e di facilitare così lo svolgimento degli adempimenti previsti perché essi vengano prontamente ricoperti;
Non reputi importante assumere iniziative normative volte a prevedere l’obbligo, da parte della funzione pubblica e delle pubbliche amministrazioni della pubblicazione, rispettivamente, dei risultai del monitoraggio e dei dati e delle informazioni relative alle quote d’obbligo scoperte a favore dei soggetti disabili”.
Per risolvere la problematica al più presto, l’obbligo della trasparenza, così come proposto da Zardini e Baruffi, potrebbe essere introdotto nello schema del D. Lgs. sulla trasparenza, di prossima approvazione da parte del Consiglio dei Ministri.
La trasparenza del monitoraggio e dei dati e delle informazioni indicate rende evidenti le PA inadempienti e pone il Ministro competente nelle condizioni di intervenire e, di conseguenza, le PA di accelerare il processo e migliorare la performance.
Non sono sufficienti le buone leggi in assenza di un sistema trasparente di controllo dell’efficacia delle PA.

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mercoledì 2 dicembre 2015

PD Verona: frantumi da ricomporre

Considerata la crisi nei rapporti tra i partiti ed i cittadini, si ritiene necessario e urgente riorganizzare la forma partito al fine di coinvolgere gli elettori nella gestione delle strutture organizzative dei partiti in particolar modo nelle periferie. In assenza di tale cambiamento le strutture dei partiti continuano a rappresentare il luogo dove viene gestito il potere di rappresentanza in assenza di mobilitazione e partecipazione.
Le organizzazioni nel tempo, dal taylorismo ad oggi, sono cambiate e si sono adattate in modo continuo e veloce alla domanda di cambiamento attraverso l’adozione di nuovi modelli organizzativi.
L’unico Partito esistente è il Partito Democratico in quanto gli altri sono: personali, aziendali, autoritari e non praticano la democrazia. Pertanto, si ritiene che il PD ripensi la sua organizzazione per rispondere alle esigenze di cambiamento e di partecipazione degli iscritti, dei partecipanti alle primarie e degli elettori.
Il PD di Verona, il quale è un’organizzazione politica, per superare gli ostacoli e le problematiche relative ai rapporti con gli elettori ha bisogno di ripensare la propria organizzazione e conseguire i propri valori attraverso l’adozione dei seguenti fattori di cambiamento: Unità, Trasparenza, Comunità e Sistema aperto. I valori ed i fattori di cambiamento sono i pilastri del modello di organizzazione che si intende costruire.
La sottovalutazione della conferenza organizzativa ed il mantenimento dello status quo non consente alcun cambiamento ed è per questo che anche i fautori del congresso straordinario dovrebbero sostenere la proposta della conferenza organizzativa di Alessio Albertini.
L’anello più debole e importante della catena di partecipazione alla vita politica del PD è rappresentato dai circoli, i quali non debbono essere considerati soltanto un gruppo di volontari ma il luogo dove viene costruita la strategia locale per elevare il livello della partecipazione e della mobilitazione. Vi sono degli indicatori (iscritti e popolazione, votanti alle primarie e popolazione) che rappresentano lo stato di salute dei circoli e nello stesso tempo ispirano le azioni correttive da realizzare per migliorare gli indici.
Un altro problema da non sottovalutare, il quale è stato posto nel dibattito recente, è il ruolo dell’opposizione del PD nel comune di Verona.
E’ stato affermato che “il capogruppo fa opposizione. E la fa benissimo.” Innanzitutto, occorre precisare che l’opposizione senza una visione o una proposta alternativa è strumentale, ostruzionistica, effimera e pregiudiziale. Questo non è il caso del capogruppo Michele Bertucco e dell’intero gruppo consiliare del PD.
Per fare una efficace e credibile opposizione è necessario avere delle proposte alternative a quelle del Sindaco Tosi sui temi ed argomenti posti all’esame del Consiglio Comunale. Affermare che Michele Bertucco fa una buona opposizione in assenza di proposte alternative da parte del PD è una contraddizione perché non può essere fatta una efficace opposizione senza fare riferimento alla visione ed alle proposte alternative del PD. Pertanto, il PD di Verona ha un programma alternativo a Tosi che esprime anche attraverso il capogruppo Michele Bertucco ed il gruppo consiliare del PD.
Ultima questione riguarda il rapporto con Tosi. La direzione provinciale del PD non ha mai deliberato alleanze e rapporti privilegiati con il sindaco Tosi. Infatti, nelle elezioni provinciali ha aderito ad una alleanza alternativa a Tosi. L’accordo istituzionale proposto, anche con Tosi, non ha ricevuto consensi tra gli amministratori locali ed i membri della direzione provinciale del PD in quanto si sono espressi per una alleanza alternativa a Tosi.
L’accordo istituzionale, il quale prevedeva una visione comune tra tutte le forze politiche, non ha ricevuto consensi nel PD e tra tutte le forze politiche e, quindi, la proposta non poteva essere concretizzata.
Pertanto, l’accusa mossa ad Alessio Albertini, segretario provinciale del PD, di “intelligenza con il nemico” è strumentale ed è finalizzata a trovare ex post delle motivazioni a sostegno del congresso straordinario.
Concordo con Diego Zardini quando afferma che la divisione nasce dalla mancata ricandidatura di Franco Bonfante alle Regionali. Da quel momento sono state tante le iniziative di carattere individuale che hanno messo in fibrillazione il PD in un momento in cui bisognava impegnarsi unitariamente per superare la sconfitta alle elezioni Regionali.
Il grande difetto di alcuni esponenti politici è quello di impegnarsi per la propria sopravvivenza politica e non per il partito di appartenenza non tenendo conto che il partito sopravvive alla vita degli uomini.

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lunedì 16 novembre 2015

L’editore le maestranze il cavaliere

E’ il titolo del libro di Remo Zanella, Cierre edizioni, 2015.
La presentazione del libro avverrà giovedì 19 novembre, ore 17,30 presso la Biblioteca Civica di Verona, via Cappello. Presenteranno il libro: Carlo De Filippis, esperto di organizzazione aziendale, e Tiziano Zanotti, responsabile formazione superiore dell’Istituto Salesiano San Zeno.
Il libro, afferma Remo Zanella, contiene due propositi: il primo, fare memoria delle Officine grafiche Mondadori, un'esperienza produttiva e di lavoro molto importante per Verona. Ne è derivata la costituzione di un sistema di imprese, di una vera e propria comunità professionale, compreso un Ente per la formazione professionale. Lo sviluppo, per larga parte del periodo preso in esame, è stato reso possibile dalla lungimiranza dell'editore ma anche dal ruolo positivo svolto dai lavoratori e dalla loro rappresentanza sindacale. Il secondo proposito, rilancia il ruolo delle Relazioni industriali, confermate da quasi 300 accordi stipulati nel periodo. Questa storia ci mostra la possibilità che lo sviluppo, nelle sue varie caratteristiche sia da affrontare dalle parti con una visione d'insieme e sotto tutti gli aspetti: dei prodotti, delle tecnologie, dell'occupazione, dell'organizzazione del lavoro e della salubrità dell'ambiente di lavoro.
Il libro ricostruisce la storia delle relazioni industriali alle Officine Grafiche Mondadori di Verona nel periodo cha va dal 1945 al 1992. In queste pagine vengono approfonditi lo sviluppo dell’azienda come casa editrice e industria grafica, le strategie della proprietà e l’azione del sindacato. Il testo segue un percorso cronologico che distingue cinque grandi fasi, ciascuna caratterizzata al proprio interno da una certa omogeneità, in ognuna delle quali vengono approfonditi gli avvenimenti principali dello sviluppo aziendale, delle tecnologie, dell’occupazione, dell’organizzazione del lavoro, dei contenuti rivendicativi, della rappresentanza sindacale. L’orizzonte è un pò allargato fino a configurare brevemente, per ciascuna fase, il contesto con le grandi tendenze sociali ed economiche, l’evoluzione del territorio, il quadro politico e come queste influenzino l’assetto delle relazioni industriali.
Da una “Editoria industriale”, come amava definirla Arnoldo Mondadori, si è passati ad un freddo “Gruppo di comunicazione”, posseduto da Silvio Berlusconi. Una vicenda ricca di impegni aziendali, di azioni sindacali, di esperienze significative, fatte spesso attraverso un continuo confronto. Una storia da non lasciare cadere nell’oblio ma della quale prendere coscienza. Una storia di cui le aziende, il sindacato e la città di Verona nel loro insieme, devono fare memoria.
Remo Zanella ha ricoperto l’incarico di Segretario territoriale della Cisl e di consigliere comunale di Verona.

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sabato 14 novembre 2015

Verona, occupazione alta

Articolo di Dario Di Vico pubblicato sul Corriere della Sera l'11 novembre 2015
Nell'Italia attenta ai decimali, capita di dimenticarci di intere province con tassi di disoccupazione assai bassi: una di queste è sicuramente Verona che viaggia al 4,9%, 7-8 punti in meno dell'andamento della media nazionale, numeri migliori della Germania e degli Usa. Gli addetti ai lavori considerano il tasso di disoccupazione «un dato sul quale non morire» preferendo ragionare sulle dinamiche degli occupati ma il caso scaligero è degno di menzione. A tirare fuori il dato è stato il presidente della Confindustria locale, Giulio Pedrollo, in occasione dell'assemblea annuale dei suoi associati e il ministro Giuliano Poletti, presente in sala, ha colto la palla al balzo per dire che «Verona è un esempio per tutto il Paese». La provincia confrontata con il resto d'Italia eccelle e riesce a prevalere anche in Veneto dove il tasso di disoccupazione medio è al 6,6. I dati suddivisi per provincia vengono forniti dall'Istat solo annualmente e il 4,9% si riferisce a fine 2014 e quindi non risente ne del Jobs act né della decontribuzione. Può essere utile però consultare su Venetolavoro.it le assunzioni nella regione nel 2015 e constatare cosi che la provincia di Verona ne ha realizzate più di 42 mila nel primo trimestre (su un totale Veneto di 188 mila), circa 45 mila nel secondo (con tutto il Veneto a quota 204 mila). Nel terzo trimestre 2015 i nuovi posti di lavoro a Verona sono cresciuti del +1,18% rispetto allo stesso periodo del '14.
La previsione fornita da Confindustria dopo consultazione degli associati parla di un ulteriore +1,2% per il quarto trimestre. Cosa contribuisce a dare a Verona un mercato del lavoro più dinamico? Un insieme di fattori, è la risposta che danno tutti e vuol dire che quello veronese è un modello di economia locale sui generis (più verticale) rispetto al Nord Est e ai distretti. A fare la differenza è sicuramente la dimensione delle aziende: Verona è prima in Veneto per numero di aziende sopra i 250 dipendenti e ciò determina una serie di effetti a catena. Più occupati, più figure qualificate, più valore aggiunto, più ricerca e anche più multinazionali. Ma anche più investimenti perché il presidente Pedrollo ha detto che «8 imprenditori su 10 hanno lasciato gli utili in azienda». Oltre alla dimensione delle imprese a conferire smalto all'economia scaligera è anche la diversificazione settoriale, la monocultura non abita qui. La ripresa vista da Verona dunque sembra più veloce: il 72% delle imprese dichiara di aver una buon utilizzo della capacità produttiva installata. Attenzione però che non è dappertutto così, neanche al nord: è di 48 ore fa un campanello d'allarme suonato dalla Confindustria di Varese: "Qui la ripresa rallenta".

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venerdì 6 novembre 2015

Più bici meno auto

E’ stato approvato dal Senato il collegato ambiente alla legge di stabilità del 2014. Il senatore democratico Stefano Vaccari, relatore del provvedimento, ha affermato che “ è una legge che inaugura una nuova stagione per la crescita del nostro Paese, puntando sulla Green economy e sull'Economia circolare, rafforzando le tutele ambientali, con misure per la prevenzione del rischio idrogeologico e contro l'inquinamento marino e urbano, per una mobilita sostenibile".
Il collegato ambientale è stato approvato con 295 voti favorevoli, 47 contrari ed 89 astenuti.
La green economy ed il contenimento dell’uso eccessivo di risorse naturali entrano per la prima volta nel titolo di una legge. Il provvedimento è un atto fondamentale per la tutela ambientale.
L’art. 5 del provvedimento, misure di mobilità sostenibile, dispone diverse misure e precisamente:
- Il comma 1 fissa nel limite di 35 milioni di euro la quota di risorse di competenza del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare da destinare alla realizzazione di un programma sperimentale nazionale di mobilità sostenibile casa-scuola e casa-lavoro nell'ambito di progetti predisposti (car-pooling, bike-pooling e bike sharing sono state affiancate il car-sharing, il Piedibus);
- Il comma 3 prevede l'erogazione di un contributo pari a 5 milioni di euro alla Regione Emilia Romagna al fine di realizzare una pista ciclopedonale riqualificando tratti dismessi del vecchio tracciato ferroviario Bologna-Verona. La stessa Regione promuove il raggiungimento di un apposito accordo di programma tra gli enti territoriali interessati;
- il comma 4 modifica gli articoli 2 e 210 del DPR 30 giugno 1965, n. 1124 ed introduce l’assicurazione Inail per i soggetti che usano la bicicletta nel tragitto casa-lavoro-casa. Occorre tenere presente che dal 2007 la Fiab ed alcuni parlamentari hanno presentano una proposta di legge che non è mai andata in discussione;
- il comma 4 introduce la figura del mobility manager scolastico, al quale sono assegnati le seguenti competenze: organizzare e coordinare gli spostamenti del personale della struttura scolastica, mantenere i collegamenti con le strutture comunali e con le altre scuole, verificare soluzioni e proporre iniziative per il miglioramento della mobilità.
L’on.le Diego Zardini del Partito Democratico ha espresso “grande soddisfazione per l’approvazione del collegato ambientale per l’importanza che lo sviluppo della green economy riveste per il paese ed in particolare per l’introduzione della piena tutela assicurativa a favore di coloro che si recano al lavoro in bicicletta nel caso di incidente. L’utilizzo della bicicletta ha degli effetti positivi sui cittadini che la usano, sulle città che favoriscono l’uso di tale mezzo e di conseguenza sul paese”.
“Le città ed i centri urbani, conclude Zardini, sono chiamati ad affrontare alcuni problemi fondamentali, quali l’inquinamento e la congestione del traffico, che possono essere contrastate con diverse misure, tra le quali assume rilevanza l’utilizzo della bicicletta per recarsi al lavoro”.
Con l’introduzione dell’assicurazione Inail per chi va al lavoro in bici vengono rimossi i condizionamenti normativi che hanno scoraggiato l’utilizzo della bicicletta durante il percorso di andata e ritorno dal luogo dell’abitazione a quello di lavoro.
Diego Zardini ha profuso ogni energia al fine di modificare la legislazione vigente in materia di infortunio in itinere per coloro che si recano al lavoro in bicicletta, prima con la presentazione di un disegno di legge in data 22 dicembre 2013 e dopo di un emendamento in collaborazione con la Fiab.
Numerose sono state le iniziative promosse dall’on.le Zardini finalizzate a sensibilizzare l’opinione pubblica: conferenza stampa con il presidente della Fiab, Giulietta Pagliaccio, per presentare la proposta di legge, incontri in varie provincie, costituzione del gruppo in Facebook "Al lavoro in bicicletta" e sottoscrizione della mozione su Change.org.
Zardini è stato bravo a sensibilizzare il senatore Vaccari affinché presentasse l’emendamento al Senato finalizzato al riconoscimento dell'infortunio in itinere.
L'impegno e la collaborazione premiano il cambiamento. In questo caso rilevante per l'ambiente e per i lavoratori.

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martedì 20 ottobre 2015

Il floppy di Pierluigi Bersani giurista

Articolo di Michele Ainis pubblicato sul Corriere della Sera il 19 ottobre 2015
Non pronunziare il nome di Dio invano, recita il secondo comandamento. Se il divieto s’applicasse anche alla Costituzione, saremmo tutti peccatori. Perché ogni giorno viene denunziata l’incostituzionalità di questa o quella norma, di questa o quella decisione. Significa che la nostra Carta incute rispetto, ma significa altresì che spesso viene usata per dispetto. Fra i dispettosi s’iscrive, in ultimo, Pier Luigi Bersani. Via le tasse sulla casa? Non si può: lo impedisce l’articolo 53 della Costituzione, lì dove dispone che «Il sistema tributario è informato a criteri di progressività». E dunque Renzi, se vuole, potrà detassare le case dei poveri, giammai quelle dei ricchi.
Ora, il criterio della progressività rappresenta un architrave della nostra civiltà giuridica. Vi si riflette un timbro etico, un sentimento di giustizia. Però va inteso — come disse Meuccio Ruini in Assemblea costituente — non in relazione a tutti i singoli tributi, bensì «all’onere tributario complessivo gravante sul cittadino». E con accenti analoghi si è espressa successivamente la Consulta, a partire dalla sentenza n. 30 del 1964. Quindi sarebbe incostituzionale la flat tax proposta da Salvini l’anno scorso: 15% per tutti, contribuenti e imprese. Ma non è affatto questa la soluzione che propone Renzi. Lui vuole togliere una tassa, non l’Irpef. Anche l’anno prossimo continueremo a denunziare i nostri redditi, pagando in proporzione alla ricchezza (o alla miseria) individuale. E pagheremo pure sui «redditi dei fabbricati» (quadro RB della dichiarazione), in base alla loro rendita catastale.
Morale della favola: si può dissentire da quest’idea di Renzi, ci mancherebbe. Possiamo sollevare critiche per ragioni di bilancio, come ha fatto Monti nell’intervista di ieri sul Corriere. O per ragioni politiche, come fa la sinistra del Pd. Ma non possiamo torcere il criterio della progressività nella sua caricatura. Altrimenti lo Stato dovrebbe modulare le accise sulla benzina o sui tabacchi in proporzione al reddito dei consumatori, costringendoli a fare sempre acquisti in compagnia del commercialista. E poi, a rigor di logica si potrà rendere progressiva una tassa, non la sua cancellazione. Mica possiamo cancellarla due volte per i poveri, una volta per i ricchi. Ma forse in Italia abbiamo deciso che anche la logica è incostituzionale.

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sabato 19 settembre 2015

Elezione del Segretario del Circolo PD E. Biagi – Verona


Riporto la mia dichiarazione in occasione dell’elezione del Segretario del Circolo 3^ Circoscrizione di Verona dopo le dimissioni Di Marco De Pasquale, il quale è approdato in un altro partito.
L’elezione del Segretario di Circolo è stata effettuata dal Consiglio Direttivo cioè da una base molto ristretta di persone rispetto all’Assemblea degli iscritti. Tale metodo ha acuito i contrasti e le divisioni in un circolo che ha bisogno di unità e non di ulteriore frammentazione.
La scelta Congressuale per eleggere il Segretario del Circolo avrebbe realizzato maggiore democrazia e permesso di utilizzare il lasso di tempo, intercorrente tra la scelta congressuale e l’Assemblea degli iscritti, per realizzare le condizioni per una prospettiva unitaria in quanto i problemi del Circolo sono molto gravi per essere affrontati e risolti da una visione parziale e di parte.
Il problema non è solo tecnico e giuridico ma è soprattutto di carattere politico in quanto ciascun metodo di elezione si pone degli obbiettivi molto chiari: spaccatura o unità del Circolo, democrazia o verticismo.
Attualmente il Circolo è inefficiente dal punto di vista operativo, inefficace nell’azione, diviso ed isolato perché è stata posta scarsa attenzione ai fattori di cambiamento: Unità nel realizzare la strategia; Trasparenza dei comportamenti e delle decisioni; Visione comunitaria; Sistema aperto all’esterno. Da diverso tempo il Circolo presenta delle problematiche gravi: Gestione finanziaria; Festa Democratica; Insufficiente mobilitazione; Bassa partecipazione agli eventi. Inoltre, molti iscritti non hanno rinnovato l’iscrizione o si sono dimessi dal Circolo.
Chi parla di espulsioni dimentica, per posizione di parte e convenienza, comportamenti e fatti concreti molto gravi che richiederebbero l’attenzione degli organi provinciali del Partito oltre che del Circolo.
Quali sono le prospettive dopo la elezione del Segretario di Circolo nella persona di Martino Leone? Ritengo che bisogna realizzare una strategia unitaria e riscoprire una visione comunitaria del Circolo. Per fare questo occorre discontinuità con la gestione del passato e privilegiare nelle scelte l’affermazione del Partito Democratico e non delle singole persone. Una risposta a tutto questo può essere data dalla nomina dell’esecutivo, il quale dovrà essere formato da persone operative e non coinvolte nella gestione passata.

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giovedì 30 luglio 2015

Esenzione visite fiscali ai malati gravi

Provvedimenti in corso  di approvazione per parificare i lavoratori privati a quelli pubblici in tema di esenzione alle visite fiscali.
Nell’ultimo periodo è stato posto all’attenzione della pubblica opinione la differenza di trattamento dei lavoratori pubblici e privati in materia di esenzione alle visite fiscali nel caso di malattie gravissime. Al momento i lavoratori privati non godono di alcun tipo di esenzione alle visite fiscali.
Questa differenza di trattamento è nata con l’art. 69 del D. Lgs. n. 150 del 2009 e dal conseguente decreto 18/12/2009 n. 206.
L’art. 2 del decreto n. 206 esclude dall’obbligo di rispettare le fasce di reperibilità i dipendenti pubblici nei seguenti casi:
a) patologie gravi che richiedono terapie salvavita;
b) infortuni sul lavoro;
c) malattie per le quali è stata riconosciuta la causa di servizio;
d) stati patologici sottesi o connessi alla situazione di invalidità riconosciuta. Il Governo Berlusconi ed i Governi successivi (Monti e Letta) non si sono preoccupati di equiparare i lavoratori privati ai lavoratori pubblici in materia di viste mediche di controllo.
Nella riunione del 15 giugno il Governo Renzi ha approvato lo schema del decreto legislativo in materia di lavoro che contiene all’art. 25 la introduzione con decreto ministeriale delle esenzioni dalle fasce di reperibilità in caso di malattia per i lavoratori subordinati dipendenti dai datori di lavoro privati.
Il 16 giugno è stata presentata una proposta di legge da diversi deputati (Gelli Federico, Lenzi Donata, Bonaccorsi Lorenza, Boccuzzi Antonio, Carra Marco, Romano Andrea e Rotta Alessia) finalizzata ad estendere ai lavoratori privati l’esclusione dall’obbligo di rispettare le fasce di reperibilità in caso di assenza per malattia. Questa proposta, successiva all'approvazione dello schema del D. Lgs., non verrà discussa ed eventualmente approvata dal Parlamento in quanto il Governo approverà il D. Lgs. in questione.
Pertanto, basta aspettare l’approvazione dello schema del D. Lg. sul lavoro, il quale è stato sottoposto al parere non vincolante delle commissioni competenti, e del conseguente decreto per equiparare i lavoratori privati e pubblici in materia di esenzione alle visite mediche di controllo.
Quest’anno l’opinione pubblica è venuta a conoscenza dei casi di tre lavoratori del settore privato in gravi condizioni di salute:
- Il primo caso in Toscana ad una lavoratrice, malata oncologica, a cui l’Inps ha comminato una sanzione per assenza a visita di controllo. Il caso di Carlotta ha ispirato la proposta di legge;
- Il secondo caso Chiara avvenuto in Trentino Alto Adige ha indotto l’Inps Regionale ad adottare il progetto Chiara – Istruzioni operative per le visite mediche domiciliari di controllo – che stabilisce, in attesa dell’approvazione del decreto, l’esclusione delle visite di controllo nei casi di malattie gravissime;
- Il terzo caso si è verificato nell’Est Veronese. L’interessato, non dichiara di essere stato sottoposto a visita di controllo, afferma che sarebbe utile introdurre anche in Veneto il Progetto Chiara al fine di non sottoporre a visita di controllo i malati più gravi sottoposti a cure continue ed impegnative ed evitare così gli effetti della visita di controllo (controllo degli orari, presenza in casa durante le fasce di reperibilità, dichiarazione per giustificare l’assenza, ecc.).
In prospettiva la questione verrà risolta con l’approvazione del D. Lgs. sul lavoro e l’emanazione del relativo decreto. Fino all’approvazione della suddetta normativa occorre l’intervento positivo dell’Inps che escluda dalle visite mediche di controllo le malattie più gravi come per esempio quelle oncologiche.
L’Inps è nelle condizioni di escludere dalle visite di controllo domiciliari i lavoratori privati affetti da gravi malattie?
Il progetto Chiara dell’Inps del Trentino Alto Adige dimostra che è possibile una gestione flessibile delle visite mediche domiciliari di controllo che consente di esentare in sede di esame dei certificati medici i singoli certificati che presentano malattie gravi come per esempio le malattie oncologiche. Tutto questo può essere realizzato grazie all’utilizzo efficace delle applicazioni informatiche Data Mining e Savio, di cui si è dotato l’Inps.

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sabato 18 luglio 2015

Emendamento Zardini sulla Riorganizzazione delle PA

Il disegno di legge “Deleghe al Governo in materia di riorganizzazione delle amministrazioni pubbliche” è stato approvato dalla Camera dei Deputati con 253 voti a favore, 93 contrari e 5 astenuti. Ora il testo tornerà all’esame del Senato per l’approvazione definitiva.
Risulta evidente ai cittadini ed alle imprese che occorre ridisegnare le pubbliche amministrazioni centrali e locali affinchè divengano motore di sviluppo del paese e garantiscano i diritti individuali dei cittadini. La riforma Madia si propone tali obiettivi dopo che diversi tentativi di riforma non hanno registrato un miglioramento della macchina pubblica.
“La vera soddisfazione, dichiara il Ministro Marianna Madia, arriverà solo quando queste norme, con i successivi decreti legislativi, si tradurranno in cambiamenti nella vita delle persone. Tra le norme più significative del disegno di legge voglio ricordare: il documento unico di circolazione e possesso degli autoveicoli, la riforma della Conferenza dei servizi, le norme su silenzio/assenso e autotutela, la cittadinanza digitale e il Freedom of Information Act, la riduzione delle camere di commercio e delle società partecipate e tutta la riorganizzazione dei servizi pubblici locali”.
L’articolo 6 della riforma comprende l’emendamento presentato dal deputato veronese Diego Zardini e sottoscritto dalla deputata del PD Daniela Gasparini che descrive alcune informazioni soggette alla trasparenza.
L’indice di Trasparency International CPI, il quale misura la percezione della corruzione, posiziona l’Italia al 69° posto su 175 paesi, dopo Ghana e Ruanda, e nell’Europa in fondo alla classifica insieme a Romania, Grecia e Bulgaria. “E’ necessario, afferma Zardini, elevare il livello di trasparenza totale in Italia al fine di contrastare la corruzione e garantire la libera concorrenza, rendere il paese più competitivo, attrarre gli investimenti esteri in Italia ed allargare la partecipazione dei cittadini alla vita pubblica”.
“Revisione e semplificazione delle disposizioni in materia di prevenzione della corruzione, pubblicità e trasparenza e l’emendamento Zardini, approvato dalla Camera dei Deputati, consiste nella previsione di misure organizzative, anche ai fini della valutazione dei risultati, per la pubblicazione sul sito istituzionale dell’ente di appartenenza di alcune informazioni.
“La trasparenza, dichiara Diego Zardini, è un fattore di grande cambiamento per realizzare la democrazia e la partecipazione”. “Per tale motivo, continua Zardini, condivido il contenuto dell’art. 6 della riforma (prevenzione della corruzione, pubblicità e trasparenza) ed ho proposto di inserire tra le informazioni soggette alla trasparenza le seguenti: a) Le fasi dei procedimenti di aggiudicazione ed esecuzione degli appalti pubblici; b) Il tempo medio per le prestazioni sanitarie di ciascuna struttura del Servizio sanitario nazionale; c) Il tempo medio di pagamento relativo agli acquisti di beni, servizi e forniture, l’ammontare complessivo dei debiti e il numero delle imprese creditrici, aggiornati regolarmente; d) Le determinazioni dell’organismo di valutazione”.
L’emendamento Zardini si propone attaverso la trasparenza di contrastare la corruzione nelle gare di appalto, di conoscere, controllare e migliorare il tempo medio per le prestazioni sanitarie e di pagamento dei crediti alle imprese e di verificare le attività degli organismi di valutazione della performance delle pubbliche amministrazioni ed eventualmente intervenire con azioni correttive. L’emendamento, conclude Zardini, dopo l’approvazione definitiva avrà degli effetti immediati e concreti sulla Regione Veneto che presenta una gestione opaca, particolarmente nella Sanità, e sul Presidente Zaia, il quale rilascia dichiarazioni che rappresentano mera propaganda in assenza di informazioni significative e controllabili. Gli enti locali veneti, a loro volta, dovranno adattarsi e creare quelle condizioni di trasparenza che consentiranno alle comunità locali di conoscere, intervenire e proporre soluzioni.
“E’ una riforma, conclude Marianna Madia, impostata per dare risposte a 60 milioni di residenti a cui vogliamo garantire trasparenza e certezza nei tempi e nei diritti. Non è una riforma di settore, tutti gli interventi normativi sono rivolti ai cittadini, anche quelli che incidono sull’organizzazione delle dirigenza. E’ evidente che se il motore della pubblica amministrazione funziona in modo efficiente – dando il giusto spazio al merito di ognuno e mettendo ogni persona al posto giusto, a partire dalle sue caratteristiche e dai suoi punti di forza – si produce un servizio migliore per la collettività”.

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martedì 23 giugno 2015

Il lavoro ritrovato

E’ il titolo dell’ultimo libro di Pietro Ichino, Mondadori.
«Giù le mani dall'articolo 18!» si gridava, nelle piazze e non solo. Poi, quando si è capito che quella norma poteva essere davvero mandata in soffitta, la tensione è arrivata al calor bianco. Eppure tutti sanno che il sistema di protezione di cui l'articolo 18 è la chiave di volta, quello che oggi chiamiamo job property, è nato mezzo secolo fa, nel lontano 1970: da allora tutto, o quasi, è cambiato. Cinquant'anni fa non c'erano ancora i computer, non esisteva Internet, ma neppure fax e fotocopiatrici. Esisteva, invece, il «posto fisso»: si entrava in azienda a 16 anni per rimanerci fino alla pensione, fabbricando sempre gli stessi oggetti, con gli stessi strumenti. In una società dove erano ancora gli aiuti di Stato ad assicurare la continuità delle grandi strutture produttive, non era neppure pensabile che aziende come Olivetti, Fiat o Alitalia potessero ricorrere a un licenziamento collettivo o tanto meno chiudere. Mentre era pensabile che il «risarcimento» per la perdita del posto in aziende come quelle consistesse in anni e anni di Cassa integrazione, fino a un prepensionamento a 57 o 58 anni. Ma nel frattempo l'articolo 18 generava un regime di apartheid tra i garantiti e i precari, cui la grande crisi ha aggiunto gli esclusi.
In questo libro scritto con il rigore dello studioso ma con la penna agile del giornalista, Pietro Ichino, giuslavorista e senatore della Repubblica, racconta perché e come nel nostro ordinamento è stato introdotto l'articolo 18, spiega il meccanismo giudiziale che ha fatto di questa norma la fonte della job property, traccia la storia politica della riforma che va sotto il nome di Jobs Act, ne ripercorre il tormentato iter legislativo fino al varo della legge-delega del dicembre 2014 e all'entrata in vigore nel marzo 2015 dei primi due decreti attuativi, uno sul contratto a tutele crescenti e l'altro sul nuovo trattamento universale di disoccupazione e sul contratto di ricollocazione, mirati a proteggere il lavoratore nel mercato anziché dal mercato.
Attraverso una galleria di esempi reali, spiega come la soluzione di compromesso tentata con la legge Fornero è stata svuotata del suo contenuto per il modo in cui è stata applicata, ma soprattutto ci racconta la «storia segreta» del Jobs Act, il braccio di ferro sui contenuti dei primi decreti attuativi e sulla disciplina del contratto a tutele crescenti: che cosa è accaduto fin qui e che cosa deve ancora accadere.
Affinché il lavoro sognato, perduto, rivendicato sia, prima di tutto, un lavoro ritrovato.

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venerdì 19 giugno 2015

Disabili: Rotta e Zardini scrivono a Boeri

Al Presidente dell’INPS Prof. Tito Boeri
Ci rivolgiamo cortesemente a Lei per chiederle di intervenire a favore dei disabili che dovrebbero essere assunti all’INPS. Problematica questa che fino a questo momento non ha trovato soluzione nonostante le diverse interrogazioni parlamentari, un ordine del giorno approvato dal Governo ed una proposta di legge.
L'Inps con determinazione n. 438 del 2 dicembre 2011 ha disposto per il 2012 l’assunzione di n. 250 unità di disabili in area B/B1 da distribuire sul territorio nazionale, il prospetto informativo, parte integrante della determinazione, evidenzia una scopertura pari a 495 unità di disabili rispetto alle 250 assunzioni programmate, ha approvato lo schema di convenzione previsto dall'articolo 11 della legge n. 68/1999 – che stabilisce le finalità, la programmazione delle assunzioni, i criteri per la selezione dei soggetti disabili, le modalità di attuazione, la sottoscrizione del contratto individuale, la verifica dello stato di attuazione ed altro – ed autorizzato ciascun direttore regionale dell’Istituto a stipulare lo schema di convenzione con le Province.
A conclusione della procedura di selezione dei soggetti disabili, l'Inps nel mese di aprile 2012 ha comunicato e richiesto ai soggetti idonei e collocati in posizione utile nella graduatoria di assunzione la documentazione utile al fine di perfezionare l’iter di assunzione. A tale scopo i soggetti interessati all'assunzione hanno presentano la documentazione richiesta.
Le nuove disposizioni di legge (art. 21 del D. L. n. 201 del 6/12/2011 convertito, con modificazioni, dalla legge 22/12/ 2011, n. 214; art. 2 del D. L. 6/7/2012, n. 95, convertito, con modificazioni, dalla legge 7/8/2012, n. 135, decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri 23 gennaio 2013) hanno bloccato il reclutamento delle categorie protette per le pubbliche amministrazioni che presentavano una situazione di soprannumerarietà del personale rispetto alla pianta organica. L’Inps, dopo aver rideterminato la dotazione organica e rilevato la soprannumerarietà del personale, ha sospeso cautelativamente il processo di assunzione relativo ai soggetti disabili ai sensi della legge n. 68/1999.
Gli ostacoli normativi che si frapponevano all’assunzione delle categorie protette vengono finalmente eliminati con l’approvazione del D. L. 31 agosto 2013, n. 101 convertito con modificazioni dalla L. 30 novembre 2013, n. 125, il quale prevede all’art. 7 una deroga a favore delle categorie al divieto di nuove assunzioni nel caso in cui le PA presentano una situazione di soprannumerarietà del personale rispetto alla pianta organica.
L’art. 7 del D. L. 31 agosto 2013, n. 101 convertito con modificazioni dalla L. 30 novembre 2013, n. 125 prevede una deroga a favore delle categorie al divieto di assunzioni nel caso in cui le amministrazioni pubbliche registrano una situazione di soprannumerarietà del personale rispetto alla pianta organica.
L’art 7 del D. L. n. 101/2013 al c. 6 disciplina la rideterminazione del numero di assunzioni obbligatorie delle categorie protette sulla base delle quote d'obbligo e dei criteri di computo previsti dalla normativa vigente ed al c. 7 assegna al dipartimento della funzione pubblica il compito di monitorare l'adempimento dell'obbligo da parte delle pubbliche amministrazioni.
Superati gli ostacoli normativi che si sono frapposti all’assunzione dei disabili l’Inps ha richiesto per la seconda volta all’inizio di aprile del 2014 la documentazione necessaria ai soggetti interessati all’assunzione al fine di conclude l’iter di reclutamento.Purtroppo da tale data le assunzioni non sono state effettuate e non si ha alcuna notizia riguardo alle 250 persone disabili che dovrebbero essere assunte dall’Istituto con il rischio di far decadere la convenzione e le prove di selezione.
La ringraziamo per la sua disponibilità ed interessamento nella speranza che la problematica decritta possa risolversi nel migliore dei modi per i disabili interessati dall’assunzione da parte dell’Inps.
Le chiediamo di poterla incontrare, in rapporto ai suoi impegni, per sottoporle il problema del decentramento nella Provincia di Verona.
Cordiali saluti
Alessia Rotta
Diego Zardini

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domenica 14 giugno 2015

Diego Zardini: contributo alla riforma PA

E’scaduto il termine per la presentazione degli emendamenti relativi al disegno di legge delega in materia di riorganizzazione delle amministrazioni pubbliche, già approvata dal Senato. Gli emendamenti presentati sono circa 2000 e tra questi ve ne sono due presentati dal deputato veronese Diego Zardini.
“La trasparenza, dichiara Diego Zardini, è un fattore di grande cambiamento per realizzare la democrazia e la partecipazione”. Per tale motivo condivido il contenuto dell’art. 6 della riforma (prevenzione della corruzione, pubblicità e trasparenza) ed ho proposto di inserire tra le materie soggette alla trasparenza le seguenti: a)Le fasi del processo per le gare d’appalto dall’impegno di spesa alla conclusione dei lavori o delle forniture; b)Il tempo medio di attesa delle visite specialistiche di ciascuna struttura del servizio sanitario nazionale; c)Il tempo medio di pagamento relativo agli acquisti di beni, servizi e forniture, l’ammontare complessivo dei debiti e il numero delle imprese creditrici, aggiornati in tempo reale; d)Le determinazioni e le deliberazioni dell’organismo di valutazione. La trasparenza di tali materie è rilevante al fine di contrastare la corruzione ed informare i cittadini ed i ricercatori sulle attività delle pubbliche amministrazioni”.
“Per rendere tutto ciò possibile, spiega Diego Zardini, ho presentato un secondo emendamento finalizzato all’istituzione di un sistema di misurazione, valutazione e trasparenza della performance che si basi sui seguenti principi: - istituzione dell’organismo indipendente di valutazione della performance; - adozione di adeguati indicatori di efficienza ed efficacia; istituzione a livello centrale di indicatori comuni per i comuni (classificati per popolazione), le Regioni e le strutture del Servizio sanitario nazionale per realizzare il benchmarking ed attuare la strategia replicativa dei migliori processi; - riordino della materia degli incentivi al personale, premi di risultato e salario accessorio”.
Secondo l’emendamento di Diego Zardini la materia degli incentivi al personale deve essere regolata dai seguenti principi: “- Condizione necessaria per l’erogazione dei suddetti compensi sono la introduzione del sistema di misurazione e valutazione della performance e l’adozione degli indicatori di efficacia e di efficienza, i quali dovranno essere specifici, misurabili e rapportati alle risorse; - I premi di risultato sono collegati agli obiettivi programmati, stabiliti in sede di programmazione dell’ente, alle risorse utilizzate e disponibili, ed ai risultati conseguiti risultanti dal sistema di misurazione e valutazione della performance e dagli indicatori di performance”.
L’intervento di Diego Zardini è finalizzato a rendere obbligatori gli strumenti manageriali descritti dalla trasparenza al sistema di controllo dell’efficacia nelle autonomie locali (Regioni, Comuni, Strutture del servizio sanitario nazionale) che allo stato sono facoltativi. Pertanto, non tutti gli enti territoriali hanno attuato il cambiamento richiesto dai cittadini.
Ad esempio la Regione Veneto ha una gestione opaca e, pertanto, le dichiarazioni di Zaia rappresentano soltanto mera propaganda fuorviante in assenza di informazioni significative e controllabili. Purtroppo per i cittadini non è facile distinguere le dichiarazioni oneste da quelle false.
I fautori dell’opacità non comprendono che oggi la trasparenza prima o dopo si impone, grazie alle nuove tecnologie della comunicazione e dell’informazione ed alle indagini delle forze dell’ordine, e presenta il conto a coloro che operano di nascosto e non amano la trasparenza.

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venerdì 29 maggio 2015

Diego Zardini e Orietta Salemi sulla trasparenza

La falsità e l’opacità hanno causato nel tempo effetti devastanti nel mondo (l’invasione dell’Iraq), in Italia (Parmalat, Cirio, Mafia Capitale) e nel Veneto (Mose, finanziamento dei servizi sociali, il caso Giacino).
La trasparenza è un fattore di grande cambiamento per realizzare la democrazia e la partecipazione nella gestione delle istituzioni e delle organizzazioni private e pubbliche.
La gestione Zaia è stata caratterizzata da opacità, chiusura e isolamento. Caratteristiche queste che hanno fatto precipitare il Veneto nella scala della competitività. Vi è il pericolo concreto che il Veneto perda ulteriori posizioni di competitività nei diversi settori (es. la Sanità veneta è precipitata al 5° posto).
Esiste un rapporto inversamente proporzionale tra la trasparenza e la corruzione: più alta è la trasparenza, più bassa è la corruzione e più alto è il controllo sociale e la partecipazione.
Zaia ha realizzato l’opacità e non ha introdotto gli strumenti manageriali necessari per realizzare una gestione trasparente del Veneto. Zaia parla della trasparenza come se fosse uno slogan senza contenuti e, quindi, la usa in modo sconveniente senza effetti concreti.
Il malaffare e la malversazione che hanno interessato il Veneto sono state scoperte dalle forze dell’ordine e non dal sistema di potere regionale (Presidente e Giunta Regionale) in quanto è assente la trasparenza totale ed un sistema di controllo dell’efficacia di ciascun comparto della Regione.
Per realizzare la trasparenza totale nella Regione Veneto è necessario introdurre i seguenti fattori:
- Sistema di controllo dell’efficacia e dell’efficienza di ciascun comparto della Regione supportata da una infrastruttura informatica adeguata;
- Indicatori di performance efficienti che devono riguardare tutti i settori della Regione: dall’uso del territorio alla sanità, dai servizi sociali;
- Organismo indipendente di valutazione della performance composto da membri esterni e di comprovata competenza e capacità. In questo caso Zaia ha nominato un dirigente interno della Regione, vanificando l’indipendenza, l’autonomia e l’imparzialità di tale organo;
- Obiettivi specifici, quantificabili, misurabili e rapportati alle risorse e non indipendenti da esse per conseguire i premi di risultato.
Tali fattori devono essere trasparenti affinché i veneti, gli utenti ed i ricercatori possano prenderne consapevolezza, esprimere valutazioni, formulare proposte e contestare eventuali scelte improduttive che abbassano la qualità dei servizi e creano sprechi e corruzione.
L’impegno che la Giunta Zaia mette per rendere opache le attività regionali è vano perché prima o dopo la trasparenza, grazie alle nuove tecnologie ed alle forze dell’ordine, si afferma e chiede il conto.
In assenza di informazioni significative e controllabili, trasparenza, le affermazioni di Zaia rappresentano soltanto mera propaganda fuorviante al fine di eludere il controllo sociale.
Diego Zardini
Orietta Salemi

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martedì 26 maggio 2015

Io scelgo Alessandra Moretti e Orietta Salemi



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domenica 10 maggio 2015

Camusso: la sinistra che si fa male

Intervista di Massimo Rebotti a Alessandra Moretti pubblicata sul Corriere della Sera il 9 maggio 2015
«Classico esempio di quella sinistra tafazzista, che si fa male da sola». Alessandra Moretti, candidata del centrosinistra a governatore del Veneto, dice di «non essere stupita» dall’ affondo, due giorni fa a Mestre, della leader cgil Susanna Camusso che a una platea di delegati sindacali ha detto: «Capisco l’imbarazzo e le difficoltà che tanti di voi hanno di fronte alle Regionali. Piuttosto che non votare però, meglio annullare la scheda».
E' stato fuoco amico?
«Una cosa dev’essere chiara. Chi invita a votare scheda bianca in Veneto è come se dicesse di votare per Luca Zaia, il governatore leghista che ha abbandonato al loro destino i lavoratori e le imprese della regione.
Chi dice queste cose è la stessa sinistra che ha fatto cadere il governo Prodi e ha consentito a Berlusconi di governare per vent’anni».
Susanna Camusso però e la leader del più grande sindacato italiano. Non è preoccupata per la sua campagna?
«No. Questo è un vecchio modo di fare politica, di chi vuol farsi sempre male. È quella sinistra allergica a governare. E pensare che noi, in Veneto, abbiamo costruito un centrosinistra ampio, c’ è Sel, ci sono i Verdi, anche un pezzo di Rifondazione comunista. E poi tra i candidati nelle liste in mio sostegno c’ è l’ ex segretario della Cgil di Padova. Penso che i più amareggiati per l’uscita di Camusso siano proprio gli iscritti veneti al suo sindacato».
La Cgil è molto dura con il governo. A Mestre il segretario ha detto che Renzi favorisce solo le imprese. Lei è finita in mezzo a questo scontro?
«Sa quanti posti di lavoro ha creato il Jobs act del governo Renzi nel primo trimestre del 2015 in Veneto? Quasi 35 mila. Che Camusso chiedesse a un giovane che prima aveva un contratto a progetto e ora ha un contratto a tempo indeterminato, se pensa anche lui che il governo favorisce le imprese. Se diventerò presidente farò un altro Jobs act, per il Veneto, che rafforzi ulteriormente le indicazioni dell’esecutivo».
Forse è anche per questo che la Cgil non la sostiene.
«C’è una parte del sindacato che si rende conto che un rinnovamento è necessario. Non i vertici».
Sta pensando che questo intervento di Camusso, alla fine, le farà guadagnare voti?
«La verità è che le battaglie si vincono tutte insieme, oltre gli steccati ideologici. E le critiche che ho ricevuto sono ideologiche, i veneti capiranno».
Sul sito di Alessandra Moretti campeggia il numero dei comuni visitati finora durante la campagna elettorale: ieri era a quota 519: «Qualche mese fa questa sfida sembrava impossibile, ora è apertissima».
Per la verità qualche giorno fa Renzi ha detto: «Alle Regionali finisce 6 a 1» e l’ipotesi di sconfitta era proprio in Veneto.
«Conosco Matteo Renzi, non lascia niente a nessuno. E io con lui. Ho abbandonato l’europarlamento per giocarmi questa partita. E i miei avversari ora hanno paura».
In suo sostegno oggi arriva il ministro Boschi.
È una donna che stimo, la sento molto vicina. Il messaggio che voglio lanciare è che con me alla guida della Regione la relazione con il governo sarà molto forte, per rispondere alle esigenze del Veneto. Qui il centrosinistra ha un’occasione storica: strappare una regione considerata “impossibile”. E poi, alla guida della coalizione c’è una donna».
Anche Camusso è donna.
«Infatti, spiace che abbia perso l’occasione di sostenere una donna. In altre circostanze aveva dimostrato una diversa sensibilità».

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mercoledì 6 maggio 2015

Il lavoro flessibile

Articolo di Klaus F. Zimmermann, direttore dell’Institute for the Study of Labor, pubblicato sul Corriere della Sera 4 maggio 2015
Molti sognano da tempo di essere meno incatenati al lavoro, e conciliare la propria attività con il tempo libero. Altri sognano di non dover più svolgere compiti monotoni, ripetitivi. Quel mondo non è mai stato così vicino ad avverarsi. Eppure oggi le domande sono: perderemo il lavoro? Oppure, ci sarà un lavoro per me in futuro? Queste preoccupazioni sono condivise da quasi tutti i Paesi, sviluppati ed emergenti. Attualmente, d’altronde, persino nell’industria manifatturiera cinese il focus è sull’impiego massiccio di robot industriali, anche a causa della massima dimensione raggiunta della forza lavoro cinese, a lungo oggetto delle preoccupazioni occidentali per il trasferimento delle mansioni di assemblaggio.
In tutto il mondo, i laureati - sia dei Paesi sviluppati sia in quelli emergenti - scoprono che il loro titolo accademico non basta a garantire un posto. I cosiddetti robot di servizio e l’informatizzazione inoltre si ripercuoteranno su una serie di professioni - dai piloti aeronautici e camionisti ai chirurghi e cuochi. I dati finora raccolti indicano una ricaduta occupazionale negativa per i lavoratori poco qualificati e per alcuni con qualifiche medie. Tuttavia, i ricercatori dell’università di Oxford prevedono che, entro 20 anni, tale impatto negativo potrebbe interessare metà delle professioni, incluse quelle considerate più qualificate. Per orientare le politiche, dovremo seguire questi sviluppi con attenzione.
Il cambiamento è sempre fastidioso e, per quanto la visione del futuro sia incerta, ne conosciamo le linee chiave. L’impiego a vita in azienda e persino i contratti formali di lavoro saranno più rari. Una maggiore «informalità» negli accordi di lavoro - a lungo considerata un fenomeno prevalente nei Paesi emergenti - sta prendendo piede anche nei Paesi avanzati, come fattore di omologazione globale. Per quanto riguarda i Paesi sviluppati, alcune società sono più preparate di altre a contare su se stesse - ad una realtà di assunzione del rischio da parte del singolo. In particolare, il modello sociale degli Stati Uniti ha sempre responsabilizzato il singolo per i rischi economici e finanziari legati alla sua esistenza. Questo significa che il cambiamento dello schema mentale sarà più difficile per gli europei, abituati a un modello in cui certi rischi vengono assunti dalla società più che dall’individuo. Ed è qui la chiave del dilemma: per molti aspetti, la «nuova economia» offre ciò che la gente ha chiesto: meno gerarchie, più flessibilità e maggiore orientamento ai risultati. Ma questo guadagno di flessibilità ha un prezzo. Il punto è fare in modo che questo «mondo nuovo» non conduca a un drastico trasferimento del rischio dalle aziende (e dal capitale) alla persona. In questo contesto, la migliore previsione che gli economisti del lavoro possono fare non è che ci sarà meno occupazione, bensì che il lavoro avrà forme diverse. Sono necessarie innovazioni importanti: elaborare nuove modalità di assicurazione e tutele per proteggere i trattamenti di fine rapporto dalle oscillazioni dei mercati finanziari.
Mentre emerge questo nuovo mondo del lavoro, possiamo osservarne l’intrinseca dialettica. Da una parte, gli smartphone ci aiutano a superare la separazione formale tra lavoro e «gioco», dall’altra, ci portiamo il lavoro a casa, quasi letteralmente, in tasca. Di conseguenza, il classico lavoro dalle 9 alle 5 sta velocemente scomparendo. Questo spostamento verso modelli di lavoro più flessibili implica anche nuove sfide. Il lavoro flessibile può essere troppo imprevedibile per programmare altri impegni, come gli appuntamenti medici difficili da ottenere, o per ritagliare qualche ora per svolgere altrove qualche altro lavoro.
Inoltre, questa flessibilità significa effettivamente che la linea di confine tra lavoro e tempo libero è sempre più labile, causando potenzialmente uno stress notevole. I lati positivi e negativi della trasformazione dei lavoratori e dei luoghi di lavoro dovrà essere quindi soppesata con attenzione e intelligenza. Dopo tutto, in passato, le economie mondiali hanno affrontato cambiamenti ben più grandi. Basta guardare al passato per ritrovare la grande agitazione collettiva - dalla letteratura alla filosofia, alla politica - sulle implicazioni sociali dell’avvento di una diffusa industrializzazione, meccanizzazione e elettrificazione. Le trasformazioni delle ere passate, come lo spostamento di milioni di persone dai campi alle città, furono sconvolgenti, ma ciò portò a un miglioramento delle condizioni di vita. I prossimi cambiamenti offriranno opportunità inimmaginabili. Per arrivare a quel punto, le economie emergenti dovranno continuare le loro trasformazioni, mentre le economie europee e nordamericane dovranno adattarsi a realtà diverse. La novità è che ora saremo coinvolti tutti insieme in questo riallineamento, indipendentemente da dove viviamo.

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lunedì 4 maggio 2015

La leadership armonizza democrazia e capacità di decisione

Articolo di Michele Salvati pubblicato sul Corriere della Sera il 1° maggio 2015
Questa fase della vita politica italiana — il «tutti contro Renzi» sul tema della legge elettorale - sembra la meno adatta a riflessioni pacate sulle radici lontane della crisi che stiamo vivendo.
Per semplificare il tentativo, non mi soffermo sul perché siano contro Renzi movimenti o partiti populisti e antieuropei: esclusi dal gioco, ogni pretesto è buono per aggredire il governo. E lascio anche da parte quel partito, Forza Italia, che ai tempi del patto del Nazareno Renzi pensava di coinvolgere nel gioco, come rappresentante di un elettorato con il quale poteva instaurarsi una dialettica democratica simile a quella che si svolge in altri grandi Paesi europei, centrodestra contro centrosinistra. A Berlusconi non è riuscito il tentativo (ma c’è mai stato?) di «trasformare il carisma in istituzione», di stabilizzare e dare una consistenza organizzativa al suo partito e un indirizzo politico al suo popolo: compito certo difficilissimo in Italia, ma che ad altri leader carismatici è pur riuscito altrove. Perché non sia riuscito a lui per ora nessuno l’ha spiegato meglio di Giovanni Orsina ( Il berlusconismo nella storia d’Italia , Marsilio) e devo lasciare il lettore in sua compagnia.
Vengo allora al Pd. Nessuno, credo, si lascia ingannare dalla maggior correttezza della polemica - i toni di Salvini non si adattano a una polemica interna, e poi tradizione e cultura ancora un poco contano - ma l’ostilità e l’insofferenza della minoranza per il segretario sono ancor più intense di quelle manifestate dai partiti di opposizione, cosa che spesso avviene nei conflitti in famiglia. E nessuno, credo, è convinto dall’idea che queste difficoltà siano dovute a incomponibili conflitti sul merito delle riforme istituzionali proposte da Renzi, come invece la minoranza vorrebbe far credere.
Tanti commentatori ci hanno già ricordato, con nomi e date, che una concezione di democrazia maggioritaria come quella adottata dall’attuale proposta di legge elettorale era già discussa e largamente accettata all’interno dei partiti dell’Ulivo, e che l’idea di un Senato senza potere fiduciario e invece con una funzione di rappresentanza delle autonomie era un obiettivo sul quale esisteva un ampio accordo. Anche sul rafforzamento del ruolo del presidente del Consiglio, pur temperato da istituzioni di garanzia che il progetto Renzi lascia inalterate nei loro poteri, il consenso nei partiti dell’Ulivo, poi confluiti nel Partito democratico, era molto ampio. E lascio da parte l’incredibile polemica sulle preferenze: contro le preferenze era schierato l’intero Pds-Ds, e una parte non piccola di Margherita.
Facciamo allora un piccolo esperimento intellettuale e poniamoci la seguente domanda ipotetica: se le riforme che ora vuol fare Renzi le avesse proposte Bersani con l’avallo del vecchio gruppo dirigente ex comunista ed ex sinistra dc — alla luce della storia che ho brevemente ricordato non è un’ipotesi inverosimile, le premesse c’erano tutte — ci sarebbe forse stato uno scatenamento polemico di questa intensità? Che arriva a riesumare il vecchio slogan di «minaccia alla democrazia» già usato ai tempi di Berlusconi? Quali tabù ha toccato Renzi per suscitare questa reazione? Non può trattarsi solo della comprensibile resistenza di un ceto dirigente sconfitto: in un partito sano la sconfitta si archivia e ci si prepara a una rivincita in futuro, confidando che i fatti e la propria azione politica dimostrino l’erroneità della linea adottata dal leader. In gioco c’è qualcosa di più grosso, il passaggio da una concezione di partito a un’altra. Da un partito di notabili in servizio permanente effettivo, in cui la strategia del partito emerge da accomodamenti e mediazioni continue, a un partito del leader il quale giudica quando il tempo delle mediazioni è finito e l’ulteriore dilazione nella decisione contrasterebbe con l’efficacia della decisione stessa. Un partito che non guarda prevalentemente al proprio interno, ma guarda alla sua azione di governo e al consenso che questa può riscuotere nel Paese. Se si aggiunge che — mirando al successo esterno e non alla conservazione delle oligarchie e dei santuari ideologici cui prestano osservanza — il leader può essere indotto a forti modifiche delle strategie adottate in passato, si vedono bene i tabù che Renzi ha abbattuto e si capisce la violenza della reazione: l’opposizione è stata sbalzata in un mondo radicalmente estraneo a quello cui si era assuefatta.
È il nuovo mondo che Mauro Calise spiega assai bene nel suo saggio sull’ultimo numero de «il Mulino» ( La democrazia del leader ) e di cui consiglio una lettura attenta, ai dissidenti del Pd e non solo. Il governo del leader non è una minaccia per la democrazia — non siamo a Weimar — ma un tentativo di conciliare democrazia e capacità di decisione, nella consapevolezza che la vera minaccia della democrazia è la sua incapacità di decidere.

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martedì 14 aprile 2015

Contrastare la povertà

Articolo di Maurizio Ferrera pubblicato sul Corriere della Sera il 12 aprile 2015
Un reddito di inclusione sociale potrebbe alleviare l’emergenza-povertà: costerebbe quanto il bonus che il governo dice di avere. Cinque milioni in più di persone a rischio di povertà. Questa la drammatica eredità che la crisi ha lasciato all’Unione europea nel periodo 2008-2013. Ciascun Paese ha contribuito, ma l’Italia ha battuto ogni record: 2,3 milioni di aumento, quasi la metà dell’impoverimento di tutta l’Europa. I dati si riferiscono alla povertà «relativa», che prende come riferimento il reddito mediano. Ma anche se passiamo alla povertà «assoluta» (secondo l’Istat, meno di 1.400 euro al mese per una famiglia di quattro persone in un’area metropolitana nel Nord), la situazione italiana resta drammatica: sei milioni di poveri nel 2014, concentrati fra le famiglie con figli minori.
Perché tanta povertà? La crisi ha colpito anche altrove, la nostra disoccupazione (12,7 per cento) è appena sopra la media dell’Euro-zona. Il problema è il welfare. Non abbiamo mai introdotto quella «rete di sicurezza» che negli altri Paesi soccorre i più deboli. Si sono fatte solo piccole e inconcludenti sperimentazioni: quella ora in corso si chiama «sostegno per l’inclusione attiva» e coinvolge circa 26 mila persone in dodici grandi comuni, una goccia nel mare. Fra pochi mesi finirà, mancano i soldi.
In Parlamento ci sono due proposte (Sel e Cinque stelle). Soprattutto ai grillini va dato atto di aver finalmente attirato l’attenzione politica su questo tema. Il loro «reddito di cittadinanza» garantirebbe fino a 780 euro al mese (persona singola) a chi si trova in difficoltà ed è disponibile al lavoro. I costi sono tuttavia proibitivi: dai 15 ai 17 miliardi l’anno. Anche a prescindere dalle modalità di copertura (poco dettagliate nel progetto Cinque Stelle), si tratterebbe di un passo più lungo della gamba.
Esiste però un altro progetto, fatto e finito. Si tratta del «reddito di inclusione attiva» (Reis) sostenuto da un ampia rete di soggetti (fra cui Acli, Caritas, sindacati) che hanno dato vita ad una vera e propria «Alleanza contro la Povertà». Il Reis sarebbe destinato a chi si trova in povertà assoluta (e non relativa, come nel caso della proposta grillina) e il suo importo sarebbe pari alla differenza fra il reddito disponibile e una soglia prestabilita in base ai componenti del nucleo. Per una persona sola senza lavoro, ad esempio, circa 400 euro al mese, più un contributo per l’affitto. Ai beneficiari si offrirebbero anche servizi volti a far recuperare l’autosufficienza.
A regime, il Reis costerebbe circa 7 miliardi l’anno. Tenendo conto dei vincoli di bilancio, l’Alleanza propone tuttavia un percorso di avvicinamento graduale in quattro anni: nel primo l’impegno sarebbe più o meno 1,6 miliardi.
Da qualche giorno ci si interroga su come utilizzare il famoso «tesoretto» previsto dal Documento di economia e finanza e che, neanche a farlo apposta, corrisponde proprio al costo del Reis per il primo anno. Se i soldi ci sono davvero, è un’occasione unica. Difficilmente la Commissione europea potrebbe sollevare obiezioni, visto che in vari documenti ufficiali ha criticato proprio l’assenza di una misura nazionale contro la povertà e ha chiesto all’Italia di predisporre un piano strategico di lotta all’esclusione. Per arrivare a regime nel 2019, il governo potrebbe anzi appellarsi sin d’ora alla nuova clausola sulla flessibilità dei vincoli fiscali approvata a Bruxelles due mesi fa.
Sarà la volta buona? A questo punto, gli scenari che si profilano sono due. Quello prudente e praticabile, ossia adottare il Reis. Quello più ambizioso ma che solleva enormi problemi di finanziamento, cioè insistere sul reddito di cittadinanza. Chi vuole aiutare i più poveri concretamente e da subito non può aver dubbi su cosa sia meglio fare. Il governo nemmeno: dunque ci aspettiamo che faccia.

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sabato 28 marzo 2015

Europa, crescita e lavoro

Articolo di Lucrezia Reichlin pubblicato sul Corriere della Sera il 27 marzo 2015
È da qualche settimana che si parla con insistenza di ripresa in Europa e, finalmente, anche in Italia. I dati di tutti i settori e i sondaggi sulle aspettative di imprese e consumatori segnalano che il tasso di crescita del Prodotto interno lordo (Pil) del primo trimestre del 2015, che sarà pubblicato a maggio, confermerà il dato positivo di fine anno. È molto probabile che la ripresa sia cominciata nella seconda metà del 2014.
Meno certa è la traiettoria della ripresa nei prossimi anni, ma, stando alle previsioni di molti ed in particolare a quelle della Banca centrale europea (Bce) - pubblicate una decina di giorni fa - l’economia dell’eurozona tornerà gradualmente al suo indice di crescita storico del 2% (il cosiddetto potenziale) nel 2017.
Ma se si guarda all’ultima riga della tabella pubblicata dalla Bce, c’è un numero che getta un’ombra nera su questa ripresa. Nel 2017 il tasso di disoccupazione sarà del 9,9%, neanche due punti più basso di quello di oggi. Poiché questo corrisponde alla crescita potenziale, la previsione implica che, nell’eurozona, il cosiddetto tasso «naturale» di disoccupazione, cioè quello che si realizzerà quando tutti gli occupabili avranno trovato lavoro, è quasi del 10%. Questo 10% non scomparirà con la ripresa e per quanto definito naturale nel linguaggio tecnico, di naturale ha ben poco. Se a questo 10% si aggiungono le persone che non cercano un impiego attivamente in quanto scoraggiate, e si considera che questo numero è composto in gran parte di disoccupati da lungo tempo, stiamo quindi dicendo che la zona euro - una delle più ricche economie del pianeta - dovrà imparare a convivere con un esercito di esclusi dal mercato del lavoro. Questi sono i numeri di tutta l’eurozona: Nord e Sud. L’Italia è messa ben peggio. Nonostante oggi il nostro tasso di disoccupazione sia appena superiore a quello della zona euro, la sua composizione è terrificante: 40% di disoccupati tra i giovani, con una concentrazione molto alta nel Mezzogiorno e tra i senza lavoro di lunga durata. La crisi per noi è stata molto costosa: dal 2007 il numero dei disoccupati è praticamente raddoppiato, passando da 1,76 milioni a 3,4 milioni. Fa piacere registrare che i contratti a tempo indeterminato siano stati nei primi due mesi del 2015 il 35% in più rispetto allo stesso periodo del 2014. È una buona notizia ma sono solo 79 mila contratti.
Estrapolando dalla previsione aggregata della Bce non si può quindi non dedurre che, in Italia, per una larga parte di quegli oltre 3 milioni di disoccupati non ci sia speranza di trovare un impiego nei prossimi anni. Questi numeri non possono essere trattati da semplice corollario delle previsioni economiche. Al contrario, ci dicono che nei prossimi anni il problema principale per l’Europa dell’euro, e per l’Italia in particolare, sarà il lavoro.
È un problema che va messo al centro delle politiche europee, che va capito ed affrontato. Va capito, perché non è chiaro se una grossa fetta della forza lavoro non abbia un impiego per via di una perdita di competenze causata dalla crisi prolungata o da fattori preesistenti alla crisi, conseguenza di un cambiamento della struttura della domanda di lavoro in Europa, dei processi tecnologici e della competizione globale. Ma soprattutto il problema va affrontato perché non è possibile pensare che il successo del progetto europeo e la credibilità dei singoli governi dell’Unione non sia legata alla capacità di proporre politiche strutturali che prevedano il rilancio e la riqualificazione dell’occupazione.
È dalla ripresa del 2009 che gli Stati Uniti discutono, non solo nelle università ma anche nella politica, sul come affrontare la cosiddetta jobless recovery, cioè una ripresa non accompagnata da un aumento dell’occupazione. Nonostante la crescita degli ultimi anni negli Usa, nessuno ha potuto dichiarare la crisi finita fino a quando il mercato del lavoro non ha cominciato a rafforzarsi. Perché questa minore sensibilità al problema nel Vecchio Continente? Abbiamo speso gli ultimi sette anni a rispondere alla instabilità finanziaria, a cercare di governare le tensioni interne all’Unione, a costruire istituzioni per irrobustirla, ne abbiamo - almeno per ora - assicurato la sopravvivenza. Ma il progetto europeo, nonostante la ripresa e la maggiore stabilità raggiunta, non ha legittimità se non si affronta il problema del lavoro.

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martedì 17 marzo 2015

Lavoro, effetti delle nuove leggi sul lavoro

Nel 2014, dopo due anni di calo, l’occupazione cresce (+0,4%, pari a 88.000 unità in confronto all’anno precedente), a sintesi di un aumento nel Nord (+0,4%) e nel Centro (+1,8%) e di un nuovo calo nel Mezzogiorno (-0,8%, pari a -45.000 unità).
Il tasso di occupazione si attesta al 55,7%, +0,2 punti percentuali rispetto al 2013.
Questi sono alcuni degli effetti prodotti nel periodo precedente alla legge di stabilità ed al Jobs Act.
L’esonero contributivo per le nuove assunzioni con contratto a tempo indeterminato ai sensi della legge 23 dicembre 2014, n. 190 sta producendo effetti positivi sul livello di occupazione del paese. Infatti, il presidente dell’Inps Tito Boeri ha comunicato che sono 76mila le richieste arrivate dalle imprese  per accedere alla decontribuzione previdenziale in relazione alle nuove assunzioni con contratto di lavoro a tempo indeterminato con decorrenza nel corso del 2015.
Nella Provincia di Verona le richieste effettuate dalle imprese sono 1491.
La misura dell’esonero è pari all’ammontare dei contributi previdenziali a carico del datore di lavoro, con esclusione dei premi e contributi INAIL, nel limite massimo di un importo pari a euro 8.060,00 su base annua.
Sono esclusi dai benefici i contratti di apprendistato ed i contratti di lavoro domestico.
I lavoratori coinvolti dalle assunzioni potrebbero essere molti di più rispetto alle imprese che hanno presentato la richiesta di esonero contributivo.
La Fondazione dei consulenti del lavoro ha calcolato che nei primi due mesi del 2015 i lavoratori assunti a tempo indeterminato sono 275mila con l’esonero dei contributi previdenziali previsti dalla legge di stabilità (legge 23 dicembre 2014, n. 190).
Fin qui i primi effetti positivi sull’occupazione prodotti dalla legge di stabilità. Adesso occorre aspettare la completa attuazione del Jobs Act, specificatamente del contratto a tempo indeterminato a tutele crescenti, per monitorare gli effetti sul livello dell’occupazione dei nuovi provvedimenti sul lavoro.
Intanto, si legge che gli imprenditori sono pronti ad attivare nuove assunzioni a tempo indeterminato per i benefici previsti dal Jobs Act.

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mercoledì 4 marzo 2015

Licenziamenti economici, tanta confusione e poca coerenza


Occorre ricordare che il disegno di legge delega “Jobs Act” non prevedeva specificatamente la disciplina dei licenziamenti economici e disciplinava il contratto a tempo indeterminato a tutele crescenti. In sede di esame della proposta di legge delega numerosi sono stati le modifiche concordate e mediate dal Presidente della commissione lavoro Cesare Damiano, il quale è riuscito a condurre ad unità il gruppo PD per poi determinare, a cose fatte, il parere sullo schema di decreto legislativo per capovolgere i contenuti della legge delega in materia di licenziamenti economici.
Tra gli emendamenti approvati dalla Commissione Lavoro della Camera dei Deputati vi è il seguente che tratta i licenziamenti per motivi economici: "Al comma 7, lettera c), aggiungere, in fine, le parole: escludendo per i licenziamenti economici la possibilità della reintegrazione del lavoratore nel posto di lavoro, prevedendo un indennizzo economico certo e crescente con l'anzianità di servizio e limitando il diritto alla reintegrazione ai licenziamenti nulli e discriminatori e a specifiche fattispecie di licenziamento disciplinare ingiustificato, nonché prevedendo termini certi per l'impugnazione del licenziamento;1. 538. Sottoscritto da Gnecchi, Cinzia Maria Fontana, Giorgio Piccolo, Boccuzzi, Giacobbe, Casellato, Incerti, Maestri, Albanella, Simoni, Miccoli, Baruffi, Malisani, Gribaudo, Paris, Martelli, Tullo, Rotta.
L’emendamento Gnecchi ed altri è stato approvato dalle camere ed è contenuto nella lettera c) del comma 7 dell’articolo 1 della legge 10 dicembre 2014, n. 183.
Fino a questo punto dell’iter legislativo non ci sono stati problemi per il Jobs Act. Nel momento in cui lo schema del decreto delegato veniva sottoposto al parere delle Commissioni Lavoro della Camera e del Senato sono sorte polemiche, scontri e strumentalizzazioni finalizzate a escludere dalla disciplina dei licenziamenti economici i licenziamenti collettivi che si identificano con i primi. Il parere della Commissione Lavoro della Camera è stato tassativo e quello del Senato possibilista riguardo ai licenziamenti collettivi.
La prima cosa da chiarire è che i licenziamenti collettivi rientrano a pieno titolo nei licenziamenti economici e che, pertanto, sono disciplinati dalla lettera c) del comma 7 dell’articolo 1 della legge 10 dicembre 2014, n. 183.
L’emendamento Gnecchi mirava soprattutto al “diritto alla reintegrazione ai licenziamenti nulli e discriminatori e a specifiche fattispecie di licenziamento disciplinare ingiustificato, nonché prevedendo termini certi per l'impugnazione del licenziamento” ed ha sottovaluto la esclusione “per i licenziamenti economici la possibilità della reintegrazione del lavoratore nel posto di lavoro, prevedendo un indennizzo economico certo e crescente con l'anzianità di servizio”.
Per risolvere il problema del mancato reintegro per i licenziamenti economici si è pensato di intervenire in Commissione Lavoro della Camera, la quale ha espresso il parere non vincolante sullo schema del decreto attuativo ed ha richiesto in modo obbligatorio l’esclusione dei licenziamenti collettivi dal decreto. Non a caso i proponenti dell’emendamento ed i sostenitori dello stesso hanno parlato di licenziamenti collettivi e non economici per rendere credibile invano il loro intervento.
Il Governo in sede di approvazione definitiva del decreto attuativo della delega in materia di contratto di lavoro a tempo indeterminato a tutele crescenti non ha considerato il parere non vincolante delle Commissioni Lavoro perché in contrasto con la letterac) del comma 7 dell’articolo 1 della legge 10 dicembre 2014, n. 183, la quale ha escluso chiaramente l’applicazione della reintegrazione dei licenziamenti economici, compresivi dei licenziamenti collettivi. Se il Governo avesse accolto il parere la norma sarebbe stata incostituzionale. Pertanto, l’accusa al Governo di aver ignorato il parere delle Commissioni è infondata.
Se la minoranza del PD fosse stata più attenta avrebbe potuto presentare, a suo tempo, un emendamento esplicito sul reintegro dei licenziamenti collettivi e non farsi promotore dell’emendamento sui licenziamenti economici, primo firmatario Gnecchi, che esclude la reintegrazione. Inoltre, avrebbe evitato di esprimere un parere contrario non vincolante contrario alla legge delega ed aprire un confronto strumentale e non risolvibile.
Stefano Ceccanti, costituzionalista, in risposta al collega Gustavo Zagrebelsky ha dichiarato: “ Il prof. Zagrebelsky sostiene oggi sul Fatto quotidiano che in materia di licenziamenti il decreto del Governo è andato oltre la delega. Evidentemente non ha letto la lettera c) del comma 7 dell’articolo 1 della delega, che riproduco qui sotto (*). È esattamente vero il contrario: la delega è così precisa nell’escludere il reintegro per i licenziamenti economici, che era invece il parere della Commissione Camera, scorporando i licenziamenti collettivi, a violare la delega. Il Governo, col decreto, ha rispettato la delega. Chi era contrario avrebbe dovuto emendare la delega, non cercare di aggirarla dopo.

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mercoledì 25 febbraio 2015

Alessandra Moretti, unica speranza per il Veneto

Continua in modo incessante l’impegno di Alessandra Moretti di incontrare le comunità locali dal più piccolo al più grande comune per ascoltare e capire le esigenze ed i bisogni delle persone e per presentare la sua proposta politica. Fino a questo momento ha visitato 190 comuni ed in tali incontri è stato espresso entusiasmo e sostegno alla sua candidatura.
Intanto il centro destra esprime divisioni (Tosi, Salvini e Zaia) ed assenza di contenuti politici. La gestione Galan e Zaia non aiuta certamente a realizzare un confronto serio e costruttivo per il bene del Veneto. Il centro destra in questo momento è capace soltanto di esprimere propaganda e strumentalizzazioni finalizzate a distogliere i veneti dai problemi reali della regione e dalla cattiva gestione di Zaia.
Qualche personaggio si diverte ai danni del Veneto ad offuscare le prospettive politiche della Regione espresse in modo chiaro ed inequivocabile da Alessandra Moretti senza offrire una proposta credibile. Affermazioni che non si basano sui dati ed informazioni reali scaturiti dalla gestione Zaia e che, pertanto, rappresentano solo propaganda senza contenuti.
Alessandra Moretti rappresenta l’unica alternativa democratica e reale alla gestione Galan e Zaia, la quale ha portato il Veneto a condizioni non certamente positive di cambiamento.
Le persone miopi vedono in Alessandra Moretti il personaggio che coglie tutte le occasioni politiche elettorali per mettersi in mostra. Al contrario Alessandra si è limitata con spirito di servizio a rispondere positivamente alle richieste del Partito Democratico, candidandosi prima alle politiche e dopo alle Europee ed alla Presidenza della Regione Veneto. Per convenienza personale avrebbe potuto rispondere no e continuare ad impegnarsi come parlamentare.
Ad Alessandra Moretti sta a cuore la Regione Veneto e per tale motivo è impegnata a contrastare il centro destra ed offrire alla comunità veneta una prospettiva di sviluppo e di crescita ed un’alternativa all’insufficiente politica della Giunta Zaia che certamente non ha prodotto risultati apprezzabili.
Alessandra è un politico capace, intelligente e sensibile ai bisogni ed alle esigenze che vengono espressi chiaramente negli incontri organizzati nei comuni.
Personalmente la conosco e la stimo tanto e credo che questa sia l’ultima occasione che il Veneto può cogliere per realizzare il cambiamento che le persone desiderano.
Occorre anche tenere presente il vasto consenso che ha realizzato alle Elezioni Europee ed alle primarie del PD. Alessandra è l’unica persona capace di aggregare un vasto consenso a favore del rinnovamento e del cambiamento.
Condivido la sua posizione contro le deroghe ai consiglieri regionali che hanno superato le due legislature. Il PD regionale farebbe bene a tenerne conto altrimenti Alessandra Moretti non può utilizzare il fattore rinnovamento nella campagna elettorale con ripercussioni negative sull’ampiezza dei consensi. Il PD non deve fare altro che confermare la propria posizione espressa durante la discussione del progetto di legge Padrin che il centro destra diviso ha fatto fallire.

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lunedì 23 febbraio 2015

Decreti Jobs Act: giudizio di Pietro Ichino

Intervista a Pietro Ichino a cura di Andrea Di Stefano pubblicata il 22 febbraio 2015 dai quotidiani locali del gruppo L’Espresso
Professore qual è il suo primo giudizio sui decreti approvati ieri dal Governo?
Complessivamente molto positivo: in questi decreti ci sono tutti i pilastri essenziali della riforma che occorre per voltar pagina rispetto al regime di job property, e all’inefficienza e al dualismo fra protetti e non protetti che ne consegue.
Quali pilastri?
Flessibilizzazione e generalizzazione della disciplina dei licenziamenti, trattamento di disoccupazione di livello europeo ed esteso a tutti, integrazione tra strutture pubbliche e agenzie private specializzate attraverso il contratto di ricollocazione, libertà di scelta dell’agenzia da parte del lavoratore, retribuzione della stessa a risultato, estensione della protezione a tutta l’area caratterizzata da sostanziale dipendenza economica del lavoratore.
Si considera il padre nobile di questa riforma?
“Nobile” no di certo. “Padre” è un’espressione davvero eccessiva; anche perché alla stesura di questi testi hanno contribuito in modo decisivo anche altri giuslavoristi, tutti di grande valore. È vero però che l’idea del contratto a tutele crescenti come forma normale di assunzione è frutto di un progetto che ho incominciato a proporre già nel 1989, e che ha preso compiutamente forma nel mio libro del 1996 Il lavoro e il mercato. È anche vero che alla riforma ho dato in Senato un contributo forse non secondario.
Il Governo non ha tenuto in alcun conto il parere delle Commissioni Lavoro di Camera e Senato sui licenziamenti collettivi. È una forzatura politica?
Il Governo ha accolto tutti e soltanto i suggerimenti contenuti in quei pareri che erano coerenti con gli intendimenti della riforma, voluti dalle stesse Commissioni in sede di approvazione della legge-delega. Ma questa esclude esplicitamente l’applicazione della reintegrazione nell’area dei “licenziamenti economici”; e nessuno può ragionevolmente sostenere che quelli collettivi non vi rientrino. Su questo punto, dunque, l’accoglimento dei pareri avrebbe comportato la violazione della delega.
Nel testo viene introdotta anche la facoltà di cambio delle mansioni a parità di retribuzione. È uno strumento effettivamente utile per la riorganizzazione delle imprese?
La vecchia norma, che viene ora sostituita, era stata disegnata in un’epoca in cui l’evoluzione delle tecniche applicate era molto più lenta. Conservare quella norma oggi non gioverebbe neanche ai lavoratori, perché con la sua rigidità finirebbe col mettere maggiormente a rischio i loro posti di lavoro.
È stata poi disposta l’esclusione del settore pubblico dal campo di applicazione del nuovo regime che lei aveva invece sempre sostenuto, come sostenuto dal ministro Poletti?
La norma che disponeva questa esclusione, soppressa nel testo del 24 dicembre, non è stata reinserita nel decreto. Credo che questo sia bene; anche se poi nel settore pubblico occorrono norme di governance interna delle amministrazioni che assicurino l’esercizio delle prerogative manageriali e la sua correttezza.
Ci sono state forti tensioni sulla norma sul contratto di ricollocazione. Come giudica il risultato finale?
Considero importantissimo che questo nuovo istituto sia stato introdotto nel nostro ordinamento. Su questo terreno, però, c’è ancora del lavoro da fare, sia sul piano normativo, sia soprattutto su quello dell’implementazione, trattandosi di uno strumento che in Italia ancora non è stato sperimentato e incontra molte resistenze.

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